Rivista Anarchica Online
La società contro l'individuo
di Zheng Chenggong
Un viaggio attraverso nuovi individualismi e antichi modelli
sociali nell'era del dopo Tian Anmen
"Wang Shuo? Perché piace tanto ai giovani? Vieni
con me che te lo spiego. Lui usa un linguaggio che è quello
che parlano i giovani di Pechino, riflette il loro senso di vuoto,
di assenza di valori, e quel che ne segue, che è una vita per
la quale il divertimento è l'unico valore, dopo essersi
procacciati di che mangiare e bere. Così i giovani lo
leggono, si riconoscono in ciò che racconta, benché i
critici lo ignorino. Come vedi non c'è introduzione ai suoi
libri. Liu Heng Zhu si può dire sia il contrario, ha una
visione positiva della realtà; secondo me i due autori sono
entrambi validi, benché percorrano due strade diverse. Ma Liu
Heng Zhu è assai stimato anche dalla critica, mentre Wang
Shuo è letto dagli studenti e dai giovani, ignorato e
disprezzato dai loro professori".
Il giovane commesso della piccola libreria privata, ai bordi di
una delle principali arterie che conducono al centro di Pechino, è
prodigo di spiegazioni non appena mostro interesse per questo Wang
Shuo. I suoi libri si riconoscono da lontano per via delle copertine
piuttosto "pop". Mi accompagna fuori dalla libreria e si
offre di presentarmi un amico scrittore. La domenica successiva lo
incontro, puntuale all'ora stabilita, davanti alla stessa libreria.
Il giovane scrittore mi dice: "Scrivo di me e della mia
vita, cercando in questo modo di comunicare con gli altri. No, non
pubblico e non desidero farlo, perché non voglio avere a che
fare con le istituzioni, questo sarebbe contrario al mio modo di
essere. Mi considero un uomo che comunica ad altri uomini, non importa
di che nazionalità. Io voglio essere al di sopra delle
differenze fra paesi, comunicare un'esperienza per raggiungere gli
altri, direttamente, come fanno i miei amici, che anch'essi
scrivono. Sono in tanti, oggi in Cina, i giovani che si esprimono con la
letteratura, ma non hanno interesse a che si pubblichino le loro
opere".
Parla a voce bassa, nel retro della piccola libreria. Dopo poco
entra la proprietaria con un altro cinese, seguiti dopo qualche
minuto dal giovane commesso e dal marito della proprietaria. Con
estrema gentilezza mi invitano ad uscire, mentre la signora accenna
con calma ad un moto di disappunto: "Ma perché? Non
siamo tutti amici?".
Ma per qualche ragione la situazione si è fatta delicata,
saluto lo scrittore, che mi invita calorosamente a tornare. Esco con
il commesso e parliamo, bevendo bina, in un locale.
"Il mio amico che hai conosciuto oggi - mi dice - lui sì
è un vero intellettuale. Non lo sono certo gli intellettuali
del governo, e neppure Wang Shuo lo è. Il mio amico scrive
per comunicare, non ha fatto l'università, nessuno di noi
l'ha frequentata, non abbiamo nessun rapporto con la cultura
ufficiale. Scriviamo e ci passiamo di mano in mano i nostri lavori.
Noi crediamo che si possa trovare una posizione spirituale al di
sopra della gente comune, un luogo elevato dove esprimere la nostra
arte. I giovani dovrebbero trovare in sé i nuovi valori per
uscire dal "vuoto" della loro generazione, e non
accogliere passivamente idee che vengono loro dall'esterno. Questo è
quanto successo il giugno scorso, e con quali esiti! Certo, il
governo ha una parte di responsabilità per questo vuoto in
cui versa il mondo giovanile, ma per un altro verso, questo esito
era ineluttabile, legato alla storia e al carattere del popolo
cinese. Come potrebbe il governo far fronte a questa situazione? Non
c'è in Cina uno che abbia il coraggio di Gorbaciov. Così
la gente si volge indietro alla nostra tradizione filosofica e
mistica, alla pratica del qigong, o scopre il cristianesimo. E
questa è una via. L'altra è il culto egoistico di se
stessi, dei propri bisogni (...). No, io non mi riconosco nel
protagonista di Benmingnian (1), non ho nulla in comune con lui,
anzi no, la stanza dove vivo, quella si è scalcinata come la
sua".
Sta nascendo in Cina un mondo culturale sotterraneo, spontaneo,
una comunità di intellettuali da strada, marginali,
presuntuosi e generosi, convinti dell'autenticità intrinseca
del loro fare cultura. Che significa per loro essere "veri
intellettuali"? E che significa definire "falsi
intellettuali" quelli che vivono nelle confortevoli gabbie
delle "guanxi" (2) del regime? Questa loro mistica di una
cultura che nasce da se stessi, che si propaga tendendo la mano, e
al suo opposto, il commerciale nichilismo di Wang Shuo e la
sgargiante bruttezza delle copertine dei suoi libri nei quali tanti
giovani si riconoscono, tutto ciò costituisce una tollerata
sotterraneità nel tessuto sociale della Cina urbana. Diventa
lettera e commercio il mondo dei disincantati fanatici del vuoto di
valori e della pienezza di tasche e di stomaco. Diventa cultura
silenziosa, comunicazione sommessa, l'interiorità rivisitata
riflessivamente dei giovani scrittori idealisti. E tutto ciò
è in qualche modo celebrazione, diversa dalle parole-valori
che si susseguono a grandi caratteri sui muri della città, e
ripetono di essere uniti, amici e progressivi, con il consueto
sentimentalismo della propaganda governativa.
Il potere e il Junzi
"No, non mi interessano i giochi asiatici. Secondo il
governo essi accrescerebbero il senso di amicizia tra la gente e i
popoli, ma io penso che sia solo una manovra politica per far
passare in secondo piano problemi più gravi. Da quando sei
stato qui l'ultima volta gli spazi si sono ulteriormente ridotti,
anch'io non ho più pubblicato niente. Se ricordi, non ti ho
mai detto di voler lasciare la Cina, come tanti fanno o cercano di
fare, ma adesso sarei pronto anch'io ad andarmene, per quanto ami il
mio paese... è un grande paese, per la sua cultura e il suo
passato, ma il presente è un sistema oppressivo che vuole
costringerti a vedere bianco quello che è rosso, senza che tu
possa replicare... ma se sapessi dov'è B.Y. lo raggiungerei e
me ne andrei con lui. E' uno scrittore, come me, ma dopo i fatti del
giugno '89 non so più nulla di lui. E anche X.Y. è
ricercato dalla polizia e non si sa se sia all'estero o dove.
Ricordo che dopo un po' di tempo dalla sua scomparsa vennero a
cercarlo per conferirgli un premio... non è ridicolo? Ma come
- dissi loro - volete premiare un ricercato? (...) Il 4 giugno
all'interno dell'università si è svolta una
manifestazione, alcune centinaia di persone, ma tra esse un gran
numero di poliziotti in borghese, che noi non abbiamo avuto problemi
nel riconoscere. Gente mai vista, robusti, si capiva che non erano
studenti.
Poi sono arrivati anche gli studenti stranieri, ma la
manifestazione non ha avuto seguito. Fuori, l'Università era
circondata dalla polizia (...). Abbiamo saputo di Chai Ling dalla
BBC, anche Li Peng ha accennato al suo espatrio, ma senza fare
commenti. Noi siamo convinti che sia stata aiutata da ambienti
politici ad alto livello ed anche da autorità militari. Non
si spiega altrimenti come sia potuta fuoriuscire. Impossibile con il
solo aiuto della popolazione...".
Lascio la stanza del mio amico cinese con quel consueto disagio
che ora forse capisco meglio. La cultura è servizio umile
oggi, in Cina, per un immaginario popolo che in realtà non sa
che farne, né potrebbe farsene qualcosa. Che lo studente, il
professore, il ricercatore, vivano in stanze sudicie e per corridoi
pieni di immondizie, la ragione di ciò è il riflesso
di un antico risentimento che ancora perdura profondo nei principi
di vario rango per ciò che l'uomo di cultura in Cina non è
mai riuscito ad essere pienamente, ma sempre ci ha provato quando il
momento storico lo ha consentito, ovvero il sapiente, il "Junzi"
(3), colui che non aspira al potere di fatto, ma pretende di
ispirarne le scelte, in virtù della sua superiore coscienza.
Oggi in Cina l'intellettuale continua a rivendicare questo
ruolo, sulla base della coscienza di un diritto al potere
"attraverso la cultura" che ha forse le sue radici
nell'antica istituzione dei concorsi imperiali, che consentiva
idealmente a qualunque persona di cultura di accedere a ruoli di
potere valendosi del proprio sapere. Non ha estinto tale coscienza
la marea rivoluzionaria e l'ideologia maoista con i nuovi soggetti
sociali che, al contrario, hanno fornito materiale umano per le
nuove classi di intellettuali, vestendo l'habitus mentale pronto da
tempo, da molto tempo prima che essi potessero anche solo
sognarselo.
Forse gli eventi futuri della Cina saranno in gran parte
condizionati da questo continuo braccio di ferro tra l'immenso
apparato burocratico-militare e la comunità intellettuale,
tra un'idea di potere che non accetta di convivere con un sapere che
non sia quello tecnocratico o militarista, o totalmente apologetico,
sclerotizzato nelle forme di un'ideologia funzionale.
Amara vena scettica
Cos'è secondo te la libertà?
Stare al di sopra di ciò che ti circonda e saper vedere
con i tuoi occhi.
Che ne pensi di questi Giochi Asiatici?
Non male, non male. O per lo meno così sembra; vedremo
poi come saranno "realmente". C'è qualcosa di
comune nei contenuti espressi da queste due risposte a domande così
diverse, e poste pure a persone assai diverse, e deve essere questa
la ragione per cui, quando penso ad una di esse, l'altra mi balza
immediatamente in mente. Un senso iniziatico della comunità,
del gruppo di eletti che vive della comune sensibilità
artistica, al di fuori dell'establishment, questo, insieme a una
sorta di individualismo spirituale, sembra essere sotteso alla prima
risposta che ricevetti dal giovane commesso della libreria.
Un margine di scetticismo, cauto nell'esprimersi, ma vividamente
contrastante la retorica del momento, caratterizza la parziale
sospensione di giudizio del giovane tassista dal quale ho avuto la
risposta alla seconda domanda.
Il senso romantico, titanico e quasi metafisico di "libertà",
può essere in fondo un'audace e intellettuale trasfigurazione
dell'amara vena scettica del tassista che, in fondo, riservandosi di
vedere la cosa in atto prima di giudicare, crea un abisso tra sé
e la certezza dogmatica degli slanci retorici del potere, che vuole
dedizione assoluta perché quel che sarà sia da oggi
già certo per ogni cittadino, e non tanto perché gli
sforzi di ognuno faranno sì che si realizzi ciò che è
atteso, ma perché quel che sarà reale, comunque potrà
essere, deve già da oggi, nell'immaginario collettivo,
definirsi nei valori funzionali alla coesione tra potere e tessuto
sociale, indipendentemente da ogni esito, indipendentemente da ogni
"realtà". Recuperare le forme dell'organizzazione
sociale che il PCC si è visto drammaticamente disfare tra le
mani e ricomporsi con altri contenuti e valori nei giorni della
Primavera '89; questa è la grande opportunità che i
Giochi Asiatici offrono al partito e questo sembra esserne
l'autentico fine politico.
Rock cinese
E a proposito di forme sociali, si parlava tra amici della
gioventù underground che ruota attorno ad alcuni complessi
rock cinesi, alcuni dei quali divenuti assai popolari in patria.
L'identificazione di un gruppo attorno a un genere di musica e a
comportamenti ad esso ispirati è di per sé
trasgressivo nella società cinese che vive di forme sociali
diffuse orizzontalmente, ma organizzate e controllate verticalmente,
e questo non solo nel senso dei rapporti di potere effettivi, ma
anche, quel che più conta, nel senso della produzione dei
relativi contenuti ideologici. E di fatto sono questi ultimi ad
essere messi in pericolo dal fenomeno in questione, poiché
esso non sembra implicare nei suoi esponenti scelte di vita radicali
che investano nel complesso la loro quotidianità, ma al
contrario, il fenomeno rimane relegato ai margini di tempo libero,
durante i quali si smette la veste lavorativa, quale essa sia, e si
diventa mostri, diversi ed identificabili. Certo, la realtà
marginale del rock cinese non veicola idee né valori, o
quanto meno non consapevolmente, non politicamente. Non crea, né
sembra interessata a farlo, "cultura alternativa", non
può, ma neppure vorrebbe, gridare contro il sistema, e
neppure è vista così male dal conformista come lo
furono i capelloni d'occidente. Cosa c'è allora, in questo
fenomeno, che potrebbe essere diverso dalle tante altre forme di
simbiotica occidentalizzante che vive la società cinese?
Questo, io credo: il fatto di essere espressione e comunicazione, e
solo dopo, a volte, commercio.
Senza idee, proposte, forse senza valori, ma comunque
riproduzione di vissuti individuali trasmutati creativamente nella
realtà sociale di una comunicazione fortemente
caratterizzata. E questi vissuti che divengono creativamente non
saranno più sacrificati sull'altare del potere, nelle
trasfigurazioni eroiche per la grandezza della nazione, per la
centralità asiatica della Pechino che chiede unità ed
amicizia ed egemonia immaginaria, attraverso la kermesse annunciata
dei suoi giochi asiatici.
Questi vissuti, quale che sia, migliore o peggiore la loro
sorte, sono comunque consenso negato, per poco che sia chiaro in che
forma e in che grado. E sono realtà sociale sottratta alla
rete dei comitati, sezioni ed unità varie che il partito
stringe sull'intero corpo sociale.
La comunicazione creativa dei temi del proprio vissuto
attraverso la musica rock - in particolare dei sentimenti - sembra
proprio il contrario dello sforzo partecipativo che il partito
chiede al cittadino per il miglior esito dei giochi asiatici e che è
un investimento di responsabilità individuale a vantaggio
della collettività, ma più realmente un sacrificio
della propria individualità per un fine sociale. La musica
rock fa del collettivo una cassa di risonanza dell'individuale. Urlo
che esisto, servendomi della potenza tecno-musicale che il rock mi
ha insegnato, mi specchio in voi per vedere ancora me stesso, tanto
mi siete simili nella differenza dagli altri. E' ribaltata la logica
che vuole l'individuo finalizzato ad un conseguimento collettivo ed
infine nazionale. Invece, è ora il sociale a svuotarsi di
contenuto proprio e di idealità e a diventare strumento per
conferme alla propria assoluta, diversa individualità.
Reazione immunitaria
Proprio il contrario di questo urlo individuale, tecnologico,
urbano, è lo sforzo collettivo ed artigianale che il partito
richiede ai pechinesi, ossessivamente, dagli altoparlanti, dai
giornali e dalla televisione, per il buon esito dei giochi asiatici.
E l'impressione è quella di un enorme paese che si prepara al
giorno di festa. Prevale il gesto artigianale di piantare un chiodo,
verniciare un pannello, senza specializzazioni tecniche che creano
barriere, differenziazioni. Tutti possono farlo, tutti sono uguali
nella essenzialità di un lavoro manuale, povero e genuino,
che vorrebbe risvegliare nelle coscienze il sentimento di vittoria
della tenacia collettiva di una comunità povera e forte sulle
avversità e le difficoltà imposte dalla grandezza dei
fini dichiarati. Insomma, proprio come nei tempi eroici
dell'edificazione della nuova Cina. Chissà in quale misura
questo ripiegarsi verso un'ancestralità artigianale
rappresenta una politica dettata dall'alto, e quanto una reazione
immunitaria spontanea che il corpo sociale produce per recuperare
proprio una dimensione collettiva di lavoro, di produzione, che la
modernizzazione in atto sta distruggendo nel suo valore ideale
sostituendovi il binomio tecnologia-benessere che, prima di essere
capitalistico, è occidentale, e in quanto tale - innanzitutto
- estraneo.
Le due facce del partito
Questo senso di estraneità e di diversità è
ancora forte e radicato, sia nella mentalità del potere che
nelle varie espressioni sociali, più o meno critiche, più
o meno trasgressive. Nel discorso di Jiang Ze Min alla televisione,
in occasione del 60° anniversario della fondazione dell'Armata
di Liberazione, si ribadisce l'allerta nei confronti di un complotto
di forze straniere che premono affinché la Cina imbocchi
avventurosamente la via del capitalismo e si chiama il popolo
all'unità con il proprio esercito del quale si enunciano i
numerosi meriti politici e sociali - concludendo con una frase di
sfida, un'autentica smargiassata pre-bellica atta a scoraggiare
chiunque ad ergersi a nemico contro un popolo ed un esercito uniti.
Ma di questo "furor" che se da una parte è teso a
gratificare il ruolo dei militari, dall'altra ha l'evidente scopo di
ribadirne - con la voce del partito - la comunanza di intenti con il
cittadino, poco rimane nella versione che del discorso di Jiang Ze
Ming viene fornita sul China Daily, il quotidiano ufficiale in
lingua inglese rivolto agli occidentali. In tale versione il
concetto centrale del discorso diventa la riaffermazione della
leadership del partito sulle forze armate, concetto presente nel
discorso, ma relegato a poche righe e quasi perso nella profusione
di retorica militar-populistica.
È evidente che la politica ideologica del partito ha due
diverse facce, l'una rivolta all'interno, l'altra all'esterno.
La prima è una faccia drammatica, eroica, sentimentale,
volontaristica; si esprime con la retorica vecchio stile, il culto
dei rivoluzionari della vecchia generazione, la ripresa acritica dei
testi sacri del marxismo-leninismo, il lavoro collettivo ed
artigianale, l'educazione sull'esempio dei vari Lei Feng, volta per
volta scongelati e messi in cattedra. Insomma, la faccia di una Cina
che non può mutare espressione fino ad essere dissimile da
quella oleografica degli anni eroici dell'inizio della nuova era. La
faccia volta all'esterno è invece pragmatica, ragionevole,
equilibrata, parla inglese e il linguaggio del computer, è
tecnologica e disincantata, e vuole presentare l'immagine di un
potere che controlla i suoi inquietanti e sanguinosi sussulti
militaristi. Questa è la faccia offerta all'occidentale che
teme il furioso sentimentalismo ideologico di cui storicamente ha
dato prova il popolo cinese. Ma tutto ciò porta ad una
pericolosa schizofrenia, per la percezione di sé che il
cinese può derivare da modelli tanto opposti. In quale
immagine di sé riconoscersi? Come è possibile essere
eroici e poveri e nel contempo pragmatici e benestanti, senza quanto
meno chiedersi quanto di autentico vi possa essere in queste
immagini che la propaganda diffonde, o quanto invece lontane esse
siano entrambe, dalla realtà del proprio vissuto?
Dietro la "cultura dello spirito"
Sono a Lanzhou, nella provincia del Gansu. Mi fermo a bere una
birra in una piccola rivendita all'aperto, in riva al fiume giallo,
di fronte ad una statua dedicata alla divinità del fiume. Due
giovani cinesi, studenti all'università di Xian, si siedono
accanto a me, ed iniziamo un'interessante conversazione.
Eccone il contenuto nei suoi punti salienti: "Noi studenti
manchiamo di esperienza di vita e l'insegnamento scolastico ci fa
diventare dei perfetti "shu-daizi" - secchioni. Inoltre,
dopo i disordini del 4 giugno, le restrizioni sono ancora maggiori
ed è cominciata una rigida politica di lavaggio del cervello.
E pensare che quando a scuola studiavamo del lavaggio del cervello
che i russi praticavano contro i dissidenti, ci scandalizzavamo! Ora
ci siamo arrivati anche noi. Anche qui, a Lanzhou, ci sono state
manifestazioni di solidarietà con gli studenti di Beida, e
all'inizio pensavamo che fosse giusto al 100% quello che i nostri
compagni di Pechino stavano facendo, e indubbiamente la
responsabilità dei disordini non può essere attribuita
agli studenti, ma per un 50% al governo e per il rimanente alle
altre persone che si sono unite alla protesta e che non erano
studenti.
Ora è chiaro a tutti che gli studenti sono stati
strumentalizzati per scontri politici all'interno del partito. La
responsabilità del governo è grande ed oggi nessuno
dei suoi esponenti può muoversi per il paese come faceva Zhou
zongli (4), senza alcun timore per la propria incolumità.
Egli era popolare, amato dalla gente. Ma non così Li Peng,
nessuno dice "Li zongli". E neppure Zhao Ziyang è
veramente amato dalla gente. Forse Hu Yaobang si avvicinava un poco
alla stima e all'affetto di cui godeva Zhou Enlai (...). Oggi
cercano di richiamare la gente alla Jingshen Wenming, la "cultura
dello spirito", attraverso la propaganda ed iniziative varie.
Per esempio, per un mese studiamo esclusivamente la figura di Lei
Feng, un altro mese è dedicato al lavoro nei campi, per fare
pratica di vita lavorativa, ma queste iniziative non servono a
nulla, perché non sono sentite dalla gente. Il governo è
preoccupato per l'affermarsi di una mentalità simile a quella
di Hong Kong e Taiwan, dove la gente pensa solo ad arricchirsi. E di
fatto anche da noi la mentalità della gente sta cambiando.
Per farti un esempio: noi tre stiamo camminando verso l'Hotel
dell'Amicizia; un tempo avremmo dovuto arrivarci tutti assieme,
adesso , se tu vuoi andare avanti perché cammini più
in fretta e vuoi sederti a bere una birra, puoi farlo, senza bisogno
di fermarti ad aspettare gli altri".
Ho raccolto questa seconda testimonianza sempre a Lanzhou, di
fronte all'hotel dove alloggiavo. È di uno studente
universitario che si era avvicinato a me per scambiare qualche
parola in inglese con uno straniero. "No, andare all'estero è
diventato quasi impossibile dopo i fatti della primavera '89.
Dobbiamo lavorare in Cina per almeno cinque anni prima di poter
lasciare il paese o pagare una somma di denaro tale che solo pochi
privilegiati possono permettersi. Naturalmente se hai conoscenze con
esponenti di rilievo del partito tutto diventa più facile. E
lo stesso discorso vale se vuoi trovare lavoro nel campo del
commercio con l'estero (...). Quando in Italia ci sono stati i
campionati mondiali di calcio, le autorità scolastiche hanno
proibito agli studenti di guardare la televisione per timore che
questo potesse creare disordine. E così gli studenti hanno
fatto di tutto per procurarsi dei televisori di nascosto, anche
affittandoli".
Il contenuto di queste due conversazioni ripropone sotto aspetti
diversi il tema della "cultura dello spirito", caro al
sistema perché evidente eufemismo per esprimere la propria
politica di indottrinamento ideologico, ma non per questo estraneo
alle conoscenze dei cinesi colti, perché è consueto in
Cina che diversi vissuti si dividano identici valori e tematiche.
Per preservare l'integrità culturale dei propri studenti,
le autorità scolastiche vietano loro la visione di uno
spettacolo "occidentale" che ritengono possa, da una
parte, distoglierli dagli studi, ma soprattutto, forse non per
ragionamento consapevole, ma per inconscio, lucido timore, porli in
contatto con un'espressione altamente simbolica e rappresentativa
del mondo esterno, un impatto emozionale senza dubbio pericoloso per
le loro giovani menti - già così scarsamente educate,
come più volte fu ribadito nei giorni successivi al 4 giugno,
ai lumi del marxismo-leninismo. Al contrario, per sfidare la logica
di una cultura dello spirito ridotta a mero utilitarismo ideologico,
gli studenti di Lanzhou hanno lottato per un televisore, per
guadagnarsi, anche attraverso lo spettacolo del mondo che si
incontrava nel vuoto di significati di una manifestazione sportiva,
un'integrità culturale rivendicata anche come diritto
all'informazione sull'effimero - così effimero che solo
l'occidente potrebbe produrre, in contrasto alla forte tensione
ideale con la quale si chiede vengano vissuti i Giochi Asiatici.
Per la stessa ragione, per riappropriarsi di un diritto alla
cultura che fosse espressione di un vissuto personale e critico, gli
studenti di Beida avevano scelto di essere protagonisti essi stessi,
non spettatori, di una ben più drammatica e significativa
rappresentazione.
Ma comunque, anche allora, tra i vari conflitti che si
espressero, non fu secondario quello che vide due idee, due diverse
rappresentazioni di cultura dello spirito, scontrarsi e distruggersi
l'un l'altra, l'una schiacciata nel sangue, l'altra definitivamente
estinta nella coscienza della gran parte del mondo studentesco
cinese.
E allora, i seminari di studio su Lei Feng, il lavoro in
campagna, le lezioni ideologiche varie, tutto ciò davvero non
ha più senso? L'impressione che ho io è che tutto
questo funzioni ancora, nonostante siano crollati i contenuti
ideologici che vorrebbe veicolare.
Una breve estate di entusiasmo e passione
E questo perché, prima di essere ideologicamente fondato,
il grande lavoro propagandistico del partito era ed è fondato
su di una sorta di pregiudizio sociale, quello che fa dire a molti
cinesi, anche dissidenti, che il paese non è pronto per un
sistema più libero e democratico, e dunque ciò che
ancora regge la politica "culturale" del governo è
l'idea che esso solo sia in grado di fornire le forme sociali adatte
a far sì che la nazione non precipiti nel caos, e questa
forse è una sorta di fobia collettiva, radicata nella
coscienza storica, d'una perdita dell'unità nazionale, di uno
sgretolarsi dell'impero. E se questo è vero, cioè che
solo il partito ha la forza e gli strumenti per strutturare la
società cinese in forme stabili - e senz'altro, ad oggi,
questo è ancora vero - forse è proprio in virtù
di questa paura che continua ad essere vero, è per questo
pesante condizionamento mentale per il quale in Cina nessuno ha la
forza neppure di pensare che organizzazioni politiche e sociali
possano nascere assolutamente al di fuori dal Partito. L'avevano
pensato gli studenti di Pechino, e nacquero le organizzazioni
democratiche che ora sopravvivono all'estero. Ma oggi quella appare
la follia di un momento, una breve estate di entusiasmo e di
passione, durante la quale - come direbbe Liu Xiaobo (5) - il
sentimento e l'individuo parvero prevalere sulla ragione e sul
sociale, e certo in quei giorni Liu Xiaobo stesso non può non
aver creduto di scorgere l'avvento di quel "secondo risveglio
di coscienza", il ritorno finalmente dello spirito libertario
di quel 4 maggio che, a suo dire, troppo presto si estinse;
lasciando la società cinese in una fase di arretratezza
spirituale, stretta dai vincoli di una socialità che non
consente l'espressione della creatività individuale. Credo
che oggi Liu Xiaobo sia agli arresti per aver preso parte allo
sciopero della fame. Le sue idee, che hanno avuto un largo seguito
presso gli studenti e gli intellettuali cinesi, sono da considerarsi
in parte ispiratrici di quella sorta di individualismo idealistico
diffuso negli ambienti intellettuali cinesi, e in parte il riflesso
di una tendenza ad esse precedente, intellettuale e sociale, forse
proprio una reazione a decenni di retorica socialista, a tanto
delirare che non cessa neppur oggi, d'un etica del sacrificio
individuale del servizio alle masse. E comunque, se sull'onda
dell'entusiasmo, di erronei presagi di vittoria, dell'improvviso e
finalmente vissuto senso dell'eroismo, nacque pure il coraggio di
dichiararsi politicamente diversi e nuovi rispetto al Partito, di
vestire in pubblico la foggia d'occidente, ma questa volta
dell'abito interiore dei ritrovati valori ideologici del liberalismo
e della democrazia, che forse qualcuno meno idealisticamente aveva
cucito per loro e per diversi scopi nei retrobottega dell'interesse
e della politica di potere, se questo comunque è avvenuto,
oggi non vale che nella dimensione del suo fallimento.
Il cinese non pare aver colto il senso del possibile che il
fallimento di un'impresa di tale entità lascia dietro di sé,
ma solo una conferma a quanto ritiene di aver saputo da sempre, che
in qualche modo, cioè, è proprio vero - come dice la
canzonetta propagandistica - che "senza il PCC non ci sarebbe
la nuova Cina". E continua ad essere vero. Ma siccome ammettere
la necessità del ruolo guida del partito è comunque
ammettere la necessità di un male, seppure migliore rispetto
all'onnipresente spettro del caos sociale, il cinese non può
neppure essere attivo, partecipe, nel lavoro di base che il Partito
chiede per produrre consenso ed esercitare controllo.
Il cinese si rivolge sempre più al privato, e questo non
solo per quanto riguarda la sfera delle attività pratiche,
del tempo libero, ma soprattutto come disposizione mentale. In
questo fenomeno rientra tra l'altro la riscoperta della pratica del
Qi gong, che è un'attività di meditazione fisica
individuale, benché oggi si tenda ad insegnarla in ambiti
collettivi.
Ma anche quei comportamenti che per vie diverse tendono alla
riscoperta della propria individualità, alcuni dei quali già
trattati, sono forme di fuga dall'impegno politico, e il Partito
rischia di rimanere senza autentici militanti, anche se dispone
ancora dell'autorità per organizzare le periodiche
manifestazioni sociali e politiche.
Il sostituto Lei Feng
Mi ero chiesto perché proprio questo Lei Feng. Tra i vari
eroi della mitologia comunista, per quale ragione in questo momento
scegliere proprio Lei Feng, da porre ad esempio da studiare e
meditare nelle scuole, ma anche da esporne nelle bacheche sulle
strade e le piazze, i resoconti delle imprese? Non conoscevo questo
personaggio, ma sfogliando un libro su di lui ho visto che si tratta
di un eroico milite dell'Armata di Liberazione, morto all'età
di soli vent'anni. Allora credo di aver capito perché è
stato scelto. Egli deve sostituire nella memoria e nelle coscienze
della gente l'immagine del puer sofferente ed eroico che oggi è
costituita dai volti patiti e piangenti degli studenti di Pechino
che rifiutano il cibo e l'acqua. E' come dire: "Quello era
l'eroe bambino, il modello di gioventù da imitare, la
freschezza idealistica sposata alla fermezza di carattere e alla
chiarezza di intenti, non questi vostri figli viziati, culturalmente
impreparati, ignari delle rudezze della vita". Imparare da Lei
Feng, recita lo slogan. Significa disimparare il vizio pericoloso
di crearsi degli eroi per miti diversi da quelli del potere.
Rassegnato consenso
Xiahe è una città monastero nel sud della
provincia del Gansu, in una regione di cultura tibetana. Durante una
escursione per i monti circostanti incontro alcuni nomadi e mi fermo
a parlare con loro. Uno di essi insegna cinese e tibetano ai bambini
nomadi e parla un buon mandarino. Mi dice: "i nostri rapporti
con i cinesi sono molto buoni, e d'altra parte non potrebbe essere
diversamente. Il governo cinese ci tiene in grande considerazione e
abbiamo i nostri rappresentanti tra i quadri dirigenti. Siamo liberi
di praticare o meno il culto buddista. Inoltre le nostre condizioni
economiche sono assai migliorate, grazie al governo, la siccità
non è più una tragedia, le calamità naturali
non affamano più la nostra gente. Il perché dei
disordini di Lasa? I tibetani di Lasa subiscono ancora l'influenza
del Dalai Lama, sono molto conservatori e legati alla tradizione
religiosa. Noi, qui, non ci curiamo tanto di lui, non lo veneriamo
più. Il Dalai Lama preme per l'indipendenza del Tibet, ma
questo non ha senso. Il Tibet è storicamente parte della
Cina. Se tutte le minoranze che vivono sul territorio cinese
ottenessero l'indipendenza, che ne sarebbe della Cina?".
Le parole del maestro tibetano e i cenni di consenso dei pochi
altri nomadi con conoscenza del cinese seduti accanto a noi, chissà
se convinti o solo intenzionati a dimostrarsi tali, suggeriscono una
sfumatura di significato alla forma che il consenso popolare assume
nei confronti dei contenuti della propaganda governativa, potremmo
parlare forse di un "consenso rassegnato". Perché
in fondo è quasi tutto vero quello che il maestro tibetano mi
ha detto, ed è tutto nella propaganda del regime. Il Partito
non mente quando dichiara quello che il mio interlocutore mi ha
ripetuto così puntualmente, e l'unico argomento facilmente
confutabile è quello che asserisce il diritto storico della
Cina all'annessione del territorio tibetano. Così come,
dicevamo non mente nell'affermare che "non ci sarebbe la nuova
Cina senza il Partito Comunista". Il Partito ha delle solide
"verità" su cui basare la propria propaganda,
questo va tenuto presente, anche da queste nasce il consenso, ed in
virtù di queste tale consenso può sopravvivere al
sentimento di avversione per quanto è vuoto ed ipocrita nella
politica dello stesso Partito, nella sua pachidermica presenza
liberticida.
Se il tibetano può accettare di essere straniero nel
proprio paese e cittadino di una nazione che non è la sua, se
può convincersi nonostante l'ingiustizia sofferta in tutto
ciò, di essere davvero convinto che così vada bene, e
che siano vere le ragioni del governo cinese, ciò avviene per
lo stesso meccanismo per il quale il poliziotto originario di
Shanghai, trasferito nella più sperduta delle regioni del
Gansu, a migliaia di chilometri da casa, mi disse la sera stessa,
che "non c'è niente da fare, questa è la politica
del governo per trasferire la popolazione dalle zone più
popolate alle regioni semi-desertiche", che importa se queste
vite saranno per questo colpite nei loro affetti, nei legami con la
propria terra? Non c'è forse veramente una necessità
alla base di tale politica? Ecco, queste ed altre verità e
necessità costituiscono la forza realista che guadagna al
potere il "rassegnato consenso", ed oggi essa risulta
rafforzata dall'esito disastroso dell'euforia idealistica della
primavera dell'89.
Così, se da una parte l'ideologia del partito si esprime
nelle forme di un idealismo politico dogmatico, sentimentale,
drammatico, dall'altra l'azione che guadagna il consenso al potere
si sostanzia di realismo, di verità parziali, ma
fondamentali, - "meglio la stabilità al caos o a
qualsiasi azione che ne comporti il rischio", per esempio -
asserzioni profondamente interiorizzate, che il Partito veicola con
la propria propaganda ma che non sono vissute con entusiasmo per il
valore della loro verità ideale, ma con amara rassegnazione
per essere così vere, ma così "realmente"
vere.
Vecchi e nuovi simboli sociali
Ma dove sono le radici di queste forme sociali che sopravvivono
allo svuotamento di valore dei loro contenuti ideologici? Il
concetto di organizzazione, i meccanismi e i significati relazionali
costruiti dalla politica del Partito costituiscono davvero la
struttura portante della società cinese? E invece, quanto
importante ancora è la funzione di quei rapporti tradizionali
radicati nella cultura cinese, precedenti quel grande movimento di
trasmutazione dei valori che l'avvento del comunismo è parso
implicare (ma chissà quanto realmente ha prodotto, e quanto
solo in apparenza, in superficie)?
Da Jiayuguan, nella provincia del Gansu, ritorno a Pechino.
Viaggio in seconda classe, nei vagoni cosiddetti a "sedili
duri", un viaggio estenuante di tre notti e due giorni, vagoni
affollati e spazi vitali ridotti al minimo, e così pure
difficoltà nel procacciarsi acqua e nell'espletare le
elementari funzioni fisiologiche. Fatica e disagio ai quali decido
di reagire osservando l'evoluzione delle relazioni sociali tra i
viaggiatori. Due personaggi, nel vagone in cui viaggio, colpiscono
la mia attenzione per il ruolo dominante che assumono nella
complessa e compressa vita sociale, durante la penosa odissea. Uno
di essi è uno studente che, partito dallo Xinjiang, provincia
dell'estremo ovest della Cina, ritornava a Tianjin per riprendere
gli studi. Mi cede il suo posto, non appena salgo sul treno, questo
in virtù del mio essere straniero. Si offre di assistermi per
tutto il viaggio, e lo fa, divenendo a volte assillante, ma
risultando altre volte - devo dire - assai gradito. Il suo
prodigarsi per me gli guadagna ben presto le simpatie dei
viaggiatori che occupano i posti vicini, i quali - pur non
conoscendolo - lo elogiano perché studente, ne lodano
l'intelligenza, diventano nei suoi confronti paterni, protettivi.
Il secondo personaggio è un anziano che viaggia per
lavoro con quattro colleghi più giovani. Si prodiga in tutti
i modi per loro, organizza il difficile lavoro di dividersi gli
spazi per la notte, la posizione delle gambe, i turni per sdraiarsi
sotto i sedili a dormire, e riserva per sé solo lo spazio
minimo del sedile.
E' gioviale, ottimista, anima le continue partite a carte o alla
"mora" che consumano lentamente il tempo del lungo
viaggio. Dirime un litigio per un posto conteso tra uno dei suoi
colleghi e un altro viaggiatore, evitando energicamente che degeneri
in uno scontro fisico. Quando, scherzando, lo lodo per il suo
spirito di sacrificio che lo fa vegliare in una scomodissima
posizione mentre i suoi colleghi giovani dormono, mi dice con
solenne naturalezza che dobbiamo agire come fossimo una famiglia, e
in armonia l'uno con l'altro, come i cinque elementi dell'antica
cosmologia. E certo in lui sembrava esprimersi un sentimento di
socialità davvero contrastante - in un senso - la realtà
soffocante dei bisogni esasperati, del contendersi pochi centimetri
di spazio, l'ultima tazza di acqua bollita. Ma in un altro senso,
quel sentimento così cosciente e ideologicamente fondato in
una antica, interiorizzata tradizione, è una risposta ad una
fatica esistenziale che il tempo non ha mutato, e se quel treno,
nelle ultime allucinate ore del viaggio, sempre più mi
appariva come metafora della Cina che vive delle proprie contese
interne, delle proprie molteplici solidarietà, l'anziano
viaggiatore diviene l'immagine dell'immutato ruolo sociale che
l'età, e la saggezza che chissà come da essa deriva,
conferisce ad una persona. E allora, se il Partito punta così
tanto sulle figure dei "rivoluzionari della vecchia
generazione" e attorno ad esse costruisce un culto che è
uno dei modi per produrre forme sociali, se ciò avviene con
un qualche successo, è perché il simbolo vive d'altra
vita, reale, quotidiana, antica, e di essa si nutre il parassita
della retorica del potere per conferire quel po' di vita alle
proprie larve ideologiche.
Nello stesso modo, la realtà eroica del giovane di
Tianjin fornisce nutrimento alle figure in cartone animato
dell'eroico Lei Feng, anche se in essa vive un più recente
mito, ma non per questo meno profondamente radicato, specie dopo i
bagliori sentimentali del sacrificio collettivo dei giovani di Tian
An Men.
Per meccanismi certo assai più complessi di quelli or ora
descritti, le forme sociali e i loro contenuti ideologici devono
forse la loro esistenza ad un vissuto sociale autentico, radicato
nel passato, non ancora, non del tutto scollato dalla formale,
svuotata simbolica sociale di cui vive il potere in Cina.
Più forte della noia e dell'orrore
"Da un punto di vista politico, la storia della Cina è
una storia di continui movimenti. Oggi, l'apparente calma è
pure espressione di un movimento politico in atto, quello del
Partito contro qualsiasi tipo di attività".
Alla vigilia della mia partenza, questa riflessione di un amico
cinese sembrava proporsi a sintesi ulteriore di questo momento
storico, e viveva della volontà di sottrarlo al compiacimento
- talvolta amaro - di chi davvero è convinto che la stabilità
sia stata raggiunta, che il sogno della pace sociale e della
possibilità, in virtù di questa, del progresso
economico, sia oggi quasi realtà. Questo è ancora un
tempo di disarmonia, non l'espressione di un accordo, di una
recuperata unità di intenti. Liu Xiaobo direbbe forse che, al
contrario, oggi la storia di nuovo esprime l'idea di armonia propria
della tradizione ideologica cinese, armonia che non nasce - come nel
lontanissimo occidente - dal conflitto tra opposti, ma da una
sistematizzazione unificante di elementi reciprocamente
integrantisi.
Qualcuno, clandestinamente, mi ha donato un piccolo libro dalla
copertina gialla. "Era molto letto un paio di anni fa, oggi la
sua vendita è proibita e non si sa cosa sia successo a chi lo
ha scritto". Il libro parla di una civiltà sorta sulle
rive di un grande fiume giallo, che oggi pare soccombere sotto il
peso del suo grandioso passato, d'una tradizione che vive una
mortifera esistenza. Il libro parla della grande occasione del 4
maggio. Quello spirito di libertà, di pluralismo che non
crebbe abbastanza. E allora, se il grido degli intellettuali
denuncia quale maggiore male questo perdurare del passato nell'oggi
avvilito, che ne è del senso profondo di una rivoluzione, se
il grido della parte più cosciente della nazione la
restituisce alla storia e ai valori contro i quali si era creduto
che essa si fosse levata? Ma soprattutto che ne è di quanto
essa ha prodotto, ed oggi perdura, e se davvero questa sopravvivenza
stanca e feroce dei valori ideologici del Partito altro non è
che la danza dei fantasmi della tradizione, dove trovare i modelli,
le idee, i valori? Poiché è inquietante altresì
lo sguardo ingenuo ed entusiasta sull'occidente dello stesso Liu
Xiaobo, e di tutti quelli che, con disperata superficialità,
cedono ad una ammirazione incondizionata per il mondo di fuori, di
libertà e ricchezza.
E tuttavia, muovendoci in questo confuso mondo, nella cupezza di
un'apparente rassegnazione, incrociamo a volte le strade di ricerca
che il cinese percorre, nella vita, nello studio, nelle relazioni
sociali, per andare oltre, o tornare, ma comunque recuperare un
senso di vita che sia più forte della noia e dell'orrore che
quotidianamente il potere gli impone.
1) È un film tratto da un racconto di Liu Hengzhu, che
racconta di un disadattato nella Pechino contemporanea, descrivendo
con acutezza psicologica caratteri e situazioni della nuova urbanità
cinese.
2) Relazioni, conoscenze, indispensabili in Cina ad ogni livello
sociale.
3) Una delle denominazioni del virtuoso confuciano.
4) "Presidente Zhou", Zhou Enlai.
5) Liu Xiaobo, "il pazzo", è un giovane
filosofo che ha sviluppato una critica radicale al sistema politico
cinese. Dopo i disordini del giugno '89 il regime ha pubblicato un
libercolo nel quale vengono confutate le sue tesi e nel contempo lo
si criminalizza quale sobillatore delle frange più estreme
della rivolta.
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