Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 177
novembre 1990


Rivista Anarchica Online

La società contro l'individuo
di Zheng Chenggong

Un viaggio attraverso nuovi individualismi e antichi modelli sociali nell'era del dopo Tian Anmen

"Wang Shuo? Perché piace tanto ai giovani? Vieni con me che te lo spiego. Lui usa un linguaggio che è quello che parlano i giovani di Pechino, riflette il loro senso di vuoto, di assenza di valori, e quel che ne segue, che è una vita per la quale il divertimento è l'unico valore, dopo essersi procacciati di che mangiare e bere. Così i giovani lo leggono, si riconoscono in ciò che racconta, benché i critici lo ignorino. Come vedi non c'è introduzione ai suoi libri. Liu Heng Zhu si può dire sia il contrario, ha una visione positiva della realtà; secondo me i due autori sono entrambi validi, benché percorrano due strade diverse. Ma Liu Heng Zhu è assai stimato anche dalla critica, mentre Wang Shuo è letto dagli studenti e dai giovani, ignorato e disprezzato dai loro professori".
Il giovane commesso della piccola libreria privata, ai bordi di una delle principali arterie che conducono al centro di Pechino, è prodigo di spiegazioni non appena mostro interesse per questo Wang Shuo. I suoi libri si riconoscono da lontano per via delle copertine piuttosto "pop". Mi accompagna fuori dalla libreria e si offre di presentarmi un amico scrittore. La domenica successiva lo incontro, puntuale all'ora stabilita, davanti alla stessa libreria.
Il giovane scrittore mi dice: "Scrivo di me e della mia vita, cercando in questo modo di comunicare con gli altri. No, non pubblico e non desidero farlo, perché non voglio avere a che fare con le istituzioni, questo sarebbe contrario al mio modo di essere. Mi considero un uomo che comunica ad altri uomini, non importa di che nazionalità. Io voglio essere al di sopra delle differenze fra paesi, comunicare un'esperienza per raggiungere gli altri, direttamente, come fanno i miei amici, che anch'essi scrivono. Sono in tanti, oggi in Cina, i giovani che si esprimono con la letteratura, ma non hanno interesse a che si pubblichino le loro opere".
Parla a voce bassa, nel retro della piccola libreria. Dopo poco entra la proprietaria con un altro cinese, seguiti dopo qualche minuto dal giovane commesso e dal marito della proprietaria. Con estrema gentilezza mi invitano ad uscire, mentre la signora accenna con calma ad un moto di disappunto: "Ma perché? Non siamo tutti amici?".
Ma per qualche ragione la situazione si è fatta delicata, saluto lo scrittore, che mi invita calorosamente a tornare. Esco con il commesso e parliamo, bevendo bina, in un locale.
"Il mio amico che hai conosciuto oggi - mi dice - lui sì è un vero intellettuale. Non lo sono certo gli intellettuali del governo, e neppure Wang Shuo lo è. Il mio amico scrive per comunicare, non ha fatto l'università, nessuno di noi l'ha frequentata, non abbiamo nessun rapporto con la cultura ufficiale. Scriviamo e ci passiamo di mano in mano i nostri lavori. Noi crediamo che si possa trovare una posizione spirituale al di sopra della gente comune, un luogo elevato dove esprimere la nostra arte. I giovani dovrebbero trovare in sé i nuovi valori per uscire dal "vuoto" della loro generazione, e non accogliere passivamente idee che vengono loro dall'esterno. Questo è quanto successo il giugno scorso, e con quali esiti! Certo, il governo ha una parte di responsabilità per questo vuoto in cui versa il mondo giovanile, ma per un altro verso, questo esito era ineluttabile, legato alla storia e al carattere del popolo cinese. Come potrebbe il governo far fronte a questa situazione? Non c'è in Cina uno che abbia il coraggio di Gorbaciov. Così la gente si volge indietro alla nostra tradizione filosofica e mistica, alla pratica del qigong, o scopre il cristianesimo. E questa è una via. L'altra è il culto egoistico di se stessi, dei propri bisogni (...). No, io non mi riconosco nel protagonista di Benmingnian (1), non ho nulla in comune con lui, anzi no, la stanza dove vivo, quella si è scalcinata come la sua".
Sta nascendo in Cina un mondo culturale sotterraneo, spontaneo, una comunità di intellettuali da strada, marginali, presuntuosi e generosi, convinti dell'autenticità intrinseca del loro fare cultura. Che significa per loro essere "veri intellettuali"? E che significa definire "falsi intellettuali" quelli che vivono nelle confortevoli gabbie delle "guanxi" (2) del regime? Questa loro mistica di una cultura che nasce da se stessi, che si propaga tendendo la mano, e al suo opposto, il commerciale nichilismo di Wang Shuo e la sgargiante bruttezza delle copertine dei suoi libri nei quali tanti giovani si riconoscono, tutto ciò costituisce una tollerata sotterraneità nel tessuto sociale della Cina urbana. Diventa lettera e commercio il mondo dei disincantati fanatici del vuoto di valori e della pienezza di tasche e di stomaco. Diventa cultura silenziosa, comunicazione sommessa, l'interiorità rivisitata riflessivamente dei giovani scrittori idealisti. E tutto ciò è in qualche modo celebrazione, diversa dalle parole-valori che si susseguono a grandi caratteri sui muri della città, e ripetono di essere uniti, amici e progressivi, con il consueto sentimentalismo della propaganda governativa.

Il potere e il Junzi

"No, non mi interessano i giochi asiatici. Secondo il governo essi accrescerebbero il senso di amicizia tra la gente e i popoli, ma io penso che sia solo una manovra politica per far passare in secondo piano problemi più gravi. Da quando sei stato qui l'ultima volta gli spazi si sono ulteriormente ridotti, anch'io non ho più pubblicato niente. Se ricordi, non ti ho mai detto di voler lasciare la Cina, come tanti fanno o cercano di fare, ma adesso sarei pronto anch'io ad andarmene, per quanto ami il mio paese... è un grande paese, per la sua cultura e il suo passato, ma il presente è un sistema oppressivo che vuole costringerti a vedere bianco quello che è rosso, senza che tu possa replicare... ma se sapessi dov'è B.Y. lo raggiungerei e me ne andrei con lui. E' uno scrittore, come me, ma dopo i fatti del giugno '89 non so più nulla di lui. E anche X.Y. è ricercato dalla polizia e non si sa se sia all'estero o dove. Ricordo che dopo un po' di tempo dalla sua scomparsa vennero a cercarlo per conferirgli un premio... non è ridicolo? Ma come - dissi loro - volete premiare un ricercato? (...) Il 4 giugno all'interno dell'università si è svolta una manifestazione, alcune centinaia di persone, ma tra esse un gran numero di poliziotti in borghese, che noi non abbiamo avuto problemi nel riconoscere. Gente mai vista, robusti, si capiva che non erano studenti.
Poi sono arrivati anche gli studenti stranieri, ma la manifestazione non ha avuto seguito. Fuori, l'Università era circondata dalla polizia (...). Abbiamo saputo di Chai Ling dalla BBC, anche Li Peng ha accennato al suo espatrio, ma senza fare commenti. Noi siamo convinti che sia stata aiutata da ambienti politici ad alto livello ed anche da autorità militari. Non si spiega altrimenti come sia potuta fuoriuscire. Impossibile con il solo aiuto della popolazione...".
Lascio la stanza del mio amico cinese con quel consueto disagio che ora forse capisco meglio. La cultura è servizio umile oggi, in Cina, per un immaginario popolo che in realtà non sa che farne, né potrebbe farsene qualcosa. Che lo studente, il professore, il ricercatore, vivano in stanze sudicie e per corridoi pieni di immondizie, la ragione di ciò è il riflesso di un antico risentimento che ancora perdura profondo nei principi di vario rango per ciò che l'uomo di cultura in Cina non è mai riuscito ad essere pienamente, ma sempre ci ha provato quando il momento storico lo ha consentito, ovvero il sapiente, il "Junzi" (3), colui che non aspira al potere di fatto, ma pretende di ispirarne le scelte, in virtù della sua superiore coscienza.
Oggi in Cina l'intellettuale continua a rivendicare questo ruolo, sulla base della coscienza di un diritto al potere "attraverso la cultura" che ha forse le sue radici nell'antica istituzione dei concorsi imperiali, che consentiva idealmente a qualunque persona di cultura di accedere a ruoli di potere valendosi del proprio sapere. Non ha estinto tale coscienza la marea rivoluzionaria e l'ideologia maoista con i nuovi soggetti sociali che, al contrario, hanno fornito materiale umano per le nuove classi di intellettuali, vestendo l'habitus mentale pronto da tempo, da molto tempo prima che essi potessero anche solo sognarselo.
Forse gli eventi futuri della Cina saranno in gran parte condizionati da questo continuo braccio di ferro tra l'immenso apparato burocratico-militare e la comunità intellettuale, tra un'idea di potere che non accetta di convivere con un sapere che non sia quello tecnocratico o militarista, o totalmente apologetico, sclerotizzato nelle forme di un'ideologia funzionale.

Amara vena scettica

Cos'è secondo te la libertà?
Stare al di sopra di ciò che ti circonda e saper vedere con i tuoi occhi.
Che ne pensi di questi Giochi Asiatici?
Non male, non male. O per lo meno così sembra; vedremo poi come saranno "realmente".
C'è qualcosa di comune nei contenuti espressi da queste due risposte a domande così diverse, e poste pure a persone assai diverse, e deve essere questa la ragione per cui, quando penso ad una di esse, l'altra mi balza immediatamente in mente. Un senso iniziatico della comunità, del gruppo di eletti che vive della comune sensibilità artistica, al di fuori dell'establishment, questo, insieme a una sorta di individualismo spirituale, sembra essere sotteso alla prima risposta che ricevetti dal giovane commesso della libreria.
Un margine di scetticismo, cauto nell'esprimersi, ma vividamente contrastante la retorica del momento, caratterizza la parziale sospensione di giudizio del giovane tassista dal quale ho avuto la risposta alla seconda domanda.
Il senso romantico, titanico e quasi metafisico di "libertà", può essere in fondo un'audace e intellettuale trasfigurazione dell'amara vena scettica del tassista che, in fondo, riservandosi di vedere la cosa in atto prima di giudicare, crea un abisso tra sé e la certezza dogmatica degli slanci retorici del potere, che vuole dedizione assoluta perché quel che sarà sia da oggi già certo per ogni cittadino, e non tanto perché gli sforzi di ognuno faranno sì che si realizzi ciò che è atteso, ma perché quel che sarà reale, comunque potrà essere, deve già da oggi, nell'immaginario collettivo, definirsi nei valori funzionali alla coesione tra potere e tessuto sociale, indipendentemente da ogni esito, indipendentemente da ogni "realtà". Recuperare le forme dell'organizzazione sociale che il PCC si è visto drammaticamente disfare tra le mani e ricomporsi con altri contenuti e valori nei giorni della Primavera '89; questa è la grande opportunità che i Giochi Asiatici offrono al partito e questo sembra esserne l'autentico fine politico.

Rock cinese

E a proposito di forme sociali, si parlava tra amici della gioventù underground che ruota attorno ad alcuni complessi rock cinesi, alcuni dei quali divenuti assai popolari in patria. L'identificazione di un gruppo attorno a un genere di musica e a comportamenti ad esso ispirati è di per sé trasgressivo nella società cinese che vive di forme sociali diffuse orizzontalmente, ma organizzate e controllate verticalmente, e questo non solo nel senso dei rapporti di potere effettivi, ma anche, quel che più conta, nel senso della produzione dei relativi contenuti ideologici. E di fatto sono questi ultimi ad essere messi in pericolo dal fenomeno in questione, poiché esso non sembra implicare nei suoi esponenti scelte di vita radicali che investano nel complesso la loro quotidianità, ma al contrario, il fenomeno rimane relegato ai margini di tempo libero, durante i quali si smette la veste lavorativa, quale essa sia, e si diventa mostri, diversi ed identificabili. Certo, la realtà marginale del rock cinese non veicola idee né valori, o quanto meno non consapevolmente, non politicamente. Non crea, né sembra interessata a farlo, "cultura alternativa", non può, ma neppure vorrebbe, gridare contro il sistema, e neppure è vista così male dal conformista come lo furono i capelloni d'occidente. Cosa c'è allora, in questo fenomeno, che potrebbe essere diverso dalle tante altre forme di simbiotica occidentalizzante che vive la società cinese? Questo, io credo: il fatto di essere espressione e comunicazione, e solo dopo, a volte, commercio.
Senza idee, proposte, forse senza valori, ma comunque riproduzione di vissuti individuali trasmutati creativamente nella realtà sociale di una comunicazione fortemente caratterizzata. E questi vissuti che divengono creativamente non saranno più sacrificati sull'altare del potere, nelle trasfigurazioni eroiche per la grandezza della nazione, per la centralità asiatica della Pechino che chiede unità ed amicizia ed egemonia immaginaria, attraverso la kermesse annunciata dei suoi giochi asiatici.
Questi vissuti, quale che sia, migliore o peggiore la loro sorte, sono comunque consenso negato, per poco che sia chiaro in che forma e in che grado. E sono realtà sociale sottratta alla rete dei comitati, sezioni ed unità varie che il partito stringe sull'intero corpo sociale.
La comunicazione creativa dei temi del proprio vissuto attraverso la musica rock - in particolare dei sentimenti - sembra proprio il contrario dello sforzo partecipativo che il partito chiede al cittadino per il miglior esito dei giochi asiatici e che è un investimento di responsabilità individuale a vantaggio della collettività, ma più realmente un sacrificio della propria individualità per un fine sociale. La musica rock fa del collettivo una cassa di risonanza dell'individuale. Urlo che esisto, servendomi della potenza tecno-musicale che il rock mi ha insegnato, mi specchio in voi per vedere ancora me stesso, tanto mi siete simili nella differenza dagli altri. E' ribaltata la logica che vuole l'individuo finalizzato ad un conseguimento collettivo ed infine nazionale. Invece, è ora il sociale a svuotarsi di contenuto proprio e di idealità e a diventare strumento per conferme alla propria assoluta, diversa individualità.

Reazione immunitaria

Proprio il contrario di questo urlo individuale, tecnologico, urbano, è lo sforzo collettivo ed artigianale che il partito richiede ai pechinesi, ossessivamente, dagli altoparlanti, dai giornali e dalla televisione, per il buon esito dei giochi asiatici. E l'impressione è quella di un enorme paese che si prepara al giorno di festa. Prevale il gesto artigianale di piantare un chiodo, verniciare un pannello, senza specializzazioni tecniche che creano barriere, differenziazioni. Tutti possono farlo, tutti sono uguali nella essenzialità di un lavoro manuale, povero e genuino, che vorrebbe risvegliare nelle coscienze il sentimento di vittoria della tenacia collettiva di una comunità povera e forte sulle avversità e le difficoltà imposte dalla grandezza dei fini dichiarati. Insomma, proprio come nei tempi eroici dell'edificazione della nuova Cina. Chissà in quale misura questo ripiegarsi verso un'ancestralità artigianale rappresenta una politica dettata dall'alto, e quanto una reazione immunitaria spontanea che il corpo sociale produce per recuperare proprio una dimensione collettiva di lavoro, di produzione, che la modernizzazione in atto sta distruggendo nel suo valore ideale sostituendovi il binomio tecnologia-benessere che, prima di essere capitalistico, è occidentale, e in quanto tale - innanzitutto - estraneo.

Le due facce del partito

Questo senso di estraneità e di diversità è ancora forte e radicato, sia nella mentalità del potere che nelle varie espressioni sociali, più o meno critiche, più o meno trasgressive. Nel discorso di Jiang Ze Min alla televisione, in occasione del 60° anniversario della fondazione dell'Armata di Liberazione, si ribadisce l'allerta nei confronti di un complotto di forze straniere che premono affinché la Cina imbocchi avventurosamente la via del capitalismo e si chiama il popolo all'unità con il proprio esercito del quale si enunciano i numerosi meriti politici e sociali - concludendo con una frase di sfida, un'autentica smargiassata pre-bellica atta a scoraggiare chiunque ad ergersi a nemico contro un popolo ed un esercito uniti. Ma di questo "furor" che se da una parte è teso a gratificare il ruolo dei militari, dall'altra ha l'evidente scopo di ribadirne - con la voce del partito - la comunanza di intenti con il cittadino, poco rimane nella versione che del discorso di Jiang Ze Ming viene fornita sul China Daily, il quotidiano ufficiale in lingua inglese rivolto agli occidentali. In tale versione il concetto centrale del discorso diventa la riaffermazione della leadership del partito sulle forze armate, concetto presente nel discorso, ma relegato a poche righe e quasi perso nella profusione di retorica militar-populistica.
È evidente che la politica ideologica del partito ha due diverse facce, l'una rivolta all'interno, l'altra all'esterno.
La prima è una faccia drammatica, eroica, sentimentale, volontaristica; si esprime con la retorica vecchio stile, il culto dei rivoluzionari della vecchia generazione, la ripresa acritica dei testi sacri del marxismo-leninismo, il lavoro collettivo ed artigianale, l'educazione sull'esempio dei vari Lei Feng, volta per volta scongelati e messi in cattedra. Insomma, la faccia di una Cina che non può mutare espressione fino ad essere dissimile da quella oleografica degli anni eroici dell'inizio della nuova era. La faccia volta all'esterno è invece pragmatica, ragionevole, equilibrata, parla inglese e il linguaggio del computer, è tecnologica e disincantata, e vuole presentare l'immagine di un potere che controlla i suoi inquietanti e sanguinosi sussulti militaristi. Questa è la faccia offerta all'occidentale che teme il furioso sentimentalismo ideologico di cui storicamente ha dato prova il popolo cinese. Ma tutto ciò porta ad una pericolosa schizofrenia, per la percezione di sé che il cinese può derivare da modelli tanto opposti. In quale immagine di sé riconoscersi? Come è possibile essere eroici e poveri e nel contempo pragmatici e benestanti, senza quanto meno chiedersi quanto di autentico vi possa essere in queste immagini che la propaganda diffonde, o quanto invece lontane esse siano entrambe, dalla realtà del proprio vissuto?

Dietro la "cultura dello spirito"

Sono a Lanzhou, nella provincia del Gansu. Mi fermo a bere una birra in una piccola rivendita all'aperto, in riva al fiume giallo, di fronte ad una statua dedicata alla divinità del fiume. Due giovani cinesi, studenti all'università di Xian, si siedono accanto a me, ed iniziamo un'interessante conversazione.
Eccone il contenuto nei suoi punti salienti: "Noi studenti manchiamo di esperienza di vita e l'insegnamento scolastico ci fa diventare dei perfetti "shu-daizi" - secchioni. Inoltre, dopo i disordini del 4 giugno, le restrizioni sono ancora maggiori ed è cominciata una rigida politica di lavaggio del cervello. E pensare che quando a scuola studiavamo del lavaggio del cervello che i russi praticavano contro i dissidenti, ci scandalizzavamo! Ora ci siamo arrivati anche noi. Anche qui, a Lanzhou, ci sono state manifestazioni di solidarietà con gli studenti di Beida, e all'inizio pensavamo che fosse giusto al 100% quello che i nostri compagni di Pechino stavano facendo, e indubbiamente la responsabilità dei disordini non può essere attribuita agli studenti, ma per un 50% al governo e per il rimanente alle altre persone che si sono unite alla protesta e che non erano studenti.
Ora è chiaro a tutti che gli studenti sono stati strumentalizzati per scontri politici all'interno del partito. La responsabilità del governo è grande ed oggi nessuno dei suoi esponenti può muoversi per il paese come faceva Zhou zongli (4), senza alcun timore per la propria incolumità. Egli era popolare, amato dalla gente. Ma non così Li Peng, nessuno dice "Li zongli". E neppure Zhao Ziyang è veramente amato dalla gente. Forse Hu Yaobang si avvicinava un poco alla stima e all'affetto di cui godeva Zhou Enlai (...). Oggi cercano di richiamare la gente alla Jingshen Wenming, la "cultura dello spirito", attraverso la propaganda ed iniziative varie. Per esempio, per un mese studiamo esclusivamente la figura di Lei Feng, un altro mese è dedicato al lavoro nei campi, per fare pratica di vita lavorativa, ma queste iniziative non servono a nulla, perché non sono sentite dalla gente. Il governo è preoccupato per l'affermarsi di una mentalità simile a quella di Hong Kong e Taiwan, dove la gente pensa solo ad arricchirsi. E di fatto anche da noi la mentalità della gente sta cambiando. Per farti un esempio: noi tre stiamo camminando verso l'Hotel dell'Amicizia; un tempo avremmo dovuto arrivarci tutti assieme, adesso , se tu vuoi andare avanti perché cammini più in fretta e vuoi sederti a bere una birra, puoi farlo, senza bisogno di fermarti ad aspettare gli altri".
Ho raccolto questa seconda testimonianza sempre a Lanzhou, di fronte all'hotel dove alloggiavo. È di uno studente universitario che si era avvicinato a me per scambiare qualche parola in inglese con uno straniero. "No, andare all'estero è diventato quasi impossibile dopo i fatti della primavera '89. Dobbiamo lavorare in Cina per almeno cinque anni prima di poter lasciare il paese o pagare una somma di denaro tale che solo pochi privilegiati possono permettersi. Naturalmente se hai conoscenze con esponenti di rilievo del partito tutto diventa più facile. E lo stesso discorso vale se vuoi trovare lavoro nel campo del commercio con l'estero (...). Quando in Italia ci sono stati i campionati mondiali di calcio, le autorità scolastiche hanno proibito agli studenti di guardare la televisione per timore che questo potesse creare disordine. E così gli studenti hanno fatto di tutto per procurarsi dei televisori di nascosto, anche affittandoli".
Il contenuto di queste due conversazioni ripropone sotto aspetti diversi il tema della "cultura dello spirito", caro al sistema perché evidente eufemismo per esprimere la propria politica di indottrinamento ideologico, ma non per questo estraneo alle conoscenze dei cinesi colti, perché è consueto in Cina che diversi vissuti si dividano identici valori e tematiche.
Per preservare l'integrità culturale dei propri studenti, le autorità scolastiche vietano loro la visione di uno spettacolo "occidentale" che ritengono possa, da una parte, distoglierli dagli studi, ma soprattutto, forse non per ragionamento consapevole, ma per inconscio, lucido timore, porli in contatto con un'espressione altamente simbolica e rappresentativa del mondo esterno, un impatto emozionale senza dubbio pericoloso per le loro giovani menti - già così scarsamente educate, come più volte fu ribadito nei giorni successivi al 4 giugno, ai lumi del marxismo-leninismo. Al contrario, per sfidare la logica di una cultura dello spirito ridotta a mero utilitarismo ideologico, gli studenti di Lanzhou hanno lottato per un televisore, per guadagnarsi, anche attraverso lo spettacolo del mondo che si incontrava nel vuoto di significati di una manifestazione sportiva, un'integrità culturale rivendicata anche come diritto all'informazione sull'effimero - così effimero che solo l'occidente potrebbe produrre, in contrasto alla forte tensione ideale con la quale si chiede vengano vissuti i Giochi Asiatici.
Per la stessa ragione, per riappropriarsi di un diritto alla cultura che fosse espressione di un vissuto personale e critico, gli studenti di Beida avevano scelto di essere protagonisti essi stessi, non spettatori, di una ben più drammatica e significativa rappresentazione.
Ma comunque, anche allora, tra i vari conflitti che si espressero, non fu secondario quello che vide due idee, due diverse rappresentazioni di cultura dello spirito, scontrarsi e distruggersi l'un l'altra, l'una schiacciata nel sangue, l'altra definitivamente estinta nella coscienza della gran parte del mondo studentesco cinese.
E allora, i seminari di studio su Lei Feng, il lavoro in campagna, le lezioni ideologiche varie, tutto ciò davvero non ha più senso? L'impressione che ho io è che tutto questo funzioni ancora, nonostante siano crollati i contenuti ideologici che vorrebbe veicolare.

Una breve estate di entusiasmo e passione

E questo perché, prima di essere ideologicamente fondato, il grande lavoro propagandistico del partito era ed è fondato su di una sorta di pregiudizio sociale, quello che fa dire a molti cinesi, anche dissidenti, che il paese non è pronto per un sistema più libero e democratico, e dunque ciò che ancora regge la politica "culturale" del governo è l'idea che esso solo sia in grado di fornire le forme sociali adatte a far sì che la nazione non precipiti nel caos, e questa forse è una sorta di fobia collettiva, radicata nella coscienza storica, d'una perdita dell'unità nazionale, di uno sgretolarsi dell'impero. E se questo è vero, cioè che solo il partito ha la forza e gli strumenti per strutturare la società cinese in forme stabili - e senz'altro, ad oggi, questo è ancora vero - forse è proprio in virtù di questa paura che continua ad essere vero, è per questo pesante condizionamento mentale per il quale in Cina nessuno ha la forza neppure di pensare che organizzazioni politiche e sociali possano nascere assolutamente al di fuori dal Partito. L'avevano pensato gli studenti di Pechino, e nacquero le organizzazioni democratiche che ora sopravvivono all'estero. Ma oggi quella appare la follia di un momento, una breve estate di entusiasmo e di passione, durante la quale - come direbbe Liu Xiaobo (5) - il sentimento e l'individuo parvero prevalere sulla ragione e sul sociale, e certo in quei giorni Liu Xiaobo stesso non può non aver creduto di scorgere l'avvento di quel "secondo risveglio di coscienza", il ritorno finalmente dello spirito libertario di quel 4 maggio che, a suo dire, troppo presto si estinse; lasciando la società cinese in una fase di arretratezza spirituale, stretta dai vincoli di una socialità che non consente l'espressione della creatività individuale. Credo che oggi Liu Xiaobo sia agli arresti per aver preso parte allo sciopero della fame. Le sue idee, che hanno avuto un largo seguito presso gli studenti e gli intellettuali cinesi, sono da considerarsi in parte ispiratrici di quella sorta di individualismo idealistico diffuso negli ambienti intellettuali cinesi, e in parte il riflesso di una tendenza ad esse precedente, intellettuale e sociale, forse proprio una reazione a decenni di retorica socialista, a tanto delirare che non cessa neppur oggi, d'un etica del sacrificio individuale del servizio alle masse. E comunque, se sull'onda dell'entusiasmo, di erronei presagi di vittoria, dell'improvviso e finalmente vissuto senso dell'eroismo, nacque pure il coraggio di dichiararsi politicamente diversi e nuovi rispetto al Partito, di vestire in pubblico la foggia d'occidente, ma questa volta dell'abito interiore dei ritrovati valori ideologici del liberalismo e della democrazia, che forse qualcuno meno idealisticamente aveva cucito per loro e per diversi scopi nei retrobottega dell'interesse e della politica di potere, se questo comunque è avvenuto, oggi non vale che nella dimensione del suo fallimento.
Il cinese non pare aver colto il senso del possibile che il fallimento di un'impresa di tale entità lascia dietro di sé, ma solo una conferma a quanto ritiene di aver saputo da sempre, che in qualche modo, cioè, è proprio vero - come dice la canzonetta propagandistica - che "senza il PCC non ci sarebbe la nuova Cina". E continua ad essere vero. Ma siccome ammettere la necessità del ruolo guida del partito è comunque ammettere la necessità di un male, seppure migliore rispetto all'onnipresente spettro del caos sociale, il cinese non può neppure essere attivo, partecipe, nel lavoro di base che il Partito chiede per produrre consenso ed esercitare controllo.
Il cinese si rivolge sempre più al privato, e questo non solo per quanto riguarda la sfera delle attività pratiche, del tempo libero, ma soprattutto come disposizione mentale. In questo fenomeno rientra tra l'altro la riscoperta della pratica del Qi gong, che è un'attività di meditazione fisica individuale, benché oggi si tenda ad insegnarla in ambiti collettivi.
Ma anche quei comportamenti che per vie diverse tendono alla riscoperta della propria individualità, alcuni dei quali già trattati, sono forme di fuga dall'impegno politico, e il Partito rischia di rimanere senza autentici militanti, anche se dispone ancora dell'autorità per organizzare le periodiche manifestazioni sociali e politiche.

Il sostituto Lei Feng

Mi ero chiesto perché proprio questo Lei Feng. Tra i vari eroi della mitologia comunista, per quale ragione in questo momento scegliere proprio Lei Feng, da porre ad esempio da studiare e meditare nelle scuole, ma anche da esporne nelle bacheche sulle strade e le piazze, i resoconti delle imprese? Non conoscevo questo personaggio, ma sfogliando un libro su di lui ho visto che si tratta di un eroico milite dell'Armata di Liberazione, morto all'età di soli vent'anni. Allora credo di aver capito perché è stato scelto. Egli deve sostituire nella memoria e nelle coscienze della gente l'immagine del puer sofferente ed eroico che oggi è costituita dai volti patiti e piangenti degli studenti di Pechino che rifiutano il cibo e l'acqua. E' come dire: "Quello era l'eroe bambino, il modello di gioventù da imitare, la freschezza idealistica sposata alla fermezza di carattere e alla chiarezza di intenti, non questi vostri figli viziati, culturalmente impreparati, ignari delle rudezze della vita". Imparare da Lei Feng, recita lo slogan. Significa disimparare il vizio pericoloso di crearsi degli eroi per miti diversi da quelli del potere.

Rassegnato consenso

Xiahe è una città monastero nel sud della provincia del Gansu, in una regione di cultura tibetana. Durante una escursione per i monti circostanti incontro alcuni nomadi e mi fermo a parlare con loro. Uno di essi insegna cinese e tibetano ai bambini nomadi e parla un buon mandarino. Mi dice: "i nostri rapporti con i cinesi sono molto buoni, e d'altra parte non potrebbe essere diversamente. Il governo cinese ci tiene in grande considerazione e abbiamo i nostri rappresentanti tra i quadri dirigenti. Siamo liberi di praticare o meno il culto buddista. Inoltre le nostre condizioni economiche sono assai migliorate, grazie al governo, la siccità non è più una tragedia, le calamità naturali non affamano più la nostra gente. Il perché dei disordini di Lasa? I tibetani di Lasa subiscono ancora l'influenza del Dalai Lama, sono molto conservatori e legati alla tradizione religiosa. Noi, qui, non ci curiamo tanto di lui, non lo veneriamo più. Il Dalai Lama preme per l'indipendenza del Tibet, ma questo non ha senso. Il Tibet è storicamente parte della Cina. Se tutte le minoranze che vivono sul territorio cinese ottenessero l'indipendenza, che ne sarebbe della Cina?".
Le parole del maestro tibetano e i cenni di consenso dei pochi altri nomadi con conoscenza del cinese seduti accanto a noi, chissà se convinti o solo intenzionati a dimostrarsi tali, suggeriscono una sfumatura di significato alla forma che il consenso popolare assume nei confronti dei contenuti della propaganda governativa, potremmo parlare forse di un "consenso rassegnato". Perché in fondo è quasi tutto vero quello che il maestro tibetano mi ha detto, ed è tutto nella propaganda del regime. Il Partito non mente quando dichiara quello che il mio interlocutore mi ha ripetuto così puntualmente, e l'unico argomento facilmente confutabile è quello che asserisce il diritto storico della Cina all'annessione del territorio tibetano. Così come, dicevamo non mente nell'affermare che "non ci sarebbe la nuova Cina senza il Partito Comunista". Il Partito ha delle solide "verità" su cui basare la propria propaganda, questo va tenuto presente, anche da queste nasce il consenso, ed in virtù di queste tale consenso può sopravvivere al sentimento di avversione per quanto è vuoto ed ipocrita nella politica dello stesso Partito, nella sua pachidermica presenza liberticida.
Se il tibetano può accettare di essere straniero nel proprio paese e cittadino di una nazione che non è la sua, se può convincersi nonostante l'ingiustizia sofferta in tutto ciò, di essere davvero convinto che così vada bene, e che siano vere le ragioni del governo cinese, ciò avviene per lo stesso meccanismo per il quale il poliziotto originario di Shanghai, trasferito nella più sperduta delle regioni del Gansu, a migliaia di chilometri da casa, mi disse la sera stessa, che "non c'è niente da fare, questa è la politica del governo per trasferire la popolazione dalle zone più popolate alle regioni semi-desertiche", che importa se queste vite saranno per questo colpite nei loro affetti, nei legami con la propria terra? Non c'è forse veramente una necessità alla base di tale politica? Ecco, queste ed altre verità e necessità costituiscono la forza realista che guadagna al potere il "rassegnato consenso", ed oggi essa risulta rafforzata dall'esito disastroso dell'euforia idealistica della primavera dell'89.
Così, se da una parte l'ideologia del partito si esprime nelle forme di un idealismo politico dogmatico, sentimentale, drammatico, dall'altra l'azione che guadagna il consenso al potere si sostanzia di realismo, di verità parziali, ma fondamentali, - "meglio la stabilità al caos o a qualsiasi azione che ne comporti il rischio", per esempio - asserzioni profondamente interiorizzate, che il Partito veicola con la propria propaganda ma che non sono vissute con entusiasmo per il valore della loro verità ideale, ma con amara rassegnazione per essere così vere, ma così "realmente" vere.

Vecchi e nuovi simboli sociali

Ma dove sono le radici di queste forme sociali che sopravvivono allo svuotamento di valore dei loro contenuti ideologici? Il concetto di organizzazione, i meccanismi e i significati relazionali costruiti dalla politica del Partito costituiscono davvero la struttura portante della società cinese? E invece, quanto importante ancora è la funzione di quei rapporti tradizionali radicati nella cultura cinese, precedenti quel grande movimento di trasmutazione dei valori che l'avvento del comunismo è parso implicare (ma chissà quanto realmente ha prodotto, e quanto solo in apparenza, in superficie)?
Da Jiayuguan, nella provincia del Gansu, ritorno a Pechino. Viaggio in seconda classe, nei vagoni cosiddetti a "sedili duri", un viaggio estenuante di tre notti e due giorni, vagoni affollati e spazi vitali ridotti al minimo, e così pure difficoltà nel procacciarsi acqua e nell'espletare le elementari funzioni fisiologiche. Fatica e disagio ai quali decido di reagire osservando l'evoluzione delle relazioni sociali tra i viaggiatori. Due personaggi, nel vagone in cui viaggio, colpiscono la mia attenzione per il ruolo dominante che assumono nella complessa e compressa vita sociale, durante la penosa odissea. Uno di essi è uno studente che, partito dallo Xinjiang, provincia dell'estremo ovest della Cina, ritornava a Tianjin per riprendere gli studi. Mi cede il suo posto, non appena salgo sul treno, questo in virtù del mio essere straniero. Si offre di assistermi per tutto il viaggio, e lo fa, divenendo a volte assillante, ma risultando altre volte - devo dire - assai gradito. Il suo prodigarsi per me gli guadagna ben presto le simpatie dei viaggiatori che occupano i posti vicini, i quali - pur non conoscendolo - lo elogiano perché studente, ne lodano l'intelligenza, diventano nei suoi confronti paterni, protettivi.
Il secondo personaggio è un anziano che viaggia per lavoro con quattro colleghi più giovani. Si prodiga in tutti i modi per loro, organizza il difficile lavoro di dividersi gli spazi per la notte, la posizione delle gambe, i turni per sdraiarsi sotto i sedili a dormire, e riserva per sé solo lo spazio minimo del sedile.
E' gioviale, ottimista, anima le continue partite a carte o alla "mora" che consumano lentamente il tempo del lungo viaggio. Dirime un litigio per un posto conteso tra uno dei suoi colleghi e un altro viaggiatore, evitando energicamente che degeneri in uno scontro fisico. Quando, scherzando, lo lodo per il suo spirito di sacrificio che lo fa vegliare in una scomodissima posizione mentre i suoi colleghi giovani dormono, mi dice con solenne naturalezza che dobbiamo agire come fossimo una famiglia, e in armonia l'uno con l'altro, come i cinque elementi dell'antica cosmologia. E certo in lui sembrava esprimersi un sentimento di socialità davvero contrastante - in un senso - la realtà soffocante dei bisogni esasperati, del contendersi pochi centimetri di spazio, l'ultima tazza di acqua bollita. Ma in un altro senso, quel sentimento così cosciente e ideologicamente fondato in una antica, interiorizzata tradizione, è una risposta ad una fatica esistenziale che il tempo non ha mutato, e se quel treno, nelle ultime allucinate ore del viaggio, sempre più mi appariva come metafora della Cina che vive delle proprie contese interne, delle proprie molteplici solidarietà, l'anziano viaggiatore diviene l'immagine dell'immutato ruolo sociale che l'età, e la saggezza che chissà come da essa deriva, conferisce ad una persona. E allora, se il Partito punta così tanto sulle figure dei "rivoluzionari della vecchia generazione" e attorno ad esse costruisce un culto che è uno dei modi per produrre forme sociali, se ciò avviene con un qualche successo, è perché il simbolo vive d'altra vita, reale, quotidiana, antica, e di essa si nutre il parassita della retorica del potere per conferire quel po' di vita alle proprie larve ideologiche.
Nello stesso modo, la realtà eroica del giovane di Tianjin fornisce nutrimento alle figure in cartone animato dell'eroico Lei Feng, anche se in essa vive un più recente mito, ma non per questo meno profondamente radicato, specie dopo i bagliori sentimentali del sacrificio collettivo dei giovani di Tian An Men.
Per meccanismi certo assai più complessi di quelli or ora descritti, le forme sociali e i loro contenuti ideologici devono forse la loro esistenza ad un vissuto sociale autentico, radicato nel passato, non ancora, non del tutto scollato dalla formale, svuotata simbolica sociale di cui vive il potere in Cina.

Più forte della noia e dell'orrore

"Da un punto di vista politico, la storia della Cina è una storia di continui movimenti. Oggi, l'apparente calma è pure espressione di un movimento politico in atto, quello del Partito contro qualsiasi tipo di attività".
Alla vigilia della mia partenza, questa riflessione di un amico cinese sembrava proporsi a sintesi ulteriore di questo momento storico, e viveva della volontà di sottrarlo al compiacimento - talvolta amaro - di chi davvero è convinto che la stabilità sia stata raggiunta, che il sogno della pace sociale e della possibilità, in virtù di questa, del progresso economico, sia oggi quasi realtà. Questo è ancora un tempo di disarmonia, non l'espressione di un accordo, di una recuperata unità di intenti. Liu Xiaobo direbbe forse che, al contrario, oggi la storia di nuovo esprime l'idea di armonia propria della tradizione ideologica cinese, armonia che non nasce - come nel lontanissimo occidente - dal conflitto tra opposti, ma da una sistematizzazione unificante di elementi reciprocamente integrantisi.
Qualcuno, clandestinamente, mi ha donato un piccolo libro dalla copertina gialla. "Era molto letto un paio di anni fa, oggi la sua vendita è proibita e non si sa cosa sia successo a chi lo ha scritto". Il libro parla di una civiltà sorta sulle rive di un grande fiume giallo, che oggi pare soccombere sotto il peso del suo grandioso passato, d'una tradizione che vive una mortifera esistenza. Il libro parla della grande occasione del 4 maggio. Quello spirito di libertà, di pluralismo che non crebbe abbastanza. E allora, se il grido degli intellettuali denuncia quale maggiore male questo perdurare del passato nell'oggi avvilito, che ne è del senso profondo di una rivoluzione, se il grido della parte più cosciente della nazione la restituisce alla storia e ai valori contro i quali si era creduto che essa si fosse levata? Ma soprattutto che ne è di quanto essa ha prodotto, ed oggi perdura, e se davvero questa sopravvivenza stanca e feroce dei valori ideologici del Partito altro non è che la danza dei fantasmi della tradizione, dove trovare i modelli, le idee, i valori? Poiché è inquietante altresì lo sguardo ingenuo ed entusiasta sull'occidente dello stesso Liu Xiaobo, e di tutti quelli che, con disperata superficialità, cedono ad una ammirazione incondizionata per il mondo di fuori, di libertà e ricchezza.
E tuttavia, muovendoci in questo confuso mondo, nella cupezza di un'apparente rassegnazione, incrociamo a volte le strade di ricerca che il cinese percorre, nella vita, nello studio, nelle relazioni sociali, per andare oltre, o tornare, ma comunque recuperare un senso di vita che sia più forte della noia e dell'orrore che quotidianamente il potere gli impone.

1) È un film tratto da un racconto di Liu Hengzhu, che racconta di un disadattato nella Pechino contemporanea, descrivendo con acutezza psicologica caratteri e situazioni della nuova urbanità cinese.
2) Relazioni, conoscenze, indispensabili in Cina ad ogni livello sociale.
3) Una delle denominazioni del virtuoso confuciano.
4) "Presidente Zhou", Zhou Enlai.
5) Liu Xiaobo, "il pazzo", è un giovane filosofo che ha sviluppato una critica radicale al sistema politico cinese. Dopo i disordini del giugno '89 il regime ha pubblicato un libercolo nel quale vengono confutate le sue tesi e nel contempo lo si criminalizza quale sobillatore delle frange più estreme della rivolta.