Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 171
marzo 1990


Rivista Anarchica Online

Il vero e il falso
di Carlo Oliva

Non ho assistito, purtroppo, a quella trasmissione di Mixer in cui si informavano i telespettatori di come la vittoria della Repubblica al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 fosse dovuta a un caso interessante di broglio elettorale, per comunicare poi alla fine che no, ragazzi, era tutto uno scherzo.
Ma me la sono fatta raccontare nei dettagli da cittadini degni di fede, ho debitamente vagliato resoconti, recensioni e polemiche nei giornali della settimana seguente e vi assicuro che di essermela persa mi spiace davvero molto.
Sì, lo so. Quasi tutti i commentatori seri hanno detto e scritto che, come idea , era una stupidata, per cui suppongo di dovermi spiegare. Vi assicuro: non sono particolarmente appassionato di scherzi e l'argomento in sé non mi interessa più che tanto. Con gli anni sono diventato abbastanza indifferente alle questioni istituzionali e ho perso molta della mia giovanile fiducia in elezioni, plebisciti, referendum e simili. Ma mi occupo da abbastanza tempo di problemi dell'informazione per sapere che quando ci si gioca sopra, quando s'indulge al gusto, un po' perverso, della falsificazione esplicita, si finisce quasi sempre per rilevare qualcosa di "vero". Come minimo, si mettono in luce certe strutture importanti della comunicazione.
Vediamo. Il buon Minoli dice di essersi ispirato alla famosa trasmissione di Orson Welles sui marziani, quella che nel settembre del 1938 scatenò il panico in un certo numero di stati americani annunciando, sulla base di un vecchio romanzo inglese, lo sbarco di non amichevoli inviati dal pianeta vicino. Beh, tecnicamente quello non fu uno scherzo voluto (anche se Welles, che aveva un po' la debolezza di indulgere all'automitologia, in seguito avrebbe avallato l'interpretazione di chi lo considerava tale) : fu un caso di trasmissione di fiction fraintesa dagli ascoltatori perché sconvolgeva radicalmente le convenzioni narrative vigenti. Ma insegnò comunque parecchie cose sulla struttura delle trasmissioni radio: per esempio che non bisogna mai dare per scontato che l'audience radiofonica sia in ascolto della trasmissione fin dall'inizio e abbia quindi preso nota dei titoli di testa. Sembra niente, ma bisognava arrivarci, e nel '38, naturalmente, la radiodiffusione era in una fase non proprio sperimentale, ma ancora vigorosamente aurorale.
Per cui, lasciando da parte Orson Welles, che era un grande artista e un grandissimo mediologo (affrontò comunque ex professo tutto il problema con il suo F for Fake, del 1973, che caldamente a tutti si raccomanda) possiamo chiederci che cosa ci hanno insegnato Minoli e la sua allegra banda con questa loro orsonwellesata minore. E la risposta è abbastanza evidente: loro dicono di averlo fatto per farci vedere com'è facile manipolare l'informazione televisiva, truccarla e servirsene ad innominabili fini. E ovviamente ci hanno insegnato come NON si fa a truccare questo tipo di informazione.
Pensateci bene. Quel numero di Mixer, a quanto mi pare di capire, si accentrava tutto - ne traeva senso - su un falso scoop. Un signore di credibile aspetto sosteneva di essere stato qualcosa come Presidente di Corte d'Appello in non so quale circoscrizione, e quindi responsabile della certificazione dei risultati referendari, e di avere avallato un risultato falso imboscando, o contribuendo a imboscare, un due milioni di schede a favore della monarchia. Improbabile, visto che nel '46 magistratura e carabinieri erano in gran parte d'osservanza monarchica, ma possibile, vista la situazione civile di allora. Persino plausibile, almeno dal punto di vista di chi era al corrente delle mormorazioni e delle proteste che la parte soccombente sollevò fin dal giorno successivo alla proclamazione dei risultati e che, tenacemente, non ha mai abbandonato. E non privo di qualche vago sapore d'attualità, visto il gran parlare che in questi mesi si fa nella stampa di sovrani di ogni tipo, vivi o morti, da re Michele di Romania allo zar Boris di Bulgaria, per non dire dell'appassionante problema della tumulazione nel Pantheon degli epigoni di casa Savoia. D'accordo, quindi. Ma immaginatevi che Minoli, per qualsiasi motivo, invece che fare uno scherzo avesse voluto falsificare davvero uno scoop, avesse avuto davvero la trista intenzione di prenderci tutti per il bavero. Non avrebbe certo organizzato la trasmissione nello stesso modo. L'inganno, evidentemente, non sarebbe durato più di dodici ore: sarebbe bastato, il mattino dopo, confrontare gli archivi della magistratura per scoprire che quel magistrato non era mai esistito, o non era mai stato investito di quella funzione, o, che so, era morto da vent'anni (e in caso contrario, se un magistrato autentico esisteva ed era in vita si sarebbe certo fatto avanti) e tutto il castello di carte si sarebbe allegramente sfasciato. In via generale, le notizie non si falsificano inventando episodi di sana pianta o introducendo testimoni totalmente mendaci.
Le possibilità di controllo pubblico sono troppe. Peraltro, sappiamo tutti che le notizie si falsificano in continuazione, e come no? Ma lo si fa, appunto, riferendo di episodi che sono effettivamente accaduti e introducendo testimoni che vi hanno effettivamente presenziato. Solo così la falsificazione funziona e regge per il tempo necessario.
Un esempio. Sui giornali che dedicavano tanto spazio all'exploit di Minoli, si riferiva di come a un'assemblea di studenti romani, a Scienze Politiche, avesse preso la parola un militante delle BR condannato all'ergastolo e al momento in libertà provvisoria per decorrenza dei termini. Se ne evinceva il concetto per cui il movimento di quegli studenti era, se non filobrigatista , per lo meno alquanto lontano dalla linea di fermezza emergenziale che è stata ed è, notoriamente, lo spartiacque che non bisogna superare per essere ammessi nel salotto buono della politica nazionale.
Beh, s'è capito abbastanza in fretta che quella notizia (considerandola un tutt'uno con il giudizio politico in funzione del quale era stata costituita) era un falso clamoroso, ma si trattava, appunto, di un falso costruito tutto su elementi rigorosamente "veri". È del tutto vero che quel tale brigatista, Eugenio Ghignoni, è stato condannato all'ergastolo (sia pure per partecipazione morale) e che non rientra tecnicamente nelle categorie dei pentiti e dei dissociati - che quelli parlano dove vogliono, specialmente in televisione - e che ha davvero partecipato a quell'assemblea di Scienze Politiche, pronunciando un intervento. La falsificazione consisteva nel raccontare la cosa dando l'impressione che il suo non fosse un intervento estemporaneo dal pubblico, o comunque un'iniziativa personale, ma fosse stato programmato e sollecitato dagli organizzatori. Ed è stata una falsificazione compiuta, in genere, senza affermare mai esplicitamente il falso, usando solo termini generici, del tipo di "parla", "partecipa", "interviene", "è presente": bastava dire certe cose (vere) e non dirne certe altre (altrettanto vere): non si può dire tutto, no? L'unica cosa che non interessava a nessuno era riferire quanto Ghignoni aveva detto, e infatti per una settimana (finché Radio Popolare di Milano non l'ha intervistato, oggi 12 febbraio) io non l'ho saputo.

Mandela e la lotta armata
Un altro esempio del giorno in cui scrivo queste note. Il titolo in prima pagina del Giornale di oggi (otto colonne): "Mandela: la lotta armata continuerà". Si riferisce al primo discorso pubblico del leader dell'ANC dopo la liberazione, quello in cui lui ha dichiarato di essere fondamentalmente a favore delle trattative con il governo. Falsificazione, dunque, anche se Mandela, in effetti, ha detto che la lotta armata sarebbe continuata in Sud Africa. Ma ha aggiunto qualcosa come "se sarà necessario" specificando "io però ho fiducia nei negoziati", come riferiscono quasi tutti gli altri giornali. Si può dubitare di quelle intenzioni e di quella fiducia, ma non le si può obliterare, specialmente nel titolo, perché rappresentano l'argomento principale di tutto il discorso. Se le si obliterano, non è falsificazione, forse? E così via.
Allora? Allora rendiamoci conto che non è dei falsi scoop alla Welles (con rispetto parlando) di cui dobbiamo preoccuparci. Mi dicono che Minoli e i suoi attualmente sono in grande ambasce: temono le vendette della classe politica che hanno sfidato e del mondo dell'informazione che hanno ridicolizzato. Sarà. Io, se fossi in loro, sarei abbastanza tranquillo. In fondo, denunciando una tecnica di falsificazione esplicita, implicitamente hanno contribuito a occultare quella falsificazione implicita , per omissione o interpretazione. Ma è anche vero che in questo paese, ormai, non ci si può fidare di nessuno.