Rivista Anarchica Online
Il vero e il falso
di Carlo Oliva
Non ho assistito, purtroppo, a quella
trasmissione di Mixer in cui si informavano i telespettatori
di come la vittoria della Repubblica al referendum istituzionale del
2 giugno 1946 fosse dovuta a un caso interessante di broglio
elettorale, per comunicare poi alla fine che no, ragazzi, era tutto
uno scherzo.
Ma me la sono fatta raccontare nei
dettagli da cittadini degni di fede, ho debitamente vagliato
resoconti, recensioni e polemiche nei giornali della settimana
seguente e vi assicuro che di essermela persa mi spiace davvero molto.
Sì, lo so. Quasi tutti i
commentatori seri hanno detto e scritto che, come idea , era una
stupidata, per cui suppongo di dovermi spiegare. Vi assicuro: non
sono particolarmente appassionato di scherzi e l'argomento in sé
non mi interessa più che tanto. Con gli anni sono diventato
abbastanza indifferente alle questioni istituzionali e ho perso molta
della mia giovanile fiducia in elezioni, plebisciti, referendum e
simili. Ma mi occupo da abbastanza tempo di problemi
dell'informazione per sapere che quando ci si gioca sopra, quando
s'indulge al gusto, un po' perverso, della falsificazione esplicita,
si finisce quasi sempre per rilevare qualcosa di "vero".
Come minimo, si mettono in luce certe strutture importanti della
comunicazione.
Vediamo. Il buon Minoli dice di essersi
ispirato alla famosa trasmissione di Orson Welles sui marziani,
quella che nel settembre del 1938 scatenò il panico in un
certo numero di stati americani annunciando, sulla base di un vecchio
romanzo inglese, lo sbarco di non amichevoli inviati dal pianeta
vicino. Beh, tecnicamente quello non fu uno scherzo voluto (anche se
Welles, che aveva un po' la debolezza di indulgere all'automitologia,
in seguito avrebbe avallato l'interpretazione di chi lo considerava
tale) : fu un caso di trasmissione di fiction fraintesa dagli
ascoltatori perché sconvolgeva radicalmente le convenzioni
narrative vigenti. Ma insegnò comunque parecchie cose sulla
struttura delle trasmissioni radio: per esempio che non bisogna mai
dare per scontato che l'audience radiofonica sia in ascolto
della trasmissione fin dall'inizio e abbia quindi preso nota dei
titoli di testa. Sembra niente, ma bisognava arrivarci, e nel '38,
naturalmente, la radiodiffusione era in una fase non proprio
sperimentale, ma ancora vigorosamente aurorale.
Per cui, lasciando da parte Orson
Welles, che era un grande artista e un grandissimo mediologo
(affrontò comunque ex professo tutto il problema con il
suo F for Fake, del 1973, che caldamente a tutti si
raccomanda) possiamo chiederci che cosa ci hanno insegnato Minoli e
la sua allegra banda con questa loro orsonwellesata minore. E la
risposta è abbastanza evidente: loro dicono di averlo fatto
per farci vedere com'è facile manipolare l'informazione
televisiva, truccarla e servirsene ad innominabili fini. E ovviamente
ci hanno insegnato come NON si fa a truccare questo tipo di
informazione.
Pensateci bene. Quel numero di Mixer,
a quanto mi pare di capire, si accentrava tutto - ne traeva senso -
su un falso scoop. Un signore di credibile aspetto sosteneva
di essere stato qualcosa come Presidente di Corte d'Appello in non so
quale circoscrizione, e quindi responsabile della certificazione dei
risultati referendari, e di avere avallato un risultato falso
imboscando, o contribuendo a imboscare, un due milioni di schede a
favore della monarchia. Improbabile, visto che nel '46 magistratura e
carabinieri erano in gran parte d'osservanza monarchica, ma
possibile, vista la situazione civile di allora. Persino plausibile,
almeno dal punto di vista di chi era al corrente delle mormorazioni e
delle proteste che la parte soccombente sollevò fin dal giorno
successivo alla proclamazione dei risultati e che, tenacemente, non
ha mai abbandonato. E non privo di qualche vago sapore d'attualità,
visto il gran parlare che in questi mesi si fa nella stampa di
sovrani di ogni tipo, vivi o morti, da re Michele di Romania allo zar
Boris di Bulgaria, per non dire dell'appassionante problema della
tumulazione nel Pantheon degli epigoni di casa Savoia. D'accordo,
quindi. Ma immaginatevi che Minoli, per qualsiasi motivo, invece che
fare uno scherzo avesse voluto falsificare davvero uno scoop,
avesse avuto davvero la trista intenzione di prenderci tutti per il
bavero. Non avrebbe certo organizzato la trasmissione nello stesso
modo. L'inganno, evidentemente, non sarebbe durato più di
dodici ore: sarebbe bastato, il mattino dopo, confrontare gli archivi
della magistratura per scoprire che quel magistrato non era mai
esistito, o non era mai stato investito di quella funzione, o, che
so, era morto da vent'anni (e in caso contrario, se un magistrato
autentico esisteva ed era in vita si sarebbe certo fatto avanti) e
tutto il castello di carte si sarebbe allegramente sfasciato. In via
generale, le notizie non si falsificano inventando episodi di sana
pianta o introducendo testimoni totalmente mendaci.
Le possibilità di controllo
pubblico sono troppe. Peraltro, sappiamo tutti che le notizie si
falsificano in continuazione, e come no? Ma lo si fa, appunto,
riferendo di episodi che sono effettivamente accaduti e introducendo
testimoni che vi hanno effettivamente presenziato. Solo così
la falsificazione funziona e regge per il tempo necessario.
Un esempio. Sui giornali che dedicavano
tanto spazio all'exploit di Minoli, si riferiva di come a
un'assemblea di studenti romani, a Scienze Politiche, avesse preso la
parola un militante delle BR condannato all'ergastolo e al momento in
libertà provvisoria per decorrenza dei termini. Se ne evinceva
il concetto per cui il movimento di quegli studenti era, se non
filobrigatista , per lo meno alquanto lontano dalla linea di fermezza
emergenziale che è stata ed è, notoriamente, lo
spartiacque che non bisogna superare per essere ammessi nel salotto
buono della politica nazionale.
Beh, s'è capito abbastanza in
fretta che quella notizia (considerandola un tutt'uno con il giudizio
politico in funzione del quale era stata costituita) era un falso
clamoroso, ma si trattava, appunto, di un falso costruito tutto su
elementi rigorosamente "veri". È del tutto vero che
quel tale brigatista, Eugenio Ghignoni, è stato condannato
all'ergastolo (sia pure per partecipazione morale) e che non rientra
tecnicamente nelle categorie dei pentiti e dei dissociati - che quelli
parlano dove vogliono, specialmente in televisione - e che ha davvero
partecipato a quell'assemblea di Scienze Politiche, pronunciando un
intervento. La falsificazione consisteva nel raccontare la cosa dando
l'impressione che il suo non fosse un intervento estemporaneo dal
pubblico, o comunque un'iniziativa personale, ma fosse stato
programmato e sollecitato dagli organizzatori. Ed è stata una
falsificazione compiuta, in genere, senza affermare mai
esplicitamente il falso, usando solo termini generici, del tipo di
"parla", "partecipa", "interviene", "è
presente": bastava dire certe cose (vere) e non dirne certe
altre (altrettanto vere): non si può dire tutto, no? L'unica
cosa che non interessava a nessuno era riferire quanto Ghignoni aveva
detto, e infatti per una settimana (finché Radio Popolare di
Milano non l'ha intervistato, oggi 12 febbraio) io non l'ho saputo.
Mandela e la lotta armata
Un altro esempio del giorno in cui
scrivo queste note. Il titolo in prima pagina del Giornale di
oggi (otto colonne): "Mandela: la lotta armata continuerà".
Si riferisce al primo discorso pubblico del leader dell'ANC dopo la
liberazione, quello in cui lui ha dichiarato di essere
fondamentalmente a favore delle trattative con il governo.
Falsificazione, dunque, anche se Mandela, in effetti, ha detto che la
lotta armata sarebbe continuata in Sud Africa. Ma ha aggiunto
qualcosa come "se sarà necessario" specificando "io
però ho fiducia nei negoziati", come riferiscono quasi
tutti gli altri giornali. Si può dubitare di quelle intenzioni
e di quella fiducia, ma non le si può obliterare, specialmente
nel titolo, perché rappresentano l'argomento principale di
tutto il discorso. Se le si obliterano, non è falsificazione,
forse? E così via.
Allora? Allora rendiamoci conto che non
è dei falsi scoop alla Welles (con rispetto parlando)
di cui dobbiamo preoccuparci. Mi dicono che Minoli e i suoi
attualmente sono in grande ambasce: temono le vendette della classe
politica che hanno sfidato e del mondo dell'informazione che hanno
ridicolizzato. Sarà. Io, se fossi in loro, sarei abbastanza
tranquillo. In fondo, denunciando una tecnica di falsificazione
esplicita, implicitamente hanno contribuito a occultare quella
falsificazione implicita , per omissione o interpretazione. Ma è
anche vero che in questo paese, ormai, non ci si può fidare di
nessuno.
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