Rivista Anarchica Online
La
paura del drago
di Edoarda Masi
La
figura e l'opera della scrittrice statunitense Ursula K. Le Guin,
nell'analisi di alcune tematiche fondamentali della sua attività
letteraria e saggistica. La
critica della società americana e dei suoi valori di potere e
di profitto, la riflessione sui rischi connessi all'utopia
libertaria, la tematica dell'"ombra" nelle sue dimensioni
sociali ed individuali.
Una
delle tematiche di fondo trattate nel volume Il linguaggio della
notte di Ursula Kroeber Le Guin è quello del rapporto
dell'essere umano con la sua ombra: cioè, col suo lato oscuro,
con l'irrazionale, con l'inconscio, col male che è dentro di
lui; quindi, con l'alieno (proiezione del lato oscuro): la donna per
il maschio, il proletario per chi non è tale, l'altra
razza...; e col sogno - quindi, con l'immaginazione, la fantasia, e
infine con l'arte del narratore. Questi argomenti, presenti in tutto
il libro, sono affrontati più direttamente nei due saggi:
Perché gli americani hanno paura dei draghi? e il
bellissimo: Il fanciullo e l'ombra.
A
una prima lettura, emergono un'intenzione pedagogica e un'intenzione
polemica. Da un lato si esorta il pubblico, e gli educatori, a
lasciare che la verità del mondo immaginario, ben presente nei
bambini, trovi piena espressione, e nell'esprimersi prenda forma e,
per così dire, ordine e disciplina; così che, quando
adolescenti dovranno affrontare il rapporto con se stessi, non lo
sfuggano ma lo realizzino intero, comprendano che non si può
cacciar via la propria ombra, che è necessario convivere con
essa; senza di che non si cresce, non si diventa adulti.
L'intenzione
polemica è rivolta contro i modi di pensare prevalenti nella
società USA di oggi. Con penetrante ironia Le Guin rivela che
cosa sta dietro l'idea che non sia educativo dare in lettura ai
bambini opere che portino all'"evasione dalla realtà"
e, per altro verso (ma in verità nello stesso) dietro il luogo
comune: "Le fiabe sono per i bambini; io vivo nel mondo reale",
o l'affermazione: "Mia moglie legge romanzi; io non ho tempo".
Dietro questi pregiudizi c'è il puritanesimo, l'etica del
lavoro, la mentalità del profitto, i mores sessuali. (A
proposito della mentalità di profitto, è molto
divertente l'osservazione che "il nostro uomo d'affari può
concedersi ogni tanto la lettura di un best seller: non perché
sia un buon libro, bensì perché è un best
seller, un successo, ha fatto soldi... ciò giustifica la
sua esistenza; e leggendolo egli può partecipare, un poco, del
potere, del mana del suo successo"). Ma, più in
profondità, dietro questi pregiudizi sta la paura. "La
paura dei draghi". La paura della fantasia. La paura dell'ombra,
e perciò il tentativo di disfarsene.
Come
risulta poi dalla lettura di tutta la sua opera narrativa, si tratta
della polemica contro la "modernità", che pretende
fare appello allo sviluppo del profitto rappresentato come
razionalità; e l'opposizione ad essa del suo rovescio -
rappresentato dall'ideologia corrente come oscuro, irrazionale,
fantasia, sogno; mondo degli artisti; mondo delle donne; oppure,
mondo degli arretrati, dei sottosviluppati, dei contadini, ecc...
Quella proiezione dell'ombra interiore verso l'esterno che crea la
figura dell'alieno, e tanto contribuisce a giustificare le odierne
forme di oppressione e di schiavismo.
Critica
della società USA
L'intento
pedagogico e l'intento polemico sono ovviamente da condividere, e
basterebbero per collocare Ursula Le Guin fra le poche menti capaci,
negli USA, di una critica di fondo a quella società. Credo
però che, a una lettura seconda e più attenta, sia dato
scoprire tratti meno generici, che le appartengono in modo esclusivo,
e sono in rapporto più diretto con la sua opera di narratrice.
Questi tratti liberano la critica alla società "moderna"
USA da quello che potrebbe apparire un certo schematismo, speculare
allo schematismo dei suoi sostenitori; e allargano il discorso oltre
i confini dell'attualità intesa in senso stretto.
La
prima evidenza, non tanto dai suoi saggi quanto dalla sua opera
maggiore, di narratrice, è l'eredità romantica. Per
limitarci all'aspetto specifico che qui ci interessa, il rapporto fra
l'essere umano e la sua ombra è un locus tipico del
romanticismo tedesco. Basta ricordare la storia di Peter Schlemihl,
di Chamisso, probabilmente conosciuta da Andersen, a sua volta citato
da U. Le Guin. Ma la scissione dell'io - esattamente nel senso
indicato da Le Guin - è al centro pure dell'opera di Hoffmann.
(Lo stesso Freud ne lodò l'intuizione anticipatrice delle
teorie dell'inconscio). Come i romantici, la Le Guin narratrice non
prende partito pro o contro l'una o l'altra componente dell'io
diviso. Le sue opinioni sono contrarie a un certo tipo di
razionalità, e il suo discorso pedagogico è, per così
dire, a favore dell'ombra; e a difesa dell'alieno. Ma proprio perché
sa che l'alieno è una proiezione dell'io, e che l'essere umano
non può fare senza la propria ombra, essa non parteggia per
l'uno o per l'altra.
Nel
solco della tradizione europea, i romantici hanno vissuto la
scissione dell'io come tragedia. I greci, nostri progenitori, hanno
voluto a fondamento della civiltà la faccia della luce e della
ragione, il momento diurno e maschile, lo Spirito e la sua
immortalità. Conoscevano tutto del mondo notturno, il corpo e
la mortalità, gli dèi inferi, l'ombra, la donna. Lo
hanno negato - tutelandosi col conservare le Eumenidi sepolte. Il
mondo oscuro, che nei tragici ha ancora voce di antitesi (Antigone,
Cassandra), diventa mondo rovescio - non essere, le viscere, il
sogno. Il fondo tragico senza catarsi, nell'uomo e nella donna. Molte
volte è riemerso. Ma è dopo la rivoluzione francese che
irrompe nella storia diurna e nella vita di tutti. Quella dei
romantici ne è solo la prima testimonianza. In
un secolo e mezzo, il rapporto fra l'essere umano e la sua ombra si è
approfondito, arricchito e complicato. Si è arricchito sul
piano psicologico: basta pensare, per non dire altro, al
rovesciamento di prospettive portato dalla psicoanalisi (non è
un caso se U. Le Guin fa riferimento a Jung). Ha preso corpo nella
lotta di classe (solo ora chiamata e vissuta con questo nome), nella
decolonizzazione, nei movimenti femministi. Ma si è anche
complicato. A misura che quel che si era voluto annullare emergeva
nella realtà, e fra la luce e l'ombra maturava il conflitto,
si stabiliva fra di esse anche un rapporto dialettico. Nel conflitto,
il padrone guardava con occhi nuovi il servo, e il servo il padrone,
e l'uno acquistava qualcosa dell'altro, quanto meno nella dimensione
della coscienza. Lo stesso avveniva fra il colonizzatore e il
colonizzato, fra l'uomo e la donna. Fino al punto in cui la scissione
penetra e si manifesta anche all'interno di ciascuna delle due metà.
Perché ciascuna delle due trasferisce nel proprio seno le
contraddizioni dell'altra. Questo è vero, naturalmente, nella
dimensione sociale, là dove fin da principio l'identificazione
dei primitivi, dei servi, degli sfruttati, dei colonizzati, delle
donne con l'ombra era stata solo una grandiosa metafora.
Uno
dei contributi peculiari di U. Le Guin è la rappresentazione
di questo groviglio di divisioni e di conflitti nei termini della
narrativa fantastica, e cioè dando corpo fisico ai concetti,
aderendo alla percezione che la gente comune ha di essi, si potrebbe
dire volgarizzandoli - se si toglie a questa parola ogni connotazione
negativa. L'autrice trasferisce a livello di senso e cultura comuni
discorsi che sono stati e sono fatti solo a livello molto alto,
storico-filosofico-sociologico: nella sfera preclusa alla gente
comune. In tal modo, i problemi dell'uscita dalla falsa nazionalità
imposta dal pensiero matematizzato e dal produttivismo "moderno"
restano astratti.
Infatti,
qualunque ipotesi di "uscita" presuppone una partecipazione
popolare (il che non significa, naturalmente, di tutto il
popolo, ma di un numero largo di persone, al di là delle élite
e degli specialismi - con lo scavalcamento della struttura gerarchica
del sapere).
Quell'ambigua
utopia
Allo
stato attuale delle cose, il problema del rapporto di interdipendenza
bipolare fra due ipotesi di civiltà (con i suoi tanti e
diversi aspetti: Nord e Sud del mondo, mondo maschile e mondo
femminile, dimensione diurna e dimensione notturna, sviluppo del
profitto economico e tutela dell'ambiente terrestre, astrazione
mentale e corporeità, ordine e immaginazione...) è
vissuto dalla gente comune ma non è compreso. Donde
l'insorgere della massa di cretineria spiritualistica e
medioevaleggiante, o i culti del "naturale" astorico.
Tradurre la problematica reale nel linguaggio più semplice,
senza censurarne la complessità, è uno dei lavori
pedagogici fondamentali, nella forma non illuministica. (Vanno
perdonate, allora, alcune concessioni al gusto corrente e anche al
cattivo gusto).
È
quasi stupefacente, a questo proposito, l'acutezza con la quale una
scrittrice americana, che credo non abbia avuto esperienze dirette in
materia, coglie e rappresenta quasi alla lettera le ambiguità
inerenti all'utopia socialista - quelle ben conosciute da chiunque
abbia vissuto in un paese del "socialismo reale" prima che
le componenti di autodistruzione avessero la meglio (per esempio, in
Cina Popolare nei primi vent'anni). Essa le coglie non là dove
parrebbe scontato che debbano trovarsi, negli aspetti intrinsecamente
negativi del socialismo (per esempio, quelli legati alla dittatura o
tirannide personale, alla corruzione della burocrazia o, peggio, al
riprodursi del modello di sviluppo del capitalismo), ma emergenti
dall'essenza "buona" dell'utopia, dalla mozione anarchica,
dalla ipotesi egualitaria, dall'autogoverno. "Un'ambigua utopia"
è il sottotitolo di I reietti dell'altro pianeta. Il
grande valore pedagogico di questo libro sta nel segnare tutti i
punti di ambiguità, su Anarres e su Urras, in ciascuno dei due
pianeti fratelli e opposti, rovescio e specchio l'uno dell'altro. I
limiti all'individuo, che secondo il luogo comune corrente sarebbero
imposti dalle dittature, appaiono invece, nel loro aspetto più
terribile, quali limiti interiori, di ordine etico in origine,
imposti per pura autorità morale dalla comunità
circostante, che socializza la vita personale e privata.
Le
dittature, come le tirannie, sono in grado di porre solo limiti
esterni, al pari di qualsiasi altro governo: si tratta di una
variazione di quantità, che se grave è suscettibile di
farsi qualitativa. Ma è, in qualche misura, cosa inevitabile
dovunque esistano governanti e governati. L'alternativa
è quella anarchica: ma con le conseguenze latenti e immanenti
del limite interiore alla libertà (e per converso,
della rivendicazione individuale di diversità - che per
ragioni oggettive può tradursi in disuguaglianza). Quando
la latenza viene alla luce - un'altra ombra che si manifesta - le
conseguenze sono intollerabili più di qualsiasi limite
puramente esterno. Questo ci dice la storia di Shevek e della sua
inevitabile infelicità sull'uno e sull'altro dei pianeti
gemelli.
Credo
che i momenti in cui l'autrice attribuisce ritualmente le difficoltà
a un abbandono dell'originaria purezza degli ideali anarchici siano
fra i più deboli del libro, così come mi appare debole
un altro aspetto ricorrente nelle opere di U. Le Guin: il "ritorno
a casa" consolatore. Non perché non possa esservi un
ritorno a casa: se vogliamo fare riferimento agli esempi classici e
sublimi, anche Edipo a Colono è un ritorno a casa.
È
che i ritorni a casa nei romanzi di U. Le Guin non sono teoricamente
fondati (non è indicata neppure tendenzialmente una soluzione
delle contraddizioni che hanno determinato l'allontanamento da casa),
e nella realtà immaginaria dei personaggi appaiono solo come
cedimento alla stanchezza, rinuncia, ricerca di consolazione
affettuosa. (Almeno nei romanzi che io ho letto. Fra questi,
considero Sempre la valle un'opera nel complesso fallita).
Nella rappresentazione della nostra verità di oggi, il
"ritorno a casa" non è configurabile neppure nei
termini di progetto teorico per il futuro: tanto meno lo è in
quelli della rappresentazione artistica, giacché è
fuori di qualsiasi dimensione vissuta, fosse pure immaginaria.
In
realtà, il "ritorno a casa" è parte del
progetto pedagogico di U. Le Guin. È
il momento in cui si conclude il viaggio "verso la conoscenza di
se stessi, verso la maturità, verso la luce". Ma, in base
alle sue stesse premesse, Le Guin dovrebbe sapere che questo momento
conclusivo non esiste, e il ritorno a casa, quando pure si dia, è
solo episodico, e sarà seguito da una nuova partenza. Anche in
questo, i greci ci sono buoni maestri col mito di Odisseo.
Un
altro esempio di come U. Le Guin sa condurre il lettore a comprendere
aspetti a lui sconosciuti di se stesso. Sappiamo tutti (in questo
caso sarebbe meglio dire: tutte) quanto profonda sia per chi è
nato maschio la difficoltà a intendere la soggezione femminile
come sofferenza, non accettazione - se non in termini teorici. I
quali per lo più si dissolvono, nel rapporto con la donna in
carne ed ossa. È un esempio di separazione fra conoscenza
teorica ed esperienza. Al fine di attenuare questa separazione, nel
caso, è importante la tematica omosessuale. Non quando si fa
ideologia, giacché allora copre spesso maschilismo o
femminilismo esagerati e esageratamente conflittuali. Ma quando è
rappresentazione serena, descrittiva in profondità e non
ideologica, come può esserlo la rappresentazione artistica
riuscita. È così
in un episodio di L'altra faccia delle tenebre. Gli androgini
del pianeta Inverno non sono realizzati. Ma l'autrice dà prova
di grande bravura nella storia fra i ghiacci, nello straordinario
episodio d'amore platonico fra l'androgino e un uomo (maschio, sempre
meno maschio). Si entra qui in una dimensione sconosciuta, in un
territorio inesplorato.
Può
essere l'inizio di una modificazione della visione del mondo - nella
qualità dei sentimenti e non solo nelle teorie. In
questo episodio, e in alcuni altri, il programma stesso dell'autrice
è scavalcato dalla forza dell'immaginazione, e perciò
stesso è pienamente realizzato. Si tratta per lo più di
episodi sostanzialmente lirici, sotto l'apparenza narrativa. Come
narratrice U. Le Guin conosce bene il mestiere, sa impostare il suo
disegno e condurlo con abilità. Tuttavia è debole
proprio là dove, nei suoi lucidissimi saggi, essa vuole sia
l'essenza dell'arte narrativa. Penso in particolare a "La
fantascienza e la signora Brown". Nei romanzi di U. Le Guin non
ci sono signore Brown; non ci sono personaggi cui veramente
attribuire questo nome; sono piuttosto "elementi della
complessità dell'anima" (come essa definisce Grethel e la
strega Marzapane in "Il fanciullo e l'ombra"), o proiezioni
dell'inconscio. Anche quelli che diresti più "personaggi",
come la vecchia saggia-rivoluzionaria Odo, sono piuttosto modelli
ideali, prodotti del pensiero desiderante. Tanto è vero che
ritornano più volte, più o meno simili. Si tratta di
simboli, presentati come tali e non risolti nell'immagine. Anche le
situazioni sono simboliche, frammenti di un discorso concettuale,
dove le immagini sono la componente meno forte. Alcuni modelli si
ripetono costantemente: il mito del pre-moderno; il mito della
colonia; la vecchia saggia rivoluzionaria libertaria; il padre,
maschio-negativo ma umano-amato, e infine respinto; l'amato che muore
(vedovanza); l'escursione in luoghi mortalmente impervii; il ritorno
a casa. Direi insomma che U. Le Guin appartiene alla categoria di
narratori per i quali il romanzo è essenzialmente saggistica,
occasione per la messa in scena di un pensiero. Il che non
costituisce per nulla un carattere negativo; solo, non corrisponde
all'idea che lei stessa si fa della propria opera, secondo quanto
risulta dai suoi saggi. Dove è veramente artista lo è,
ripeto, piuttosto nella dimensione lirica: una voce che dice di se
stessa.
Dicevo
di alcuni miti personali di U. Le Guin. Dalla sua opera complessiva,
e in termini espliciti dai suoi saggi, risulta pure la sua intenzione
di farsi creatrice di miti, non solo nel senso generico
dell'invenzione fantastica soggettiva, ma in quello proprio di favole
che, dettate dal suo inconscio, siano al tempo stesso espressione
dell'inconscio collettivo.
Credo
che questo proposito sia mal fondato. Il mito quale creazione
dell'inconscio collettivo (secondo la terminologia di Jung, adottata
da Le Guin), o quale prodotto della "corpolentissima fantasia"
dei "fanciulli del nascente genere umano" (secondo
Giambattista Vico) è cosa radicalmente diversa dal prodotto
della fantasia individuale nel nostro tempo.
Gli
archetipi che agiscono nel nostro inconscio ci vengono dalle radici
profonde della nostra cultura, dalla remota antichità e dal
medioevo: sono le impronte di una originaria creazione collettiva dei
nostri progenitori. Non possono essere sostituiti, ad arbitrio
individuale, dagli archetipi e dalla mitologia di altre civiltà,
per di più mescolati ecletticamente: indiani d'America,
elementi di taoismo, frammenti di culture primitive.
Passato
desiderato e sogno futuro
I
poeti e i narratori romantici, che come ho accennato sono un punto di
riferimento per la lettura di Le Guin, avevano fatto anch'essi una
scelta programmatica a proposito della mitologia da adottare.
Il
loro luogo d'elezione fu il medioevo, per un complesso di motivi che
vanno dal rifiuto del classicismo all'esaltazione della patria
tedesca, e che qui non ci interessano. Fu una scelta ideologica, e
diede luogo non solo a una rinascita degli studi storici e filologici
(peraltro già iniziata nel Settecento) ma, nel campo della
creazione artistica e letteraria, anche a molti equivoci; giacché
dietro il medioevo convenzionale dei personaggi e delle loro vicende,
nelle opere dei romantici, si celava ben altra attualità. È
comunque evidente, per restare nell'ambito dei romantici, che c'è
una differenza di fondo fra le fiabe dei fratelli Grimm e le novelle
di Andersen o di Hoffmann.
Quanto
alle fiabe, non sono certo un'evasione "libera" e
desiderante dalla realtà quotidiana percepita come avversa.
Sono invece strutturate in modi complessi ma anche ripetitivi, la
trasposizione fantastica della realtà quotidiana, e anche dei
giudizi di senso comune formulati su di essa, la trasposizione
immaginifica e mitologica dei costumi e dei giudizi di valore
dominanti. Risulta perciò artificiale ricorrere al passato
come a un complesso fantastico da contrapporre alla modernità
presente, percepita come negativa. Non si può omettere il
fatto che il presente si genera dal passato.
Alle
spalle di U. Le Guin, autrice americana colta, sta il passato
europeo. Ma resta un dato culturale acquisito, per quanto è
delle forme storiche concrete che esso ha assunto. È
invece originario, autentica componente della personalità,
come sostrato profondo. Il presente che prende forma è la
attuale realtà americana.
Il
risultato è una sottostante permanente angoscia di desiderio
irrealizzabile, la nostalgia di qualcosa che le appartiene e che ad
un tempo, nelle forme strutturate, le si presenta come
pregiudizialmente perduto. Il passato desiderato e irraggiungibile si
rappresenta come sogno futuro.
Nel
sogno futuro si introducono allora non soltanto gli elementi perduti
e irraggiungibili del passato europeo, ma anche gli altri, ugualmente
perduti e irraggiungibili, del passato americano anteriore alla
conquista dei bianchi.
Tutto
questo avviene in modo solo parzialmente cosciente. Tanto che, nei
momenti in cui è meno sorretta dalla forza dell'immaginazione
e dalla ricchezza del pensiero, l'autrice equivoca, e aggiunge gli
ingredienti del passato di altre civiltà, per esempio
asiatiche - cosa facilitata dalle sue conoscenze antropologiche.
Questi ultimi ingredienti non sono funzionali e la loro presenza
eventuale abbassa la forza fantastica e drammatica delle opere.
L'uomo
americano, e via via anche l'europeo televisivo-americanizzato, hanno
perduto la percezione, sia pure inconscia, del rapporto col passato.
Per l'americano o per l'interamente americanizzato, la favola
classica allora perde anch'essa significato, o acquista il senso
distorto della pura fuga dal reale. A questo punto, egli cerca altre
forme di favola. O che esprimano l'evasione fantastica in termini più
attuali, lirici, legati all'esperienza dell'individuo; o che
reinventino il rapporto immaginazione-realtà che era già
stato della favola classica. Ma in quest'ultimo caso, la frustrazione
è inerente al tentativo. La favola di questo tipo (modello
classico) infatti non può non essere prodotto di una lunga
stratificazione, prodotto collettivo e popolare.
Da
questa contraddizione deriva, credo, il sentimento profondo di
inappagato che sottostà alle opere di U. Le Guin, anche là
dove vorrebbero rappresentare una dimensione di felicità o di
pace. Giacché non abbiamo la rappresentazione di un bene
concepito e mostrato come reale (di una realtà che trascende
l'irrealtà e perfino l'impossibilità, grazie al
consenso collettivo), bensì il sogno di un individuo. Se la
forma artistica realizza il sogno, esso è condivisibile e
condiviso da un numero indefinibile di individui separati, quanti
sono i suoi lettori. Ma resta scisso dalla comunicazione con gli
individui associati, e sostanzialmente disperato.
Il
mondo USA percepisce se stesso senza radici e procede alla
colonizzazione di un mondo con ricchissime radici - strappandole.
"Ma
le nostre radici sono in Europa!", rispondono gli americani
colti e liberals. - Lo erano, fino al momento in cui con quello
che in essi non è più europeo (le cose si trasformano
nel loro contrario, quando si sviluppano oltre un certo limite) - con
la loro modernità-bulldozer su qualsiasi passato - si sono
accinti a colonizzare l'Europa.
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