Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 164
maggio 1989


Rivista Anarchica Online

L'Amazzonia dietro l'angolo
di Maria Teresa Romiti

Si fa un gran parlare - ed a ragione - della drammatica questione della foresta amazzonica e di altre grandi questioni ecologiche. Ma ricordiamoci che l'Amazzonia comincia da qui, dal primo mondo dove si mangiano hamburger, si vuole il golfino di lana pregiata, si cerca il parquet. Ci sono mille piccole battaglie ecologiche da combattere – dietro l'angolo.

Un territorio grande più di venti volte l'Italia, la presenza di quasi metà delle specie viventi, un polmone verde che produce ossigeno per questo povero mondo malato: questa è l'Amazzonia.
Per decenni questa e le altre foreste tropicali sono state distrutte sistematicamente nella quasi totale indifferenza. Poche le voci che si levavano in difesa della grande foresta: alcuni missionari un po' scomodi che protestavano contro il genocidio degli indios, qualche antropologo che univa la propria voce, ecologisti, non molti per la verità, che facevano le cassandre profetando disastri per tutti. Oltre solo il silenzio. Ogni tanto il servizio sugli ultimi indios piangeva la distruzione di un habitat quasi incontaminato, uno degli ultimi angoli del mondo, ma erano servizi da turismo pieni di esotismo e di buona fotografia. Chi si opponeva con tutte le proprie forze, chi urlava la propria rabbia, gli Indios, urlava anche la propria impotenza perché non aveva, e non ha, voce in capitolo nello scacchiere internazionale. Perché non vale una pagina di giornale o un minuto di televisione. Poi, di colpo, l'ennesima riunione delle tribù amazzoniche ha focalizzato l'attenzione dei media.
La foresta è diventata l'argomento del giorno, tutti si sono occupati dei vari aspetti del problema, hanno cercato soluzioni. Per giorni e giorni le notizie principali sono state dedicate all'Amazzonia. Giornali seri e meno seri, trasmissione giornalistiche e di varietà: il problema foresta era al centro del mondo.
E si sono moltiplicate le iniziative, i concerti delle rockstar come le petizioni, le pressioni sulla Banca Mondiale come le cartoline. È come se la terra si fosse fermata, attonita, spaventata, all'improvviso conscia del pericolo.

Poi tutto torna come prima
È vero che proteste e servizi hanno spesso accuratamente evitato di dare le generalità delle ditte implicate nei progetti amazzonici, specie quando i gruppi interessati erano del proprio paese. Del resto non c'è bisogno di una grande fantasia per immaginare che i grossi imperi finanziari non si sono certo lasciati sfuggire l'occasione di un buon sfruttamento. Solo in Italia, che è il quarto paese in ordine di grandezza nello sfruttamento amazzonico, si contano i nomi di Ferruzzi, nonostante Gardini, l'amministratore, si proclami verde (forse è perché gli piace il colore), Fiat, Pirelli, Benetton, ecc. ecc.. Il Gotha dell'industria italiana è ben presente. Quell'angolo di mondo, oltre ad essere il polmone di questo povero pianeta in via di soffocamento, è anche un serbatoio di infinite ricchezze, energetiche, minerali, vegetali che fanno gola a molti, troppi.
Non è neppure la prima volta che succede. Le foreste tropicali di cui stiamo piangendo la distruzione selvaggia sono solo gli ultimi baluardi che sono rimasti, un'infinità di boschi e selve è stata distrutta negli ultimi secoli, in Europa come nell'America del Nord. Non a caso il governo brasiliano ha preso la palla al balzo per far notare che vorremo proibire a loro ciò che ci siamo permessi prima. La giustificazione regge poco evidentemente (anche perché l'Amazzonia non appartiene al governo brasiliano, se mai proprio a quegli indigeni che rispettano la foresta e sono i primi a perire quando viene distrutta), ma chi si è trovato all'improvviso sulla scena mondiale come imputato di strage ecologica, accusato proprio da quei paesi che fino a ieri partecipavano in prima persona alla strage, è chiaro che non capisce più nulla.

Un piccolo tarlo
È interessante notare che, per quanto riguarda l'inquinamento, lo schema sembra ripetersi spesso. Quello che, fino al giorno prima, era considerato scontato e non faceva notizia, all'improvviso balza all'onore delle cronache e diventa caso, anche mondiale. Tutti se ne occupano, tutti cercano soluzioni e spesso dopo un po' di tempo, tutto torna come prima.
È stato così per il buco dell'ozono, o meglio per i gas responsabili, di cui era nota la pericolosità. È stato lo stesso per i pesticidi che mangiamo ogni giorno, per il fosforo nei detersivi. Si potrebbe parlare quasi di schizofrenia. La stessa notizia rimane sottotono o non interessa nessuno, poi scoppia e tutti sembrano preoccuparsi. Potrebbe sembrare positivo, e in parte lo è, quasi che, finalmente, il problema della salvezza del pianeta sia diventato un problema di tutti. Forse cominciamo a sentire che bisogna fare qualcosa. E ben vengano le cartoline per l'Amazzonia, i concerti, le informazioni, le proteste perché l'Amazzonia ci riguarda, i pesticidi ci riguardano, i fosfati ci interessano.
Ma un dubbio s'insinua nella mente, un piccolo tarlo: perché mai le notizie scoppiano così all'improvviso, perché per anni nessuno ne parla.
Forse si potrebbe spiegare con un esempio proprio di questi giorni. Mentre l'Amazzonia e le mele tenevano le prime pagine dei giornali una notizia è apparsa sulle pagine interne. A Milano l'Istituto Sieroterapico ha, in piena città, nel quartiere Ticinese, un terreno dove dovrebbe sorgere un moderno centro residenziale, un vecchio deposito. Vecchio deposito non già di copertoni o di carta, ma di rifiuti velenosi, proprio come quelle scorie che nei mesi scorsi hanno girato disperate per mari e per terre perché nessuno le vuole nel proprio cortile. Ed essendo il deposito vecchio di sette anni, i fusti sono vecchi e, in parte, in cattivo stato. C'è una piccola, neanche tanto piccola, bomba chimica e batteriologica in uno dei quartieri più vivi e popolosi di Milano e nessuno ne sapeva nulla almeno fino a che il Comitato del Ticinese non ha filmato le "bellezze nascoste" del quartiere.
Ecco il mio tarlo è tutto qui. Non vorrei che le grandi questioni, le distruzioni incredibili ci facessero dimenticare problemi tremendamente vicini. Ho come l'impressione che la cartolina spedita sia comoda, un modo per dirsi: "la mia parte l'ho fatta", per scaricarsi la coscienza. E invece no. La cartolina si può, si deve mandare, ma insieme allo sguardo alla propria vita, alla propria casa.

Ma l'Amazzonia comincia da qui
Quanti di noi continuano a comprare detersivi con il fosforo (quelle belle scatole lucide che fanno tanto bianco il bucato, che portano scritto ben grande: "Niente fosfati" e ben in piccolo: "Attenzione il prodotto può inquinare i fiumi e i mari. Usare le dosi consigliate")? Quanti di noi usano l'automobile solo in caso di vera necessità? O sprecano l'elettricità lasciando aperta la porta del frigorifero o la luce accesa nella stanza vuota? Quante volte ci chiediamo se l'oggetto che compriamo comporta lavorazioni tossiche?
Quante volte protestiamo per il camino dei vicini che lascia fumo nero e dà fastidio? O apriamo la finestra invece di chiudere i caloriferi? Quante volte lasciamo aperto il rubinetto dell'acqua?
E quante volte abbiamo protestato per la fabbrica che impesta l'aria, per i bidoni lasciati a marcire nei cortili, per la carta chimica usata negli uffici, per gli alberi tagliati per le piste da sci, per i fiumi cementificati?
E abbiamo mai pensato di rinunciare al supermercato per il negozio o la cooperativa che garantiscono cibi sani, detersivi non inquinanti? Abbiamo mai pensato di fare una cooperativa di consumo con vicini ed amici?
Ecco l'Amazzonia comincia da qui, comincia dal primo mondo dove si mangiano hamburger, si vuole il golfino di lana pregiata, si cerca il parquet. Si spreca a tutto spiano e di tutto. E non si protesta, non ci si oppone mai. Non la protesta del momento, quella che scoppia e finisce come un fuoco di paglia, ma quella quotidiana, noiosa, continua. Quella che magari nemmeno finisce sulle pagine dei giornali. Per evitare che gli stessi bidoni vengano solo spostati di due chilometri o si riesca a salvare la foresta amazzonica per perdere quella indonesiana. Perché allora la cartolina a che è servita?