Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 158
ottobre 1988


Rivista Anarchica Online

Occhio ai trabocchetti

Gentile redazione,
ho letto con grande interesse la lettera di Salvo Vaccaro sull'ultimo numero si "A", una lettera ricca di punti stimolanti che tuttavia mi permetto di non condividere. Propongo allora alcune considerazioni, seguendo per chiarezza l'ordine di quelle esposte da Vaccaro sulla questione mediorientale.
È vero che la questione non è una semplice contrapposizione tra lo Stato di Israele e quello futuro dell'OLP: è infatti un problema che riguarda, più radicalmente, lo scontro tra una concezione ed una pratica di democrazia (formale, borghese quanto si vuole), rispettosa del pluralismo e delle più elementari libertà del cittadino, nonostante momenti di involuzione dettati da circostanze del tutto particolari (come quelle odierne), ed una concezione ed una pratica totalitaria, come i paesi arabi e la stessa OLP hanno manifestato e manifestano con chiarezza che può sfuggire solo ai faziosi e ai totalitari di ogni colore. È un problema essenziale soprattutto per gli anarchici, molti dei quali infatti non abboccano al trabocchetto del terzomondismo superficiale e provinciale che invece sembra aver conquistato gran parte della sinistra europea, soprattutto quella marxista.
Le istanze libertarie crescono e si radicano là dove c'è un tessuto democratico; la storia lo ha insegnato e qui valgono le affermazioni di Bookchin: nonostante tutto, gli Stati Uniti (per fare l'esempio più significativo) sono ancor oggi il paese più libero del mondo e per questo il background storico e sociale più favorevole alle esperienze libertarie. Per fare l'esempio inverso, possiamo dimenticare la fine che hanno fatto gli anarchici nel contesto totalitario creato dalla "rivoluzione" bolscevica? A questo proposito la lezione della Arendt in Sulla rivoluzione appare fondamentale.
Ecco perché la condanna della politica e dello Stato di Israele appare francamente rispondente più ad una formula, secondo la quale lo Stato è sempre negativo, frutto della violenza e della prepotenza perpetrata sulle popolazioni, che alla libera volontà dei popoli e alla dinamica storica rivolta alla liberazione. Anche qui qualche esempio è indispensabile: la rivoluzione americana che fondò gli Stati Uniti non fu un atto popolare di liberazione dalla tirannia inglese? Lo stesso Stato di Israele non fu il risultato della volontà delle masse ebraiche dell'Europa orientale che abbracciarono il sionismo ed imposero allo stesso Herzl la soluzione della Palestina come patria nazionale ebraica? Certo si potrebbe obiettare che quest'ultima soluzione si risolse nella diaspora palestinese, ma, se si riconsidera la storia, non furono preponderanti le responsabilità dei dirigenti arabi che, sulla pelle dei palestinesi, rifiutarono qualsiasi compromesso con il sionismo per un puro e semplice odio antiebraico e antioccidentale? Cioè, non furono preponderanti concezioni fanatiche, totalitarie, fondamentalmente razziste che si sono perpetuate fino ad oggi e che rappresentano l'ideologia di fondo dei regimi arabi dittatoriali, feudali, medievali?
Se questo ragionamento ha un fondamento, per quale motivo dobbiamo semplicisticamente concludere che l'assenza di democrazia (per non dire di istanze libertarie) nel mondo arabo, nella sua storia, non può che giustificare in fin dei conti la violenza, il terrorismo, il razzismo antiebraico, e così via? Non si possono sottacere le immense responsabilità storiche delle classi dirigenti arabe nell'alimentare, diffondere e radicare fino al parossismo l'antisemitismo (che storicamente vuol dire antiebraismo) dei propri sudditi. Forse è il caso di ricordare come, alla fine della guerra, il fior fiore dei criminali di guerra nazisti furono ospitati ed utilizzati nei paesi arabi in funzione antiisraeliana.
Lo sforzo degli anarchici deve essere, dunque, quello di riconsiderare la funzione dello Stato storicamente, quasi caso per caso, non per giustificare ma per comprendere, per stabilire i necessari raffronti; altrimenti le formule, gli odiosi e terribili dogmatismi finiranno per obnubilare la ragione: il passo per giungere al totalitarismo è breve.
È probabile che io abbia in odio le ideologie e finisca per essere un pragmatico, ma, se pragmatismo vuol dire considerazione della storia, che non ha mai risposte a formule preconfezionate ed ha sempre rotto tutte le gabbie interpretative semplicistiche e schematiche (e perciò enormemente pericoloso), allora il pragmatismo (cioè una concezione "libertaria" del processo storico) può far fare passi da gigante all'anarchismo. Così, se uno Stato difende la vita dei suoi cittadini dalle costanti minacce di distruzione (come nel caso di Israele da parte dei paesi arabi da 40 anni a questa parte), se cioè difende un diritto di libertà elementare (la sopravvivenza), perché ce ne scandalizziamo? Può essere considerato un pretesto per l'espansionismo, l'imperialismo e tutte gli altri "ismi" che abbondano nella culinaria marxista?
Ancora, affermare che la nascita di Israele non fu frutto di un processo storico ma di un artificio mi sembra francamente grottesco. Certo, la decisione dell'ONU creò giuridicamente Israele nel novembre del 1947, ma l'impulso storico nacque con il sionismo alla fine dell'800, si alimentò degli inenarrabili sacrifici di grandi masse di ebrei dell'Europa orientale che colonizzarono nel tempo grandi plaghe improduttive della Palestina e lì si radicarono, creando istituzioni, un'economia, una società civile, un tessuto democratico ed egualitario (proprio così, egualitario) in una regione immersa nel medioevo più tetro, nello sfruttamento più abietto, nella miseria più disumana.
Fu questo un processo storico o no? E se no, quali sono i veri processi storici, quelli che portano alla sconfitta ed al disfacimento invece che al successo? A ben vedere, forse è proprio questa la vera "colpa" che non si riesce a perdonare agli ebrei: di avere avuto successo nel costruire uno Stato dopo venti secoli appena di persecuzioni.
La nostra suscettibilità è stata ferita da questo evento così inusuale, noi che eravamo abituati a considerare il popolo ebraico come un popolo sotto tutela perché "minore". Poi il nostro orgoglio è stato mortalmente colpito dagli eventi della guerra del '67: gli israeliani, provocati, minacciati accerchiati, hanno reagito, dimostrando straordinarie capacità belliche, annichilendo in poche ore un avversario armato in modo sofisticato dall'Unione Sovietica. Pazzesco! Come hanno osato? E qui è scattata nella sinistra italiana la reazione acriticamente terzomondista, una reazione che prescindeva da qualsiasi considerazione di merito: il confronto tra democrazie e dittature medievali, l'appoggio della patria del radioso socialismo a regimi feudali ed abietti, i metodi terroristici dell'OLP, sempre blandamente denunciati e nella sostanza accettati e giustificati come sistemi di lotta disperati di un popolo disperato: e si dava giustificazione così alle atrocità più vergognose, all'antisemitismo più rozzo e volgare degli arabi, alla volontà di sterminio da parte degli arabi.
Qual è la soluzione del problema mediorientale?
Vaccaro diffida delle soluzioni diplomatiche, chiudendo ancora una volta gli occhi di fronte ad una realtà storica. Eppure, storicamente la diplomazia, gli accordi diplomatici sono stati una realtà spesso efficace, comunque ineludibile. Guai a non tenerne conto. Il problema, semmai, è un altro, ben più radicale: è possibile un accordo stabile e duraturo tra una democrazia e regimi dittatoriali, militaristi, razzisti come quelli arabi? Dubito.
Anche a prescindere dalla possibilità di creazione di uno staterello palestinese in Cisgiordania (che per me è un nonsense storico e geografico, data l'esiguità del territorio e l'assenza di risorse), quanto potrebbe durare un accordo tra un parlamento ed un governo, come quelli israeliani, ed i dittatori arabi? E poi: quanto interesse hanno i dittatori arabi a creare veramente uno Stato palestinese? La creazione di questo Stato farebbe cessare la ragione del contendere: è questo l'obiettivo dei dittatori arabi? Credo proprio di no: il loro obiettivo è la distruzione di Israele.
Ne volete una prova? Ecco quanto ha affermato il presidente siriano Assad l'8 marzo 1988: "Le attuali proposte per una soluzione politica sono identiche nella lettera e nello spirito a quelle di molti anni fa. La cosa importante è che la guerra continui: una volta con i fucili e una volta con le pietre, una volta con le manifestazioni e una volta con un confronto militare totale, a seconda delle circostanze. Dobbiamo usare tutte le forze di guerra e non ci è consentito essere stanchi...
Qualunque via che non prepari gli arabi ad un confronto totale è futile...".
Le affermazioni di Assad, che è il più grande latifondista siriano, oltre che il presidente, ci illuminano sugli strumenti ed i passaggi reali per la pacificazione del Medio Oriente: l'abbattimento dei regimi dittatoriali, feudali, militaristi, razzisti che spadroneggiano nel mondo arabo. Passaggio lungo, ma, a mio avviso, obbligato.
Con le più vive cordialità e con il più grande apprezzamento.

Antonio Donno (Lecce)