Rivista Anarchica Online
Sforzarsi di capire
Sto seguendo con attenzione il
dibattito sulla "questione palestinese" che apre un
ventaglio di considerazioni nel tentativo di riflettere
ragionevolmente la complessità del problema.
Giacché è possibile dire
tutto tranne che il caso è una semplice contrapposizione tra
lo stato d'Israele da un lato ed il (futuro) stato della Palestina
(guidato dall'OLP) dall'altro. Non voglio ripetere cose dette e
quindi farò un'osservazione preliminare e una considerazione
ancora inedita, mi pare, nel dibattito sulla stampa anarchica.
Innanzitutto, non è facile
trovare una posizione libertaria dentro la questione, e
non tanto perché non siamo parte in causa ma ne siamo esterni,
quanto perché nei confronti del mondo arabo e palestinese in
particolare non abbiamo "credito" da far valere, come
invece abbiamo per ebrei e israeliani. Mi spiego partendo da questi
ultimi.
Da un punto di vista anarchico, la
nostra condanna della politica dello stato d'Israele è netta e
senza appello, così come per qualunque altro stato del mondo;
né ci commuove l'alibi invocato della sicurezza del territorio
nazionale e delle genti ad esso sottomessi, giacché
rientra nella logica statuale l'autoconservazione e
l'autoperpetuazione a tutti i costi (compatibili): è la stessa
logica degli USA che estendono all'intero continente latino-americano
la propria zona di sicurezza nazionale, per poter continuare a
determinare le altrui vite, come rileva criticamente Chomsky.
Sempre da un punto di vista anarchico,
non confondiamo la critica al governo di uno stato, con le sue
specifiche responsabilità, con quella alla sua popolazione,
che ha le stesse responsabilità di qualunque popolazione di
uno stato per di più autoritario; contro il regime fascista,
si attaccava non certo l'intera popolazione italiana che pure aveva
espresso un "tiepido consenso inerte" al regime nel primo
ventennio (o un "dissenso occulto"? forza con gli
storici!), bensì quegli italiani che sostenevano il regime da
posizioni più o meno rilevanti. Idem con il popolo israeliano,
quando si appiattisce sulle strategie dei suoi governanti, con la
nostra solidarietà a quegli ebrei e israeliani che dissentono
dalla politica statuale (anche se confusamente: non facciamo di tutte
le erbe un fascio unico). Infine, da un punto di vista anarchico
(o libertario, in questo contesto è lo stesso), essere contro
il governo israeliano non vuol affatto dire essere antisemita (anche
i palestinesi lo sono, però le parole hanno un peso storico
che sorvola e schiaccia il lessico originario). Mi sembra di ripetere
una banalità rilevando l'uso strumentale e ricattatorio che
certi ambienti filo-governativi del reseau mondiale ebreo fanno della
sindrome antiebraica, sebbene non disconosca che il razzismo è
sempre alle porte e va criticato sempre e dovunque.
Né è possibile, a mio
avviso, far finta di niente solo perché son passati
quarant'anni dal processo di Norimberga: in Germania la polemica sul
nazismo è tutt'ora viva, in Austria si veda il caso Waldheim e
in Italia il mini-caso De Felice; si veda pure, su un altro piano, il
ridicolo battage su Togliatti e lo stalinismo.
Tutto ciò per dire che
quarant'anni, in storia, sono probabilmente insufficienti per
rimarginare ferite, figuriamoci tumori laceranti come il genocidio
ebreo (incommensurabile con lo stillicidio e gli eccidi dei
palestinesi perpetrati in questi decenni da egiziani, giordani,
israeliani, siriani e libanesi, a turno). Ricordiamoci che "dopo
Auschwitz, non è più possibile scrivere una poesia",
in modo innocente, aveva avvertito Adorno.
Concludendo, se per quanto riguarda gli
israeliani e gli ebrei abbiamo una "carta" da giocare, e
cioè le esperienze libertarie maturate dentro l'ebraicità
(Buber, i primi kibbutzim prima che diventassero avamposti coloniali
d'occupazione, ecc.) giacché il libertarismo è una
delle correnti ebree, la stessa "carta" è
ingiocabile rivolgendoci ai palestinesi ed agli arabi, i quali,
credo, non conoscono ramificazioni libertarie nella loro cultura (ma
confesso placidamente la mia assoluta ignoranza in materia).
Ecco perché non abbiamo
"credito" verso i palestinesi (al di là della
generica solidarietà espressa), perché non possiamo far
risuonare altre note nello spartito nazionalista e statuale (e
prossimamente integralista) presente oggi nel mondo arabo; senza
questo retaggio storico, la nostra critica e la nostra posizione
libertaria, difficili, sono destituite di qualsiasi fondamento
politico concreto, reale, perché è solo una critica e
una posizione ideologica, astratta e non incidente dal e sul contesto
e sulla loro cultura e tradizione, che non è quella della
secolarizzazione occidentale.
Così anche la nostra critica
all'OLP come governo del futuro stato palestinese suona astratta, ma
non solo alle mie orecchie, ma soprattutto a quelle di un palestinese
nato sotto la dominazione israeliana, oppresso da tutti, che si
ribella giustamente sotto la bandiera dell'OLP e l'effige di Arafat,
anche se l'insurrezione è spontanea, diretta e non pilotata.
Come si fa a convincere ideologicamente chi deve rivoltarsi
senza appoggiarsi a qualcosa (OLP) o a qualcuno (Arafat o altro
leader)? Verso dove spostare la sua rabbia se non abbiamo esempi di
cultura araba libertaria in cui cercare, lui palestinese, la sua
soluzione di autodeterminazione e di convivenza pacifica tra popoli
(al di la degli slogan appunto)?
Ed ecco la considerazione che non mi
sembra essere emersa nel dibattito, una considerazione che cerca di
essere prettamente politica e non ideologica proprio per colmare il
divario culturale e l'incomunicabilità con una tradizione che
forse non conosce stile libertario di approccio alla vita
organizzata.
Intendo affermare che la creazione
dello stato in genere, di uno stato palestinese, non è affatto
la soluzione (né ideale né attuale) della "questione
medio-orientale" e del popolo palestinese a maggior ragione,
poiché la logica statuale nasce e si afferma secondo modalità
diverse da come L'OLP ingenuamente crede di poter fare, e come le
diplomazie dell'ONU, degli USA e degli altri stati compresa l'Italia
credono di poter utilizzare. Mi spiego.
Il processo di formazione dello
stato-nazione è un processo lungo, aspro, violento, come si è
visto storicamente nel mondo occidentale e orientale, spesso
involontario, nel senso che un processo storico è il risultato
di varie e differenti mosse in uno scacchiere mutevole, senza "grande
vecchio" alla regia, bensì con tanti passaggi, tante fasi
transitorie, tante accelerazioni e tante frenate che non è
possibile riprodurre artificialmente.
Quando si forma uno stato, si accorpano
violentemente popolazioni, si confinano di forza territori: questa è
la legge inesorabile dello stato, in un processo storico che dura
decenni e addirittura secoli. NOI anarchici possiamo non essere
d'accordo con la brutalità con cui si impone questo processo
formativo, ma dobbiamo prendere atto che formazione c'è stata
e che i conflitti si sono da allora dislocati e trasformati (non
certo risolti o dissolti).
Ebbene, una delle concause dell'accesa
conflittualità nel medio-oriente è, ne sono convinto,
l'anomalia del processo genetico-formativo dello stato d'Israele, che
nasce non per un processo storico, bensì per una decisione
artificiale che voleva simulare ciò che nella storia si forma
col tempo. Questa simulazione è l'artificio, l'invenzione che
crea Israele, che impone uno stato senza considerare l'esistenza o
meno di quelle condizioni necessarie e sufficienti affinché
una forma-stato nazionale si possa imporre forgiando da sé gli
strumenti della propria formazione. La differenza non è di
lana caprina: sempre di imposizione statuale si tratta, ma con
modalità e risultati opposti.
Una delle regole del diritto
internazionale degli stati è che la legittimità di uno
stato nasce dal mero fatto della sua imposizione, non dal modo più
o meno democratico e civile: Pinochet è il Cile legittimo e
legittimato dagli altri stati, anche da quelli che più hanno
storto il naso per il suo golpe contro Allende e le sue nefandezze di
ieri e di oggi (speriamo che non esista un domani); così per
L'Argentina dei desaparecidos e l'Iran dello Scià e di
Khomeiny. E così sarà eventualmente per il futuro stato
palestinese.
Ecco perché non convincono gli
approcci diplomatici alla "questione palestinese", perché
è la forza a creare lo stato, non l'accordo ragionevole;
perché è la stabilità coatta di uno stato a
creare la "pace armata" tra stati, e non gli accordi
internazionali per la creazione, allora, di Israele, e oggi dello
stato palestinese.
Percorrendo la stessa strada di ieri,
oggi però in favore della Palestina, si commette lo stesso
tragico errore di simulare la formazione di uno stato in mezzo ad
altri stati, strappando a questi loro territori, il che o lo si fa
violentemente con una guerra o non se ne fa niente. Storicamente
parlando.
Quindi, niente ipocrisie o piagnistei
retorici sulla lentezza diplomatica oppure riconoscimenti democratici
dell'OLP come... stato inesistente: "senza territorio non vi è
stato", concordo con chi l'ha scritto. Non esiste una via
pacifica alla formazione di uno stato, ergo se si vuol veramente
risolvere la questione del popolo palestinese in pace, la via
statuale dell'OLP, degli altri stati arabi, delle diplomazie
occidentali, di quella parte di Israele disponibile a negoziare con
l'OLP è ipocrita e falsa. Cieca.
E allora, cosa dire ai palestinesi?
Concretamente da un punto di vista politico, ovviamente di critica
libertaria della politica, nella logica statuale non ci sarà
pace vera per i popoli palestinese ed ebraico, per gli israeliani
pacifisti e per gli arabi desiderosi di voltare pagina dopo anni e
anni di guerra e di morte. Purtroppo, l'Europa ha vissuto tanti
secoli di guerre che questi quarant'anni di conflitto medio-orientale
ci sembrano insulsi; non è cinismo il mio, ma solo la
riflessione disincantata che, paradossalmente, solo l'utopia di una
via non-statuale è quella più attuale e più
praticabile per i palestinesi. Da soli?
Con quali altre forze?
E soprattutto, avendo contro lo stato
israeliano e gli altri stati arabi?
A questi interrogativi, sia i
palestinesi che la solidarietà internazionale non danno
risposta, ondeggiando su falsi obiettivi, tra fideismo miracolistico
e appoggio inutile all'OLP. Non possiamo rispondere per primi, ma
possiamo sforzarci di motivare al meglio le nostre ragioni cercando
forze e spazi tra quei settori delle parti in causa che più
diffidano di soluzioni statal-autoritarie. Intanto, si consumano tragedie
quotidiane, quelle registrate dalla storia con i grossi numeri delle
vittime, dei feriti, dei mutilati, dei bimbi massacrati...
Salvo Vaccaro (Palermo)
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