Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 156
giugno 1988


Rivista Anarchica Online

Sforzarsi di capire

Sto seguendo con attenzione il dibattito sulla "questione palestinese" che apre un ventaglio di considerazioni nel tentativo di riflettere ragionevolmente la complessità del problema.
Giacché è possibile dire tutto tranne che il caso è una semplice contrapposizione tra lo stato d'Israele da un lato ed il (futuro) stato della Palestina (guidato dall'OLP) dall'altro. Non voglio ripetere cose dette e quindi farò un'osservazione preliminare e una considerazione ancora inedita, mi pare, nel dibattito sulla stampa anarchica.
Innanzitutto, non è facile trovare una posizione libertaria dentro la questione, e non tanto perché non siamo parte in causa ma ne siamo esterni, quanto perché nei confronti del mondo arabo e palestinese in particolare non abbiamo "credito" da far valere, come invece abbiamo per ebrei e israeliani. Mi spiego partendo da questi ultimi.
Da un punto di vista anarchico, la nostra condanna della politica dello stato d'Israele è netta e senza appello, così come per qualunque altro stato del mondo; né ci commuove l'alibi invocato della sicurezza del territorio nazionale e delle genti ad esso sottomessi, giacché rientra nella logica statuale l'autoconservazione e l'autoperpetuazione a tutti i costi (compatibili): è la stessa logica degli USA che estendono all'intero continente latino-americano la propria zona di sicurezza nazionale, per poter continuare a determinare le altrui vite, come rileva criticamente Chomsky.
Sempre da un punto di vista anarchico, non confondiamo la critica al governo di uno stato, con le sue specifiche responsabilità, con quella alla sua popolazione, che ha le stesse responsabilità di qualunque popolazione di uno stato per di più autoritario; contro il regime fascista, si attaccava non certo l'intera popolazione italiana che pure aveva espresso un "tiepido consenso inerte" al regime nel primo ventennio (o un "dissenso occulto"? forza con gli storici!), bensì quegli italiani che sostenevano il regime da posizioni più o meno rilevanti. Idem con il popolo israeliano, quando si appiattisce sulle strategie dei suoi governanti, con la nostra solidarietà a quegli ebrei e israeliani che dissentono dalla politica statuale (anche se confusamente: non facciamo di tutte le erbe un fascio unico).
Infine, da un punto di vista anarchico (o libertario, in questo contesto è lo stesso), essere contro il governo israeliano non vuol affatto dire essere antisemita (anche i palestinesi lo sono, però le parole hanno un peso storico che sorvola e schiaccia il lessico originario). Mi sembra di ripetere una banalità rilevando l'uso strumentale e ricattatorio che certi ambienti filo-governativi del reseau mondiale ebreo fanno della sindrome antiebraica, sebbene non disconosca che il razzismo è sempre alle porte e va criticato sempre e dovunque.
Né è possibile, a mio avviso, far finta di niente solo perché son passati quarant'anni dal processo di Norimberga: in Germania la polemica sul nazismo è tutt'ora viva, in Austria si veda il caso Waldheim e in Italia il mini-caso De Felice; si veda pure, su un altro piano, il ridicolo battage su Togliatti e lo stalinismo.
Tutto ciò per dire che quarant'anni, in storia, sono probabilmente insufficienti per rimarginare ferite, figuriamoci tumori laceranti come il genocidio ebreo (incommensurabile con lo stillicidio e gli eccidi dei palestinesi perpetrati in questi decenni da egiziani, giordani, israeliani, siriani e libanesi, a turno). Ricordiamoci che "dopo Auschwitz, non è più possibile scrivere una poesia", in modo innocente, aveva avvertito Adorno.
Concludendo, se per quanto riguarda gli israeliani e gli ebrei abbiamo una "carta" da giocare, e cioè le esperienze libertarie maturate dentro l'ebraicità (Buber, i primi kibbutzim prima che diventassero avamposti coloniali d'occupazione, ecc.) giacché il libertarismo è una delle correnti ebree, la stessa "carta" è ingiocabile rivolgendoci ai palestinesi ed agli arabi, i quali, credo, non conoscono ramificazioni libertarie nella loro cultura (ma confesso placidamente la mia assoluta ignoranza in materia).
Ecco perché non abbiamo "credito" verso i palestinesi (al di là della generica solidarietà espressa), perché non possiamo far risuonare altre note nello spartito nazionalista e statuale (e prossimamente integralista) presente oggi nel mondo arabo; senza questo retaggio storico, la nostra critica e la nostra posizione libertaria, difficili, sono destituite di qualsiasi fondamento politico concreto, reale, perché è solo una critica e una posizione ideologica, astratta e non incidente dal e sul contesto e sulla loro cultura e tradizione, che non è quella della secolarizzazione occidentale.
Così anche la nostra critica all'OLP come governo del futuro stato palestinese suona astratta, ma non solo alle mie orecchie, ma soprattutto a quelle di un palestinese nato sotto la dominazione israeliana, oppresso da tutti, che si ribella giustamente sotto la bandiera dell'OLP e l'effige di Arafat, anche se l'insurrezione è spontanea, diretta e non pilotata. Come si fa a convincere ideologicamente chi deve rivoltarsi senza appoggiarsi a qualcosa (OLP) o a qualcuno (Arafat o altro leader)? Verso dove spostare la sua rabbia se non abbiamo esempi di cultura araba libertaria in cui cercare, lui palestinese, la sua soluzione di autodeterminazione e di convivenza pacifica tra popoli (al di la degli slogan appunto)?
Ed ecco la considerazione che non mi sembra essere emersa nel dibattito, una considerazione che cerca di essere prettamente politica e non ideologica proprio per colmare il divario culturale e l'incomunicabilità con una tradizione che forse non conosce stile libertario di approccio alla vita organizzata.
Intendo affermare che la creazione dello stato in genere, di uno stato palestinese, non è affatto la soluzione (né ideale né attuale) della "questione medio-orientale" e del popolo palestinese a maggior ragione, poiché la logica statuale nasce e si afferma secondo modalità diverse da come L'OLP ingenuamente crede di poter fare, e come le diplomazie dell'ONU, degli USA e degli altri stati compresa l'Italia credono di poter utilizzare.
Mi spiego.
Il processo di formazione dello stato-nazione è un processo lungo, aspro, violento, come si è visto storicamente nel mondo occidentale e orientale, spesso involontario, nel senso che un processo storico è il risultato di varie e differenti mosse in uno scacchiere mutevole, senza "grande vecchio" alla regia, bensì con tanti passaggi, tante fasi transitorie, tante accelerazioni e tante frenate che non è possibile riprodurre artificialmente.
Quando si forma uno stato, si accorpano violentemente popolazioni, si confinano di forza territori: questa è la legge inesorabile dello stato, in un processo storico che dura decenni e addirittura secoli. NOI anarchici possiamo non essere d'accordo con la brutalità con cui si impone questo processo formativo, ma dobbiamo prendere atto che formazione c'è stata e che i conflitti si sono da allora dislocati e trasformati (non certo risolti o dissolti).
Ebbene, una delle concause dell'accesa conflittualità nel medio-oriente è, ne sono convinto, l'anomalia del processo genetico-formativo dello stato d'Israele, che nasce non per un processo storico, bensì per una decisione artificiale che voleva simulare ciò che nella storia si forma col tempo. Questa simulazione è l'artificio, l'invenzione che crea Israele, che impone uno stato senza considerare l'esistenza o meno di quelle condizioni necessarie e sufficienti affinché una forma-stato nazionale si possa imporre forgiando da sé gli strumenti della propria formazione. La differenza non è di lana caprina: sempre di imposizione statuale si tratta, ma con modalità e risultati opposti.
Una delle regole del diritto internazionale degli stati è che la legittimità di uno stato nasce dal mero fatto della sua imposizione, non dal modo più o meno democratico e civile: Pinochet è il Cile legittimo e legittimato dagli altri stati, anche da quelli che più hanno storto il naso per il suo golpe contro Allende e le sue nefandezze di ieri e di oggi (speriamo che non esista un domani); così per L'Argentina dei desaparecidos e l'Iran dello Scià e di Khomeiny. E così sarà eventualmente per il futuro stato palestinese.
Ecco perché non convincono gli approcci diplomatici alla "questione palestinese", perché è la forza a creare lo stato, non l'accordo ragionevole; perché è la stabilità coatta di uno stato a creare la "pace armata" tra stati, e non gli accordi internazionali per la creazione, allora, di Israele, e oggi dello stato palestinese.
Percorrendo la stessa strada di ieri, oggi però in favore della Palestina, si commette lo stesso tragico errore di simulare la formazione di uno stato in mezzo ad altri stati, strappando a questi loro territori, il che o lo si fa violentemente con una guerra o non se ne fa niente. Storicamente parlando.
Quindi, niente ipocrisie o piagnistei retorici sulla lentezza diplomatica oppure riconoscimenti democratici dell'OLP come... stato inesistente: "senza territorio non vi è stato", concordo con chi l'ha scritto. Non esiste una via pacifica alla formazione di uno stato, ergo se si vuol veramente risolvere la questione del popolo palestinese in pace, la via statuale dell'OLP, degli altri stati arabi, delle diplomazie occidentali, di quella parte di Israele disponibile a negoziare con l'OLP è ipocrita e falsa. Cieca.
E allora, cosa dire ai palestinesi? Concretamente da un punto di vista politico, ovviamente di critica libertaria della politica, nella logica statuale non ci sarà pace vera per i popoli palestinese ed ebraico, per gli israeliani pacifisti e per gli arabi desiderosi di voltare pagina dopo anni e anni di guerra e di morte. Purtroppo, l'Europa ha vissuto tanti secoli di guerre che questi quarant'anni di conflitto medio-orientale ci sembrano insulsi; non è cinismo il mio, ma solo la riflessione disincantata che, paradossalmente, solo l'utopia di una via non-statuale è quella più attuale e più praticabile per i palestinesi. Da soli?
Con quali altre forze?
E soprattutto, avendo contro lo stato israeliano e gli altri stati arabi?
A questi interrogativi, sia i palestinesi che la solidarietà internazionale non danno risposta, ondeggiando su falsi obiettivi, tra fideismo miracolistico e appoggio inutile all'OLP. Non possiamo rispondere per primi, ma possiamo sforzarci di motivare al meglio le nostre ragioni cercando forze e spazi tra quei settori delle parti in causa che più diffidano di soluzioni statal-autoritarie.
Intanto, si consumano tragedie quotidiane, quelle registrate dalla storia con i grossi numeri delle vittime, dei feriti, dei mutilati, dei bimbi massacrati...

Salvo Vaccaro (Palermo)