Rivista Anarchica Online
Tra norma e devianza
di Carlo Foppa
Lo scorso autunno si è
svolto a Ginevra un Incontro Internazionale sul Tema "Norma e
devianza". In questo resoconto, la sintesi di
alcune tra le relazioni più stimolanti.
Che il difficile connubio tra
filosofia e scienza, etica e biologia, all'interno del sapere in un
sistema capitalistico costituisse una delle principali tare volte a
condannare il destino dell'umanità, l'avevano già
sospettato H. Marcuse e M. Horkheimer negli anni più
produttivi della Scuola di Francoforte (1). Il loro pessimismo, tuttavia più
radicale nel primo che nel secondo, poteva certamente essere
attribuito - da una maggioranza benpensante - a qualche tratto
ancestrale di carattere o - per i freudiani - a qualche "desiderio
represso" nell'infanzia dei due filosofi. Erano senz'altro una
minoranza coloro che, nel periodo post-bellico, vedevano nella Teoria
Critica l'esatta predizione del destino del sapere occidentale. Quando Marcuse esprimeva la
conclusione della sua analisi del sapere scientifico sostenendo che
la scienza, invece di liberare l'uomo, lo imprigiona per mezzo della
sua strumentalizzazione (2), il livello della ricerca scientifica di
quel tempo poteva assai difficilmente confermare la sua previsione. L'evoluzione della scienza, e in
particolar modo della genetica, può oggigiorno convalidare
completamente quelle ipotesi che allora sembravano fantascientifiche.
Tale constatazione si è imposta in modo anapodittico in
occasione dei recenti Incontri Internazionali di Ginevra svoltisi dal
28 settembre al 3 ottobre sul tema "Norme e Devianze".
Grazie all'iniziativa di un comitato - presieduto da Jean Starobinski
(3) - che da diversi anni organizza i "Recontres
Internationales", l'università ginevrina ha avuto
l'occasione di ascoltare numerose e diversissime conferenze su un
tema sempre di attualità: il rapporto tra norma e devianza. Ad un ritmo piuttosto sostenuto (tre
conferenze al giorno più i dibattiti) è stata offerta
l'occasione, a chiunque fosse stato interessato, di ascoltare i punti
di vista di eminenti pensatori contemporanei. Purtroppo, però,
ad approfittare dell'occasione sono stati in maggioranza i buoni
benpensanti di mezza età: è stato sconvolgente
constatare l'assenza (salvo qualche eccezione) massiccia di giovani. Il soggetto degli Incontri è
stato abbordato da svariate prospettive: dall'approccio teorico e
filosofico di Leszek Kolakowski, alle incertezze umane di un
ricercatore come Jacques Testart, il "padre" della FIVETE
(Fecondazione In Vitro E Trapianti di Embrione). Per ragioni di
spazio ci limiteremo ad analizzare le conferenze che ci sono sembrate
le più interessanti e le più importanti per quanto
concerne il rapporto fra scienza e filosofia, che è appunto il
titolo di queste nostre riflessioni.
L'antinomia norma / devianza
Non è certo un caso se un
filosofo come Kolakowski (4) ha inaugurato la serie delle conferenze
ginevrine; in effetti il suo è stato un approccio per così
dire dall'alto, un'analisi teorica dell'antinomia norma-devianza. Il titolo della sua conferenza "Norme
che comandano, norme che descrivono", è senza dubbio
rappresentativo del suo tipo di analisi: estremamente critico e
razionale, il suo ragionamento non si arresta di fronte ad alcun
dogma senza esitare, tuttavia, ad ammettere l'insolubilità di
quei quesiti che sin dalla notte dei tempi rimangono un grosso punto
interrogativo per l'uomo. Kolakowski ha cercato di definire i
vari aspetti assunti dalla norma e, correlativamente, i tipi di
devianza che ne conseguono; ma la dicotomia apparentemente semplice
fra norma descrittiva e norma prescrittiva è stata subito
messa in dubbio. Infatti oltre alla norma prescrittiva esistono altri
due tipi di norma: una descrittiva e una tecnica . La prima non è
altro che l'indice di frequenza di un determinato fenomeno (e in
fondo potrebbe essere presente anche nel regno animale, basti pensare
al riflesso di Pavlov), in rapporto a questo tipo di norma troviamo
una devianza che si può definire come la rarità,
l'eccezione. Ad esempio, il fatto che ogni giorno
sorge il sole, è un fenomeno costante che ci permette di
inferire che è normale che continui a sorgere, se tuttavia si
produce un'eclissi, ci troviamo di fronte al "caso raro",
all'eccezione, alla devianza naturale. La norma tecnica, che in un
certo senso potrebbe situarsi a metà strada fra la norma
descrittiva e quella prescrittiva, tende a determinare le condizioni
necessarie per realizzare uno scopo prefissato; e la devianza
relativa a tale tipo di norma consiste nel non ottenimento dello
scopo. Noi sappiamo, per esempio, che per
trasformare l'acqua dallo stato liquido a quello gassoso occorrono
una temperatura di 100° e una determinata pressione atmosferica;
tuttavia, se noi tentassimo l'esperimento a una quota di 7000 metri
di altitudine senza variare la temperatura, non otterremmo lo scopo
prefissato e in ciò consiste la devianza per quanto concerne
le norme tecniche. Nei due casi finora analizzati non interviene il
fenomeno etico, si tratta di norme che si determinano spontaneamente
e che non si fondano su elementi opinabili. Il discorso è
completamente diverso per quanto riguarda la norma prescrittiva,
innanzitutto poiché nei casi precedenti non esiste alcun
principio suscettibile di essere arbitrario e, secondariamente, - e
di conseguenza - non esiste alcuna volontà di trasgredire la
norma determinatasi. Kolakowski, rifacendosi all'antichità
greca, sottolinea come il comportamento etico prescritto fosse in
funzione dei rapporti con le divinità, e si chiede di
conseguenza se sia o meno legittima una norma morale che obblighi
l'uomo a rispettare le leggi quali esse siano e, con elegante ironia,
definisce "poco raccomandabile" un simile atteggiamento; è
fin troppo chiaro che è necessario "trasgredire le leggi
che violano i diritti dell'uomo"(5). Nell'ambito delle norme
prescrittive è inevitabile fare appello a un sistema di
valori, a criteri etici che possono in una certa misura legittimare
una seppur minima imposizione che garantisca il rispetto tra gli
esseri umani. Secondo Kolakowski, nella storia della filosofia
occidentale sono identificabili due punti di vista contrapposti che
hanno tentato invano di risolvere il problema del rapporto tra la
norma prescrittiva e l'etica su cui essa dovrebbe fondarsi. In Leibniz tale rapporto si risolveva
con una cieca sottomissione dell'uomo alla volontà divina, di
conseguenza, essendo Dio considerato l'unione di volontà e
saggezza, tutto ciò che accade nel mondo si giustifica per
tale volontà e non può essere finalizzato che al bene
dell'essere umano. È
fin troppo evidente l'illegittimità razionale di una simile
posizione che confonde la legge naturale con una sorta di normativa
voluta da Dio. Il "criterio" di Leibniz sfugge
completamente alla giustificazione della ragione umana: è
ingenuo e semplicistico illudersi di risolvere il problema del
rapporto tra norma prescrittiva e etica fondandosi su un
soprannaturale che permetterebbe sia il bene che il male in egual
misura. In fondo il criterio di confutazione della posizione
leibniziana è lo stesso che vale per la sottomissione alla
volontà degli dei nella Grecia antica. Con Nietzsche si passa
all'estremo opposto: praticamente non esiste una situazione inumana
e, attraverso il principio della volontà di potenza, non viene
nemmeno più posto il problema etico. Nel pensiero del
nichilista tedesco l'apparente, illusoria, abolizione dei valori si
rivela in realtà come un postulato indispensabile per
giustificare la volontà di potenza e, più banalmente,
la sopraffazione dell'uomo "forte" sul presunto "debole". La principale norma prescrittiva della
filosofia di Nietzsche - secondo l'analisi di Kolakowski - sembra
formulabile nel modo seguente: dal momento che i valori esistenti non
sono autentici, occorre rifarsi alla natura per osservare in essa il
principio fondamentale che è la volontà di potenza,
ergo si giustifica ogni espansione della forza per il semplice fatto
che ciò è osservabile in natura. Argomentazione
piuttosto debole, la cui arbitrarietà è ben smascherata
dalla metafora con cui Kolakowski sintetizza, forse un po'
brutalmente, tale punto di vista: "Se il cancro divora
l'organismo, è perché ha una ragione necessaria a
farlo" (6). Ci sembra chiaro che non è
certo con la totale assenza di norme che si realizza il sogno
anarchico, in Nietzsche ciò risulta sin troppo evidente dal
momento che l'anomia si trasforma in una situazione ideale per la
legge della giungla.
Ma l'uomo è uno solo
Una norma non è etica alla
condizione di essere prescrittiva - sia chiaro -, esiste una norma
etica che può essere soltanto indicativa, ma essa è
legittima solo se si giustifica in base alla ragione umana. Ora,
l'unico sistema in grado di fornire delle basi etiche razionali senza
sprofondare nei miti, sembra essere l'idealismo kantiano; infatti è
solo tramite l'Imperativo categorico di Kant che è possibile
fondare un'etica a misura d'uomo che garantisca il reciproco rispetto
degli esseri umani. Se poi le norme che ne derivano siano
prescrittive (leggi) o indicative, questo è un problema che
compete più al politico che non al filosofo; e la posizione di
Kolakowski, orientata verso la Ragione trascendentale, potrebbe anche
essere interpretata come un invito rivolto ai politici a mettere in
forse la roccaforte di quelle apparenti certezze che reggono le norme
prescrittive. La polemica tra sistema kantiano e
utilitarismo ha fornito lo spunto per affrontare il problema del
relativismo morale; secondo Kolakowski a partire addirittura dal
Rinascimento si è assistito a un'estensione progressiva del
principio secondo cui tutte le morali sarebbero in funzione delle
culture, idea che può anche essere interpretata in termini di
"ogni popolo ha la morale che si merita". Se è vero che tale concezione
si è sviluppata a partire dal rinascimento, è ancor più
vero che essa ha raggiunto il suo apice in molti ideologi del '68; in
quegli anni chi si permetteva di criticare l'obbligo del chador per
le donne, la circoncisione selvaggia, o le amputazioni degli arti per
i ladri, veniva additato e etichettato come "reazionario" o come
"neocolonialista". Oggi è più difficile
confondere il colonialismo "missionario" con il rispetto
dell'essere umano, il fatto è che l'uomo è uno solo e
le libertà che gli spettano, in base all'etica determinata
dalla ragione, devono essere le stesse per tutti. Se ci si batte in
Europa contro la violazione del diritto umano di rifiutare il
servizio militare, non si capisce perché non ci si dovrebbe
battere in altri paesi in cui la libertà umana è
violata in modo ben più... fisiologico. È d'altra parte
chiaro anche il rischio di uniformizzazione culturale che può
portare a posizioni molto pericolose. Quello del relativismo morale è
stato il penultimo punto trattato d Kolakowski che - purtroppo - ha
concluso la sua conferenza ribadendo il suo scetticismo di fronte
alla "utopia" di una società senza norme;
l'abolizione delle norme (prescrittive) sarebbe inaccettabile in
quanto porterebbe alla sostituzione delle stesse a favore di altre
norme che rischierebbero la stessa potenziale arbitrarietà
delle precedenti. Tutto sommato, nel corso della sua
conferenza, Kolakowski ha privilegiato l'analisi delle "norme
che comandano", ed era inevitabile visto che per le norme
descrittive non sembra porsi alcun problema morale; la sua
conclusione è stata, in un certo senso, un invito ad un
pacifico pluralismo: l'antinomia "norma-devianza" incarna
in fondo l'irriducibilità della contraddizione, che sembra
costituire la peculiarità della condizione umana.
Don Chisciotte e la "maggioranza
deviante"?
Affrontando il problema del rapporto
norme-devianze, ci sembra inevitabile il riferimento al libro di
Franco Basaglia non foss'altro che per ricordare la sua attività
volta a restituire quei diritti di cui vengono privati i "devianti"
(7). Jacques Testart (8) non è né
un "pazzo" né un promotore della "180", è
tuttavia considerato un deviante della "casta" dei
ricercatori in genetica in quanto egli per primo ha messo in guardia
l'opinione pubblica e la scienza stessa di fronte al pericolo di una
ricerca abbandonata a se stessa. Assieme a René Frydman, Testart
è il "padre" del primo bambino in provetta:
Amandine, che al momento della sua nascita (1982) costituì per
diverso tempo il centro d'attenzione dell'industria-spettacolo dei
mass-media francesi. Attualmente egli si sta battendo per un
controllo severo e una regolamentazione a misura d'uomo nell'ambito
della ricerca scientifica; alla domanda "quali sono i limiti che
deve porsi lo scienziato in genetica?" ha risposto (9): "se
ho abbandonato è proprio perché non conosco la risposta
giusta (...) i Comitati Etici (che dovrebbero fornire delle leggi,
n.d.a.) non sono pluridisciplinari, bensì formati per la
maggior parte da medici (...) è scandaloso che si lascino
agire dei "tecnici" senza alcun controllo". Tuttavia se gli scienziati lo
considerano deviante in quanto avrebbe "tradito" la causa
della ricerca scientifica, noi preferiamo considerarlo piuttosto un
Donchisciotte che, battendosi per un'umanizzazione della scienza, si
trova di fronte una massa compatta e chiusa di scienziati per i quali
esistono difficilmente dei limiti da porre alla ricerca. Ci sembra
infatti più "deviante" produrre degli esseri a metà
strada tra l'uomo e l'animale (10) in laboratorio che avere il
coraggio di ammettere la propria inquietudine di fronte a un campo
della ricerca scientifica in cui - bene o male - il fine ultimo può
diventare quello di produrre il superuomo. Testart ha iniziato la sua conferenza
esprimendo un punto di vista certamente scomodo per molti suoi
colleghi: la scienza, con la diffusione degli istituti di ricerca, è
ormai diventata una vera e propria industria. L'impronta dell'uomo
invade tutta la natura, e sin da quando si è iniziato ad
allevare gli animali, l'uomo ha costantemente praticato una selezione
in funzione dei propri bisogni. (Teniamo presente che Testart è
innanzitutto agronomo ed ha lavorato per diversi anni sulla
riproduzione dei bovini). La scienza ha, oggi, la possibilità
di intervenire geneticamente sui viventi per produrre degli animali
sempre più... sofisticati; la mucca, ad esempio, può
venir modificata affinché produca un latte più utile
all'essere umano. Tramite la selezione artificiale si
crea "l'animale nuovo" conforme alla nuova norma che l'uomo
ha stabilito; se la selezione naturale crea la devianza, quella
artificiale determina la norma, umana però. Significativa l'espressione usata da
Testart per definire questo atteggiamento: "Soltanto l'uomo ha
il potere di attribuirsi dei poteri", e l'illusione scientifica
più inquietante è proprio il tentativo di produrre
degli uomini identici. La natura umana crea spontaneamente la
devianza più di quanto non accada nel regno animale: pare
infatti che 1/5 degli ovuli umani prodotti siano delle cellule
completamente sregolate, il che significa che potenzialmente un
individuo su quattro sarebbe handicappato. Questo destino è
peculiare alla specie umana e non a quella animale in quanto l'uomo -
biologicamente - tende a riprodursi in età troppo avanzata, ad
ogni momento e sempre con il medesimo partner (intendiamoci: questa è
la spiegazione genetica). La fecondazione in vitro con trapianto
d'embrione (sistema messo a punto dall'equipe di Testart e conosciuto
come FIVETE) è un'arma a doppio taglio: da una parte permette
a una coppia di avere dei figli (in questo senso ha una funzione
terapeutica in quanto può supplire a una deficienza naturale),
dall'altra, tuttavia, rende possibile l'identificazione dell'embrione
normale o "deviante". Questo secondo aspetto diventa a sua
volta fonte di inquietanti problemi: in che misura una coppia
accetterebbe di portare al termine la gravidanza avendo la certezza
dell'anormalità del nascituro? Con quale diritto i genitori
potrebbero decidere di offrire al proprio figlio una vita diversa (e
non certo più facile) di quella offerta agli altri? Da diversi anni è possibile
praticare la diagnosi pre-natale, cioè ad alcuni mesi prima
del parto il medico può sapere se il nascituro sarà, o
meno, normale. In caso negativo, su richiesta, può venir
praticato un aborto (rispettando i limiti stabiliti
convenzionalmente) con tutte le conseguenze traumatiche che esso
implica e per la madre e per la coppia. Con la fecondazione in vitro
è possibile praticare la stessa diagnosi già a livello
embrionale, prima che l'ovulo fecondato sia trapiantato nell'utero;
in questo caso l'"aborto" eventuale consisterebbe
semplicemente nel gettar via (?!?!) una provetta eliminando così
tutte le conseguenze traumatiche di cui si parlava. A questo punto si può forse
capire perché in Francia, fino a un anno fa le coppie che
ricorrevano alla FIVETE erano tutte sterili, mentre oggi soltanto il
50% delle coppie che utilizzano la fecondazione in vitro lo sono
(11). Testart, pur opponendosi radicalmente
a quella che lui stesso definisce una "squalifica" degli
embrioni devianti prima del trapianto uterino, ammette che l'"aborto"
della provetta è sempre meno problematico di un aborto vero e
proprio. Ma il grosso problema della FIVETE sta
nel fatto che essa rende possibile non solo il rifiuto della
devianza, bensì anche e soprattutto la scelta del migliore; è
un dato di fatto che molte coppie scelgono il sesso del bambino. Lo
stato, dopo aver esteso i suoi tentacoli monopolistici sul tabacco,
sull'alcol e sul sesso (AIDS), potrebbe anche progettare di
controllare non solo la progenitura delle coppie "a rischio"
ma anche quella delle altre coppie (12). È
facile immaginare le conseguenze estreme di un simile delirio. Il fatto è che la medicina
genetica (come altri campi della tecnica) sta sempre più
sfuggendo al controllo umano e, quel che è peggio, perde di
giorno in giorno il suo scopo principale che dovrebbe essere quello
terapeutico; stabilire la norma genetica o selezionarla non è
un modo per attenuare la sofferenza umana, in tal caso la medicina
non è curativa, tanto più che interviene dopo la
procreazione della devianza. Un simile atteggiamento in primo luogo
rivela una volontà di controllo sociale sull'identità
del bambino ormai ridotto a semplice oggetto, secondariamente esalta
fino al delirio il mito di un'onnipotenza tecnologica a scapito della
diversità degli esseri. Jacques Testart ha deciso di fermarsi,
di non andare oltre; e il titolo del suo libro più celebre -
L'oeuf transparent- è una critica
radicale alla pretesa scientifica di rendere trasparente proprio ciò
che da sempre rimane nel mistero. La conclusione della sua conferenza ha
ripreso quel tono simpaticamente provocatorio che all'inizio non
aveva certo lasciato indifferenti i suoi colleghi: "La scienza -
conclude Testart - è sempre stata opposta al dogmatismo
religioso, tuttavia nella nostra società essa è
accettata come un magistero dogmatico intoccabile" e con un vago
senso di amaro egli constata che "l'umanismo cede il posto
all'economismo".
I Comitati Etici una soluzione
possibile?
Emil Durkheim, nel suo saggio sul
suicidio (13), definiva lo stato anomico come la situazione storica in
cui, all'interno di una determinata collettività, le norme
morali (e non solo) perdono progressivamente il loro valore
(indicativo o prescrittivo). Letteralmente - in questa sede può
apparire retorico precisarlo - l'anomia è l'assenza di norme
(prescrittive, descrittive o tecniche), e l'attuale situazione della
ricerca genetica appare proprio tale dal punto di vista etico nella
misura in cui non esistono norme prescrittive in grado di porre dei
limiti alle attività dei ricercatori. Per quanto sia criticabile la ricerca
scientifica, è un dato di fatto che essa esiste e che fa parte
del nostro vivere di ogni giorno, è quindi di scarso aiuto
nascondersi dietro la vana utopia di una società senza
tecnologia né ricerca scientifica. Occorre invece affrontare direttamente
la situazione che si è venuta a creare e fare il possibile
affinché non degeneri ulteriormente. Come già si poteva supporre
dalla posizione di Testart, la ricerca genetica si trova in una vera
e propria situazione anomica, in cui qualsiasi delinquente laureato
può realizzare i propri esperimenti aberranti. La conferenza della psichiatra e
filosofa Anne Fagot-Largeault (intitolata "Bio-etica e
regolamentazione della ricerca")(14) è stata una messa a
punto dell'attuale situazione della limitazione della ricerca
scientifica; una conferenza assai interessante quanto inquietante, ci
basti accennare brevemente ad alcuni aneddoti venuti alla luce
durante la sua conferenza. In Francia esistono attualmente degli
schedari del cancro: le persone afflitte da tale malattia sono tutte
schedate in modo nominativo su registri accessibili solo ai medici,
quel che è peggio è che principalmente molto spesso il
malato non sa nemmeno di avere il cancro, e secondariamente viene
sistematicamente violato il segreto professionale. Il Consiglio
d'Europa per le ricerche mediche ha solo recentemente proibito in
modo formale certi esperimenti genetici, come ad esempio la
produzione di ibridi a metà strada tra l'uomo e l'animale. Ci
sia concesso un ultimo aneddoto, quasi lugubremente surrealista: in
Inghilterra uno dei primi genitori di figli in provetta ha chiesto se
fosse possibile "allevare" degli embrioni umani in uteri
animali... speriamo che il suo interesse fosse solamente
"scientifico". La bioetica nasce come tentativo di
stabilire delle limitazioni morali alla ricerca scientifica, ed è
forse la prova più evidente dell'esattezza delle previsioni
già espresse da Marcuse e Horkheimer mezzo secolo fa. Dopo
pochi anni si sono creati in Europa dei Comitati Etici che hanno il
preciso scopo di fornire delle norme umane che limitino la ricerca
scientifica, nella speranza di proteggere i diritti umani. Tuttavia,
malgrado il fine umanamente lodevole di tale iniziativa, sussistono
svariati problemi: principalmente si sa molto poco sui criteri
adottati per scegliere i membri di tali comitati - che si suppongono
pluridisciplinari; secondariamente è legittimo chiedersi con
quale diritto una micro-società possa stabilire delle norme
concernenti tutta la società. In Francia, ad esempio, esiste da
pochi anni una cosiddetta Commissione Nazionale dell'Informatica e
della Libertà, che dovrebbe garantire all'individuo la
protezione della propria personalità; in teoria ogni scheda
individuale (per qualunque ragione venga istituita) deve essere
annunciata a tale commissione la quale può proibire una
schedatura giudicata inutile o contraria alla libertà del
singolo. Nell'ambito della ricerca medica
(specialmente genetica) la situazione appare molto meno
controllabile: solo l'Australia, infatti, possiede attualmente una
legislazione approvata proprio per limitare gli abusi delle ricerche
mediche, nel resto del mondo sono pochi i paesi in cui esistono i
Comitati Etici (che tuttavia non hanno potere legislativo). Se
consideriamo che oggi, malgrado le regolamentazioni, esistono dei
casi di trasgressione, è facile, quanto sconcertante,
immaginare cosa accadeva pochi anni or sono quando non esisteva
nemmeno la necessità di stabilire delle leggi atte a limitare
la ricerca scientifica sull'uomo. A questo punto si impone una
constatazione vagamente paradossale: in un continente come l'Europa
in cui ci si batte (a giusta ragione) per la protezione degli
animali, non esiste la ben che minima garanzia di protezione
dell'essere umano. Anne Fagot-Largeault ha strutturato la sua analisi
della bioetica secondo tre situazioni: nella prima ci si trova in
presenza di una tradizione culturale forte in cui l'individualità
dell'umano dovrebbe essere rispettata grazie a delle leggi precise
che - spesso - rischiano di limitare la ricerca scientifica.
Occhio all'ingenuità
Tuttavia la filosofa-medico francese
sembra lasciarsi abbagliare da un vago ottimismo; è appunto
per esemplificare una tradizione culturale forte che la
Fagot-Largeault cita il caso di quella Commissione Nazionale
dell'Informatica e della Libertà, come se la semplice
esistenza di una struttura bastasse a garantire un funzionamento
umano e indiscriminato. Il fatto che esistono tribunali non implica
affatto che la giustizia sia amministrata per tutti allo stesso modo.
Sostenere che in tale situazione le leggi limitano lo spazio d'azione
del ricercatore è un'affermazione vacua non meno di quella
secondo cui la barriera di un passaggio a livello limiterebbe la
nostra libertà di essere travolti dal treno; il fatto è
che quanto più è alto il rischio di violare il rispetto
dell'essere umano, tanto più occorrono delle limitazioni che,
per quanto in generale deprecabile, nel caso in questione si rivelano
assolutamente indispensabili. Nel secondo tipo di situazione, una
tradizione culturale debole determina un largo e tacito consenso a
favore della ricerca, in altri termini si fa affidamento alla
presunta auto-limitazione di quella scienza che Testart definisce
"magistero dogmatico intoccabile". Questo secondo caso si
rivela però ben più inquietante del precedente;
fondarsi su un "largo" consenso internazionale sulle regole
di buona condotta (15) in riferimento ai ricercatori, ci sembra una
posizione un po' ingenua, tanto più se si considera che solo
in un recente congresso svoltosi ad Ottawa sulla ricerca medica, sono
state stabilite le tre principali limitazioni in merito:
a. Il medico non ha il diritto di fare
degli esperimenti su un paziente senza il suo consenso b. Il medico
che applica una tecnica nuova (sperimentale) è tenuto a
valutare i rischi della propria ricerca c. Occorre evitare di sfruttare gli
ospedali pubblici (poveri) per mettere a punto delle tecniche costose
e quindi utilizzabili soltanto in cliniche private.
Viene da chiedersi se fosse necessario
un convegno di medici per giungere a principi così evidenti. In questo secondo tipo di situazione,
come d'altronde anche nel successivo, ci si trova in una vera e
propria situazione anomica in cui l'assenza di prescrizioni genera
inevitabilmente l'istituzionalizzazione del non rispetto dell'essere
umano; di conseguenza i paesi che vivono questo stato di cose (la
Francia ad esempio) sono stati fra i primi a promuovere la formazione
di comitati etici. Nel Comitato di Bicêtre
troviamo sei medici e sei "profani" che, assieme, devono
esaminare dei protocolli di ricerca e accordare, o meno, al medico
l'autorizzazione: ora, indipendentemente dal problema dei criteri con
cui vengono scelti i membri di tale comitato, sussiste il fatto che
nella maggior parte dei casi di rifiuto dell'autorizzazione la
ragione è attribuita al fatto che il progetto in questione non
disporrebbe di un sufficiente interesse scientifico (16). Vi è poi tutta una serie di
questioni che si presentano nei singoli casi, basti pensare a quelle
situazioni in cui il paziente non è cosciente oppure è
affetto da infermità mentale; inoltre, l'aspetto più
sconcertante è che buona parte delle discussioni verte sul
modo con cui persuadere il "malato" circa l'utilità
della ricerca che verrebbe fatta su di lui. La terza ed ultima situazione, che
sembra caratterizzare buona parte del mondo occidentale, è
quella in cui i ricercatori stessi, non disponendo di
regolamentazioni né implicite né esplicite, si
rivolgono ai politici affinché provvedano a tali deficienze. Attualmente però l'Australia è
il solo paese in cui esiste una vera e propria legge concernente sia
la ricerca medica che quella genetica; per il resto è - come
sempre - lo stato a nominare una commissione incaricata di formare
dei comitati etici. È facile supporre che quei
paesi privi di leggi o istituzioni atte a limitare la ricerca saranno
quelli che avanzeranno più velocemente nel campo tecnologico,
ma è altrettanto chiaro il prezzo in tal caso pagato dalla
dignità umana vedendosi sopraffatta e "spremuta" da
quella volontà di sapere che, mascherandosi dietro lo scopo
terapeutico umanitario, nasconde una sete di potere dell'uomo
sull'uomo. La conclusione di Anne Fagot-Largeault
è tuttavia molto più ottimistica di quanto non
avrebbero lasciato supporre le sue constatazioni: la soluzione del
problema di un'etica della scienza consiste nel trovare il giusto
equilibrio tra uomo come soggetto di ricerca e uomo come oggetto di
ricerca. Infine, se si ammette che la salute può anche essere
concepita come la capacità di attribuirsi delle norme, allora
l'esistenza della bioetica è una prova di buona salute della
nostra società.
La speranza di una soluzione
Lungi dal condividere l'ottimismo
della medico-filosofa francese, ci sembra tuttavia auspicabile uno
sviluppo nella direzione data dai Comitati Etici; come dicevamo
precedentemente è inutile sperare nell'abolizione della
scienza o della ricerca ad essa relativa, urge soltanto intervenire
prima che sia troppo tardi. Fissare delle regole e limitare la
libertà non è certo gradevole, ma quella della ricerca
scientifica sfrenata e incontrollata non è una forma di
libertà in quanto autorizza la sopraffazione dell'uomo
sull'uomo; occorre perciò limitarla razionalmente senza
sconfinare nel radicalismo ottuso di chi si illude di poter fare a
meno della scienza che, anche come "male necessario", non
offre soltanto svantaggi. Ora, affinché questa
indispensabile limitazione sia realizzata in modo legittimo, è
necessario orientarsi in una direzione diversa sia dal dogmatismo
leibniziano che da quell'anomia selvaggia di Nietzsche; soltanto la
Ragione universale umana in senso kantiano può fornire il
giusto orientamento, che non è una moderata via di mezzo
borghese, bensì una valutazione razionale operata dall'uomo a
misura d'uomo. L'anomia etica della ricerca
scientifica, apparsa in modo così chiaro nelle riflessioni di
Testart e della Fagot-Largeault, sintetizza perfettamente la diagnosi
di Marcuse e di Horkheimer: se la scienza si autonomizza perde la sua
funzione emancipativa per l'essere umano e lo rende schiavo. L'agire
scientifico può legittimarsi soltanto grazie a una riflessione
filosofica condotta a misura d'uomo e quindi razionale e,
reciprocamente l'uomo può salvarsi dalla catastrofe soltanto
se riesce a fornire alla scienza un supporto umano che ne impedisca
l'autonomizzazione. Max Horkheimer ed Herbert Marcuse (e
più recentemente Júrgen Habermas) avevano saputo
prevedere molto chiaramente il principale rischio di una concezione
"cartesiana" (17) della scienza, la filosofia aveva così
confermato ulteriormente la sua utilità per l'uomo, ma come
sempre quest'ultimo ha preferito dimenticare e, prediligendo la sua
sete di sapere-potere, ha preferito lasciare la scienza in balìa
di se stessa. Al di là delle aberrazioni
potenzialmente fornite dalla ricerca genetica, rimangono le
catastrofi di Chernobyl e di Three Mile Island (per non parlare di
Hiroshima) nelle quali si può trovare un'ulteriore conferma
del pericolo di una scienza autonomizzata, che sfugge ormai sempre
più al controllo umano. Se non vogliamo trovarci
improvvisamente a vivere il suicidio collettivo verso cui stiamo
andando, è necessario fermarsi un attimo a riflettere su ciò
che sta accadendo in silenzio, dietro le quinte; e il presente
resoconto - speriamo - dovrebbe fornire uno spunto minimo per una
riflessione indispensabile al solo fine di salvare l'uomo.
(1)
Ci riferiamo alla concezione della scienza secondo la Scuola di
Francoforte, e più precisamente nei libri seguenti: H.
Horkheimer, Teoria Critica, Einaudi, Torino, 1974. H.
Marcuse, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1967. J.
Habermas, Teoria e prassi nella società tecnologica,
Laterza, Roma-Bari, 1978.
(2)
H. Marcuse, o. cit.
(3)
Jean Starobinski, psichiatra e Dottore in Lettere è uno fra i
personaggi più noti della critica letteraria francese.
(4)
Leszek Kolakowski nasce nel 1927 a Radom, in Polonia, laureandosi in
filosofia alla Università di Lodz. Assistente di logica dal
1947 al 1949, si dedica poi alla storia della filosofia e delle
religioni diventando titolare della cattedra di Storia della
filosofia all'Università di Varsavia, perde tuttavia il posto
nel marzo 1968 per ragioni politiche. Prosegue perciò la sua
carriera all'estero, nel 1968 è nominato "Visiting
Professor" all'Università Mc Gill (Montréal), in
seguito all'Università di Berkeley. Lo stesso anno è
nominato "Senior Research follow" al All Souls College di
Oxford dove vive tutt'ora. Dopo aver insegnato nel '75 a Yale, dopo
il 1982 insegna all'università di Chicago. Premio della Pace
1977 e Premio Erasmo 1983.
(5)
Citiamo testualmente le parole di Kolakowski.
(6)
ldem.
(7)
Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro, La
maggioranza deviante,
Einaudi, Torino, 1978.
(8)
Jacques Testart, nato nel 1939, ha una formazione di agronomo. Nel
1964 si specializza nello studio della riproduzione dei mammiferi
domestici dedicandosi particolarmente al trapianto di embrione presso
la razza bovina. Dopo aver cambiato orientamento, conduce da una
decina d'anni delle ricerche sulla procreazione umana; tali ricerche
l'hanno portato a far nascere il primo bambino in provetta francese
(Amandine, nata nel 1982). Oggi è direttore di ricerca
all'lnstitut National de la Santé et de la Recherche Médicale
(INSERM) e responsabile del laboratorio per la fecondazione in vitro
presso l'ospedale Antoine Béclere di Clamart.
(9)
La domanda è stata rivolta a Testart durante il dibattito che
ha seguito la conferenza.
(10)
Che tale aberrazione sia ormai "moneta corrente"
nell'ambito della ricerca genetica è poi stato ulteriormente
confermato nella conferenza di Anne Fagot-Largeault.
(11)
La percentuale è fornita dallo stesso Testart.
(12)
L'ipotesi è di Testart.
(13)
Purtroppo,
disponendo
soltanto
dell'edizione francese, rinviamo ad essa: Emil Durkheim, Le
suicide,
PUF, Paris, 1983.
(14)
Anne Fagot-Largeault nasce a Parigi nel 1938, laureatasi in filosofia
nel 1961, ottiene il Dottorato dieci anni dopo all'università
di Stanford; nel 1978 si laurea in medicina per presentare poi un
altro Dottorato in Lettere nel 1986 a Paris X. Tra il 1986 e il 1987
è
"Maitre
de
conferences"
in filosofia a Paris XII
ed ha un consultorio di psichiatria all'ospedale Henri Mondor de
Creuteil a
Parigi.
(15)
Citiamo direttamente il termine usato dalla Fagot-Largeault
(16) È, almeno, quanto
afferma la Fagot-Largeault.
(17)
Ci riferiamo alla differenziazione descritta da M. Horkheimer in
"Teoria tradizionale e Teoria Critica", cfr. pp.
135-195 dell'edizione italiana citata.
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