Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 152
febbraio 1988


Rivista Anarchica Online

Tra norma e devianza
di Carlo Foppa

Lo scorso autunno si è svolto a Ginevra un Incontro Internazionale sul Tema "Norma e devianza". In questo resoconto, la sintesi di alcune tra le relazioni più stimolanti.

Che il difficile connubio tra filosofia e scienza, etica e biologia, all'interno del sapere in un sistema capitalistico costituisse una delle principali tare volte a condannare il destino dell'umanità, l'avevano già sospettato H. Marcuse e M. Horkheimer negli anni più produttivi della Scuola di Francoforte (1).
Il loro pessimismo, tuttavia più radicale nel primo che nel secondo, poteva certamente essere attribuito - da una maggioranza benpensante - a qualche tratto ancestrale di carattere o - per i freudiani - a qualche "desiderio represso" nell'infanzia dei due filosofi. Erano senz'altro una minoranza coloro che, nel periodo post-bellico, vedevano nella Teoria Critica l'esatta predizione del destino del sapere occidentale.
Quando Marcuse esprimeva la conclusione della sua analisi del sapere scientifico sostenendo che la scienza, invece di liberare l'uomo, lo imprigiona per mezzo della sua strumentalizzazione (2), il livello della ricerca scientifica di quel tempo poteva assai difficilmente confermare la sua previsione.
L'evoluzione della scienza, e in particolar modo della genetica, può oggigiorno convalidare completamente quelle ipotesi che allora sembravano fantascientifiche. Tale constatazione si è imposta in modo anapodittico in occasione dei recenti Incontri Internazionali di Ginevra svoltisi dal 28 settembre al 3 ottobre sul tema "Norme e Devianze". Grazie all'iniziativa di un comitato - presieduto da Jean Starobinski (3) - che da diversi anni organizza i "Recontres Internationales", l'università ginevrina ha avuto l'occasione di ascoltare numerose e diversissime conferenze su un tema sempre di attualità: il rapporto tra norma e devianza.
Ad un ritmo piuttosto sostenuto (tre conferenze al giorno più i dibattiti) è stata offerta l'occasione, a chiunque fosse stato interessato, di ascoltare i punti di vista di eminenti pensatori contemporanei. Purtroppo, però, ad approfittare dell'occasione sono stati in maggioranza i buoni benpensanti di mezza età: è stato sconvolgente constatare l'assenza (salvo qualche eccezione) massiccia di giovani.
Il soggetto degli Incontri è stato abbordato da svariate prospettive: dall'approccio teorico e filosofico di Leszek Kolakowski, alle incertezze umane di un ricercatore come Jacques Testart, il "padre" della FIVETE (Fecondazione In Vitro E Trapianti di Embrione). Per ragioni di spazio ci limiteremo ad analizzare le conferenze che ci sono sembrate le più interessanti e le più importanti per quanto concerne il rapporto fra scienza e filosofia, che è appunto il titolo di queste nostre riflessioni.

L'antinomia norma / devianza
Non è certo un caso se un filosofo come Kolakowski (4) ha inaugurato la serie delle conferenze ginevrine; in effetti il suo è stato un approccio per così dire dall'alto, un'analisi teorica dell'antinomia norma-devianza.
Il titolo della sua conferenza "Norme che comandano, norme che descrivono", è senza dubbio rappresentativo del suo tipo di analisi: estremamente critico e razionale, il suo ragionamento non si arresta di fronte ad alcun dogma senza esitare, tuttavia, ad ammettere l'insolubilità di quei quesiti che sin dalla notte dei tempi rimangono un grosso punto interrogativo per l'uomo.
Kolakowski ha cercato di definire i vari aspetti assunti dalla norma e, correlativamente, i tipi di devianza che ne conseguono; ma la dicotomia apparentemente semplice fra norma descrittiva e norma prescrittiva è stata subito messa in dubbio. Infatti oltre alla norma prescrittiva esistono altri due tipi di norma: una descrittiva e una tecnica . La prima non è altro che l'indice di frequenza di un determinato fenomeno (e in fondo potrebbe essere presente anche nel regno animale, basti pensare al riflesso di Pavlov), in rapporto a questo tipo di norma troviamo una devianza che si può definire come la rarità, l'eccezione.
Ad esempio, il fatto che ogni giorno sorge il sole, è un fenomeno costante che ci permette di inferire che è normale che continui a sorgere, se tuttavia si produce un'eclissi, ci troviamo di fronte al "caso raro", all'eccezione, alla devianza naturale.
La norma tecnica, che in un certo senso potrebbe situarsi a metà strada fra la norma descrittiva e quella prescrittiva, tende a determinare le condizioni necessarie per realizzare uno scopo prefissato; e la devianza relativa a tale tipo di norma consiste nel non ottenimento dello scopo.
Noi sappiamo, per esempio, che per trasformare l'acqua dallo stato liquido a quello gassoso occorrono una temperatura di 100° e una determinata pressione atmosferica; tuttavia, se noi tentassimo l'esperimento a una quota di 7000 metri di altitudine senza variare la temperatura, non otterremmo lo scopo prefissato e in ciò consiste la devianza per quanto concerne le norme tecniche. Nei due casi finora analizzati non interviene il fenomeno etico, si tratta di norme che si determinano spontaneamente e che non si fondano su elementi opinabili. Il discorso è completamente diverso per quanto riguarda la norma prescrittiva, innanzitutto poiché nei casi precedenti non esiste alcun principio suscettibile di essere arbitrario e, secondariamente, - e di conseguenza - non esiste alcuna volontà di trasgredire la norma determinatasi.
Kolakowski, rifacendosi all'antichità greca, sottolinea come il comportamento etico prescritto fosse in funzione dei rapporti con le divinità, e si chiede di conseguenza se sia o meno legittima una norma morale che obblighi l'uomo a rispettare le leggi quali esse siano e, con elegante ironia, definisce "poco raccomandabile" un simile atteggiamento; è fin troppo chiaro che è necessario "trasgredire le leggi che violano i diritti dell'uomo"(5). Nell'ambito delle norme prescrittive è inevitabile fare appello a un sistema di valori, a criteri etici che possono in una certa misura legittimare una seppur minima imposizione che garantisca il rispetto tra gli esseri umani. Secondo Kolakowski, nella storia della filosofia occidentale sono identificabili due punti di vista contrapposti che hanno tentato invano di risolvere il problema del rapporto tra la norma prescrittiva e l'etica su cui essa dovrebbe fondarsi.
In Leibniz tale rapporto si risolveva con una cieca sottomissione dell'uomo alla volontà divina, di conseguenza, essendo Dio considerato l'unione di volontà e saggezza, tutto ciò che accade nel mondo si giustifica per tale volontà e non può essere finalizzato che al bene dell'essere umano. È fin troppo evidente l'illegittimità razionale di una simile posizione che confonde la legge naturale con una sorta di normativa voluta da Dio. Il "criterio" di Leibniz sfugge completamente alla giustificazione della ragione umana: è ingenuo e semplicistico illudersi di risolvere il problema del rapporto tra norma prescrittiva e etica fondandosi su un soprannaturale che permetterebbe sia il bene che il male in egual misura. In fondo il criterio di confutazione della posizione leibniziana è lo stesso che vale per la sottomissione alla volontà degli dei nella Grecia antica. Con Nietzsche si passa all'estremo opposto: praticamente non esiste una situazione inumana e, attraverso il principio della volontà di potenza, non viene nemmeno più posto il problema etico. Nel pensiero del nichilista tedesco l'apparente, illusoria, abolizione dei valori si rivela in realtà come un postulato indispensabile per giustificare la volontà di potenza e, più banalmente, la sopraffazione dell'uomo "forte" sul presunto "debole".
La principale norma prescrittiva della filosofia di Nietzsche - secondo l'analisi di Kolakowski - sembra formulabile nel modo seguente: dal momento che i valori esistenti non sono autentici, occorre rifarsi alla natura per osservare in essa il principio fondamentale che è la volontà di potenza, ergo si giustifica ogni espansione della forza per il semplice fatto che ciò è osservabile in natura. Argomentazione piuttosto debole, la cui arbitrarietà è ben smascherata dalla metafora con cui Kolakowski sintetizza, forse un po' brutalmente, tale punto di vista: "Se il cancro divora l'organismo, è perché ha una ragione necessaria a farlo" (6).
Ci sembra chiaro che non è certo con la totale assenza di norme che si realizza il sogno anarchico, in Nietzsche ciò risulta sin troppo evidente dal momento che l'anomia si trasforma in una situazione ideale per la legge della giungla.

Ma l'uomo è uno solo
Una norma non è etica alla condizione di essere prescrittiva - sia chiaro -, esiste una norma etica che può essere soltanto indicativa, ma essa è legittima solo se si giustifica in base alla ragione umana. Ora, l'unico sistema in grado di fornire delle basi etiche razionali senza sprofondare nei miti, sembra essere l'idealismo kantiano; infatti è solo tramite l'Imperativo categorico di Kant che è possibile fondare un'etica a misura d'uomo che garantisca il reciproco rispetto degli esseri umani. Se poi le norme che ne derivano siano prescrittive (leggi) o indicative, questo è un problema che compete più al politico che non al filosofo; e la posizione di Kolakowski, orientata verso la Ragione trascendentale, potrebbe anche essere interpretata come un invito rivolto ai politici a mettere in forse la roccaforte di quelle apparenti certezze che reggono le norme prescrittive.
La polemica tra sistema kantiano e utilitarismo ha fornito lo spunto per affrontare il problema del relativismo morale; secondo Kolakowski a partire addirittura dal Rinascimento si è assistito a un'estensione progressiva del principio secondo cui tutte le morali sarebbero in funzione delle culture, idea che può anche essere interpretata in termini di "ogni popolo ha la morale che si merita".
Se è vero che tale concezione si è sviluppata a partire dal rinascimento, è ancor più vero che essa ha raggiunto il suo apice in molti ideologi del '68; in quegli anni chi si permetteva di criticare l'obbligo del chador per le donne, la circoncisione selvaggia, o le amputazioni degli arti per i ladri, veniva additato e etichettato come "reazionario" o come "neocolonialista". Oggi è più difficile confondere il colonialismo "missionario" con il rispetto dell'essere umano, il fatto è che l'uomo è uno solo e le libertà che gli spettano, in base all'etica determinata dalla ragione, devono essere le stesse per tutti. Se ci si batte in Europa contro la violazione del diritto umano di rifiutare il servizio militare, non si capisce perché non ci si dovrebbe battere in altri paesi in cui la libertà umana è violata in modo ben più... fisiologico. È d'altra parte chiaro anche il rischio di uniformizzazione culturale che può portare a posizioni molto pericolose.
Quello del relativismo morale è stato il penultimo punto trattato d Kolakowski che - purtroppo - ha concluso la sua conferenza ribadendo il suo scetticismo di fronte alla "utopia" di una società senza norme; l'abolizione delle norme (prescrittive) sarebbe inaccettabile in quanto porterebbe alla sostituzione delle stesse a favore di altre norme che rischierebbero la stessa potenziale arbitrarietà delle precedenti.
Tutto sommato, nel corso della sua conferenza, Kolakowski ha privilegiato l'analisi delle "norme che comandano", ed era inevitabile visto che per le norme descrittive non sembra porsi alcun problema morale; la sua conclusione è stata, in un certo senso, un invito ad un pacifico pluralismo: l'antinomia "norma-devianza" incarna in fondo l'irriducibilità della contraddizione, che sembra costituire la peculiarità della condizione umana.

Don Chisciotte e la "maggioranza deviante"?
Affrontando il problema del rapporto norme-devianze, ci sembra inevitabile il riferimento al libro di Franco Basaglia non foss'altro che per ricordare la sua attività volta a restituire quei diritti di cui vengono privati i "devianti" (7).
Jacques Testart (8) non è né un "pazzo" né un promotore della "180", è tuttavia considerato un deviante della "casta" dei ricercatori in genetica in quanto egli per primo ha messo in guardia l'opinione pubblica e la scienza stessa di fronte al pericolo di una ricerca abbandonata a se stessa.
Assieme a René Frydman, Testart è il "padre" del primo bambino in provetta: Amandine, che al momento della sua nascita (1982) costituì per diverso tempo il centro d'attenzione dell'industria-spettacolo dei mass-media francesi. Attualmente egli si sta battendo per un controllo severo e una regolamentazione a misura d'uomo nell'ambito della ricerca scientifica; alla domanda "quali sono i limiti che deve porsi lo scienziato in genetica?" ha risposto (9): "se ho abbandonato è proprio perché non conosco la risposta giusta (...) i Comitati Etici (che dovrebbero fornire delle leggi, n.d.a.) non sono pluridisciplinari, bensì formati per la maggior parte da medici (...) è scandaloso che si lascino agire dei "tecnici" senza alcun controllo".
Tuttavia se gli scienziati lo considerano deviante in quanto avrebbe "tradito" la causa della ricerca scientifica, noi preferiamo considerarlo piuttosto un Donchisciotte che, battendosi per un'umanizzazione della scienza, si trova di fronte una massa compatta e chiusa di scienziati per i quali esistono difficilmente dei limiti da porre alla ricerca. Ci sembra infatti più "deviante" produrre degli esseri a metà strada tra l'uomo e l'animale (10) in laboratorio che avere il coraggio di ammettere la propria inquietudine di fronte a un campo della ricerca scientifica in cui - bene o male - il fine ultimo può diventare quello di produrre il superuomo.
Testart ha iniziato la sua conferenza esprimendo un punto di vista certamente scomodo per molti suoi colleghi: la scienza, con la diffusione degli istituti di ricerca, è ormai diventata una vera e propria industria. L'impronta dell'uomo invade tutta la natura, e sin da quando si è iniziato ad allevare gli animali, l'uomo ha costantemente praticato una selezione in funzione dei propri bisogni. (Teniamo presente che Testart è innanzitutto agronomo ed ha lavorato per diversi anni sulla riproduzione dei bovini). La scienza ha, oggi, la possibilità di intervenire geneticamente sui viventi per produrre degli animali sempre più... sofisticati; la mucca, ad esempio, può venir modificata affinché produca un latte più utile all'essere umano.
Tramite la selezione artificiale si crea "l'animale nuovo" conforme alla nuova norma che l'uomo ha stabilito; se la selezione naturale crea la devianza, quella artificiale determina la norma, umana però.
Significativa l'espressione usata da Testart per definire questo atteggiamento: "Soltanto l'uomo ha il potere di attribuirsi dei poteri", e l'illusione scientifica più inquietante è proprio il tentativo di produrre degli uomini identici.
La natura umana crea spontaneamente la devianza più di quanto non accada nel regno animale: pare infatti che 1/5 degli ovuli umani prodotti siano delle cellule completamente sregolate, il che significa che potenzialmente un individuo su quattro sarebbe handicappato. Questo destino è peculiare alla specie umana e non a quella animale in quanto l'uomo - biologicamente - tende a riprodursi in età troppo avanzata, ad ogni momento e sempre con il medesimo partner (intendiamoci: questa è la spiegazione genetica). La fecondazione in vitro con trapianto d'embrione (sistema messo a punto dall'equipe di Testart e conosciuto come FIVETE) è un'arma a doppio taglio: da una parte permette a una coppia di avere dei figli (in questo senso ha una funzione terapeutica in quanto può supplire a una deficienza naturale), dall'altra, tuttavia, rende possibile l'identificazione dell'embrione normale o "deviante". Questo secondo aspetto diventa a sua volta fonte di inquietanti problemi: in che misura una coppia accetterebbe di portare al termine la gravidanza avendo la certezza dell'anormalità del nascituro? Con quale diritto i genitori potrebbero decidere di offrire al proprio figlio una vita diversa (e non certo più facile) di quella offerta agli altri?
Da diversi anni è possibile praticare la diagnosi pre-natale, cioè ad alcuni mesi prima del parto il medico può sapere se il nascituro sarà, o meno, normale. In caso negativo, su richiesta, può venir praticato un aborto (rispettando i limiti stabiliti convenzionalmente) con tutte le conseguenze traumatiche che esso implica e per la madre e per la coppia. Con la fecondazione in vitro è possibile praticare la stessa diagnosi già a livello embrionale, prima che l'ovulo fecondato sia trapiantato nell'utero; in questo caso l'"aborto" eventuale consisterebbe semplicemente nel gettar via (?!?!) una provetta eliminando così tutte le conseguenze traumatiche di cui si parlava.
A questo punto si può forse capire perché in Francia, fino a un anno fa le coppie che ricorrevano alla FIVETE erano tutte sterili, mentre oggi soltanto il 50% delle coppie che utilizzano la fecondazione in vitro lo sono (11).
Testart, pur opponendosi radicalmente a quella che lui stesso definisce una "squalifica" degli embrioni devianti prima del trapianto uterino, ammette che l'"aborto" della provetta è sempre meno problematico di un aborto vero e proprio.
Ma il grosso problema della FIVETE sta nel fatto che essa rende possibile non solo il rifiuto della devianza, bensì anche e soprattutto la scelta del migliore; è un dato di fatto che molte coppie scelgono il sesso del bambino. Lo stato, dopo aver esteso i suoi tentacoli monopolistici sul tabacco, sull'alcol e sul sesso (AIDS), potrebbe anche progettare di controllare non solo la progenitura delle coppie "a rischio" ma anche quella delle altre coppie (12). È facile immaginare le conseguenze estreme di un simile delirio.
Il fatto è che la medicina genetica (come altri campi della tecnica) sta sempre più sfuggendo al controllo umano e, quel che è peggio, perde di giorno in giorno il suo scopo principale che dovrebbe essere quello terapeutico; stabilire la norma genetica o selezionarla non è un modo per attenuare la sofferenza umana, in tal caso la medicina non è curativa, tanto più che interviene dopo la procreazione della devianza. Un simile atteggiamento in primo luogo rivela una volontà di controllo sociale sull'identità del bambino ormai ridotto a semplice oggetto, secondariamente esalta fino al delirio il mito di un'onnipotenza tecnologica a scapito della diversità degli esseri. Jacques Testart ha deciso di fermarsi, di non andare oltre; e il titolo del suo libro più celebre - L'oeuf transparent- è una critica radicale alla pretesa scientifica di rendere trasparente proprio ciò che da sempre rimane nel mistero.
La conclusione della sua conferenza ha ripreso quel tono simpaticamente provocatorio che all'inizio non aveva certo lasciato indifferenti i suoi colleghi: "La scienza - conclude Testart - è sempre stata opposta al dogmatismo religioso, tuttavia nella nostra società essa è accettata come un magistero dogmatico intoccabile" e con un vago senso di amaro egli constata che "l'umanismo cede il posto all'economismo".

I Comitati Etici una soluzione possibile?
Emil Durkheim, nel suo saggio sul suicidio (13), definiva lo stato anomico come la situazione storica in cui, all'interno di una determinata collettività, le norme morali (e non solo) perdono progressivamente il loro valore (indicativo o prescrittivo). Letteralmente - in questa sede può apparire retorico precisarlo - l'anomia è l'assenza di norme (prescrittive, descrittive o tecniche), e l'attuale situazione della ricerca genetica appare proprio tale dal punto di vista etico nella misura in cui non esistono norme prescrittive in grado di porre dei limiti alle attività dei ricercatori.
Per quanto sia criticabile la ricerca scientifica, è un dato di fatto che essa esiste e che fa parte del nostro vivere di ogni giorno, è quindi di scarso aiuto nascondersi dietro la vana utopia di una società senza tecnologia né ricerca scientifica.
Occorre invece affrontare direttamente la situazione che si è venuta a creare e fare il possibile affinché non degeneri ulteriormente.
Come già si poteva supporre dalla posizione di Testart, la ricerca genetica si trova in una vera e propria situazione anomica, in cui qualsiasi delinquente laureato può realizzare i propri esperimenti aberranti.
La conferenza della psichiatra e filosofa Anne Fagot-Largeault (intitolata "Bio-etica e regolamentazione della ricerca")(14) è stata una messa a punto dell'attuale situazione della limitazione della ricerca scientifica; una conferenza assai interessante quanto inquietante, ci basti accennare brevemente ad alcuni aneddoti venuti alla luce durante la sua conferenza.
In Francia esistono attualmente degli schedari del cancro: le persone afflitte da tale malattia sono tutte schedate in modo nominativo su registri accessibili solo ai medici, quel che è peggio è che principalmente molto spesso il malato non sa nemmeno di avere il cancro, e secondariamente viene sistematicamente violato il segreto professionale. Il Consiglio d'Europa per le ricerche mediche ha solo recentemente proibito in modo formale certi esperimenti genetici, come ad esempio la produzione di ibridi a metà strada tra l'uomo e l'animale. Ci sia concesso un ultimo aneddoto, quasi lugubremente surrealista: in Inghilterra uno dei primi genitori di figli in provetta ha chiesto se fosse possibile "allevare" degli embrioni umani in uteri animali... speriamo che il suo interesse fosse solamente "scientifico".
La bioetica nasce come tentativo di stabilire delle limitazioni morali alla ricerca scientifica, ed è forse la prova più evidente dell'esattezza delle previsioni già espresse da Marcuse e Horkheimer mezzo secolo fa. Dopo pochi anni si sono creati in Europa dei Comitati Etici che hanno il preciso scopo di fornire delle norme umane che limitino la ricerca scientifica, nella speranza di proteggere i diritti umani. Tuttavia, malgrado il fine umanamente lodevole di tale iniziativa, sussistono svariati problemi: principalmente si sa molto poco sui criteri adottati per scegliere i membri di tali comitati - che si suppongono pluridisciplinari; secondariamente è legittimo chiedersi con quale diritto una micro-società possa stabilire delle norme concernenti tutta la società.
In Francia, ad esempio, esiste da pochi anni una cosiddetta Commissione Nazionale dell'Informatica e della Libertà, che dovrebbe garantire all'individuo la protezione della propria personalità; in teoria ogni scheda individuale (per qualunque ragione venga istituita) deve essere annunciata a tale commissione la quale può proibire una schedatura giudicata inutile o contraria alla libertà del singolo.
Nell'ambito della ricerca medica (specialmente genetica) la situazione appare molto meno controllabile: solo l'Australia, infatti, possiede attualmente una legislazione approvata proprio per limitare gli abusi delle ricerche mediche, nel resto del mondo sono pochi i paesi in cui esistono i Comitati Etici (che tuttavia non hanno potere legislativo). Se consideriamo che oggi, malgrado le regolamentazioni, esistono dei casi di trasgressione, è facile, quanto sconcertante, immaginare cosa accadeva pochi anni or sono quando non esisteva nemmeno la necessità di stabilire delle leggi atte a limitare la ricerca scientifica sull'uomo. A questo punto si impone una constatazione vagamente paradossale: in un continente come l'Europa in cui ci si batte (a giusta ragione) per la protezione degli animali, non esiste la ben che minima garanzia di protezione dell'essere umano. Anne Fagot-Largeault ha strutturato la sua analisi della bioetica secondo tre situazioni: nella prima ci si trova in presenza di una tradizione culturale forte in cui l'individualità dell'umano dovrebbe essere rispettata grazie a delle leggi precise che - spesso - rischiano di limitare la ricerca scientifica.

Occhio all'ingenuità
Tuttavia la filosofa-medico francese sembra lasciarsi abbagliare da un vago ottimismo; è appunto per esemplificare una tradizione culturale forte che la Fagot-Largeault cita il caso di quella Commissione Nazionale dell'Informatica e della Libertà, come se la semplice esistenza di una struttura bastasse a garantire un funzionamento umano e indiscriminato. Il fatto che esistono tribunali non implica affatto che la giustizia sia amministrata per tutti allo stesso modo. Sostenere che in tale situazione le leggi limitano lo spazio d'azione del ricercatore è un'affermazione vacua non meno di quella secondo cui la barriera di un passaggio a livello limiterebbe la nostra libertà di essere travolti dal treno; il fatto è che quanto più è alto il rischio di violare il rispetto dell'essere umano, tanto più occorrono delle limitazioni che, per quanto in generale deprecabile, nel caso in questione si rivelano assolutamente indispensabili.
Nel secondo tipo di situazione, una tradizione culturale debole determina un largo e tacito consenso a favore della ricerca, in altri termini si fa affidamento alla presunta auto-limitazione di quella scienza che Testart definisce "magistero dogmatico intoccabile". Questo secondo caso si rivela però ben più inquietante del precedente; fondarsi su un "largo" consenso internazionale sulle regole di buona condotta (15) in riferimento ai ricercatori, ci sembra una posizione un po' ingenua, tanto più se si considera che solo in un recente congresso svoltosi ad Ottawa sulla ricerca medica, sono state stabilite le tre principali limitazioni in merito:
a. Il medico non ha il diritto di fare degli esperimenti su un paziente senza il suo consenso
b. Il medico che applica una tecnica nuova (sperimentale) è tenuto a valutare i rischi della propria ricerca
c. Occorre evitare di sfruttare gli ospedali pubblici (poveri) per mettere a punto delle tecniche costose e quindi utilizzabili soltanto in cliniche private.
Viene da chiedersi se fosse necessario un convegno di medici per giungere a principi così evidenti.
In questo secondo tipo di situazione, come d'altronde anche nel successivo, ci si trova in una vera e propria situazione anomica in cui l'assenza di prescrizioni genera inevitabilmente l'istituzionalizzazione del non rispetto dell'essere umano; di conseguenza i paesi che vivono questo stato di cose (la Francia ad esempio) sono stati fra i primi a promuovere la formazione di comitati etici.
Nel Comitato di Bicêtre troviamo sei medici e sei "profani" che, assieme, devono esaminare dei protocolli di ricerca e accordare, o meno, al medico l'autorizzazione: ora, indipendentemente dal problema dei criteri con cui vengono scelti i membri di tale comitato, sussiste il fatto che nella maggior parte dei casi di rifiuto dell'autorizzazione la ragione è attribuita al fatto che il progetto in questione non disporrebbe di un sufficiente interesse scientifico (16).
Vi è poi tutta una serie di questioni che si presentano nei singoli casi, basti pensare a quelle situazioni in cui il paziente non è cosciente oppure è affetto da infermità mentale; inoltre, l'aspetto più sconcertante è che buona parte delle discussioni verte sul modo con cui persuadere il "malato" circa l'utilità della ricerca che verrebbe fatta su di lui.
La terza ed ultima situazione, che sembra caratterizzare buona parte del mondo occidentale, è quella in cui i ricercatori stessi, non disponendo di regolamentazioni né implicite né esplicite, si rivolgono ai politici affinché provvedano a tali deficienze.
Attualmente però l'Australia è il solo paese in cui esiste una vera e propria legge concernente sia la ricerca medica che quella genetica; per il resto è - come sempre - lo stato a nominare una commissione incaricata di formare dei comitati etici.
È facile supporre che quei paesi privi di leggi o istituzioni atte a limitare la ricerca saranno quelli che avanzeranno più velocemente nel campo tecnologico, ma è altrettanto chiaro il prezzo in tal caso pagato dalla dignità umana vedendosi sopraffatta e "spremuta" da quella volontà di sapere che, mascherandosi dietro lo scopo terapeutico umanitario, nasconde una sete di potere dell'uomo sull'uomo.
La conclusione di Anne Fagot-Largeault è tuttavia molto più ottimistica di quanto non avrebbero lasciato supporre le sue constatazioni: la soluzione del problema di un'etica della scienza consiste nel trovare il giusto equilibrio tra uomo come soggetto di ricerca e uomo come oggetto di ricerca. Infine, se si ammette che la salute può anche essere concepita come la capacità di attribuirsi delle norme, allora l'esistenza della bioetica è una prova di buona salute della nostra società.

La speranza di una soluzione
Lungi dal condividere l'ottimismo della medico-filosofa francese, ci sembra tuttavia auspicabile uno sviluppo nella direzione data dai Comitati Etici; come dicevamo precedentemente è inutile sperare nell'abolizione della scienza o della ricerca ad essa relativa, urge soltanto intervenire prima che sia troppo tardi.
Fissare delle regole e limitare la libertà non è certo gradevole, ma quella della ricerca scientifica sfrenata e incontrollata non è una forma di libertà in quanto autorizza la sopraffazione dell'uomo sull'uomo; occorre perciò limitarla razionalmente senza sconfinare nel radicalismo ottuso di chi si illude di poter fare a meno della scienza che, anche come "male necessario", non offre soltanto svantaggi.
Ora, affinché questa indispensabile limitazione sia realizzata in modo legittimo, è necessario orientarsi in una direzione diversa sia dal dogmatismo leibniziano che da quell'anomia selvaggia di Nietzsche; soltanto la Ragione universale umana in senso kantiano può fornire il giusto orientamento, che non è una moderata via di mezzo borghese, bensì una valutazione razionale operata dall'uomo a misura d'uomo.
L'anomia etica della ricerca scientifica, apparsa in modo così chiaro nelle riflessioni di Testart e della Fagot-Largeault, sintetizza perfettamente la diagnosi di Marcuse e di Horkheimer: se la scienza si autonomizza perde la sua funzione emancipativa per l'essere umano e lo rende schiavo. L'agire scientifico può legittimarsi soltanto grazie a una riflessione filosofica condotta a misura d'uomo e quindi razionale e, reciprocamente l'uomo può salvarsi dalla catastrofe soltanto se riesce a fornire alla scienza un supporto umano che ne impedisca l'autonomizzazione.
Max Horkheimer ed Herbert Marcuse (e più recentemente Júrgen Habermas) avevano saputo prevedere molto chiaramente il principale rischio di una concezione "cartesiana" (17) della scienza, la filosofia aveva così confermato ulteriormente la sua utilità per l'uomo, ma come sempre quest'ultimo ha preferito dimenticare e, prediligendo la sua sete di sapere-potere, ha preferito lasciare la scienza in balìa di se stessa.
Al di là delle aberrazioni potenzialmente fornite dalla ricerca genetica, rimangono le catastrofi di Chernobyl e di Three Mile Island (per non parlare di Hiroshima) nelle quali si può trovare un'ulteriore conferma del pericolo di una scienza autonomizzata, che sfugge ormai sempre più al controllo umano.
Se non vogliamo trovarci improvvisamente a vivere il suicidio collettivo verso cui stiamo andando, è necessario fermarsi un attimo a riflettere su ciò che sta accadendo in silenzio, dietro le quinte; e il presente resoconto - speriamo - dovrebbe fornire uno spunto minimo per una riflessione indispensabile al solo fine di salvare l'uomo.

 

(1) Ci riferiamo alla concezione della scienza secondo la Scuola di Francoforte, e più precisamente nei libri seguenti:
H. Horkheimer, Teoria Critica, Einaudi, Torino, 1974.
H. Marcuse, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1967.
J. Habermas, Teoria e prassi nella società tecnologica, Laterza, Roma-Bari, 1978.

(2) H. Marcuse, o. cit.

(3) Jean Starobinski, psichiatra e Dottore in Lettere è uno fra i personaggi più noti della critica letteraria francese.

(4) Leszek Kolakowski nasce nel 1927 a Radom, in Polonia, laureandosi in filosofia alla Università di Lodz. Assistente di logica dal 1947 al 1949, si dedica poi alla storia della filosofia e delle religioni diventando titolare della cattedra di Storia della filosofia all'Università di Varsavia, perde tuttavia il posto nel marzo 1968 per ragioni politiche. Prosegue perciò la sua carriera all'estero, nel 1968 è nominato "Visiting Professor" all'Università Mc Gill (Montréal), in seguito all'Università di Berkeley. Lo stesso anno è nominato "Senior Research follow" al All Souls College di Oxford dove vive tutt'ora. Dopo aver insegnato nel '75 a Yale, dopo il 1982 insegna all'università di Chicago. Premio della Pace 1977 e Premio Erasmo 1983.

(5) Citiamo testualmente le parole di Kolakowski.

(6) ldem.

(7) Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro, La maggioranza deviante, Einaudi, Torino, 1978.

(8) Jacques Testart, nato nel 1939, ha una formazione di agronomo. Nel 1964 si specializza nello studio della riproduzione dei mammiferi domestici dedicandosi particolarmente al trapianto di embrione presso la razza bovina. Dopo aver cambiato orientamento, conduce da una decina d'anni delle ricerche sulla procreazione umana; tali ricerche l'hanno portato a far nascere il primo bambino in provetta francese (Amandine, nata nel 1982). Oggi è direttore di ricerca all'lnstitut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM) e responsabile del laboratorio per la fecondazione in vitro presso l'ospedale Antoine Béclere di Clamart.

(9) La domanda è stata rivolta a Testart durante il dibattito che ha seguito la conferenza.

(10) Che tale aberrazione sia ormai "moneta corrente" nell'ambito della ricerca genetica è poi stato ulteriormente confermato nella conferenza di Anne Fagot-Largeault.

(11) La percentuale è fornita dallo stesso Testart.

(12) L'ipotesi è di Testart.

(
13) Purtroppo, disponendo soltanto dell'edizione francese, rinviamo ad essa: Emil Durkheim, Le suicide, PUF, Paris, 1983.

(14) Anne Fagot-Largeault nasce a Parigi nel 1938, laureatasi in filosofia nel 1961, ottiene il Dottorato dieci anni dopo all'università di Stanford; nel 1978 si laurea in medicina per presentare poi un altro Dottorato in Lettere nel 1986 a Paris X. Tra il 1986 e il 1987 è "Maitre de conferences" in filosofia a Paris XII ed ha un consultorio di psichiatria all'ospedale Henri Mondor de Creuteil a Parigi.

(
15) Citiamo direttamente il termine usato dalla Fagot-Largeault

(16) È, almeno, quanto afferma la Fagot-Largeault.

(17) Ci riferiamo alla differenziazione descritta da M. Horkheimer in "Teoria tradizionale e Teoria Critica", cfr. pp. 135-195 dell'edizione italiana citata.