Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 146
maggio 1987


Rivista Anarchica Online

Dopo Carobel, Mahò
di Fausta Bizzozzero

Che piacevole sorpresa è stata, qualche anno fa, scoprire in Alfredo Taracchini - che noi "vecchi" conoscevamo bene come membro del gruppo anarchico di Imola - qualità letterarie insospettate!
Allora ci leggemmo d'un fiato quel suo primo libro (firmato con il cognome materno, Antonaros) Tornare a Carobel, uno strano miscuglio di autobiografismo, di ricerca delle proprie radici e di fantasia, come ora ci siamo letti tutto d'un fiato questo Mahò. Storia di cinema e petrolio (Edizioni Feltrinelli, Milano 1987, pagg. 207, lire 20.000) che ci ha catturati per lo straordinario uso del linguaggio - fascinoso, evocativo, sensuale, quasi carnale - per la struttura sognante e affabulatoria e per le idee che in questo gioco di parole fanno capolino, si inseguono, si scontrano, si articolano nella costruzione di un "discorso poetico" di segno decisamente libertario.
Favola, metafora, allegoria: Mahò è tutto questo e altro ancora. Vale la pena di lasciarsi condurre per mano da Antonaros/Taracchini, di seguire i destini dei protagonisti - un uomo al confine tra maturità e vecchiaia che dirige un circo equestre, un giovane che si innamora del mezzo cinematografico, un dittatore albino coi suoi sogni di grandezza e di potere - che si intrecciano in un inizio secolo tumultuoso, sconvolto da cambiamenti tanto rapidi quanto profondi che frantumano le vecchie certezze senza riuscire a sostituirle.
Il luogo in cui questi destini si incontrano è, appunto, Mahò, un villaggio di baracche in un punto imprecisato dell'Africa che, grazie alla scoperta del petrolio, si trasforma in una metropoli brulicante, punto di convergenza di desideri, brame di potere, brame di denaro da un lato ma anche, dall'altro, mito del benessere, speranza in un futuro migliore per moltitudini sempre più vaste di diseredati che dai quattro angoli del mondo affluiscono ininterrottamente, disposti a sopportare una vita ben peggiore di quella che hanno lasciato in cambio di una illusione.
La forza del mito è inarrestabile - sembra volerci dire Antonaros - per i potenti come per i vinti: Mahò diventa così l'ombelico dell'universo, il laboratorio vivente di carne e di sangue in cui osservare le tipologie dei comportamenti umani, i meccanismi politici, culturali, sociali che l'instaurarsi di un nuovo mito - quello del progresso - produce in una spirale inesauribile.
Che si legga Mahò come metafora del "progresso" capitalistico o come favola il risultato non cambia, non può cambiare: è impossibile non riconoscere il mondo in cui viviamo e il mito che lo guida, è impossibile non specchiarvisi ed è impossibile non porsi almeno una domanda, una sola: come possiamo fare per sostituire questo mito con un altro di segno opposto?