Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 145
aprile 1987


Rivista Anarchica Online

Trasformativa, concreta, alternativa
di Fausta Bizzozzero

Così, secondo Michele Boato, consigliere regionale verde veneto, deve proporsi l'azione dei verdi. La questione organizzativa: centralizzazione o decentramento locale? Secondo Boato, i verdi non dovrebbero partecipare per ora alle elezioni politiche. Ma in futuro... limiti e ambiguità di una concezione "pragmatica".

Nel panorama verde tu ci sembri uno dei più attenti ai pericoli insiti in un ulteriore coinvolgimento istituzionale. Prove ne sono le tue posizioni, espresse tra l'altro su "Azione Nonviolenta", sull'assemblea di Finale Ligure (15-16/11/'86) e sulle risoluzioni adottate.
Da quali considerazioni nascono queste tue sacrosante preoccupazioni? E sono condivise anche da altri?

La decisione di entrare nella politica, e quindi di presentare le liste verdi ed operare anche dentro alle istituzioni, è stata presa nell'ottobre dell'84 in una riunione dell'arcipelago verde, cioè del coordinamento di vari gruppi ecologisti e di molti gruppi antimilitaristi, e in quell'occasione abbiamo deciso di convocare la prima assemblea nazionale per il dicembre '84 col titolo "Liste verdi: parlano i protagonisti". Con questa definizione volevamo ribadire la nostra diffidenza rispetto a proposte già fatte negli anni precedenti dal centro, da Roma: gli Amici della Terra avevano allora proposto a Italia Nostra, WWF, Lega Ambiente, PdUP, DP e radicali di non presentare i propri candidati alle amministrative come PdUP, DP e radicali bensì di presentare liste verdi ovunque.
Allora molti di noi si sono ribellati a questa impostazione (ed effettivamente la cosa non aveva avuto seguito) perché ci sembrava frutto di una operazione tipicamente politica, calata dal centro, decisa a tavolino da un interpartiti. Come se si volesse mettere una camicia di forza al movimento verde. Noi, invece, volevamo vedere se la strada delle liste verdi era praticabile ma partendo da noi, da ogni singola situazione locale, dalla nostra volontà. A questa iniziativa, per la verità, noi non abbiamo mai dato una rilevanza eccessiva ma l'abbiamo sempre considerata al pari delle altre nostre attività, come le università verdi o le associazioni degli amici della bicicletta, che potevamo mettere in campo per ampliare l'incidenza del movimento ecologista e nonviolento.
Da quel momento in poi, nella seconda assemblea nazionale e nella terza che si è tenuta dopo il "successo" elettorale - un successo che, soprattutto dove esisteva un consistente lavoro di base precedente, si è espresso in un impatto interessantissimo con la gente al di là di ogni discorso di percentuali - già si poteva vedere un fenomeno di arrembaggio da parte di persone che, fiutando l'aria, vedevano nel movimento un buon business politico e quindi ci si buttavano. Alcuni in buona fede, magari scottati da attività politiche precedenti, altri no, ma comunque spesso senza che vi fosse una frattura, uno iato tra l'attività precedente, sempre legata comunque agli schieramenti politici e non all'attività sociale, e questa scelta. Mentre per me e per tantissimi altri è assolutamente pregiudiziale che qualsiasi attività, anche di tipo istituzionale come le liste verdi, sia la diretta - non la indiretta - conseguenza dell'attività sociale, sia essa ecologista, nonviolenta, antimilitarista o di altro tipo. Quando ci chiedono quali sono i presupposti, le regole del gioco fondamentali dei verdi è proprio questa regola che io metto al primo posto, altrimenti salta l'essenza stessa dell'esperienza verde che è una esperienza di tipo trasformativo, concreto, alternativo rispetto alla struttura sociale, ambientale, economica esistente.
La Federazione delle liste verdi è stata anch'essa un'operazione politica scaturita da una concezione "romana", e con questo termine intendo il considerare la politica nazionale come referente principale delle nostre scelte, i tempi della politica, i tempi delle elezioni; la fretta di fare questa federazione, la fretta di non discutere lì a Finale Ligure tutta una serie di meccanismi statutari considerati da molti sbagliati perché troppo vincolanti e di meccanismi dettati dall'impatto con l'elemento elettorale istituzionale, ecco, tutto questo non ha trovato d'accordo me e moltissimi altri (a Finale Ligure sembrava che i contrari fossero solo il 20%, ma poi abbiamo verificato che era la maggioranza dell'arcipelago verde), soprattutto quelli che svolgono realmente attività verdi in campo sociale.

Dopo quello che hai detto mi viene spontanea una domanda: le forme organizzative possono trasformare il senso di un movimento o non è piuttosto il movimento che attraverso la scelta di una piuttosto che di un'altra forma organizzativa definisce se stesso?

In realtà noi non ci siamo contrapposti all'idea di federazione in sé, ma ci siamo detti: anche il PCI ha le federazioni, anche i repubblicani, eppure più monocratico del partito repubblicano non ce n'è. Quindi non basta la parola magica di federazione, bisogna vedere quali sono i suoi contenuti, come nasce, lo spirito che l'anima, i tempi, gli elementi statutari.
Secondo noi una federazione non può nascere da una assemblea di delegati locali che diventa un congresso, che decide a livello nazionale le scelte politiche e designa la segreteria che dura in carica un anno; non vediamo proprio la differenza tra questa struttura e un qualsiasi congresso del PSI o della DC. In realtà, per come intendiamo noi una reale struttura federale, tutte le liste debbono essere indipendenti e autonome e fare le loro scelte; poi si possono certo coordinare, ma una volta poste sul tappeto tutte le proposte non sono i delegati a decidere, bensì le liste nella loro sede locale che è sostanzialmente quella comunale perché è questa la dimensione vera delle liste, che corrisponde anche alla dimensione reale di vita della gente. Questo può essere visto come un caos, ma in realtà è l'unico modo in cui noi concepiamo il funzionamento di una federazione.
Per quanto riguarda la segreteria, questo compito, se e quando lo si ritiene necessario, dovrebbe essere svolto a rotazione da ogni lista locale per sei mesi; questo significa non istituzionalizzare nessun centro, ma anzi potenziare tutte le periferie facendole crescere coll'assunzione di responsabilità. Poi, a rotazione avvenuta, cioè dopo tre o quattro anni, si può fare un bilancio e si può decidere se e come modificarne il funzionamento. Non siamo neppure contrari a dei referenti per ambiti di competenza (sull'energia piuttosto che sui rifiuti o sulle biciclette) ma l'importante è che non siano inseriti in un centro decisionale, ma dei terminali in contatto con tutti. A questo punto si potrebbero utilizzare in modo intelligente parte dei soldi di cui le liste dispongono per un collegamento modem tra tutte le liste tramite un computer per poter comunicare in tempo reale e rafforzare così la rete già esistente.

L'attenzione e la critica che emerge dai tuoi discorsi sulla delega o sulla rappresentatività, sulla rotazione degli incarichi, sui criteri decisionali, i tuoi dubbi e le tue preoccupazioni rivelano una sensibilità che mi sembra di segno libertario. O mi sbaglio?

Il tipo di organizzazione che io vedo non so se sia libertaria, so solo che vorrebbe non castrare il potenziale che esiste; in questo momento, secondo me, i terminali debbono essere in maggior numero possibile e l'organizzazione deve essere più decentrata possibile, anche a livello locale. Un problema che non abbiamo ancora risolto è quello dell'appartenenza, cioè di chi fa parte dei verdi e chi no, che potrà diventare in futuro il problema della tessera (tutte le organizzazioni nazionali utilizzano il sistema delle tessere in modo più o meno limpido); io e altri non siamo d'accordo perché riteniamo che il problema vada inserito nel discorso più ampio che riguarda la funzione dei verdi nella società italiana e, di conseguenza, quale organizzazione si devono dare.
In questo momento, a mio avviso, le liste verdi hanno la funzione di gridare più forte cose che la società riesce a sussurrare o a dire a malapena e devono avere come referente un mondo che è fatto di acque, di alberi, di animali ma anche di persone che parlano; se questo mondo venisse recintato in un'organizzazione (di cui si fa parte perché si ha una tessera) si ricreerebbero dei meccanismi - che sono i meccanismi di partito sostanzialmente - per cui ci sarebbero i veri verdi (quelli con la tessera) e gli altri che stanno fuori con cui ci si confronta. Si tratta di meccanismi perversi che possono caratterizzare purtroppo anche la Federazione delle liste verdi e che noi intendiamo contrastare cercando di mantenere aperte - magari anche attraverso rapporti di forza - tutte le porte che si vorrebbero chiudere. Infatti più di metà delle liste non hanno aderito alla Federazione e questo ha fatto sì che quelli che hanno aderito, molti in buona fede, hanno deciso che si deve riconsiderare tutto quanto.

Ho la netta impressione che la tua preoccupazione maggiore consista nell'evitare che si mettano in moto i meccanismi del potere e che proprio per questo tu utilizzi tutta una serie di strumenti organizzativi (detto per inciso, tipicamente libertari) allo scopo di evitare e/o di controllare possibili concentrazioni di potere. Come, ad esempio, la rotazione degli incarichi.

Da un punto di vista puramente efficientistico il principio della rotazione può apparire irrazionale perché sappiamo che l'efficienza, in ogni campo scientifico, pedagogico, politico è strettamente collegata alla professionalità.

Certo, ma dipende dai fini che ci si pone il privilegiare l'efficienza oppure l'efficacia.

Ecco, io stesso mi rendo conto che con la rotazione si perde necessariamente in funzionalità e l'ho sperimentato direttamente perché mi rendo conto che ora, dopo un anno e mezzo di presenza nel consiglio regionale, mi muovo molto più agilmente, conosco meglio i regolamenti, faccio il doppio delle cose rispetto all'inizio. Ma mi rendo anche conto che se anche ne facessi il triplo o il quadruplo ma diventassi un politicante e mi distaccassi dal movimento, il gioco non varrebbe la candela. Io vedo quindi la rotazione come un buon deterrente contro ogni tipo di professionalismo.
Un altro elemento che ritengo importante a questo scopo è quello economico, nel senso che in nessun modo il fatto di far parte di una lista deve costituire un ricatto o un incentivo nel volerci rimanere. Ciascuno cioè deve avere il suo lavoro che lo sostiene economicamente e deve tornare a farlo dopo la parentesi della lista, in modo da non creare nessun tipo di legami economici. E infatti qui nel Veneto abbiamo deciso di cominciare una rotazione in consiglio regionale dandoci come tempo 5 anni: un primo delegato vi rimane tre anni perché deve imparare, il secondo due ma comincia ad affiancare il primo sei mesi prima, in modo da consentire la trasmissione delle conoscenze e rendere il passaggio indolore.

Si discute molto all'interno del movimento verde su una possibile partecipazione alle elezioni politiche. Tu cosa ne pensi?

Direi che ho il 99% di dubbi in merito. Per lo meno per quanto riguarda l'oggi, in futuro forse potrò cambiare idea. Questi dubbi riguardano il rischio di cui si parlava anche prima, cioè di trasformare le liste verdi in un gruppo chiuso di professionisti sradicati dalle rispettive realtà locali, dai loro rapporti sociali, dalle loro famiglie; e poi l'esigenza per una piccola forza di mettersi a fare i saltimbanchi in Parlamento per farsi sentire (come hanno fatto Pannella e poi Capanna); e poi il livello di aggressività che esiste in queste istituzioni dove tutto si gioca su rapporti di potere, dove non esiste più né cultura locale né rapporti con la gente.
È vero che la gente si sente lontanissima anche dalla Regione e dalle altre istituzioni locali ma in queste comunque esiste un rapporto dovuto proprio al fatto geografico, al territorio e ai suoi problemi concreti che obbliga a rimanere coi piedi per terra e ad agire, mentre il rapporto col Parlamento favorirebbe sempre più questo sradicamento degli eventuali parlamentari verdi che somiglierebbero sempre più a un gruppo di radicali.
All'interno del dibattito in corso mi si rinfaccia di privilegiare un problema micro, quasi un problema di rapporti personali, rispetto al problema macro, cioè dell'esistere e del contare come forza a livello nazionale, di avere maggiore accesso agli organi di informazione, di avere maggiori strumenti. Per quanto riguarda gli strumenti in più, io ritengo che ad esempio i soldi che le liste verdi regionali ricevono mensilmente (qualche milione) siano più che sufficienti per fare controinformazione, per stampare i giornali locali e per le varie attività che le liste fanno. E poi avere più soldi di quanti ne servono porta inevitabilmente a creare funzionari, e questo è un altro pericolo a cui già accennavo prima. E su questo secondo me bisogna essere durissimi dentro le liste verdi, è un principio da cui non si può derogare.
Esiste infine un altro motivo per cui sono contrario e cioè la nostra concezione ecologica della vita individuale e collettiva che significa la ricerca di un'armonia nella vita di ciascuno; questa è la nostra essenza per cui non è concepibile che i rappresentanti verdi siano degli squilibrati mentali, gente che vive di politica e basta.

Tu hai detto che oggi sei contrario ma che in futuro potresti anche cambiare idea. La cosa mi lascia un po' perplessa perché mi sembra che le motivazioni che tu hai dato del tuo essere contrario siano valide al di là di ogni specifica situazione o tempo. Non credi?

Può darsi che sia così ma è un fatto che io ho spesso cambiato idea, cosa di cui peraltro non mi vergogno: ad esempio non ero nonviolento (ho fatto il militare e ho fatto attività in caserma come "Proletari in divisa") e ora lo sono profondamente. Non so se fosse più giusto prima oppure ora, non l'ho ancora capito perché sono essenzialmente un pragmatico e mi muovo più emotivamente che razionalmente.
Adesso, d'istinto, sento il pericolo di presentarsi alle elezioni, il pericolo di una mutazione "genetica" delle liste verdi in senso centralistico, intellettuale e politico-burocratico.

Tu sostieni anche che fare politica deve continuare ad essere un gioco, immagino nel senso che la somma del piacere che si ricava facendo delle cose deve essere maggiore della somma dei costi in senso lato che si devono pagare, insomma che non lo si deve fare per senso del dovere.

Sì, è proprio così, e secondo me non può essere diversamente proprio per quella concezione ecologica globale umana di cui parlavo prima. Mi capita a volte di non aver voglia di andare in Consiglio e allora, pur criticato da vari "colleghi", non ci vado. Ma se ci andassi per senso del dovere forse il giorno dopo non avrei voglia di andare nel paesino di 600 abitanti a parlare di rifiuti e loro sarebbero pronti a giustificarmi, a ritenere più importante la mia attività istituzionale nel Consiglio rispetto al loro paese dimenticato da tutti, mentre per me è molto più significativo andare lì. È proprio tutta una scala di valori che va ribaltata.

Ecco, a proposito di valori e di ideali - una merce oggi sempre più rara - quali sono i tuoi punti di riferimento, cosa ti ha portato ad essere quello che sei oggi?

Se ripenso al percorso compiuto non vedo grandi salti ma piuttosto un lento processo evolutivo senza scosse. All'inizio, fino ai vent'anni, ho lavorato nell'Azione Cattolica e i miei referenti erano quei preti che mettevano ai primi posti i problemi sociali (come oggi fa padre Zanotelli, direttore di "Nigrizia"); poi all'Università, in cui sono entrato nel '67, c'è stato l'incontro con "Lettera a una professoressa" di Don Milani e, successivamente con Che Guevara. Un incontro determinante, soprattutto con la sua filosofia dell'uomo nuovo, che mi ha fatto saltare a piè pari il marxismo-leninismo. Questa vena marxista-libertaria mi ha accompagnato per tutta l'università e poi anche dopo, in Lotta Continua, fino al '72 quando in L.C. ha cominciato a soffiare un'aria di marxismo-leninismo ed ho deciso di andarmene a fare il militare prima, dove ho lavorato molto in senso antimilitarista, poi a Brindisi e a Bari per quattro anni. Restavo formalmente in L.C. ma non ero affatto d'accordo su come si stava trasformando, sulla tendenza a diventare un partito, su certe posizioni "guerrigliere" che cominciavano ad emergere. Finché non si è arrivati allo scioglimento di L.C. a cui ho contribuito con estrema convinzione.
Allora - ma anche ora - avevo molti amici anarchici a Venezia che mi dicevano che ero un anarchico. Non so se sia vero perché la mia conoscenza dell'anarchismo (a parte Murray Bookchin) è molto limitata. Dopo la terribile esperienza del Salvador e le riflessioni sulla guerriglia che mi ha suscitato, ho abbandonato anche Che Guevara. Ma debbo confessare che, a parte alcune cose di Illich che condivido, non sento di avere dei "padri" e, anzi mi dà un po' fastidio l'idea stessa.
Mi fanno un po' ridere quelli che hanno letto tre libri di F. Capra o di altri e usano continuamente gli aggettivi "olistico" e "sistemico" solo per fare un inutile sfoggio di cultura, quando gli stessi concetti si possono benissimo esprimere con termini più comprensibili. A me piace la cultura che può capire anche il mio vicino di casa - che raccoglie carta e stracci e quindi svolge un lavoro utilissimo - e con lui riesco a rapportarmi benissimo. Certamente alcuni problemi teorici vanno affrontati, ma io credo soprattutto in un confronto di esperienze diverse, di culture diverse, di storie diverse. Qualche anno fa mi è capitato di leggere Gandhi ed ho scoperto che era ecologista nel senso più profondo del termine nel 1922, ma non mi considero gandhiano, né lo mitizzo.

E qui entriamo in un aspetto - quello del misticismo - che ci sembra permeare parte del movimento.

Io parlo spesso dei comuni, della dimensione comunale come di una dimensione in cui è possibile cominciare a realizzare alcuni dei nostri desideri o dei nostri valori, che poi sono anche quelli di Gandhi, con la concezione del villaggio, dell'importanza del lavoro manuale, dell'autosufficienza; certo non si può e non si deve riproporre un modello gandhiano di comunità di villaggio tout-court perché non avrebbe senso in una società come la nostra, ma quello che è possibile fare da ora nelle strutture comunali che già esistono è trasformarle inserendovi quegli stessi valori.
Se è vero, come è vero, che esiste un certo misticismo all'interno del movimento, è anche vero che c'è una grossa allergia verso ogni tentativo di mettere una cappa piuttosto che un'altra. Io, oltre ad essere un pragmatico - ma la maggior parte dei verdi lo è - sono anche un inguaribile ottimista per cui sono convinto che se le cose concrete che si fanno sono vere - e per vere intendo sane, giuste, "ecologiche" - e si riescono a portare alla luce le contraddizioni, questo agire porterà al dissolvimento delle cappe religiose preesistenti. Poi ciascuno deve essere libero di avere la religione che vuole, l'importante è che non diventi la religione dei verdi, cioè che non si tenti di imporla agli altri. Piuttosto io vedo il rischio opposto, derivante da un eccessivo scientismo che può portare a un tecnicismo fine a se stesso.

Secondo te esiste non dico una progettualità globale ma una spinta, un'esigenza di cambiamento che vada al di là dei cambiamenti contingenti o d'urgenza per vivere un po' meglio, un rifiuto del modello di sviluppo economico che ci ha portato allo sfascio attuale e dei suoi valori?

Non posso rispondere per gli altri perché siamo così diversi! Quello che posso dire è che nel mio peregrinare (quest'anno ho partecipato ad almeno 100 assemblee, tutte molto affollate e partecipate) ho sempre sentito da parte della gente questa spinta: che si parlasse di rifiuti piuttosto che di porcilaie, sempre il discorso si allargava a temi che necessariamente coinvolgono la società intera, il suo funzionamento, la sua economia ed i suoi valori. Certo si tratta di una spinta magari inconscia, ma io sento che esiste, che la cultura della gente sta cambiando, gradualmente ma in misura molto maggiore di quanto noi stessi possiamo percepire.