Rivista Anarchica Online
Psichiatria e
diritti civili
di Fabrizio Parboni
Elettroshock,
psicofarmaci in quantità, letto di contenzione, maltrattamenti vari.
È questa, ancora, la quotidiana realtà per molti di quelli che sono
rimasti in manicomio. Alla faccia
della Costituzione, della "180", dei diritti civili.
Nella biografia di
Emilio Lussu di Giuseppe Fiori, si parla del manicomio giudiziario di
Barcellona Pozzo di Gotto (1): ad oltre 60 anni da quegli
avvenimenti, quell'istituzione e le relative norme che la
regolamentano sono tuttora vive e vegete. Sono 6 in tutto i manicomi
giudiziari e si trovano, oltre che a Barcellona Pozzo di Gotto, ad
Aversa, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli e
Reggio Emilia. Vi sono internati i detenuti impazziti in carcere, i
cittadini che devono essere sottoposti a perizia psichiatrica ed i
malati di mente che hanno commesso dei reati. Sono in tutto 1344
persone rinchiuse in un vero e proprio gulag, regolamentato da norme
del secolo scorso, come il regolamento carcerario del 1-2-1891,
vergogna della nostra democrazia repubblicana. Nel Quaderno
Caritas n.17 il cappellano di Montelupo Fiorentino racconta che, nel
1949, somministrò la comunione ad un moribondo consumato dalla tbc
che, pochi istanti prima di morire, gli gridò: "Padre, lo dica
a tutti, io sono stato in questo inferno per 30 anni, perché da
giovane rubai una bicicletta". Successivamente nell'aprile 1983
(il tempo non ha valore per queste assurde istituzioni) un giovane di
19 anni, certo R.B., arrestato a Pescia nei locali dell'Ospedale
Civile, sta per soffocare nella sua cella. È
sempre lo stesso cappellano che racconta: "Lo avvicino, non sa
parlare, è gracile, ha le mani rattrappite, i compagni di cella lo
aiutano a vestirsi, a lavarsi, a mettersi a letto, gli spezzano il
cibo. È handicappato -
mi dicono - ma chi ce lo ha mandato?". Ce l'ha mandato l'art.222
del codice penale, come persona - pensate un po'- non imputabile per
vizio totale di mente con perdurante pericolosità sociale. Non vi
sembra che l'unica, vera, perdurante pericolosità sociale sia quella
di queste istituzioni, come quella di Aversa che è stata fondata nel
1876 o come quella di Reggio Emilia, denunciata dai medici che vi
lavorano alla Procura della Repubblica perché "allo stato
attuale può essere tutto tranne che un ospedale psichiatrico"?
E si può aggiungere che non è neanche un carcere, dato che in esso
sono internate sine die persone in attesa di perizia psichiatrica,
cittadini che, in una vera democrazia, dovrebbero semmai stare agli
arresti domiciliari. E veniamo adesso ai
manicomi (eufemisticamente definiti ospedali psichiatrici) civili, o,
secondo il CENSIS, istituti di ricovero tradizionali; essi sono di 4
categorie: - manicomi pubblici
che, in tutta Italia, sono 92 (2), ad otto anni dall'entrata in
vigore della legge 180 che, quindi, non ha abolito (o "superato
gradualmente") neanche un manicomio; - strutture private
convenzionate, ex opere pie sopravvissute alla legge che ne ha
decretato lo scioglimento, che non hanno mai neanche lontanamente
pensato di applicare la 180, probabilmente perché facenti capo ad
ordini religiosi dipendenti dal Vaticano; sono in tutta Italia 11,
delle quali 7 nella regione Lazio; - cliniche private:
sono 71 in tutta Italia, delle quali ben 21 nella regione Lazio; - 14 cliniche
universitarie.
Due italiani su
mille
Fin qui i dati di
un'inchiesta-fantasma del CENSIS sull'attuazione della riforma
psichiatrica: fantasma perché, consegnata al Ministero della Sanità
nel gennaio 1986, non è stata finora pubblicizzata e non è stata
neppure minimamente presa in considerazione dai componenti del
comitato ristretto della Commissione Sanità della Camera che si sono
assunti l'ingrato compito di riformare (o controriformare) la 180:
strani legislatori, non vi sembra? Comunque, nei
manicomi pubblici, al 31-12-1983 (si tratta di dati ISTAT) erano
rinchiusi 48.650 cittadini; nelle cliniche private ed in quelle
universitarie 63.599. Nei primi, queste 48.650 persone rappresentano
il c.d. "residuo manicomiale", ossia, il prodotto finale di
decenni di internamento, "residuo" che è venuto via via
riducendosi dalle 180.446 unità (cioè persone) del 1970, per morte
naturale o violenta, come quel ricoverato nell'Ospedale Psichiatrico
(civile - si badi - non giudiziario, dato che in quella cittadina
sono collocati 2 manicomi) di Aversa, bruciato vivo sul letto di
contenzione. Le 63.599 persone
rinchiuse nelle cliniche private, invece, sono allo stadio iniziale
della loro carriera di internati; dopo un periodo (o più periodi) di
ricovero e contenzione nelle cliniche private, che sarà servito a
cronicizzare la loro malattia, nonché a mangiare tutti i soldi dei
famigliari nel caso di cliniche non-convenzionate, saranno buttati
come veri e propri pezzi di carne umana in pasto ad uno dei 92
ospedali psichiatrici, sempre perfettamente funzionanti, sia che la
legge 180 venga abrogata, sia che rimanga in vigore. Quanti siano gli
internati nelle cosiddette strutture private convenzionate, neanche
l'ISTAT lo sa: nel Lazio, comunque, sono 1.778, mentre nelle Puglie
sono 4.400 (compresi alcuni bambini), segregati nelle due Case della
Divina Provvidenza "Don Uva" di Bisceglie (Bari) e di
Foggia. Tutta questa gente
(oltre 2 italiani su mille) se, da un lato, vegeta da decenni o
"soltanto" da pochi anni come le bestie al giardino
zoologico, dall'altro lato, ai sensi dell'art. 11 della 180, riceve
regolarmente il certificato elettorale: che non si venga quindi a
dire che nella nostra repubblica, nata dalla lotta di liberazione
antifascista, esistono persone rinchiuse nei lager, o private dei
diritti civili senza essere state regolarmente condannate
all'ergastolo. Quanto agli altri diritti costituzionalmente
garantiti, come l'inviolabilità della libertà personale (art. 13
della Costituzione) o la tutela della salute (art.32 della
Costituzione) per non parlare poi del rispetto della dignità e della
identità personale e di tutte le altre belle parole scritte nella
Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, il discorso cambia:
elettrochoc, psicofarmaci in quantità, letti di contenzione e
maltrattamenti vari sono le "terapie" quotidiane di questi
nostri sventurati fratelli, che non fanno parte di nessuna
corporazione, non sono iscritti a nessun albo professionale, a nessun
partito o sindacato, sono soltanto (come disse un ricoverato di
Ceccano, vicino Frosinone) "carne venduta".
Un boicottaggio
palese ed occulto
Se ora esaminiamo
la tabella 1, nella quale sono riportati i dati statistici sugli
internati relativi al periodo 1970-1983, notiamo una costante,
progressiva diminuzione del cosiddetto residuo psichiatrico, in atto
già da ben otto anni prima dell'entrata in vigore della 180: questa
legge pertanto, con i meccanismi di boicottaggio palese ed occulto
che ha provocato, non solo non ha chiuso una sola delle 188
istituzioni manicomiali, ma non ha neanche significativamente
contribuito a svuotarlo, ad ulteriore conferma della traccia
pressoché incancellabile che la legge manicomiale del 1904 ha
lasciato, nelle coscienze di operatori, famigliari, e opinione
pubblica in genere, dopo essere rimasta in vigore per ben 74 anni. Si
può tranquillamente (si fa per dire) sostenere che "la legge che
ha abolito i manicomi" ha inciso sulla sorte degli internati molto
meno del naturale trascorrere del tempo e, di conseguenza, della
morte. Si consideri
infatti che, nel periodo 1970-1983, nei soli manicomi pubblici, sono
morte, per cause più o meno naturali, 44.925 persone (3). È
risaputo d'altra parte che la morte è rimedio di tutti i mali. Ma
allora, a che cosa è servita questa benedetta legge 180? Basta dare
un'occhiata alla tabella 2 per rendersi conto del fatto che il
rapporto statistico fra personale (medici, psicologi, infermieri,
ecc.) ed internati è passato da 1 contro 5,41 (anno 1970) a 1 contro
1,94 (anno 1983). Si invitano i
sindacati confederali di categoria ed il sindacato pensionati
C.G.I.L. a riflettere su tale situazione: la legge 180, così come è
stata applicata o meglio, disapplicata, non è servita a far uscire
gli internati dai manicomi pubblici; in compenso essa da un lato è
servita a farvi entrare nuove categorie di lavoratori (psicologi,
assistenti sociali, animatori) e dall'altro a conservare alle figure
tradizionali (psichiatri, infermieri, amministrativi) una situazione
più comoda in istituzioni disumane ed incostituzionali da sempre e,
dal 1978, anche illegali; ma tutte queste persone non avrebbero
dovuto essere impiegate nei servizi territoriali e nelle strutture
alternative previste dalla stessa legge 180 per il superamento del
manicomio? (4). I dati relativi agli internati nelle cliniche private
od universitarie, infine, non hanno bisogno di molti commenti: al di
là di oscillazioni da un anno all'altro, infatti, si registra, tra
il 1970 e il 1983, un aumento del 14 per cento nelle presenze. È
evidentemente un settore dell'economia italiana che va a gonfie vele.
L'ISTAT non ha rilevato i dati relativi al personale impiegato in
queste istituzioni e neanche quelli relativi alle 11 strutture
convenzionate (opere pie cattoliche).
Alle soglie del
2000
Se questi sono i
termini della questione psichiatrica, qual è l'atteggiamento dei
mezzi di comunicazione di massa nei confronti di un problema non già
di politica sanitaria, ma di libertà e rispetto della dignità della
persona umana, che, quindi, interessa direttamente ogni singolo
cittadino o l'opinione pubblica nel suo complesso? Un atteggiamento
distratto, di attenzione sporadica, incoerente, contraddittorio
caratterizza la stampa italiana, in tempi nei quali tutto è
diventato spettacolo e si privilegiano, quindi, solo gli aspetti
clamorosi ed eclatanti, non la riflessione razionale sui problemi e
sulle loro soluzioni. La stampa in Italia, comunque, è un fatto
abbastanza d'élite, se è vero che la tiratura complessiva dei
quotidiani italiani (sportivi compresi) si aggira sui 6 milioni di
copie al giorno, grosso modo quanti se ne diffondono in Svezia, dove
la popolazione è quasi sette volte meno numerosa. Altrettanto si può
dire per la televisione, tanto pubblica che privata, dalla quale però
è lecito aspettarsi un ben diverso atteggiamento, dato l'impatto
incredibile che ha sulla formazione dell'opinione pubblica nel nostro
Paese: 25.500.000 spettatori in una sera di un giorno qualsiasi, in
una fascia oraria dalle 20.30 alle 23. Unica eccezione: il
Dipartimento Scuola Educazione della terza rete RAI che, nei mesi
scorsi, ha mandato in onda un programma sulla psichiatria, ad un'ora
alquanto folle, tanto per restare in argomento, mezzanotte meno
cinque. Anche
l'atteggiamento degli operatori del settore e dei parenti degli
internati psichiatrici non è molto positivo: i primi, più
preoccupati di gestire l'esistente (come si dice oggi) che non di
trasformarlo, con la lodevole eccezione degli iscritti a Psichiatria
Democratica e di non molti altri, devono però trovare il coraggio e
la fantasia degli anni di Franco Basaglia. Mentre i parenti
offrono un quadro davvero desolante, di totale irresponsabilità,
spinta fino al menefreghismo. Ma, in definitiva,
che cosa rappresenta il problema della malattia mentale e del
manicomio, in due parole? Ebbene tutta questa problematica non è
altro, per la maggioranza delle persone del nostro paese, che un
gigantesco e mostruoso idolo, per dirla col filosofo Bacone, un
complesso di stereotipi e superstizioni medioevali. Ancora oggi,
ormai alle soglie del 2000, ciò impedisce alla gente di pensare,
causando la sofferenza di decine e decine di migliaia di nostri
concittadini. Non si può spiegare altrimenti la cocciuta e testarda
ostinazione, con la quale direttori, primari ed infermieri
ospedalieri e relative corporazioni sindacali si oppongono da anni
nella città di Roma alla apertura di nuovi S.P.D.C. (5) negli
ospedali, negando a dei concittadini l'attuazione pratica del diritto
costituzionalmente garantito alla tutela della salute: evidentemente,
per tutti costoro, i malati di mente non sono, appunto, malati, ma
"segnati da Cristo" o indemoniati da esorcizzare; proprio per
questo, tale problema e la ricerca di soluzioni umane non è una
questione settoriale, ma un metro della civiltà di un popolo.
tabella
1
Anni
|
Internati pubblici
|
Internati in cliniche
private e universitarie
|
1970
|
180.446
|
55.613
|
1971
|
178.855
|
60.920
|
1972
|
180.604
|
64.901
|
1973
|
173.267
|
64.664
|
1974
|
172.566
|
65.691
|
1975
|
171.487
|
66.782
|
1976
|
163.629
|
68.661
|
1977
|
150.657
|
69.245
|
1978
|
122.352
|
68.101
|
1979
|
92.709
|
64.631
|
1980
|
83.186
|
66.993
|
1981
|
65.680
|
64.736
|
1982
|
53.000
|
64.000
|
1983
|
48.650
|
63.559
|
tabella
2
Anni
|
Internati pubblici
|
Medici
|
Infermieri
|
Altri
|
1970
|
180.446
|
1.121
|
23.883
|
8.336
|
1971
|
178.855
|
1.182
|
24.406
|
8.567
|
1972
|
180.604
|
1.341
|
25.564
|
9.849
|
1973
|
173.267
|
1.377
|
25.059
|
10.387
|
1974
|
172.566
|
1.494
|
26.769
|
10.721
|
1975
|
171.487
|
2.475
|
26.619
|
11.370
|
1976
|
163.629
|
2.504
|
26.593
|
11.879
|
1977
|
150.657
|
2.621
|
25.825
|
11.124
|
1978
|
122.352
|
2.659
|
24.765
|
10.523
|
1979
|
92.709
|
2.612
|
23.271
|
10.746
|
1980
|
83.186
|
2.333
|
21.510
|
9.609
|
1981
|
65.680
|
1.937
|
18.958
|
9.542
|
1982
|
53.000
|
1.450
|
16.500
|
8.900
|
1983
|
48.650
|
1.070
|
15.702
|
8.304
|
Fonte:
Annuario Statistico Italiano; Ricercatori: O. Marazziti e C. Maroni.
(1) G. Fiori "Il
cavaliere dei Rossomori" Einaudi 1985, pag. 187.
(2) A proposito del
numero dei manicomi pubblici va rilevato quello che si potrebbe
definire il "modo italiano di fare le statistiche", cioè
una singolare oscillazione: da 91 manicomi (anno 1970), a 97 (anno
1972), a 95 (anno 1975), a 99 (anno 1978), a 96 (anno 1981) e infine,
agli attuali 89 (anno 1983: rilevazione ISTAT) mentre, secondo il
CENSIS, sono appunto 92. Questa bizzarra
"duttilità" nel settore sanitario e, in particolare,
psichiatrico, non induce certamente il cittadino a nutrire grande
fiducia nelle istituzioni proposte alla rilevazione statistica dei
dati (fondamentale nella gestione della cosa pubblica in una società
industriale o postindustriale che sia), indipendentemente dal valore
o dall'abnegazione degli impiegati che in esse alacremente operano.
D'altra parte, non è neanche il caso di stare troppo a sottilizzare:
in fondo, manicomio più o manicomio meno, quello che conta è che
l'Italia è l'unico paese al mondo che - sulla carta - ha
abolito i manicomi..
(3) Cfr. Annuario Statistico Italiano.
(4) Si rifletta
inoltre su questo fatto: la spesa globale per la cosiddetta
assistenza psichiatrica (cioè pura e semplice segregazione) nelle
188 istituzioni a ciò preposte, pare aggirarsi attorno a Lit.
1.800 miliardi, soldi del contribuente spesi per assistere non
già i malati di mente, ma le clientele annidate in questi carrozzoni
che costituiscono pertanto, a tutti gli effetti un clamoroso caso di
assistenzialismo economico, così florido in Italia. Lascio al lettore
di immaginare quante cose si potrebbero fare con la stessa cifra
(magari anzi risparmiando, visto che si parla sempre di contenimento
della spesa pubblica, soprattutto nel settore sanitario), provvedendo
realmente all'assistenza ed alla vita di questi sventurati
concittadini intrappolati da decenni dentro quattro mura e,
contemporaneamente, consentendo alla parte sana del personale medico
e paramedico di esercitare, con professionalità ed umanità, le
mansioni per le quali sono stati assunti e per le quali sono
stipendiati: le esperienze di Gorizia, Trieste ed Arezzo (dove i
manicomi sono stati concretamente aboliti perché gli edifici sono
stati adattati a nuovi usi e le persone in essi internate sono state
restituite all'aria libera e ad una vita degna di essere vissuta)
saranno servite pure a qualcosa. O no?!
(5) Sono i Servizi
Psichiatrici di Diagnosi e Cura, cioè reparti che, ai sensi
dell'articolo 1 della legge 180, ospitano per un periodo di tempo non
superiore ai sette giorni (art. 3) malati di mente in gravi
condizioni acute; reparti ospedalieri (come quelli per i malati di
cuore o di diabete) che, a nove anni dall'entrata in vigore della
legge 180, ancora non sono stati istituiti in tutti gli ospedali nei
quali erano stati previsti, come a Roma dove per quattro milioni di
cittadini, esistono solo tre S.P.D.C., per complessivi 45 posti letto,
senza che nessuna autorità competente intervenga.
Noi del CARM
denunciamo
Si parla e si scrive
molto, periodicamente, di assistenza psichiatrica, di attuazione
della legge 180, di abolizione dei manicomi; anzi, secondo molte
persone, questi sono stati aboliti da anni, al punto che, nel parco
dell'Ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà di Roma, l'estate si
canta e si balla. Ebbene, è arrivato
il momento di dire che la realtà è molto diversa. Nella regione Lazio
esistono ancora 4703 cittadini italiani (dei quali 776 al S. Maria
della Pietà di Roma) segregati dentro quattro mura di un reparto o
di un padiglione privi dei più elementari diritti umani, senza alcun
contatto con la società, che oltretutto ne ignora (ne vuole
ignorare) l'esistenza. Questi cittadini
sono, in gran parte, anziani poveri, internati da 20-30 anni in
manicomio, dove sono stati sottoposti ad elettroshock, legati ai
letti di contenzione, inebetiti da dosi massicce di psico-farmaci,
spesso fatti oggetto di soprusi e percosse. È necessario anche
chiarire una volta per tutte, che non siamo in presenza di un
problema di politica sanitaria da delegare a pochi esperti del
settore, ma di una questione di libertà e dignità della persona
umana, che interessa direttamente ogni cittadino italiano. Tale violazione dei
diritti umani di questi nostri cittadini, anche se avallata da
parenti privi di sensibilità umana, non può essere più tollerata,
perché abbassa il nostro regime democratico al livello di uno stato
poliziesco. Riteniamo infatti che l'esistenza di istituzioni totali
rappresenti una costante minaccia per la libertà e la dignità di
ogni cittadino italiano e che il diritto di ogni persona alla tutela
della sua integrità psicofisica, al rispetto della sua dignità, ad
un'assistenza (quando occorra) che ne promuova l'autonomia e la
libertà, sia non solo un diritto umano inalienabile, non solo un
fatto di civiltà, ma anche un imperativo morale e dunque politico. In questo senso
infatti, inderogabilmente si esprimono sia la Costituzione (art. 13 e
32), sia la stessa vigente legislazione per l'assistenza psichiatrica
e sanitaria (leggi 180 e 833 del 1978), sia infine il codice di
comportamento etico per gli psichiatri, stabilito nella
Dichiarazione delle Hawaii del 1917 dall'Associazione Psichiatrica
Internazionale. Pertanto riteniamo
indispensabile denunciare e combattere tutte quelle situazioni e
istituzioni che con questo diritto, con questi principi
costituzionali, siano in contrasto, e si pongano dunque fuori e
contro la legge e la giustizia. Questa è la
finalità dell'Associazione per i Diritti Umani dei Detenuti nelle
Istituzioni Totali, che lancia un appello a tutti i democratici di
buona volontà, affinché aderiscano ad essa, per una battaglia di
civiltà e di libertà.
dal
manifesto programmatico del CARM (comitato per l'abolizione dei
regolamenti manicomiali
e dei manicomi criminali)
c/o cooperativa "Bravetta '80"
26 via de'Jacovacci
21
- 00163
ROMA
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