Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 144
marzo 1987


Rivista Anarchica Online

Psichiatria e diritti civili
di Fabrizio Parboni

Elettroshock, psicofarmaci in quantità, letto di contenzione, maltrattamenti vari. È questa, ancora, la quotidiana realtà per molti di quelli che sono rimasti in manicomio. Alla faccia della Costituzione, della "180", dei diritti civili.

Nella biografia di Emilio Lussu di Giuseppe Fiori, si parla del manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (1): ad oltre 60 anni da quegli avvenimenti, quell'istituzione e le relative norme che la regolamentano sono tuttora vive e vegete. Sono 6 in tutto i manicomi giudiziari e si trovano, oltre che a Barcellona Pozzo di Gotto, ad Aversa, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli e Reggio Emilia. Vi sono internati i detenuti impazziti in carcere, i cittadini che devono essere sottoposti a perizia psichiatrica ed i malati di mente che hanno commesso dei reati.
Sono in tutto 1344 persone rinchiuse in un vero e proprio gulag, regolamentato da norme del secolo scorso, come il regolamento carcerario del 1-2-1891, vergogna della nostra democrazia repubblicana.
Nel Quaderno Caritas n.17 il cappellano di Montelupo Fiorentino racconta che, nel 1949, somministrò la comunione ad un moribondo consumato dalla tbc che, pochi istanti prima di morire, gli gridò: "Padre, lo dica a tutti, io sono stato in questo inferno per 30 anni, perché da giovane rubai una bicicletta". Successivamente nell'aprile 1983 (il tempo non ha valore per queste assurde istituzioni) un giovane di 19 anni, certo R.B., arrestato a Pescia nei locali dell'Ospedale Civile, sta per soffocare nella sua cella. È sempre lo stesso cappellano che racconta: "Lo avvicino, non sa parlare, è gracile, ha le mani rattrappite, i compagni di cella lo aiutano a vestirsi, a lavarsi, a mettersi a letto, gli spezzano il cibo. È handicappato - mi dicono - ma chi ce lo ha mandato?". Ce l'ha mandato l'art.222 del codice penale, come persona - pensate un po'- non imputabile per vizio totale di mente con perdurante pericolosità sociale. Non vi sembra che l'unica, vera, perdurante pericolosità sociale sia quella di queste istituzioni, come quella di Aversa che è stata fondata nel 1876 o come quella di Reggio Emilia, denunciata dai medici che vi lavorano alla Procura della Repubblica perché "allo stato attuale può essere tutto tranne che un ospedale psichiatrico"? E si può aggiungere che non è neanche un carcere, dato che in esso sono internate sine die persone in attesa di perizia psichiatrica, cittadini che, in una vera democrazia, dovrebbero semmai stare agli arresti domiciliari.
E veniamo adesso ai manicomi (eufemisticamente definiti ospedali psichiatrici) civili, o, secondo il CENSIS, istituti di ricovero tradizionali; essi sono di 4 categorie:
- manicomi pubblici che, in tutta Italia, sono 92 (2), ad otto anni dall'entrata in vigore della legge 180 che, quindi, non ha abolito (o "superato gradualmente") neanche un manicomio;
- strutture private convenzionate, ex opere pie sopravvissute alla legge che ne ha decretato lo scioglimento, che non hanno mai neanche lontanamente pensato di applicare la 180, probabilmente perché facenti capo ad ordini religiosi dipendenti dal Vaticano; sono in tutta Italia 11, delle quali 7 nella regione Lazio;
- cliniche private: sono 71 in tutta Italia, delle quali ben 21 nella regione Lazio;
- 14 cliniche universitarie.

Due italiani su mille
Fin qui i dati di un'inchiesta-fantasma del CENSIS sull'attuazione della riforma psichiatrica: fantasma perché, consegnata al Ministero della Sanità nel gennaio 1986, non è stata finora pubblicizzata e non è stata neppure minimamente presa in considerazione dai componenti del comitato ristretto della Commissione Sanità della Camera che si sono assunti l'ingrato compito di riformare (o controriformare) la 180: strani legislatori, non vi sembra?
Comunque, nei manicomi pubblici, al 31-12-1983 (si tratta di dati ISTAT) erano rinchiusi 48.650 cittadini; nelle cliniche private ed in quelle universitarie 63.599. Nei primi, queste 48.650 persone rappresentano il c.d. "residuo manicomiale", ossia, il prodotto finale di decenni di internamento, "residuo" che è venuto via via riducendosi dalle 180.446 unità (cioè persone) del 1970, per morte naturale o violenta, come quel ricoverato nell'Ospedale Psichiatrico (civile - si badi - non giudiziario, dato che in quella cittadina sono collocati 2 manicomi) di Aversa, bruciato vivo sul letto di contenzione.
Le 63.599 persone rinchiuse nelle cliniche private, invece, sono allo stadio iniziale della loro carriera di internati; dopo un periodo (o più periodi) di ricovero e contenzione nelle cliniche private, che sarà servito a cronicizzare la loro malattia, nonché a mangiare tutti i soldi dei famigliari nel caso di cliniche non-convenzionate, saranno buttati come veri e propri pezzi di carne umana in pasto ad uno dei 92 ospedali psichiatrici, sempre perfettamente funzionanti, sia che la legge 180 venga abrogata, sia che rimanga in vigore.
Quanti siano gli internati nelle cosiddette strutture private convenzionate, neanche l'ISTAT lo sa: nel Lazio, comunque, sono 1.778, mentre nelle Puglie sono 4.400 (compresi alcuni bambini), segregati nelle due Case della Divina Provvidenza "Don Uva" di Bisceglie (Bari) e di Foggia.
Tutta questa gente (oltre 2 italiani su mille) se, da un lato, vegeta da decenni o "soltanto" da pochi anni come le bestie al giardino zoologico, dall'altro lato, ai sensi dell'art. 11 della 180, riceve regolarmente il certificato elettorale: che non si venga quindi a dire che nella nostra repubblica, nata dalla lotta di liberazione antifascista, esistono persone rinchiuse nei lager, o private dei diritti civili senza essere state regolarmente condannate all'ergastolo. Quanto agli altri diritti costituzionalmente garantiti, come l'inviolabilità della libertà personale (art. 13 della Costituzione) o la tutela della salute (art.32 della Costituzione) per non parlare poi del rispetto della dignità e della identità personale e di tutte le altre belle parole scritte nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, il discorso cambia: elettrochoc, psicofarmaci in quantità, letti di contenzione e maltrattamenti vari sono le "terapie" quotidiane di questi nostri sventurati fratelli, che non fanno parte di nessuna corporazione, non sono iscritti a nessun albo professionale, a nessun partito o sindacato, sono soltanto (come disse un ricoverato di Ceccano, vicino Frosinone) "carne venduta".

Un boicottaggio palese ed occulto
Se ora esaminiamo la tabella 1, nella quale sono riportati i dati statistici sugli internati relativi al periodo 1970-1983, notiamo una costante, progressiva diminuzione del cosiddetto residuo psichiatrico, in atto già da ben otto anni prima dell'entrata in vigore della 180: questa legge pertanto, con i meccanismi di boicottaggio palese ed occulto che ha provocato, non solo non ha chiuso una sola delle 188 istituzioni manicomiali, ma non ha neanche significativamente contribuito a svuotarlo, ad ulteriore conferma della traccia pressoché incancellabile che la legge manicomiale del 1904 ha lasciato, nelle coscienze di operatori, famigliari, e opinione pubblica in genere, dopo essere rimasta in vigore per ben 74 anni. Si può tranquillamente (si fa per dire) sostenere che "la legge che ha abolito i manicomi" ha inciso sulla sorte degli internati molto meno del naturale trascorrere del tempo e, di conseguenza, della morte.
Si consideri infatti che, nel periodo 1970-1983, nei soli manicomi pubblici, sono morte, per cause più o meno naturali, 44.925 persone (3).
È risaputo d'altra parte che la morte è rimedio di tutti i mali. Ma allora, a che cosa è servita questa benedetta legge 180? Basta dare un'occhiata alla tabella 2 per rendersi conto del fatto che il rapporto statistico fra personale (medici, psicologi, infermieri, ecc.) ed internati è passato da 1 contro 5,41 (anno 1970) a 1 contro 1,94 (anno 1983).
Si invitano i sindacati confederali di categoria ed il sindacato pensionati C.G.I.L. a riflettere su tale situazione: la legge 180, così come è stata applicata o meglio, disapplicata, non è servita a far uscire gli internati dai manicomi pubblici; in compenso essa da un lato è servita a farvi entrare nuove categorie di lavoratori (psicologi, assistenti sociali, animatori) e dall'altro a conservare alle figure tradizionali (psichiatri, infermieri, amministrativi) una situazione più comoda in istituzioni disumane ed incostituzionali da sempre e, dal 1978, anche illegali; ma tutte queste persone non avrebbero dovuto essere impiegate nei servizi territoriali e nelle strutture alternative previste dalla stessa legge 180 per il superamento del manicomio? (4). I dati relativi agli internati nelle cliniche private od universitarie, infine, non hanno bisogno di molti commenti: al di là di oscillazioni da un anno all'altro, infatti, si registra, tra il 1970 e il 1983, un aumento del 14 per cento nelle presenze. È evidentemente un settore dell'economia italiana che va a gonfie vele. L'ISTAT non ha rilevato i dati relativi al personale impiegato in queste istituzioni e neanche quelli relativi alle 11 strutture convenzionate (opere pie cattoliche).

Alle soglie del 2000
Se questi sono i termini della questione psichiatrica, qual è l'atteggiamento dei mezzi di comunicazione di massa nei confronti di un problema non già di politica sanitaria, ma di libertà e rispetto della dignità della persona umana, che, quindi, interessa direttamente ogni singolo cittadino o l'opinione pubblica nel suo complesso? Un atteggiamento distratto, di attenzione sporadica, incoerente, contraddittorio caratterizza la stampa italiana, in tempi nei quali tutto è diventato spettacolo e si privilegiano, quindi, solo gli aspetti clamorosi ed eclatanti, non la riflessione razionale sui problemi e sulle loro soluzioni. La stampa in Italia, comunque, è un fatto abbastanza d'élite, se è vero che la tiratura complessiva dei quotidiani italiani (sportivi compresi) si aggira sui 6 milioni di copie al giorno, grosso modo quanti se ne diffondono in Svezia, dove la popolazione è quasi sette volte meno numerosa.
Altrettanto si può dire per la televisione, tanto pubblica che privata, dalla quale però è lecito aspettarsi un ben diverso atteggiamento, dato l'impatto incredibile che ha sulla formazione dell'opinione pubblica nel nostro Paese: 25.500.000 spettatori in una sera di un giorno qualsiasi, in una fascia oraria dalle 20.30 alle 23. Unica eccezione: il Dipartimento Scuola Educazione della terza rete RAI che, nei mesi scorsi, ha mandato in onda un programma sulla psichiatria, ad un'ora alquanto folle, tanto per restare in argomento, mezzanotte meno cinque.
Anche l'atteggiamento degli operatori del settore e dei parenti degli internati psichiatrici non è molto positivo: i primi, più preoccupati di gestire l'esistente (come si dice oggi) che non di trasformarlo, con la lodevole eccezione degli iscritti a Psichiatria Democratica e di non molti altri, devono però trovare il coraggio e la fantasia degli anni di Franco Basaglia.
Mentre i parenti offrono un quadro davvero desolante, di totale irresponsabilità, spinta fino al menefreghismo.
Ma, in definitiva, che cosa rappresenta il problema della malattia mentale e del manicomio, in due parole? Ebbene tutta questa problematica non è altro, per la maggioranza delle persone del nostro paese, che un gigantesco e mostruoso idolo, per dirla col filosofo Bacone, un complesso di stereotipi e superstizioni medioevali. Ancora oggi, ormai alle soglie del 2000, ciò impedisce alla gente di pensare, causando la sofferenza di decine e decine di migliaia di nostri concittadini. Non si può spiegare altrimenti la cocciuta e testarda ostinazione, con la quale direttori, primari ed infermieri ospedalieri e relative corporazioni sindacali si oppongono da anni nella città di Roma alla apertura di nuovi S.P.D.C. (5) negli ospedali, negando a dei concittadini l'attuazione pratica del diritto costituzionalmente garantito alla tutela della salute: evidentemente, per tutti costoro, i malati di mente non sono, appunto, malati, ma "segnati da Cristo" o indemoniati da esorcizzare; proprio per questo, tale problema e la ricerca di soluzioni umane non è una questione settoriale, ma un metro della civiltà di un popolo.


tabella 1

Anni

Internati pubblici

Internati in cliniche

private e universitarie

1970

180.446

55.613

1971

178.855

60.920

1972

180.604

64.901

1973

173.267

64.664

1974

172.566

65.691

1975

171.487

66.782

1976

163.629

68.661

1977

150.657

69.245

1978

122.352

68.101

1979

92.709

64.631

1980

83.186

66.993

1981

65.680

64.736

1982

53.000

64.000

1983

48.650

63.559


tabella 2

Anni

Internati pubblici

Medici

Infermieri

Altri

1970

180.446

1.121

23.883

8.336

1971

178.855

1.182

24.406

8.567

1972

180.604

1.341

25.564

9.849

1973

173.267

1.377

25.059

10.387

1974

172.566

1.494

26.769

10.721

1975

171.487

2.475

26.619

11.370

1976

163.629

2.504

26.593

11.879

1977

150.657

2.621

25.825

11.124

1978

122.352

2.659

24.765

10.523

1979

92.709

2.612

23.271

10.746

1980

83.186

2.333

21.510

9.609

1981

65.680

1.937

18.958

9.542

1982

53.000

1.450

16.500

8.900

1983

48.650

1.070

15.702

8.304

Fonte: Annuario Statistico Italiano; Ricercatori: O. Marazziti e C. Maroni.




(1) G. Fiori "Il cavaliere dei Rossomori" Einaudi 1985, pag. 187.

(2) A proposito del numero dei manicomi pubblici va rilevato quello che si potrebbe definire il "modo italiano di fare le statistiche", cioè una singolare oscillazione: da 91 manicomi (anno 1970), a 97 (anno 1972), a 95 (anno 1975), a 99 (anno 1978), a 96 (anno 1981) e infine, agli attuali 89 (anno 1983: rilevazione ISTAT) mentre, secondo il CENSIS, sono appunto 92.
Questa bizzarra "duttilità" nel settore sanitario e, in particolare, psichiatrico, non induce certamente il cittadino a nutrire grande fiducia nelle istituzioni proposte alla rilevazione statistica dei dati (fondamentale nella gestione della cosa pubblica in una società industriale o postindustriale che sia), indipendentemente dal valore o dall'abnegazione degli impiegati che in esse alacremente operano. D'altra parte, non è neanche il caso di stare troppo a sottilizzare: in fondo, manicomio più o manicomio meno, quello che conta è che l'Italia è l'unico paese al mondo che - sulla carta - ha abolito i manicomi..

(3) Cfr. Annuario Statistico Italiano.

(4) Si rifletta inoltre su questo fatto: la spesa globale per la cosiddetta assistenza psichiatrica (cioè pura e semplice segregazione) nelle 188 istituzioni a ciò preposte, pare aggirarsi attorno a Lit. 1.800 miliardi, soldi del contribuente spesi per assistere non già i malati di mente, ma le clientele annidate in questi carrozzoni che costituiscono pertanto, a tutti gli effetti un clamoroso caso di assistenzialismo economico, così florido in Italia.
Lascio al lettore di immaginare quante cose si potrebbero fare con la stessa cifra (magari anzi risparmiando, visto che si parla sempre di contenimento della spesa pubblica, soprattutto nel settore sanitario), provvedendo realmente all'assistenza ed alla vita di questi sventurati concittadini intrappolati da decenni dentro quattro mura e, contemporaneamente, consentendo alla parte sana del personale medico e paramedico di esercitare, con professionalità ed umanità, le mansioni per le quali sono stati assunti e per le quali sono stipendiati: le esperienze di Gorizia, Trieste ed Arezzo (dove i manicomi sono stati concretamente aboliti perché gli edifici sono stati adattati a nuovi usi e le persone in essi internate sono state restituite all'aria libera e ad una vita degna di essere vissuta) saranno servite pure a qualcosa. O no?!

(5) Sono i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, cioè reparti che, ai sensi dell'articolo 1 della legge 180, ospitano per un periodo di tempo non superiore ai sette giorni (art. 3) malati di mente in gravi condizioni acute; reparti ospedalieri (come quelli per i malati di cuore o di diabete) che, a nove anni dall'entrata in vigore della legge 180, ancora non sono stati istituiti in tutti gli ospedali nei quali erano stati previsti, come a Roma dove per quattro milioni di cittadini, esistono solo tre S.P.D.C., per complessivi 45 posti letto, senza che nessuna autorità competente intervenga.



Noi del CARM denunciamo

Si parla e si scrive molto, periodicamente, di assistenza psichiatrica, di attuazione della legge 180, di abolizione dei manicomi; anzi, secondo molte persone, questi sono stati aboliti da anni, al punto che, nel parco dell'Ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà di Roma, l'estate si canta e si balla.
Ebbene, è arrivato il momento di dire che la realtà è molto diversa.
Nella regione Lazio esistono ancora 4703 cittadini italiani (dei quali 776 al S. Maria della Pietà di Roma) segregati dentro quattro mura di un reparto o di un padiglione privi dei più elementari diritti umani, senza alcun contatto con la società, che oltretutto ne ignora (ne vuole ignorare) l'esistenza.
Questi cittadini sono, in gran parte, anziani poveri, internati da 20-30 anni in manicomio, dove sono stati sottoposti ad elettroshock, legati ai letti di contenzione, inebetiti da dosi massicce di psico-farmaci, spesso fatti oggetto di soprusi e percosse.
È necessario anche chiarire una volta per tutte, che non siamo in presenza di un problema di politica sanitaria da delegare a pochi esperti del settore, ma di una questione di libertà e dignità della persona umana, che interessa direttamente ogni cittadino italiano.
Tale violazione dei diritti umani di questi nostri cittadini, anche se avallata da parenti privi di sensibilità umana, non può essere più tollerata, perché abbassa il nostro regime democratico al livello di uno stato poliziesco. Riteniamo infatti che l'esistenza di istituzioni totali rappresenti una costante minaccia per la libertà e la dignità di ogni cittadino italiano e che il diritto di ogni persona alla tutela della sua integrità psicofisica, al rispetto della sua dignità, ad un'assistenza (quando occorra) che ne promuova l'autonomia e la libertà, sia non solo un diritto umano inalienabile, non solo un fatto di civiltà, ma anche un imperativo morale e dunque politico.
In questo senso infatti, inderogabilmente si esprimono sia la Costituzione (art. 13 e 32), sia la stessa vigente legislazione per l'assistenza psichiatrica e sanitaria (leggi 180 e 833 del 1978), sia infine il codice di comportamento etico per gli psichiatri, stabilito nella Dichiarazione delle Hawaii del 1917 dall'Associazione Psichiatrica Internazionale.
Pertanto riteniamo indispensabile denunciare e combattere tutte quelle situazioni e istituzioni che con questo diritto, con questi principi costituzionali, siano in contrasto, e si pongano dunque fuori e contro la legge e la giustizia.
Questa è la finalità dell'Associazione per i Diritti Umani dei Detenuti nelle Istituzioni Totali, che lancia un appello a tutti i democratici di buona volontà, affinché aderiscano ad essa, per una battaglia di civiltà e di libertà.

dal manifesto programmatico del CARM (comitato per l'abolizione dei regolamenti manicomiali e dei manicomi criminali) c/o cooperativa "Bravetta '80" 26 via de'Jacovacci 21 - 00163 ROMA