Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 144
marzo 1987


Rivista Anarchica Online

Il "malato di mente" un non-problema
di Salvatore Piromalli (responsabile dell'Associazione "L'altra pazzia" di Reggio Calabria)

La situazione dell'assistenza psichiatrica in Calabria va letta sulla base delle contraddizioni proprie della questione meridionale. In una condizione generale di emarginazione e di sottosviluppo il "malato di mente" diventa un non-problema, rimosso dalla coscienza e dalla vita quotidiana della gente.

Nell'ambito della ricerca nazionale sull'assistenza psichiatrica che il ministero della Sanità ha affidato al Censis (Centro studi investimenti sociali), veniva pubblicato nell'ottobre 1985 il Rapporto regionale sulla situazione della psichiatrica in Calabria (1). L'indagine rappresenta al momento il documento più completo e aggiornato disponibile, per una disamina dell'excursus storico della psichiatria nella regione dagli anni '60 ad oggi.
Non sarebbe possibile né corretto, da un punto di vista metodologico, tentare una comprensione dello scenario della psichiatria nella regione Calabria senza aver individuato preliminarmente alcuni nodi problematici che caratterizzano il contesto più generale della sanità e dei servizi sociali, e che senza dubbio compromettono - più o meno direttamente - l'ambito particolare dell'assistenza psichiatrica. In questi due settori infatti, la Calabria presenta gravissimi ritardi e lacune, conseguenza di un costume politico e di una gestione dei problemi collettivi in cui l'ignavia e l'insipienza amministrativa, il clientelismo mafioso e l'inadempienza sono ormai diventati inosservata quotidianità e norma dell'agire politico. Problemi enormi perennemente irrisolti stanno a denunciare una situazione gravemente deficitaria sia sul piano socio-culturale che tecnico-organizzativo; cercherò schematicamente di indicarli.
Per ciò che concerne l'attuazione della riforma sanitaria (legge 23 dicembre 1978, n. 833), non esiste in Calabria il Piano sanitario Regionale, che rappresenta uno strumento fondamentale per avviare una programmazione complessiva degli interventi preventivi, curativi e riabilitativi, e per un uso più razionale e corretto delle risorse.
L'importanza data dalla riforma all'aspetto della "prevenzione" e del "territorio" è stata completamente sottovalutata in una regione dove l'aspetto predominante dell'assistenza sanitaria è costituito dalla cura; l'ospedale e l'ospedalizzazione rappresentano ancora oggi il paradigma dell'assistenza e dell'intervento sanitario. "Al Sud più che altrove, e anche nella stessa fase di programmazione, non viene ancora superata la logica che vede nell'ospedale la struttura centrale e portante del sistema sanitario, verificando così la nuova ottica, ad esempio nella priorità che attribuisce alla prevenzione e al territorio..."; l'ospedale riacquista centralità e forza, divenendo così "uno dei principali centri di potere, di sottogoverno e di lottizzazioni clientelari".
L'incontestata centralità dell'istituzione ospedaliera compromette inevitabilmente anche il settore della salute mentale dove, come vedremo meglio più avanti, l'intervento prioritario è costituito dal ricovero presso i servizi psichiatrici degli ospedali civili, in assenza di ogni intervento extraospedaliero di filtro, di prevenzione, di riabilitazione.
L'inefficienza, i vuoti e il disservizio della gestione pubblica rafforzano la privatizzazione della medicina: "Le case di cura private, mediante il compiacente convenzionamento con le regioni, si consolidano..." Nel settore psichiatrico, questo aspetto è molto evidente, come avremo modo di dimostrare.
A livello della formazione, occorre dire che "I medici risentono di una formazione teorica ed organicistica che trascura l'approccio alle scienze umane (psicologia, sociologia, ecc.) secondo gli orientamenti più retrivi e provinciali che prevalgono nella cultura accademica meridionale. Sussistono difficoltà e carenze nella "riconversione", qualificazione ed aggiornamento: le regioni non sono in grado di promuoverlo, anche per oggettive difficoltà e resistenze alla mobilità, per resistenze corporative e per i ritardi culturali del sindacato".
Nel settore dei servizi sociali la situazione non è diversa, in mancanza di una legge regionale di riordino dei servizi che stabilisca precise competenze e funzioni (la legge è in fase di approvazione da parte del Consiglio regionale).
Infine (ma non è certo un problema secondario), va segnalata a completamento di quanto detto finora, la mancanza di livelli di integrazione tra i servizi sociali e quelli sanitari: "Manca l'ottica del "sociale" innestato nel "sanitario" e viceversa, sicché, in definitiva, si assiste alla medicalizzazione dei bisogni".

Tra privato e istituzione
La situazione della sanità e dei servizi sociali in Calabria, di cui abbiamo esaminato brevemente e senza pretese di completezza i tratti essenziali, costituisce lo sfondo in cui si colloca e in base a cui va compresa l'assistenza psichiatrica.
Il primo dato di carattere generale che emerge chiaramente dall'analisi della realtà regionale e dal Rapporto Censis, è la sostanziale disapplicazione della legge di riforma (la n. 180 del 13 maggio 1978) e della legge regionale n. 20 del 17 dicembre 1981 (disciplina delle funzioni per la tutela della salute mentale), che aderisce, almeno sul piano legislativo, al processo riformatore.
Un'analisi dettagliata delle caratteristiche tipologiche e organizzative dei servizi esistenti ed operanti a 8 anni dalla 180, dimostra chiaramente quanto si è affermato.
a) Le istituzioni pubbliche di ricovero: nella regione sono tutt'ora presenti due grosse istituzioni manicomiali: un O.P. a Reggio Calabria con circa 400 ricoverati e un O.P. a Girifalco (CZ) con circa 500 ricoverati. La provincia di Cosenza non ha mai avuto un proprio O.P. e ha gestito in regime consortile (insieme alle province di Salerno, Isernia e Campobasso) l'O.P. di Nocera Inferiore (SA), dove attualmente i degenti "deportati" sono circa 240. L'entità numerica della popolazione manicomiale risulta complessivamente di oltre 1100 persone (2): un dato terribilmente drammatico e allarmante, tuttavia molto spesso dimenticato quando si parla di riforma, di nuovi servizi, di nuova utenza. Il Rapporto Censis precisa che "non esiste ancora un progetto organico per il ... superamento (degli OO.PP.), come prescrive la legge". Non solo: i Comuni e le UU.SS.LL., per la gran parte, non dispongono neanche dei dati elementari riguardanti l'entità e l'identità delle persone ricoverate in manicomio, appartenenti al territorio di propria competenza.
È vero che affrontare in modo corretto il problema del superamento degli OO.PP. comporta delle difficoltà notevoli, a livello culturale, organizzativo, economico (basti pensare all'assenza in Calabria di esperienze anticipatrici in tal senso, all'incapacità e impreparazione degli amministratori, all'incremento di spesa nel breve periodo, ai problemi di formazione e di mobilità nel personale, ecc.). È però anche vero che in questi anni nessuna attenzione è stata rivolta a questa situazione, nessun tentativo è stato fatto, a nessun livello: quella che è mancata è la volontà politica di attuare la riforma, a cominciare dallo smantellamento dei manicomi.
Tutte le giustificazioni della classe politica sono frutto di un atteggiamento di ipocrisia e di malafede; ad esempio, per ciò che concerne il fattore finanziario, la gestione di una rete di strutture alternative sarebbe - nel lungo periodo - una soluzione economicamente più vantaggiosa della gestione manicomiale (solo a Reggio Calabria il manicomio assorbe ogni anno 13 miliardi). Un altro esempio ancora: si addita la mancata qualificazione professionale di medici e infermieri come ennesimo fattore ostacolante una diversa organizzazione dei servizi, dimenticandosi che nessuna iniziativa di formazione è stata avviata dagli enti pubblici (Regione in testa) in questi anni.
"In sintesi - cito dal rapporto - per la regione Calabria il paradigma asilare del manicomio sembra essere tuttora valido, se è vero che la regione non propone un modello alternativo (non più basato sulla delega alla medicina, sulla risposta indifferenziata e totalizzante) e non definisce quale servizio psichiatrico pubblico e territoriale si vuole costituire".
b) Le istituzioni private di ricovero: il primo atto, all'emanazione della 180, fu quello di abilitare le cliniche psichiatriche della regione per il ricovero in trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.). In tal modo la regione ha cercato di tamponare una situazione di urgenza che la vedeva notevolmente impreparata sul piano culturale, amministrativo, organizzativo, e in ritardo rispetto alle altre regioni. Non si vuole fare certo un processo gratuito a scelte politiche del passato, frutto di contingenze particolari e di esigenze improvvise (3); quello che si critica è che ancora oggi il regime di convenzione è in corso con 5 cliniche private (due nell'Usl di Cosenza e tre nell'Usl 18 di Catanzaro), per un totale di 500 posti letto. In provincia di Cosenza esiste inoltre un mega-istituto paramanicomiale convenzionato anch'esso con la regione, in cui sono tuttora ricoverati 300 pazienti psichiatrici, in gran parte dimessi dagli OO.PP. che non hanno trovato all'esterno risposte adeguate ai loro bisogni; si tratta dell'istituzione denominata "Serra D'Aiello".
Se viene considerata in totale la popolazione psichiatrica delle strutture ospedaliere pubbliche e private, si raggiunge l'assurda cifra di 2.000 persone circa: una percentuale notevole di sofferenti mentali costretta a tutt'oggi a subire sulla propria pelle le conseguenze materiali e psicologiche di ricoveri prolungati (4), della perdita della libertà e dignità personale, di metodi terapeutici rozzi e incivili, che non rispettano i diritti umani e costituzionali delle persone (5).
c) I servizi psichiatrici territoriali: complessivamente i pochi servizi esistenti non solo non rappresentano un polo alternativo alla centralità del manicomio, ma diventano essi stessi - tranne qualche eccezione - esportatori di quel modello e di quella logica, contaminando alle radici la progettualità dell'assistenza territoriale. Per comodità descriveremo in questo paragrafo i S.P.D.C. (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura), pur trattandosi di servizi non territoriali, per mettere in luce le interconnessioni che esistono tra operatività territoriale e ricovero in Ospedale.

La qualità dei servizi
La mancata applicazione della legge che istituisce i Dipartimenti di Salute Mentale ha fatto cadere il "punto chiave della riprogrammazione dell'assistenza psichiatrica di un territorio", con gravissime ripercussioni sulla qualità delle prestazioni dei vari servizi e sul loro modello d'intervento. Potremmo sintetizzare i tratti caratteristici dell'attuale situazione con i termini: medicalizzazione-ospedalizzazione-abbandono; questi termini rappresentano anche il percorso della stragrande maggioranza dei sofferenti mentali calabresi, dal momento in cui si rivolgono al S.S.M. territoriale, al ricovero presso il S.P.D.C., alla dimissione che si configura come abbandono totale a se stessi e alle loro famiglie. Ma vediamo come e perché si realizza questo percorso distorto, analizzando più da vicino i problemi.
1) Servizi di salute Mentale: dovrebbero svolgere "funzioni preventive, curative e riabilitative in modo integrato con gli altri servizi socio-sanitari e in particolare con la medicina di base a livello di distretto sanitario" (art.8) (l.r.20). Il S.S.M. rappresenta quindi il primo momento di aiuto e di intervento verso il cittadino sofferente di un determinato territorio, identificato con l'area distrettuale.
Nella pratica quotidiana, i S.S.M. si configurano come meri ambulatori diurni dispensari di farmaci: a parte qualche intervento di sostegno psicologico (colloqui), il modello prevalentemente è quello medicale-farmacologico, con selezione tendenziale dell'utenza e presa in carico di quella parte non fortemente traumatica (quando intervengono sulla crisi, sono gli stessi S.S.M. che richiedono, quasi sempre, il ricovero presso il S.P.D.C.).
2) Servizi psichiatrici di diagnosi e cura ospedalieri: come si sa, la legislazione nazionale li indica come ultima risorsa a cui ricorrere qualora l'intervento degli altri servizi territoriali non possa attuarsi adeguatamente (art. 2 legge 180).
I nodi operativi di questi servizi sono ben sintetizzati dal Rapporto Censis: "...molti dei servizi di diagnosi e cura negli ospedali generali, non essendo collegati operativamente con i servizi territoriali... e rimanendo marginali alla stessa istituzione ospedaliera, sono da una parte pressati dalle crisi e dall'alto numero di richieste che, senza filtro si riversano su di essi, dall'altra, affermando un modello medicale (...) come prevalente, spesso contribuiscono, con le dimissioni, all'abbandono sia da un punto di vista medico psichiatrico che assistenziale (... ), allorché le dimissioni avvengono in assenza di riferimenti a strutture o a situazioni di appoggio.
3) Strutture alternative al manicomio: l'articolo 10 della legge 20 ne parla in modo particolareggiato: "Sono strutture di riabilitazione, integrazione e reintegrazione sociale, operanti in stretta connessione con il SSM, i centri riabilitativi e le strutture alternative in funzione deistituzionalizzante e risocializzante.
È stato giustamente sottolineato come queste strutture siano fondamentali per permettere il superamento dei manicomi; oggi, un po' dappertutto, esse sono il principale anello mancante della riforma.
Il Rapporto Censis parla di 11 S.I.R. (strutture intermedie territoriali) presenti in Calabria: devo a questo proposito confessare di avere finora ignorato l'esistenza dì queste strutture, ad eccezione di quelle operanti nella provincia di Reggio Calabria. Addirittura, per tre di queste - ubicate in provincia di Cosenza -, è da ritenere che si tratti di vere e proprie strutture fantasma (7 ospiti in tutto e nessun operatore, secondo la rilevazione del Censis). In ogni caso le S.I.R. non rappresentano, globalmente prese, una alternativa reale al manicomio, considerando il fatto che molti ospiti (specie nella provincia di Reggio Calabria) sono handicappati psichici più o meno gravi, con problematiche non specificatamente psichiatriche. Si tratta per lo più di esperienze di volontariato maturate negli anni 70-80 sulla spinta delle lotte antiistituzionali, che oggi continuano a testimoniare la possibilità di percorrere strade nuove rispetto al passato, e la volontà di rispondere alla povertà ideale che caratterizza le scelte politiche regionali. Nonostante tutto, però, pur tra mille difficoltà pratiche e organizzative, è soprattutto grazie a queste esperienze che molti ex internati in manicomio hanno potuto riappropriarsi di libertà, dignità e diritti, e della possibilità di vivere rapporti umani alternativi, meno emarginanti e stigmatizzanti.
Lo scenario fin qui descritto è ciò che risulta dalle indagini e dall'analisi della realtà regionale, interpretata alla luce dei nodi problematici e delle difficoltà.
Sembra proprio che la situazione dell'assistenza psichiatrica in Calabria vada letta sulla base delle contraddizioni proprie della questione meridionale: in una condizione generale di emarginazione e di sottosviluppo il "malato di mente" diventa un non-problema, nella misura in cui i suoi bisogni vengono sistematicamente sottovalutati e allontanati dalla coscienza e dalla vita quotidiana della gente.
Certamente esistono delle esperienze positive di lavoro, sia nell'ambito di alcuni servizi pubblici (prov. di Cosenza) sia soprattutto nell'ambito del privato sociale, specie nella provincia di Reggio Calabria. Comunità, gruppi di operatori, forze politiche e sociali tentano di imprimere nuove svolte alla situazione di stallo e di involuzione, attraverso l'opera di denuncia e di sensibilizzazione, e mediante la sperimentazione di un nuovo approccio al sofferente mentale.
"Per le prospettive: solo il rilancio di una capacità contestativa delle linee di politica sanitaria ed assistenziale (...), di un movimento che, partendo dallo specifico psichiatrico, sappia catalizzare la consapevolezza e la cultura del nuovo, potrà contrastare quella linea di razionalizzazione dell'esistente che, oggi, sembra quella affermantesi" (rapporto Censis).

Tabella 3

Ricoverati negli ospedali psichiatrici di Reggio Calabria, Girifalco (CZ) e Nocera Inferiore (SA).

Anno

Reggio Calabria

Girifalco

Nocera Inferiore

Totale

1962

694

(?)

830

---

1965

752

1075

885

2712

1968

768

1054

899

2721

1971

827

986

879

2692

1976

692

852

639

2183

1980

517

648

255

1420

1984

447

512

246

1205

Fonte: Rapporto Censis 1985.


(1) Il titolo del Rapporto è: "L'attuazione della riforma psichiatrica nel quadro delle politiche regionali e dell'offerta quantitativa e qualitativa dei servizi".


(2) I dati riportati nel Rapporto Censis danno cifre superiori, in quanto il censimento dei servizi è avvenuto nel maggio 1978; si è pertanto proceduto ad un'approssimazione per difetto, tenuto conto dei decessi sopravvenuti nel frattempo.


(3) Ricordiamo che la stessa legge n. 180, mentre obbliga le regioni ad individuare, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della riforma, gli ospedali generali in cui devono essere istituiti i SPDC per i trattamenti sanitari che comportino la degenza ospedaliera, dà facoltà alle stesse regioni di individuare le istituzioni private di ricovero e cura, in possesso dei requisiti prescritti, nelle quali possono essere attuati trattamenti sanitari volontari e obbligatori in regime di ricovero (art. 6).


(4) Gli anni di degenza della grande maggioranza delle persone ricoverate in manicomio sono dell'ordine di 20-30-40 e anche più, in alcuni casi.


(5) Molti sapranno del largo uso che ancora si fa, anche nelle strutture pubbliche di ricovero, della contenzione fisica. È recente invece un articolo del settimanale "L'Espresso" (n. 47 del 30 novembre 1986), che denuncia l'uso dell'elettrochoc in Italia: "Oggi l'elettrochoc in Italia, e in tutto il mondo, è normale routine in moltissime cliniche psichiatriche... Dove lo si fa? Un po' dappertutto, soprattutto lo si fa nelle case di cura private". A Roma, "anche nei servizi psichiatrici pubblici (università statale e ospedale S. Giovanni e Forlanini), l'elettrochoc è praticato ordinariamente"
(pag. 261).


Il ritorno dell'elettroshock

L'elettroshock è una crisi convulsiva provocata dalla applicazione al cranio di una corrente alternata a 60-90 Volt e 300-600 milliampere: viene eseguita in anestesia generale per la terapia delle psicosi depressive gravi e dell'anoressia mentale. La terapia con elettroshock è molto discussa (dalla Nuova Enciclopedia Universale Garzanti, prima ediz. novembre 1982).

Questa "terapia" è un altro vanto della psichiatra italiana: fu infatti inventata dal prof. Ugo Cerletti (1877-1963) nel 1938 e, dall'Italia, si diffuse in tutto il mondo, ennesima dimostrazione dell'ingegnosità dell'italica stirpe, come si diceva allora.
Qualunque persona dotata di buon senso può facilmente capire che questa "cura" non è in realtà altro che una tortura: basta pensare infatti, che il voltaggio può essere aumentato a discrezione dell'operatore psichiatrico fino a 150 Volt e che non necessariamente viene sempre praticata l'anestesia generale, dato che l'unico dolore realmente sopportabile è il dolore altrui.
Inoltre questa "terapia" è addirittura pericolosa per la salute già minacciata del paziente, in quanto comporta elevatissimi rischi di microemoraggie cerebrali, incidenti cardiorespiratori, lussazioni, perdite della memoria, danni più o meno gravi e permanenti della personalità; in ultima analisi, a ben vedere, essa si basa sulla logica di "dare un calcio alla televisione di casa quando non funziona bene".
Orbene, tale "terapia", dopo un breve periodo di eclisse nella seconda metà degli anni '70, è ora nuovamente in voga nelle nostre istituzioni totali, siano esse manicomi pubblici o cliniche private, a ulteriore prova dell'estrema labilità delle conquiste di libertà e rispetto della dignità umana, se il manicomio non viene abolito una volta per sempre.

da un appello del CARM (comitato per l'abolizione dei regolamenti manicomiali e dei manicomi criminali)
c/o cooperativa "Bravetta '80" via de'Jacovacci 21 - 00163 ROMA