Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 144
marzo 1987


Rivista Anarchica Online

Maltornata psichiatria!
di Stefano Fabbri d'Errico

L'Italia è l'unico Paese al mondo ad aver abolito i manicomi. Sarà, ma ci sono ancora migliaia di reclusi psichiatrici. Le responsabilità del riformismo. Questo dossier intende offrire un piccolo spaccato di quanto alcuni stanno concretamente facendo, al di fuori della logica istituzionale. E contro le tendenze alla ri-psichiatrizzazione della vita sociale.

Le notizie che provengono dall'arcipelago manicomi (o ex-manicomi, se preferite) non trovano in genere molto spazio sui mass-media. A non molti - pensiamo - sarà capitato nelle scorse settimane di leggerne una riguardante l'ex-ospedale psichiatrico di Imola.
La procura di Bologna ha avviato una procedura per l'interdizione di circa 500 persone che vi sono ancora ricoverate. Il tutto ha avuto origine da un'interpellanza in consiglio comunale da parte di esponenti del MSI, indignati perché, invece di trattenere i soldi della pensione - com'è consuetudine - la direzione dell'ex-manicomio aveva deciso di darli direttamente ai ricoverati, affinché liberamente possano comprarsi ciò che vogliono. I consiglieri missini hanno gridato allo scandalo. I "matti" si sarebbero dati alle pazze spese, comprando anche cose inutili.
La magistratura si è mossa all'unisono. L'interdizione dei ricoverati, una volta sancita, non solo impedirebbe loro definitivamente di disporre del loro danaro, ma li relegherebbe per sempre nel manicomio. Un nuovo tassello, dunque, per pratiche di istituzionalizzazione e comunque di emarginazione. La cura di un paziente interdetto, infatti, porrebbe il medico curante in una situazione favorevole all'internamento, onde evitare possibili conseguenze penali per "abbandono di incapace".
L'episodio di Imola, pur gravissimo in sé, non è che un aspetto della più generale, subdola e violenta campagna tendente alla ri-psichiatrizzazione della vita sociale. Ne abbiamo accennato recentemente in occasione di un'altra vicenda specifica, quella legata alla tentata "perizia psichiatrica" all'anarchico ragusano Franco Leggio.
Torniamo ad occuparcene con questo dossier, che intende richiamare l'attenzione su un aspetto spesso trascurato della "questione psichiatrica": lo scandalo dei lungodegenti, cioè di quelle decine di migliaia di persone ancora oggi rinchiuse negli ospedali psichiatrici pubblici, in barba alla tanto sbandierata legge 180.
Ne abbiamo già parlato poco più di un anno fa, su "A" 133 (dicembre 85/gennaio '86), con l'articolo/denuncia L'ossessione manicomiale.

Padiglioni chiusi
Dimostrammo sin da allora che, come sempre, l'apparato istituzionale, invece di riparare i danni che provoca, ne aggiunge altri a catena e che quando le lotte non sono davvero gestite "dal basso" senza mediazioni e rappresentanze politiche di potere, vengono immancabilmente stravolte, recuperate e sconfitte. Lamentammo la logica perversa dei meccanismi di delega che ha portato, una volta cambiate sulla carta le normative, troppi fra coloro che si erano battuti per distruggere un sistema arcaico e nefando a "rientrare nei ranghi", come se tutto il lavoro fosse già stato compiuto. Il più delle volte nei vari comitati "per l'attuazione della 180" ci si sente dire che una lotta per far sparire il "residuo manicomiale" rischierebbe "oggi" di compromettere la battaglia per la salvaguardia della legge vigente, sottoposta agli attacchi dei settori più retrivi e conservatori.
Oggi, pubblicando fra le altre cose i risultati di una "ricerca scomoda", dimostriamo cifre alla mano come in effetti in questi anni non si è fatto che ristrutturare (senza peraltro neanche "razionalizzarlo") l'apparato di segregazione esistente. Infatti i reparti di contenzione sono stati soppressi solamente a Trieste, ove lavorò Basaglia. Là si sono anche create realmente tutte le infrastrutture previste per l'accoglienza e la risocializzazione degli ex-degenti. L'unica eccezione si ha, a quanto pare, ad Arezzo. Gli altri "ospedali" continuano ad operare come dei veri e propri manicomi ed hanno al massimo ridotto il numero dei padiglioni chiusi. Il solo istituto realmente liquidato in toto è stato quello di Gorizia.
Non parliamo poi delle cliniche private, rimaste senza controllo alcuno al medioevo, i cui interessi prosperano quanto mai. Anche la legge più avanzata del mondo (quale in effetti la "180" è) ha potuto ben poco.
Di tutto ciò però nessuno pare accorgersi: sbarre, letti di contenzione, elettroshock vengono presentati dai mass-media come scomodi ricordi di un buio passato. Il contenzioso deve rimanere nei cassetti di oscure commissioni "riformatrici", sottratto ad utenti ed operatori.
A tale proposito pare assai significativo che sia, nel silenzio generale, proprio una rivista anarchica a sollevare la questione. Gli anarchici sono gli unici a non essersi mai fatti illusioni sulla bontà delle "riforme" poiché hanno sempre creduto che si tratti, nel migliore dei casi, di sterili innesti di speranza su di un albero già rinsecchito dal dominio.
"Di buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno" recita un antico detto. Parimenti sofferenza e delusione sono immancabili punti d'arrivo per ogni movimento che si accontenti di una mera formalizzazione istituzionale dei propri contenuti. Uniche garanzie reali di progresso rimangono l'attenzione critica ed iniziative di lotta costanti tese ad un cambiamento radicale: gestire l'esistente accontentandosi di come esso è significa votarsi al gesuitismo o al suicidio politico.
Oggi che si parla tanto (ed anche a sproposito) di "liberalsocialismo" pare invece, all'atto pratico, che i veri "riformisti" siano proprio coloro che meno ambiscono a definirsi tali: i "rivoluzionari". Questo apparente paradosso sembra venir dimostrato dal fatto che le conquiste più alte nella storia del nostro paese sono sempre la conseguenza di periodi di grande conflittualità e di movimenti di massa tesi ad una trasformazione globale. Viceversa i momenti più bassi hanno sempre avuto come contraltare da un canto quello svuotamento di senso di ogni progetto d'alternativa autogestionaria, determinato da un'asettica fiducia negli apparati dello stato e nei suoi gestori (di qualsiasi "colore" essi fossero), e dall'altro quel cieco furore massimalista imperniato su di un rivoluzionarismo "tout court", incapace di far nascere aggregazione e coscienza dalle esigenze reali ed immediate delle società civili.

Qui ed ora
La caratteristica di questo dossier è quella di aver riunito opinioni e proposte di operatori e gruppi di base presenti nelle più diverse situazioni, qui ed ora, sul difficile terreno "dell'antipsichiatria". Operatori e gruppi di base impegnati in prima persona e non più disposti a cedere alle lusinghe ed all'attendismo o dell'onda di risacca di quell'ottuso conformismo istituzional-partitico a causa del quale la "consapevolezza sociale" del cittadino medio si è così rarefatta da divenire "impalpabile".
Quello che forniamo è quindi, pur con i suoi limiti, un piccolo spaccato di quanto (al di là di tante dotte ma sterili diatribe) si sta concretamente muovendo in Italia.
A fronte di una prospettiva abolizionista ormai completamente disattesa ed abbandonata, la cui fine si vorrebbe addirittura formalizzare in parlamento, desta particolare interesse quanto ad esempio prospetta il "Comitato d'Iniziativa Psichiatrica" di Messina nella sua "ipotesi di accoglienza", che prevede fra l'altro la creazione di "case di pre-dimissione" onde rompere il cerchio della coazione forzata che tante persone, solo perché abbandonate a loro stesse o prive di una famiglia che le prenda in carico, sono costrette a vivere.
Questo dossier è stato reso possibile dall'opera di Fabrizio Parboni che ne ha raccolto e coordinato i contributi. Impegnato da anni in una battaglia contro la segregazione dei degenti psichiatrici, ha dapprima agito all'interno del CARM (Collettivo per L'Abolizione di Regolamenti Manicomiali e manicomi criminali), struttura all'epoca federata al Partito Radicale, il disinteresse e la strumentalità del quale ne determinò la chiusura dopo che erano state raccolte settecentomila firme per l'abolizione dei manicomi. Con i suoi compagni portò avanti nell'83 una serie di iniziative contro il direttore del cronicario di Ceccano, prof. Carlo Citterio, che fu allora destituito ed incriminato per il decesso di un ricoverato causato, a quanto sembra, da maltrattamenti.
Durante lo scorso anno la campagna per Ceccano venne ripresa (di nuovo presente come controparte il Citterio, già reintegrato nelle sue funzioni) e sviluppata in collaborazione con il "Comitato Democratico Contro l'Emarginazione" di Viterbo, un appello del quale è anche riportato su queste pagine. Tale collaborazione ha però avuto termine nel novembre dell'86, per divergenze insorte all'interno del Comitato stesso rispetto alle modalità ed ai contenuti della lotta in corso. Attualmente Fabrizio fa di nuovo riferimento al CARM ora ricostituitosi ed operante nell'ambito del Circolo Anarchico "Franco Serantini" di Roma.