Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 144
marzo 1987


Rivista Anarchica Online

Perché non ci saremo
di Paolo Finzi

Il 14 giugno (forse) i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per i referendum. I tre più controversi riguardano il nucleare. Ma - contrariamente a quanto si vuol far credere - non saranno per nulla decisivi. Nella sostanza ed anche nella forma le decisioni saranno prese altrove. Anzi sono già state prese. Una ragione in più per non prendere parte a questa sceneggiata.

Forse questo editoriale - quando la rivista sarà in edicola - risulterà terribilmente prematuro. O, all'opposto, addirittura superato.
Se ci saranno le elezioni anticipate, infatti, i referendum slitteranno all'anno prossimo. Se invece i partiti riusciranno a trovare un accordo in sede parlamentare per modificare le leggi contestate, i referendum salteranno definitivamente. Il governo stesso, nel fissare la data dei referendum nell'ultimo giorno concesso dalla legge, ha dimostrato di sperare che una di queste due ipotesi possa avverarsi.
Nel frattempo, comunque, è già iniziata la campagna elettorale referendaria. E noi, che pure già abbiamo espresso la nostra opinione in merito nell'ambito del recente dossier antinucleare (A. Papi, Il nanocurie e la scheda, "A" 138), qualcosa da dire l'abbiamo.

Il fronte nucleare
Il fronte filo-nucleare, che con varie sfumature va dai fanatici dell'atomo dell'ENEL e dell'ENEA ai partiti della sinistra storica (comprendendo sindacati, confindustria, ecc.), ha accentuato la sua opera di disinformazione e di pressione, tirando fuori alcuni assi dalla manica. Uno per tutti, il documento sottoscritto dai più noti fisici italiani (da Rubbia ad Amaldi) che - al momento buono - hanno dimostrato senza alcuna incertezza da che parte stanno: dalla parte, sia detto per inciso, di chi li paga. Alla faccia di tutte le ciance che si sentono ripetere in giro sulla "responsabilità morale" degli uomini di scienza, sulla loro neutralità, sul loro carattere di "tecnici imparziali" al servizio della verità.
Una lettura attenta dei principali quotidiani della seconda metà di febbraio, all'indomani appunto della fissazione della data dei referendum, la dice lunga anche sulla parallela opera di disinformazione, di subdolo sostegno quando non di difesa a spada tratta degli interessi della lobby filo-nucleare. Si distingue, tra gli altri, La Repubblica che - non immeritatamente, ci pare - si vanta di essere il più "venduto" tra i quotidiani italiani.
Anche le associazioni promotrici dei referendum sul nucleare, e in genere le associazioni ambientaliste, hanno aperto la loro campagna referendaria. La prima a muoversi in questo senso è stata Democrazia Proletaria, con una manifestazione a Roma il 14 febbraio. Nella polarizzazione che sempre caratterizzata le campagne elettorali, tutti sono spinti a schierarsi. Tutti sono invitati, non sempre con toni cortesi, a partecipare alla grande bagarre elettorale. Nessuno deve disturbare lo spettacolo alla cui messa in scena entrambi i fronti contribuiscono con pari determinazione. Sembra quasi che non ci sia spazio per opinioni, scelte, metodi di intervento diversi. Anche gli autonomi, che con grande spiegamento di verbosità, slogan truculenti, propositi "durissimi" si sono proposti nei mesi scorsi come i "veri rivoluzionari" della situazione, appena è scoccata la campagna elettorale si sono schierati "in difesa dei referendum": dalla spranga alla scheda il passo non è poi così lungo.
I tre referendum sul nucleare non decideranno un bel niente. Le scelte energetiche non sono assolutamente vincolate all'esito delle urne del 14 giugno. È bene averlo molto, molto chiaro. In Italia non esiste una legge specifica che sancisca la costruzione di centrali nucleari, per cui non c'è marchingegno legale che possa "abrogarle". Il 14 giugno chi andrà a votare sarà chiamato ad esprimere il proprio parere in merito all'abrogazione di due commi della legge n. 8 del 10-1-1963 e della legge n. 856 del 18-12-1973, che regolamentano rispettivamente le responsabilità istituzionali nell'individuazione delle aree adatte alla costruzione di una centrale, i finanziamenti dovuti agli enti locali che ospitano centrali nucleari, nonché la partecipazione dell'Italia a progetti nucleari stranieri.

La solita farsa
Se anche dovessero vincere i "sì", ci ritroveremmo con la stessa situazione del giorno prima. Caorso continuerebbe a funzionare (male), il cantiere di Montalto non dovrebbe interrompere i lavori, ecc...
Di diverso rispetto a prima ci sarebbe solo, sul piano legislativo, il vuoto rappresentato dalle tre disposizioni abrogate: un vuoto che spetterebbe al parlamento riempire al più presto. E in parlamento, si sa, la lobby filo-nucleare coincide più o meno precisamente con il famoso arco costituzionale: conta dunque su almeno il 90% dei consensi.
C'è chi obietta, però, che anche se sul piano forma la situazione è incontestabile questa, ben diverso sarebbe lo scenario politico-sociale italiano dopo un successo (magari travolgente) dei "sì". Le forze politiche non potrebbero non tener conto della sostanza dell'indicazione popolare: ne andrebbe della loro credibilità e questo, ad un anno dalle elezioni politiche, non potrebbero permetterselo. Risultato: uno stop deciso al progetto nucleare.
Sarà, ma noi pensiamo che i giochi siano stati già fatti da tempo. Nemmeno Chernobyl li ha sostanzialmente modificati, al di là del grande dibattito che ne è seguito. La vittoria dei "sì" o dei "no" sarà comunque riciclata all'interno del pateracchio che da tempo lo Stato sta preparando. Anzi, concretamente realizzando: a Montalto, a Trino Vercellese, ecc...

Al di fuori delle istituzioni
Il 14 giugno noi resteremo a casa. O andremo in campagna. A votare, no.
"Eh già, voi anarchici... C'era da immaginarselo: tanto voi quando c'è da andare alle urne vi astenete sempre". La sentiamo già la solita obiezione che ci viene mossa: l'abbiamo sentita in occasione del "nostro" primo referendum, quello del '73 sul divorzio (in occasione del precedente, quello istituzionale del 2 giugno '46, nessuno di noi della redazione era nato). Ci è stata puntualmente ripetuta in occasione dei referendum successivi e delle raccolte di firme anche per quei referendum che non si sono potuti tenere.
Sì, è vero, noi a votare non ci siamo mai andati. Né alle elezioni politiche, né a quelle amministrative, né ai referendum. Siamo gli unici ad avere alle spalle una vera e propria "cultura" dell'astensionismo, che poco o niente ha a che vedere con l'astensionismo tattico che in varie occasioni è stato portato avanti da diverse forze politiche. Eppure, anche se di fatto ad ogni appuntamento elettorale rinnoviamo e proseguiamo una "tradizione" non ci sentiamo da questa condizionati. Il nostro astensionismo è, ogni volta, una scelta precisa, ponderata, fatta guardando al presente e non ai "sacri testi" (quali?) o al "glorioso passato" (dove?).
In altre parole, se è vero che ci sono ragioni di fondo - la sfiducia nelle istituzioni, la volontà di dare un segno di estraneità - che ci spingono a disertare le urne, noi siamo convinti che questa nostra scelta potrebbe positivamente esser fatta propria anche da tutti quei settori e quelle persone che, pur non richiamandosi all'anarchismo, come noi lavorano per la realizzazione di rapporti interpersonali, di metodi di vita e di lotta, di una società "a misura d'uomo". Una società del tutto estranea, ed anzi coscientemente antitetica, a quella attuale, fondata su un modello verticale (capi-subordinati, partiti-elettori, ecc...), gerarchico, centralizzato e centralizzatore.
In vari settori della società, non ultimo quel magma per tanti aspetti indistinto che è "l'arcipelago verde", per esempio, noi riscontriamo - non da oggi - l'emergere di posizioni tendenzialmente libertarie, insofferenti della solita gabbia "politica' in cui si cerca di costringerle. Come è emerso chiaramente a Finale Ligure ed in altre assemblee dei verdi, non tutti coloro che sono impegnati nelle battaglie ecologiste sono sostenitori della "lunga marcia attraverso le istituzioni".
Accanto ai vari Marcoboati secondo cui il movimento verde dovrebbe sempre più istituzionalizzarsi e fungere da cinghia di trasmissione tra la "domanda verde" ed il Palazzo, ci sono individui e gruppi che pensano ed agiscono al di fuori delle solite logiche istituzionali e gerarchiche. In obiettiva rotta di collisione con i burocrati ARCl vecchi o nuovi, questi settori rappresentano in qualche modo l'anima libertaria, decentralizzatrice, "fondamentalista": la meno disponibile ai soliti vecchi giochi di potere, la più interessante per chi - come noi - cerca di cogliere e valorizzare quanto si muove nel sociale con voce e metodi di libertà.
Oltre che con i continui tentativi di strumentalizzazione da parte dei soliti politicanti, questi settori dovranno sempre più fare i conti con le istituzioni, con il potere. Si tratta di una riflessione non più eludibile, se davvero vorranno evitare che il movimento verde diventi - al di là di qualsiasi scelta formale - un altro partitino tra i tanti, un'altra cinghia di trasmissione del consenso alle istituzioni. Con il nostro astensionismo e la cultura che lo sottende, noi assicuriamo a questa riflessione un contributo significativo.
Anche se il 14 giugno ci troveremo a compiere scelte diverse, prima e dopo ci aspettano battaglie da compiere assieme. Non poche e non piccole. Comunque, al di fuori della logica istituzionale.