Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 142
dicembre 1986 - gennaio 1987


Arte come messaggio o...
di AA. VV.

L'artista crea per il piacere di creare, ma forse anche per il piacere di comunicare agli altri le sue emozioni, le sue visioni, le sue idee. In questo caso diventa importante il rapporto tra il messaggio ed il linguaggio scelto.

Un comportamento da adottare

Vincenzo Accame, nato a Loano nel 1932, vive a Milano e lavora nell'editoria. Critico, saggista, traduttore (in particolare di Jarry) ha curato l'allestimento di numerose mostre tra cui quella sulla Patafisica.

Ci sono messaggi artistici come quelli contenuti nelle costruzioni architettoniche (del passato e no) che non sono stati fruiti solo da pochi privilegiati. Comunque non credo in un consumo di massa della cultura, anche se il fatto dipende anche dai limiti che si vogliono attribuire al concetto di cultura. E non credo neppure che l'artista tenda a produrre per pochi privilegiati. In generale, anzi, l'artista produce per tutti, e non seleziona affatto il fruitore.
Non esiste, quindi, tanto un divario da colmare quanto un comportamento da "adattare", tanto da parte dell'artista quanto da parte del fruitore. Perché esiste sempre un divario temporale tra colui che inventa e chi gli sta attorno. Il fruitore, chiunque esso sia e qualunque sia il grado della sua cultura, non vive la stessa "angoscia" creativa dell'artista, non è toccato dalle sue problematiche, e probabilmente non gli interessa neppure ciò che sta al di qua dell'opera, ciò che viene prima... Non credo che una "società dei filosofi" o una "società degli artisti" faccia più parte, ormai, dell'utopia anarchica, per cui non credo che esistano ricette per colmare un divario difficilmente definibile come tale.

I partecipanti fruitori

(Aut-art)

Vale la pena citare la frase, pronunciata dal simbolista francese Jules Huret, che diceva: "Chiamare per nome un oggetto è diminuire di tre quarti il godimento della poesia che è fatta della gioia di indovinare a poco a poco una cosa: l'ideale è suggerire".
L'importante è stato appunto il presentare l'opera in modo che fosse più percepita che svelata, mettendo così in moto quei meccanismi percettivi per mezzo dei quali lo spettatore è stimolato a partecipare piuttosto che subire il momento creativo.
È attraverso il suggerimento che il fruitore entra in sintonia con noi, diventa a sua volta partecipe dell'opera. Ciò non succede quando invece l'opera gli è solo data in pasto.
AUT-ART è nata per esigenze autogestionarie per cui il nostro rifiuto della critica non è rivolto alla capacità critica stessa ma nasce dall'esigenza che le nostre iniziative non siano condizionate dalle richieste delle mode salottiere bensì dai nostri bisogni esistenziali. Ben venga quindi il giudizio e la collaborazione dei critici ma nessuna nostra manifestazione nascerà all'insegna delle cosiddette correnti d'avanguardia. Dal momento che asseriamo che l'esperienza pratica e quella teorica vanno avanti di pari passo noi siamo simultaneamente artigiani e critici. Al rifiuto del critico quando questi è il "deus ex machina" di un gruppo che ha come finalità il mercato, contrapponiamo la sua piena accettazione quando egli riesce ad inserirsi nella dinamica dell'opera stessa divenendone parte.
Il momento principale è proprio nell'allestimento, nell'interazione che si verifica tra i vari componenti del gruppo piuttosto che nella riuscita o meno del risultato finale; tanto è vero che siamo arrivati al paradosso di seminasconderlo. Crediamo che la critica del binomio artista-prodotto possa avvenire anche in altro modo; altri si pongono sulle nostre stesse posizioni ideali ma il termine della loro parabola è comunque un'opera che viene venduta attraverso i canali della critica ufficiale, del mercato ecc... La nostra opera, non singola ma collettiva, è invendibile e questo fa sì che il fruitore non sia colui che la può acquistare o rifiutare bensì colui che vi partecipa. Si potrebbe quasi dire che noi stessi siamo i fruitori del nostro lavoro.

L'utopia siamo noi

Rodolfo Aricò, nato a Milano nel 1930, vive e lavora a Milano. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in tutto il mondo.

Cosa fa pensare che l'arte debba essere recepita con facilità, come mangiare una fetta di salame o guardare una trasmissione televisiva con Pippo Baudo? Io provo una enorme difficoltà a leggere i testi WORDPROCESSING o il foglio elettronico SPREADSHEET di un SOFTWARE; perché non dovrei? Anche se dopo una lunga serie di SYNTAX ERROR potrei farcela, occorre pur sempre il "desiderio" e una buona volontà di apprendimento (... )
Nella parcellizzazione dei ruoli in un mondo di massa si comprendono e si auspicano le specializzazioni; perché i ruoli dell'artista non possono rientrare fra queste? Ai pochi la comprensione del/nel momento germinale dell'arte, ai molti la comprensione nel momento mortale dell'arte. L'utopia siamo noi, viviamo già nell'utopia; il futuro sarà solo la sua perfezione, oppure non esisteremo in seguito a una titanica deflagrazione nucleare. In ogni caso l'arte è già vissuta.

Movimento continuo

Riccardo Barletta, critico d'arte moderna e docente di storia del design vive e lavora a Milano.

Non è vero che il messaggio artistico "per molti secoli è stato fruito da pochi privilegiati": basti pensare all'arte greca, romana, paleocristiana e cristiana, induista, ecc. Il divario attuale tra arte e pubblico è negli ultimi decenni assai diminuito, almeno nelle democrazie occidentali, pur con distorsioni. È grave invece che le società "rivoluzionarie" siano quelle più impositive e restrittive nel campo dell'arte. L'arte è "movimento continuo", libero da condizionamenti e spesso critico rispetto alla società.

Prima dell'utopia

(M. Bentivoglio)

La lettura di un'opera richiede esperienza, cultura, sensibilità, libertà. L'opera non chiede di essere "giudicata" bensì di essere fruita. Solo dopo avere fruito un'opera possiamo stabilire dei criteri di lettura; ma solo di quell'opera, e sempre con la consapevolezza che possono esservi molti altri criteri.
All'origine non vi era messaggio che si autodefinisse artistico. La pittura rupestre, il teatro greco, il mosaico bizantino, l'affresco nella chiesa, venivano fruiti da tutti. L'opera aveva una precisa funzione sociologica al di là di quella espressiva. Illustrare la storia, celebrare la divinità e il potere, trasmettere lineamenti, tramandare, informare, pubblicizzare, convincere. Con l'affermarsi del concetto di arte e con lo svilupparsi della società borghese, l'opera si è separata da queste finalità avviando il processo che le ha consentito di assumere un valore di scambio. Ossia, a livello sociologico il vuoto di funzione si è riempito con un'altra funzione.
La frattura tra arte e società può essere colmata dall'assidua frequentazione dell'"arte" e dal dibattito, dalla circolazione delle idee: e non occorre che si tratti di una società utopica.

La dittatura della parola

Agostino Bonalumi, nato a Vimercate nel 1925, ha iniziato a dipingere nel 1948. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive e ha svolto parallelamente l'attività di scenografo.

Nella società l'intento formativo, specialmente con la scuola, mira unicamente allo sviluppo della funzione pratica e di quella teoretica al servizio della pratica, non avendo occhio per lo sviluppo delle funzioni simbolica e estetica, lasciate alla spontaneità; ciò si risolve in una mortificazione dell'uomo, con tutto quello che ne consegue.
In questa situazione poi l'arte visiva è culturalmente marginalizzata; anche perché, se è vero che viviamo nella civiltà dell'immagine, è anche vero che attraverso i mezzi di informazione, in conseguenza della mortificazione che si è detta, la civiltà dell'immagine è in realtà la dittatura della parola: non viviamo il mondo, ma il racconto del mondo. Ma è possibile raccontare un'esperienza che prima ci impediamo di vivere compiutamente?

Le pressioni del potere

Gianluigi Bellei è nato a Bologna nel 1953. Vive e lavora in Svizzera dove organizza mostre autogestite e collabora al quotidiano "Libera Stampa".

Per la citata identità fra rappresentazione e messaggio (nella maggior parte dei casi fattori di acculturazione forzata: si pensi all'arte sacra) ritengo che la fruizione di ciò sia stata, nel passato, molto più ampia di quanto sia avvenuto in questo ultimo secolo ove, con l'esplodere delle informazioni con la citata "emancipazione" dell'artista, i linguaggi si sono moltiplicati creando apparentemente una frattura fra operatore e fruitore. Il che, se da un lato genera ripulsa, da un altro può essere considerato positivamente in quanto espressione di una pluralità di informazioni. Pluralità che mi auguro non debbano mai uniformarsi in quanto ricreano continuamente la volontà, minoritaria certo, di un'opposizione, di un "cambiamento".
È ovvio che codesta volontà subisce le pressioni del potere ed è per questo che esso ha sempre cercato di inglobarne, snaturalizzandola, le eventuali spinte rivoluzionarie creando così delle sacche ove possa ugualmente rigogliare all'ombra del liberalismo tollerante.

Imparare il linguaggio

Giorgio Di Genova, nato a Roma nel 1933, insegna storia dell'arte all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Critico e saggista ha curato numerose rassegne e ha fondato la rivista d'arte "Terzo occhio".

Come tutti i linguaggi dell'uomo l'arte ha una sua sedimentazione storica, un suo codice semantico, per così dire, che solo chi ne conosce le regole e le strutture sia morfologiche che sintattiche, sia tecniche che filologiche può comprendere. Per leggere e intendere un'opera d'arte è necessario imparare la sua lingua, così come per capire una poesia cinese bisogna sapere la lingua cinese. Da secoli questo apprendimento è stato appannaggio dei ceti più colti (in certa misura, perché oggi l'élite per gran parte è ignorante soprattutto per quanto riguarda l'arte: anche per questo esiste il mestiere del critico); mentre i ceti più bassi venivano relegati ad una falsa interpretazione narrativo-contenutistica delle opere d'arte, lasciandoli fuori da ogni interpretazione linguistica.

Oggi più di ieri

Pablo Echaurren è nato nel 1951 a Roma dove risiede e lavora. Al lavoro di pittore ha sempre affiancato un'attività di illustratore e recentemente di autore di fumetti.

Credo che prima o poi tutti riusciranno a fruire delle espressioni artistiche, ma al di là della previsione per un mondo futuro, si può rilevare come già oggi i livelli di una tale fruizione siano enormemente accresciuti rispetto al passato, a causa e tramite i mezzi di riproduzione, la pubblicità, la stampa, la grafica: basti pensare alla qualità e alla carica di sperimentazione di tanti posters, illustrazioni, fumetti d'avanguardia. E come sintomo ulteriore sale continuamente il numero dei visitatori delle grandi mostre pubbliche, visitatori genuinamente interessati e non, come molti asseriscono, irritati dal diffondersi d'una maggiore confidenza tra opera e pubblico, comitive pilotate dagli assessorati alla cultura. Chi oggi non conosce autori come Mirò, Grosz, Kandinsky, considerati almeno in Italia fino a pochi anni fa pasticcioni scarabocchiatori.

L'intraducibile emozione

Riccardo Guarneri, nato a Firenze nel 1933, ha partecipato alle più importanti mostre internazionali tra cui quella di "Nuova pittura".

Purtroppo l'arte, agendo sul lato sensoriale e non su quello meramente intellettuale, non può essere comprensibile a tutti. La difficoltà sta nella sua intraducibilità ad altro linguaggio. Ed è questo il grande fascino dell'arte. Quando si fa una analisi di un'opera d'arte non si fa altro che tentarne una giustificazione più o meno corretta, più o meno raffinata che cela il vero messaggio artistico: quello dell'emozione. Se si trasporta l'emozione in altro linguaggio si ottiene un'altra opera d'arte appartenente ad altro linguaggio. Questa è l'aspirazione di molti critici...
Si può dunque affermare che l'arte può essere goduta da tutti ma non compresa da tutti. Per comprendere e poterne godere bisogna che l'individuo sia preparato a tale scopo, così come una formula matematica è accessibile a chi sa di matematica.

La consapevolezza dell'uomo

Romano Notari, nato a Foligno nel 1933, dipinge dal 1952. Ha esposto in diverse mostre nazionali e internazionali.

Senza l'arte che è stata creata e che è tangibile nel mondo e che è inannullabile, l'essere sarebbe rimasto "nel buio primordiale", nell'incoscienza a progredire. È l'arte che regge l'esistenza della nostra vita, che aspira a visualizzare la realtà e l'irrealtà del visibile e dell'invisibile, il brutto e il bello, l'amore e la morte, come verità scoperte che solo l'arte sa vedere, denunciare e comunicare.
Oggi c'è la facilità di avvicinarsi e trasmettere l'arte, ed è vero che ciò genera un desiderio maggiore e curioso di cultura anche con scambi internazionali e si cerca di possedere l'opera come se l'arte fosse un prodotto di consumo; c'è però il rischio di equivocare il suo vero senso e scopo, contaminati da false ideologie, e dalle effimere mode prolificanti. È un bel dire che la civiltà d'oggi è più preparata e pronta ad interessarsi dell'arte! Ma occorre una profonda adeguata preparazione; ma purtroppo ancora manca la "cultura e l'amore per l'arte".

Viva le differenze!

(M. Persico)

Il problema investe i livelli di lettura depositati intenzionalmente o inconsciamente in un'opera. Esistono pitture che per essersi materializzate in una certa forma linguistica raggiungono livelli di comprensibilità altissimi, e altre meno, se non risultano addirittura indecifrabili. Il divario cui si allude non riguarda, tuttavia, unicamente i livelli conoscitivi atti ad accedere alla lettura, ma piuttosto quelli della sensibilità che contraddistingue ciascun individuo, e tante altre circostanze. Se si esclude la possibilità di pervenire a una pianificazione della sensibilità, e si ammette invece la irriducibilità dei soggetti, di differenze - grazie a dio - ne avremo sempre.