Rivista Anarchica Online
Gli anarchici hanno cento anni
di Mirko Roberti
Nel 1872, con il congresso di Saint Imier, nasceva il movimento anarchico organizzato
Nel settembre 1872, il congresso dell'Aja, dominato dal Consiglio di
Londra e conclusosi con
l'estromissione dei bakuninisti, sanciva la spaccatura della Prima Internazionale in due tendenze, quella
marxista autoritaria, e quella anarchica libertaria. Qualche giorno dopo, quest'ultima dava un assetto
organico al suo dissenso, collocandolo all'interno di
precise formulazioni teoriche. Le due "scuole" si contrapponevano ormai in modo totale, pur
dichiarandosi entrambe rivoluzionarie. Sono passati cento anni, da allora. Cento anni di lotte, di
tentativi, di trasformazioni sociali. Cento anni
di esperienza per i rivoluzionari: un patrimonio storico sufficientemente ricco per potere emettere un
giudizio, definitivo e scientifico, sul significato di quella contrapposizione e sulla validità delle
due
tendenze. Ciascuna di esse fece delle previsioni. Oggi si può controllare quali fossero esatte
e quali errate. Le
dottrine sociali, infatti, non possono essere confutate o accolte sulla base di disquisizioni accademiche,
né, d'altronde è possibile verificare le ipotesi con esperimenti di laboratorio. Esse
devono
necessariamente passare al vaglio dell'esperienza storica, cioè dei fatti concreti.
Questo è il metodo
concreto di analisi e di verifica. Quando parliamo di fatti concreti intendiamo riferirci
a ciò che si è prima manifestato e poi consolidato
nello sviluppo della società, tanto da costituire un'evidenza incontrovertibile, obbiettiva. Da tale
punto
di vista, se le due posizioni emesse dalla scissione della Prima Internazionale, vengono messe a
confronto
con i dati di fatto della storia degli ultimi cento anni, esse possono trovare, come si diceva, l'unica
conferma o smentita che sia possibile accettare ragionevolmente. Si potrà constatare, allora,
come
l'ideologia marxista abbia prodotto, di fatto, tendenze liberticide e antiegualitarie, e sia servita a
mascherare e a giustificare, là dove è stata applicata, una nuova disuguaglianza e un
nuovo sfruttamento.
Al contrario gli anarchici si sono sempre riconosciuti nelle manifestazioni genuine degli sfruttati, nel loro
tentativo costante di emancipazione. Di fatto, si sono sempre trovati al loro fianco, e ne hanno
impersonato la volontà rivoluzionaria. Non ha importanza l'influenza nei confronti
dell'attuale movimento operaio e socialista, la numerosità
dei sostenitori o la diffusione sulla scena internazionale. Quello che conta è vedere quale delle
due teorie
ha prodotto gli strumenti più validi per realizzare il fine proposto (l'abolizione delle classi) che
a
quell'epoca sembrava comune, quale delle due si è più avvicinata a questo
fine, o, quanto meno, ha
espresso la tendenza obiettiva ad avvicinarvisi. Sia gli anarchici che i marxisti si sono definiti
rivoluzionari. Chi dei due ha dimostrato, indipendentemente dalle vittorie e dalle sconfitte,
di esserlo?
Ricordare oggi, a cento anni di distanza, la problematica e gli eventi della Prima Internazionale, non
può
avere che questo significato.
Origini e significato della Prima Internazionale
Tutta la storiografia marxista è concorde nell'attribuire a Marx e ai suoi seguaci il merito
di aver avuto
l'idea di costituire l'Associazione Internazionale dei Lavoratori. Tutto ciò è
completamente falso. Alla
costituzione dell'Internazionale nessun intellettuale diede il proprio contributo. Essa fu opera esclusiva
dei lavoratori manuali francesi di ispirazione proudhoniana. Già l'8 marzo 1864, Proudhon nel
rispondere
ad alcuni operai in merito al Manifesto dei Sessanta, anticipava alcune delle tesi poi sviluppate nel
quarto
capitolo del suo ultimo libro "La capacità politica delle classi operaie". Egli distingue
nettamente quella che chiamava capacità legale da quella reale; con la prima intendeva la
capacità di fare politica in senso borghese e legalitario, giudicando assolutamente demagogica,
controrivoluzionaria ed inefficace questa via per l'emancipazione. Con il termine reale
intendeva invece
la capacità dei lavoratori di gestire la produzione, attraverso la lotta economica, senza alcun
compromesso con la politica democratico-progressista borghese. "Gli operai proudhoniani francesi sono
su questa linea quando nel luglio del 1863, dei delegati francesi, Tolain, Perrachon, Cohadon e
Limousin,
firmatari del Manifesto dei Sessanta, assistendo ad un comizio di Saint-James Hall, a favore della
Polonia, propongono ai capi trade-unionisti di organizzare una Associazione
Internazionale. Nel settembre del 1864, Tolain, Perrachon e Limousin, ritornarono a Londra e
portarono un progetto
di questa associazione internazionale. Il 28 settembre, il comizio di Saint- Martin's Hall adotta nelle sue
grandi linee il progetto che il proudhoniano Tolain ha sviluppato nel suo indirizzo. È dunque
proprio
questo progetto che è servito di base alla Associazione Internazionale dei Lavoratori".
(2) Questo documento conteneva alcuni presupposti fondamentali considerati indispensabili per
raggiungere
l'emancipazione. E cioè la lotta degli sfruttati doveva essere condotta sul terreno della azione
economica
e pertanto bisognava astenersi da ogni attività politica, perché concepita come arte di
governare quindi
fondamentalmente borghese, con il rifiuto della lotta politica a favore dell'autogestione nella lotta di tipo
economico era possibile costruire un'organizzazione condotta dai soli lavoratori manuali; data questa
impostazione era possibile sviluppare un organismo di solidarietà internazionale che superasse
le
antinomie politiche nazionali. È importante mettere in chiaro questo punto perché
le dispute che divisero in seguito la Prima
Internazionale partivano tutte dalla interpretazione che Marx fece degli statuti portati da
Tolain. Alla prima seduta il documento presentato dagli operai proudhoniani francesi fu adottato
alla unanimità
con la seguente risoluzione: "Ascoltati i compagni francesi, poiché il loro programma tende a
migliorare
la situazione dei lavoratori, lo accettiamo come base di un'organizzazione internazionale. L'assemblea
nominerà un comitato allo scopo di redigere i regolamenti per l'associazione". Il comitato
dunque aveva
solo lo scopo di redigere i regolamenti per l'Associazione e non doveva dare alcuna ulteriore
impostazione politico-ideologica. Ma Marx, che non aveva fornito alcun contributo alla sua costituzione
(4) cambiò, come abbiamo già detto, lo spirito del documento falsandone
completamente il senso. Egli
inserì nel quarto preambolo la famosa frase: "l'emancipazione economica dei lavoratori è
di conseguenza
il grande scopo al quale ogni movimento politico deve essere subordinato come mezzo", e nell'Indirizzo
inaugurale scrisse anche: "ma invece i signori della terra e del capitale utilizzeranno sempre i loro
privilegi per difendere e perpetuare i loro monopoli economici... Perciò il grande compito della
classe
operaia è diventato la conquista del potere politico". Queste frasi saranno in seguito la causa
delle dispute senza fine che divisero i libertari dagli autoritari.
Esse già sottointendevano tutta la concezione marxista sulla lotta politica e la conquista del
potere,
considerati mezzi indispensabili per arrivare all'emancipazione economica. I francesi, quando tradussero
dall'inglese il documento, si rifiutarono di inserirle nel testo, tanto lontane le consideravano dallo spirito
originario. Del resto il testo marxista, sebbene fosse quello ufficiale dell'associazione, non era conosciuto
che in Inghilterra ed in Germania; al primo congresso dell'Internazionale, che si tenne a Ginevra nel
settembre del 1866, fu il documento francese ad essere approvato. (Già in quel
congresso, del resto
c'era stato il primo scontro tra proudhoniani e marxisti in merito all'inserimento di elementi non operai.
I proudhoniani volevano che l'organizzazione fosse composta di soli lavoratori manuali, in armonia con
l'impostazione del loro primo documento. Il documento francese, comunque approvato a Ginevra
nel 1866, fu quello su cui si basarono le sezioni
locali e nazionali per aderire in massa all'Internazionale contribuendo allo sviluppo vertiginoso
dell'organizzazione. Scriveva infatti un famoso scrittore ed economista del tempo: "Dappertutto la teoria
dell'astensione politica, questo mezzo potente di fare avanzare gli interessi del socialismo, è
sostenuta
e praticata con sempre miglior riuscita dall'Internazionale. Il giorno in cui essa cadesse nelle lotte
politiche parlamentari, potrebbe rinunziare al suo avvenire: presa nell'ingranaggio della politica detta
progressista, la quale non consiste che a prolungare l'esistenza della vecchia società e dei vecchi
partiti,
non riuscirebbe secondo essa, che a strappare qualche incompleta e bugiarda riforma mentre che essa
vuole demolire per creare un nuovo ordine di cose".
Dal Congresso di Bruxelles a quello di Basilea
Lo sviluppo dell'Internazionale in tutta Europa dette impulso, al suo interno, alla ricerca teorica,
allo
scopo di definire esattamente i mezzi per raggiungere l'emancipazione dei lavoratori. Si cercò
di
determinare quale dovesse essere l'organizzazione ad abolire lo sfruttamento e la disuguaglianza. Il
Congresso di Bruxelles, settembre 1868, approvò un documento nel quale la socializzazione
dei mezzi
di produzione veniva indicata come primo passo per la liberazione dallo sfruttamento. Essa,
però, non
era ritenuta sufficiente ad assolvere da sola il compito di portare gli uomini tutti al medesimo livello di
libertà, tant'è vero che nella quarta questione ("Divisione del lavoro ed istruzione
integrale") discussa
ed approvata dal Congresso, venne formulata l'idea di abolire la divisione tra lavoro manuale ed
intellettuale. È questo un documento ancora molto confuso, ma dimostra come ormai fosse
stato compreso che per
realizzare una libertà concreta e non puramente "morale", non basta esser uguali di fronte alla
proprietà,
ma bisogna essere uguali anche di fronte al lavoro. Infatti il documento afferma che "la socializzazione
dei mezzi di produzione e lo scambio dei prodotti non sarà possibile che sulla base
dell'equivalenza delle
funzioni". E poiché le funzioni sociali produttive si dividono soprattutto tra quelle
intellettuali-direttive,
dominanti, da una parte, e quelle manuali-esecutive, dominante, dall'altra, è evidente che per
raggiungere
l'"equivalenza delle funzioni" bisogna abolire la divisione del lavoro, integrando in ogni funzione
quello
manuale e quello intellettuale. Già qualche mese prima, nel marzo del '68, Bakunin
aveva formulato
questi concetti nel punto paragrafo i), nel suo documento "Società rivoluzionaria internazionale
o
fratellanza internazionale". Concetti che riprenderà un anno dopo nei suoi famosi articoli sul
lavoro
manuale e sul lavoro intellettuale, scritti per il giornale l'Egalité. Scriveva Bakunin "Dato che
l'origine
prima di questo asservimento, quella, per meglio precisare, del dogma dell'inuguaglianza politica degli
uomini, è stata soppressa dalla grande rivoluzione, si deve attribuire l'attuale disprezzo per il
lavoro alla
seconda che altro non è che quella separazione che si è andata creando, e che ancora
oggi permane in
tutta la sua forza, tra il lavoro intellettuale e il lavoro manuale, e che riproducendo in una
nuova forma
la vecchia disuguaglianza divide ancora il mondo sociale in due campi: la minoranza
privilegiata ormai
non per la forza della legge ma per quella del capitale e la maggioranza di lavoratori
forzati non più
dall'iniquo diritto del privilegio legale ma dalla fame... Il lavoro umano considerato nella sua
totalità si
divide in due parti, l'una interamente intellettuale e dichiarata esclusivamente nobile, che comprende le
scienze, le arti, e nell'industria l'applicazione delle scienze e delle arti, l'idea, la concezione, l'invenzione,
il calcolo, il governo e la direzione generale o gerarchica delle forze operaie; e l'altra solo manuale,
ridotta ad un'azione puramente meccanica, senza intelligenza, senza idee... è quindi necessario
che
l'iniqua divisione creata tra il lavoro manuale e il lavoro intellettuale venga impostata altrimenti. La
stessa
produzione economica della società ne soffre grandemente, l'intelligenza separata dall'azione
corporea
si snerva, inaridisce, avvizzisce, mentre la forza corporale dell'umanità, separata dall'intelligenza,
s'abbruttisce e in questa condizione di artificiale separazione nessuna delle due produce la metà
di quel
che può, di quel che potrà produrre allorché riunite in una nuova sintesi sociale
formeranno una sola
azione produttiva". Bakunin definiva così le classi come frutto della divisione del lavoro.
Per lui e per tutti i libertari
l'abolizione delle classi passava dunque attraverso l'integrazione del lavoro. Come la rivoluzione politica
borghese dell'89 metteva tutti uguali di fronte alla legge ma non di fronte alla proprietà,
così la
concezione collettivista, metteva tutti uguali di fronte alla proprietà lasciandoli però
disuguali di fronte
al lavoro. In questo modo, tramite Bakunin, gli anarchici venivano a differenziarsi dai
marxisti. Entrambi erano concordi nel definirsi collettivisti, però solo gli anarchici si
definirono anche ugualitari.
A questo punto, l'accusa che Marx formulerà due anni dopo nella "Comunicazione
confidenziale"
riprendendola più tardi ne "Le cosidette scissioni dell'Internazionale" risulta ridicola. Egli dice
che
Bakunin vuole "l'uguaglianza delle classi", confondendo ad esse le parole. Bakunin parlava di
"egualizzazione delle classi" e non "eguaglianza delle classi" che è una cosa completamente
diversa. La
concezione libertaria, delle classi, viste come prodotto della divisione sociale del lavoro, fu
indubbiamente, assieme al documento di Bruxelles, il punto più alto raggiunto nel secolo scorso
dal
pensiero rivoluzionario emancipatore. Riprendendo queste straordinarie intuizioni Bakunin cinque
anni dopo nel suo "Stato e Anarchia",
riuscirà a delineare la formazione della nuova classe dominante tecnoburocratica che
farà propria
l'ideologia marxista. La concezione libertaria propugnata da Bakunin si scontrò l'anno seguente,
al
congresso di Basilea, con le vedute marxiste sul problema dello Stato. È in questo congresso
che le due
tendenze si fanno inconciliabili. Alle vedute autoritarie e accentratrici marxiste, i libertari oppongono
la
loro idea federalista rivoluzionaria. I marxisti per mezzo di Liebeknecht volevano far passare al
Congresso la proposta di organizzare l'internazionale per sviluppare una lotta legalitaria politica
progressista. Ma il Congresso approvò invece la mozione bakuninista di rifiutare qualsiasi
alleanza con
i partiti politici sedicenti progressisti. La concezione anarchica considerava indispensabile che
l'organizzazione dell'Internazionale fosse tale che l'autonomia delle federazioni non incrinasse
l'unità di
fatto basata sulla lotta economica. L'Internazionale pertanto non poteva essere che un organizzazione
che già conteneva le strutture organizzative capaci di sostituire gli stati politici nazionali.
Bakunin infatti
rispose a Liebeknecht nel modo seguente: "Noi siamo antagonisti risoluti dello Stato e di ogni politica
borghese dello Stato; domandiamo la distruzione di tutti gli stati nazionali e territoriali e, sulle loro
rovine, la fondazione dell'associazione internazionale dei lavoratori". Del resto Bakunin già
alcuni mesi prima aveva analizzato e criticato la concezione politica marxista per
la conquista del potere, dimostrandone la assoluta inconsistenza sul piano dell'efficacia emancipatrice.
Egli infatti aveva scritto, nell'agosto 1869, sul giornale L'ègalitè: "Ne consegue che deve
escludersi senza
pietà la politica di quei borghesi democratici o socialisti borghesi i quali dichiarando che "la
libertà
politica è la condizione pregiudiziale dell'emancipazione economica" non possono
con quelle parole
intendere altra cosa da questa: "Le riforme politiche o la rivoluzione politica, devono
precedere le
riforme economiche, o la rivoluzione economica; e perciò gli operai devono
allearsi ai borghesi più o
meno radicali per fare innanzitutto con loro le prime salvo fare poi contro di loro le ultime". Noi
perché stiamo decisamente contro questa funesta teoria che avrebbe il risultato di fare servire
ancora
una volta i lavoratori da strumento contro loro stessi e riconsegnarli di nuovo allo sfruttamento dei
borghesi. Conquistare prima la libertà politica non può significare altro
che conquistarla prima da sola
lasciando, almeno ancora per qualche giorno, i rapporti economici e sociali nello stato in cui si trovano,
il che vuol dire: i proprietari e i capitalisti con le loro sfacciate ricchezze e i lavoratori con la loro
miseria.
Ma una volta conquistata questa libertà, si dice, essa servirà ai lavoratori da strumento
per conquistare
più tardi la uguaglianza o la giustizia economica. La libertà
in effetti è uno strumento magnifico e
potente. La questione sta nel sapere se i lavoratori potranno concretamente servirsene, se essa
sarà
realmente in loro possesso o se, come è sempre accaduto finora, la loro libertà
politica sarà
semplicemente un'apparenza, una finzione". In questo modo la concezione anarchica veniva formulata
integralmente: la distribuzione del capitalismo passava attraverso la distruzione dello Stato.
La Conferenza di Londra e la circolare di Sonvillier
Dopo la disfatta della Comune di Parigi i marxisti organizzarono arbitrariamente una Conferenza
a
Londra nel settembre 1871. In tale conferenza dove gli anarchici non erano presenti, anche
perché quasi
tutti massacrati durante la Comune di Parigi, i marxisti definirono il loro concetto sulla conquista del
potere politico. Essi, sebbene ricalcassero il loro primo documento del 1864 questa volta aggiunsero
esplicitamente il loro concetto sul "partito politico" della classe operaia come mezzo indispensabile per
la sua emancipazione. Dice infatti, tra l'altro, la famigerata IX risoluzione "... che la classe operaia
contro
questa violenza collettiva delle classi possidenti può agire soltanto come classe,
costituendosi essa stessa
in partito politico particolare, in contrapposizione a tutte le vecchie formazioni partitiche delle classi
possidenti; che questa costituzione della classe operaia in partito è
indispensabile per il trionfo della
rivoluzione sociale e del suo obbiettivo finale, l'abolizione delle classi". Questa risoluzione fu inserita
come punto programmatico, che impegnava l'intera associazione, e come pregiudiziale per poter aderire
ad essa. A questa inaudita, metafisica, controrivoluzionaria teoria, gli anarchici risposero con la
circolare di
Sonvillier che è indubbiamente il documento dove la concezione anarchica sul rapporto fini- (...
)
formulata. Riportiamo qui un breve stralcio: "La società futura non deve essere altro che la
generalizzazione dell'organizzazione che l'Internazionale si sarà data. Dobbiamo quindi aver cura
di
avvicinare il più possibile questa organizzazione al nostro ideale. Come può una
società egualitaria e
libera nascere da un'organizzazione autoritaria? È impossibile. L'Internazionale, embrione della
futura
società umana, è tenuta ad essere già da oggi l'immagine fedele dei nostri
principi di libertà e di
federalismo e a espellere dal suo seno ogni principio che tende all'autorità e alla
dittatura". Noi pensiamo che questi due documenti segnino il punto di rottura tra i libertari e i
marxisti e l'inizio
della disintegrazione dell'Internazionale. Infatti riflettiamo un momento sul significato del documento
marxista in rapporto all'idea e alla pratica internazionalista. Cosa significava la conquista del potere
politico? Significava appropriarsi di uno strumento che sottintendeva una logica borghese. Presi
all'interno di questa logica, gli sfruttati avrebbero dovuto irrimediabilmente iniziare una lotta
dentro i
propri confini nazionali. Solo in questo ambito infatti, cioè all'interno di ogni stato nazionale,
essi
potevano verosimilmente conquistare il potere politico, a scapito della lotta a livello economico. Tutto
questo significava completo abbandono della logica internazionalista e sabotaggio obiettivo della
Rivoluzione sociale. L'inscindibile binomio lotta economico-politica, intesa come lotta contro il capitale
e lo stato veniva distrutto privilegiando la seconda rispetto alla prima. Cioè quello che avrebbe
dovuto
essere solo un mezzo, la lotta politica, diventava di fatto il fine, e il fine, l'emancipazione economica,
diventava un mezzo. Rompendo la logica internazionalista i marxisti rovesciavano i termini del
problema nel modo seguente:
alla unità, al di sopra degli stati nazionali, degli interessi obiettivi degli sfruttati, fondati sulla
lotta
economica per la loro emancipazione, i marxisti sostituivano l'unità fittizia della lotta politica,
cioè quella
dei futuri partiti operai come sarà nella seconda Internazionale. Era il sabotaggio
più criminale che si potesse portare all'Internazionale. Gli anarchici infatti furono anche
costretti, dopo la conferenza di Londra, a sostituire al termine "lotta economica", il termine "lotta
sociale", conservando il significato negativo di lotta politica. L'Internazionale, che doveva essere fondata
e organizzata su di una logica capace di superare ogni antinomia nazionale, politica e borghese, a favore
dell'unità inequivocabilmente obbiettiva degli interessi economici degli sfruttati, diventava, nella
proiezione piccolo-borghese dei marxisti, una federazione di partiti politici nazionali. Mentre i libertari,
con la circolare di Sonvillier, ricavavano i mezzi dai fini, i marxisti facevano proprio il
famigerato
concetto machiavellico. Tutto lo sforzo teorico e pratico degli internazionalisti libertari, teso a superare
questa concezione antiscientifica, veniva dai metafisici marxisti che, su questa scia, vorranno in seguito
attuare la libertà attraverso la dittatura, l'autonomia attraverso l'accentramento, l'uguaglianza
attraverso
lo stato, la gerarchia e l'esercizio del potere da parte di una minoranza. Come già si
accennava all'inizio, 100 anni di storia hanno ormai fatto giustizia di queste posizioni. Nei
paesi sedicenti "socialisti" lo Stato è onnipresente e forte, ma l'uguaglianza non esiste, è
stato realizzato
il centralismo "democratico", ma l'autonomia è un mito, il potere è tutto nelle mani dei
partiti sedicenti
operai, ma l'emancipazione degli sfruttati non è progredita di un passo. I mezzi, appunto, sono
diventati
fini e di rivoluzione, almeno in senso libertario ed egualitario, non ha senso parlare.
L'Internazionale e la Comune di Parigi
La Comune di Parigi segna il punto più alto raggiunto dall'Internazionale sul piano
dell'organizzazione
rivoluzionaria e dell'influenza sulle masse popolari. Ma segna altresì l'inizio della sua
disintegrazione
perché sull'esperienza parigina si divisero in modo inconciliabile la tendenza marxista e quella
libertaria.
Essa confermò purtroppo tutte le previsioni bakuniniste, stimolando in seguito una revisione
critica delle
posizioni di tutta l'organizzazione. Esamineremo brevemente i due atteggiamenti assunti rispettivamente
dai marxisti e dagli anarchici. Scriveva Marx ad Engels il 20 luglio 1870: "I Francesi hanno bisogno di
essere caricati di legnate. Se i Prussiani risultano vittoriosi, la centralizzazione del potere dello Stato
sarà
utile alla concentrazione della classe operaia tedesca. La preponderanza tedesca, inoltre, porterà
il centro
di gravità del movimento operaio europeo dalla Francia alla Germania; basta confrontare
soltanto il
movimento dei due paesi dal 1866 sino ad oggi per rivelare che la classe operaia tedesca è
superiore a
quella francese, tanto dal punto di vista teorico quanto da quello dell'organizzazione. La
superiorità, sulla
scena del mondo, del proletariato tedesco su quello francese costituirebbe nel contempo la
superiorità
della nostra teoria su quella di Proudhon" (1). Questa concezione, che ricalcava quella di dieci anni
prima sull'unità italiana (2) era dovuta
all'importanza che i marxisti davano alla lotta di classe portata avanti, dagli operai. In questo modo essi,
durante tutto l'anno 1870, nella corrispondenza coi francesi, oltre ad instillare la sfiducia verso la loro
capacità rivoluzionaria, li consigliarono di preoccuparsi esclusivamente del proletariato urbano
parigino,
senza considerare assolutamente importante il rapporto con le masse contadine. Anche un anno dopo
quando Marx scrisse il suo famoso opuscolo sulla Comune mantenne la stessa posizione. Gli
anarchici al contrario, davano gran valore al collegamento con le campagne. Nelle "Lettere a un
francese" Bakunin nel 1870 aveva già straordinariamente previsto l'insurrezione parigina. In
quell'anno
tutti gli anarchici, facendo proprio il suo insegnamento, cercarono disperatamente di organizzare le
sezioni francesi sulla base del federalismo rivoluzionario che nella pratica significava organizzazione
capillare in tutto il territorio attraverso il contatto con le masse contadine. Era la concezione che
considerava, al contrario di quella marxista, insufficiente la capacità rivoluzionaria del solo
proletariato
operaio urbano. L'organizzazione dell'Internazionale aveva avuto in quegli anni la conferma pratica
del principio
propugnato dai libertari; e cioè la lotta allo stato e al capitalismo da tutte le parti
contemporaneamente
senza privilegiarne alcuna rispetto all'altra. Tutti sappiamo ormai che la Comune di Parigi cadde appunto
per questa mancanza di collegamento con la campagna, per la quasi assoluta indifferenza delle masse
contadine. L'iniqua concezione marxista sull'autosufficienza del proletariato urbano trovò
nella Comune di Parigi
la prima delle sue innumerevoli clamorose smentite. Non solo, la Comune di Parigi fu anche un
fatto
concreto della pratica di lotta federalista e la sua esistenza breve, ma eroica, fu l'esempio della
capacità
autoemancipatrice degli sfruttati che negarono, coi fatti, l'importanza data dai marxisti alla lotta
politica.
Il Congresso dell'AJA
Le cause che portarono l'Internazionale alla sua morte si possono dunque vedere nell'opera marxista
che
trasformò, tramite la sua influenza esercitata per mezzo del Consiglio Generale, le singole
federazioni
in partiti politici. Ovviamente non tutte le federazioni, anzi la minor parte, ma questo fu sufficiente per
distinguere l'Internazionale. Col goffo tentativo di giustificare tutto il suo operato autoritarie
burocratico,
nell'opuscolo: "Le cosidette scissioni dell'Internazionale", (dove vengono inventate le più infami
calunnie
contro i libertari e soprattutto contro Bakunin) Marx conclude il primo ciclo del sabotaggio contro
l'Internazionale. Dopo il congresso dell'Aja venne scritto anche un libello sull'"Alleanza della
Democrazia
Socialista" che è indubbiamente il massimo capolavoro dell'invenzione e della calunnia; modello
che
verrà in seguito adottato da tutta la tetra tradizione stalinista (3). Il Congresso dell'Aja (2-9
settembre 1872) sanzionò ufficialmente la fine dell'Internazionale trasferendo
il Consiglio Generale a New York ed espellendo gli anarchici dall'organizzazione. La maggioranza
fittizia
fu ottenuta dai marxisti coi mezzi più indegni; Marx il 21 giugno 1872 scrisse una lettera a
Sorge
pregandolo di mandargli dall'America delle deleghe in bianco per i suoi amici
tedeschi. Dei 69 delegati presenti all'Aja, 21 (ventuno!) erano del Consiglio Generale, 10 della
delegazione tedesca
e 9 di quella belga. Queste tre delegazioni "gonfiate", fedeli a Marx, avevano dunque la maggioranza
assoluta e rifiutarono, naturalmente, la proposta degli spagnoli (votazione in base al numero di iscritti)
e quella degli Svizzeri (votazione in base alle federazioni). Fra l'altro la "maggioranza" autoritaria
ratificò
la risoluzione di Londra sull'azione politica della classe operaia che abbiamo già
visto. Dopo otto anni
di manovre, Marx otteneva che l'Associazione Internazionale dei Lavoratori divenisse uno strumento
per la conquista del potere.
La Conferenza di Rimini e il Congresso di Saint Imier
Al Congresso dell'Aja non era presente la delegazione italiana in quanto la Federazione italiana, al
termine della conferenza di Rimini, nell'agosto precedente, aveva deciso di non partecipare al suddetto
congresso per protesta contro le mene autoritarie di Marx e dei suoi, di rompere con il Consiglio
Generale e di convocare in Svizzera un congresso alternativo delle Federazioni anti-autoritarie
dell'Internazionale. La Conferenza di Rimini e il Congresso di Saint Imier rispettivamente,
sanciscono la nascita del
movimento anarchico italiano e internazionale. La Conferenza di Rimini anticipa alcune tesi sul
comunismo autoritario che verranno un mese dopo
sviluppate meglio al Congresso di Saint Imier, apertosi il 15 settembre 1872, cui parteciparono i cinque
delegati spagnoli già presenti all'Aja, sei delegati italiani, due delegati francesi, due delegati
svizzeri e
due delegati statunitensi. Inoltre al Congresso di Saint Imier verrà definita magistralmente
la funzione della "dittatura del
proletariato", come nuovo strumento per ricostruire lo sfruttamento di sempre. In questo modo viene
anticipato, in sede teorica, quello che sarà lo sviluppo storico concreto del
marxismo, e viene intuita, a
grandi linee, la funzione che esso assolverà in seguito come ideologia della classe
tecnoburocratica in
ascesa in tutto il mondo per la conquista del potere. Riportiamo qui le tre famose risoluzioni approvate
al Congresso di Saint Imier: 1) Che la distruzione di ogni potere politico è il primo
"dovere del
proletariato"; 2) Che ogni organizzazione di un potere politico sedicente provvisorio e
rivoluzionario,
per causare questa distruzione, non può che essere un inganno di più e sarebbe per il
proletariato tanto
pericoloso quanto tutti i governi attualmente esistenti; 3) Che, respingendo ogni
compromesso per
giungere alla realizzazione della Rivoluzione Sociale, i proletari di tutti i paesi debbono stabilire, fuori
dalla politica borghese, la solidarietà dell'azione rivoluzionaria. Era nata
l'Internazionale antiautoritaria che terrà regolari congressi annuali fino al '77, per poi dissolversi
di fatto. L'ala autoritaria, ridotta a poco più del Consiglio Generale, spostato negli U.S.A.,
terrà il suo
ultimo "Congresso" nel '74. (21)
Conclusione
In questi cento anni le due vie opposte seguite dai marxisti e dagli anarchici, hanno portato a dei
risultati
precisi. Questi risultati hanno confermato nella pratica ciò che era stato teorizzato cento anni
or sono.
E cioè rispettivamente la formazione del cosiddetto "Stato operaio" da una parte e la verifica
storica,
consolidata, sancita e provata da cento anni di lotte e di esperienze, del movimento anarchico
come
unico movimento rivoluzionario emancipatore. Dicevamo prima che i marxisti, con la
conferenza di Londra del 1871, sostituirono al fine i mezzi. Cioè
il mezzo, lotta politica, tramite il partito del proletariato, diventò un fine e il fine, emancipazione
economica, divenne un mezzo. È in questa sostituzione dei fini, formulata
teoricamente nella famigerata
IX risoluzione di Londra, che verrà a costituirsi in seguito la nuova classe in ascesa per il potere,
la
tecnoburocrazia. In questo processo di progressiva sostituzione dei fini sta tutto lo sviluppo
storico
concreto del marxismo prima e del marxismo-leninismo dopo. In questo senso essi non fecero mai parte
dell'Internazionale, perché la storia ha inequivocabilmente confermato tutto il suo
insegnamento che fu
ed è anche la nostra bandiera: "L'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori
stessi o
non sarà".
Mirko Roberti
1) Lettera di C. Marx a F. Engels datata 20 luglio 1870. Engels gli risponderà: "La mia
fiducia nella
forza militare aumenta di giorno in giorno. Siamo noi quelli che abbiamo vinto la nostra prima seria
battaglia. Sarebbe assurdo fare dell'antibismarckismo il nostro unico principio direttivo. Bismarck, in
questo momento, come nel 1866, lavora per noi a suo modo". Vedi carteggio Marx-Engels, op. cit.
Vedi
anche Victor Garcia "L'Internazionale Operaia", ed. R.L.1965, Genova pag. 80. 2) Posizione
assunta da Engels alla vigilia della guerra del 1859 dell'Italia contro l'Austria. Con queste
posizioni filo austriache e tedesche essi si misero contro la causa che era propria di tutti i democratici
progressisti del tempo. Vedi scritti di Engels "Po e Reno", e quelli dell'anno successivo, 1860, "Savoia,
Nizza e il Reno". Si possono consultare solamente nelle ed. delle opere complete di Marx ed Engels
edite
a Mosca. Si trovano presso la biblioteca Feltrinelli di Milano. 3) Vogliamo qui brevemente
rispondere alle inaudite e criminali calunnie marxiste su Bakunin e gli
internazionalisti dell'"Alleanza". Ultimamente sono usciti diversi libri su questo argomento. L'ultimo
"Critica dell'anarchismo" di Marx-Engels ed. Einaudi 1972 le contiene tutte. Per quanto riguarda il
rapporto sull'"Alleanza" esso è da considerarsi per tre quarti falso e per il rimanente volutamente
parziale. Lo scrisse non Marx o Engels, ma Van Heddeghem ("Walter") che faceva parte del Consiglio
Generale. Questi venne in seguito smascherato come spia della polizia inglese ed espulso
dall'Internazionale. Per quanto riguarda il rapporto su "I Bakuninisti al lavoro", esso venne scritto da
Paul Lafargue, genero di Marx, che a quel tempo era l'unico marxista esistenti in Spagna.
Non si
capisce dove abbia preso le informazioni. (Vedi Anselmo Lorenzo "El proletariado militante", Ed.
Vertice, Mexico, 1958). Infine il famoso rapporto "Necaev" fu scritto da Utin, ebreo russo smascherato
in seguito come spia che si rifugerà poi in Russia nel 1875. Sugli intrighi di Utin e sui suoi
rapporti con
Stefano Caporusso, sarto napoletano spia della polizia, per disorientare la sezione napoletana, vedi Marx
Nettlau "Bakunin e L'Internazionale in Italia", ed. Risveglio, Ginevra, 1928.
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