Rivista Anarchica Online
Quando abolimmo
lo stato
di Claudio Venza
Le esperienze
autogestionarie e libertarie di mezzo secolo fa nel ricordo di alcuni
protagonisti di quella esaltante e tragica stagione rivoluzionaria.
Il fenomeno della
collettivizzazione nella guerra civile spagnola è conosciuto solo
parzialmente e spesso in modo mistificato. Gli storici più noti gli
dedicano di solito uno sbrigativo paragrafo fornendo solo indicazioni
generiche e non di rado confuse. Anche in questo campo l'uso
esclusivo dei documenti scritti, e una certa prevenzione ideologica e
politica verso una rivoluzione sociale per lo meno "inopportuna",
hanno gravemente condizionato la conoscenza storica. D'altra parte
anche i sostenitori dell'esperienza collettivista hanno presentato
per lo più un quadro forzatamente ottimista e aproblematico, tutto
sommato abbastanza artificiale. Le testimonianze dei protagonisti
appaiono molto più significative e rappresentative di certo
materiale d'archivio ripetitivo e quasi stereotipato. Naturalmente il
dato puramente soggettivo, le vicende storiche vissute e viste
dall'interno non possono certamente pretendere di esaurire l'analisi
storica del tema. È però realistico sperare di presentare in alcuni
frammenti l'ambiente umano e la sua mentalità, gli entusiasmi e le
delusioni, le intuizioni e le ingenuità, le aspirazioni e gli
errori. La fonte più
importante e più originale qui utilizzata è data da quarantasei
interviste registrate da ricercatori dell'Archivio Nazionale
Cinematografico della Resistenza di Torino che ha per animatore Paolo
Gobetti. Esse sono state realizzate negli ambienti dei militanti
spagnoli, quasi tutti anarchici, nel 1976-77 in Francia e in Spagna.
Le testimonianze provenivano per lo più da vari gruppi vicini al
giornale "Frente Libertario" che rappresentava una tendenza
dell'anarchismo spagnolo contraria alla collaborazione con le forze
politiche repubblicane durante la guerra civile e favorevole al
massimo sviluppo possibile delle trasformazioni rivoluzionarie delle
collettivizzazioni. Il tema delle conversazioni era notevolmente
ampio e spesso l'intervistato parlava liberamente di tutta la propria
esperienza politica e personale con particolare riguardo al periodo
del 1936-39.
"Il mio
vizio è leggere"
L'argomento
esaminato è stato circoscritto alle collettività di tipo agricolo
perché esse rappresentano lo sviluppo più caratteristico e avanzato
dell'esperienza collettivista, che nel settore industriale risulta
maggiormente condizionata dal controllo governativo e dalle strutture
sindacali e politiche. La resistenza e la
capacità di autoriproduzione dell'anarchismo spagnolo, che utilizza
sapientemente l'assenza di un riformismo statale e riesce a
concentrare su di sé le attese di un cambiamento dell'esistente, si
manifestano anche durante la Seconda Repubblica, e anzi il movimento
si estende e si radicalizza proprio nella prima metà degli Anni
Trenta. Del grande rilievo della concezione etica nell'attività
militante si ha esplicita conferma nelle interviste. Joaquin García
Camarena, che iniziò a lavorare a 6 anni tagliando l'erba in
campagna e che divenne militante anarcosindacalista a 18 anni
dichiara senza incertezza: "Per me essere anarchico è una cosa
molto seria. Leggevo Reclus, leggevo Ricardo Mella, il mio vizio è
leggere. Ho pensato che l'anarchico deve avere delle condizioni
morali, delle condizioni di comprensione,... una delicatezza e una
tolleranza verso il suo simile". Pedro Adam,
anarchico del Levante, ricorda, per spiegare come l'esperienza di una
rivoluzione sociale fu possibile nel 1936-39, che "bisogna
tenere presente che in Spagna l'organizzazione confederale (la CNT)
era una nuova società che si stava creando da anni, prima del
Movimiento (dei militari insorti) e fu questo che le permise poi di
svilupparsi...". Da un altro punto di vista Andreu Elogio, di
Valencia, militante cenetista dall'età di 15 anni, dichiara: "Sempre
mi son detto, e ho detto, che il sindacato, se deve servire solo per
miglioramenti economici, non vale la pena che esista,... il sindacato
deve fare la rivoluzione". Questa sorta di
guida morale che a taluni studiosi ha suggerito un'interpretazione
dell'anarchismo spagnolo in chiave di eresia religiosa, moderna e non
(Brenan, Hobsbawn..), viene rievocata dagli intervistati anche come
un valido criterio di comportamento che ha pure una funzione
correttiva di un'esperienza, quella collettivista, inizialmente
troppo spinta. Così Bernabé
Esteban, di Villar Quemado (Teruel), rievoca il problema della
libertà di scelta: "In alcuni paesi tutto il comune approvò la
collettivizzazione, ma si rese conto presto che non dava dei buoni
risultati. Bisognava far entrare tutta la popolazione, ma questo
presentava dei problemi perché non tutte le persone approvavano il
regime collettivistico. E quando in questi casi non si cura il lato
etico della cosa si finisce per perdere la produzione e compromettere
il buon andamento di tutto. Era più opportuno in casi del genere
lasciar fuori tutti quelli che non erano collettivisti e continuare
il lavoro soltanto con quelli che lo erano". La perdita in
estensione dell'esperimento collettivista, che procurerà vari
inconvenienti nella fase dell'organizzazione razionale del lavoro e
degli scambi dei prodotti, verrebbe però ampiamente ricompensata
dalla qualità della collettivizzazione volontaria. José Villar
Sanchez, di Quitagas, villaggio di montagna vicino a Valencia, inizia
a lavorare a 9 anni e a 13 entra nella CNT. Egli ha ben presente le
modalità e le conseguenze della separazione degli "individualisti".
"Quando quelli se ne andarono, gli vennero restituite le terre, gli
attrezzi. E fu proprio a partire da quel momento che la collettività
iniziò a svolgere un lavoro maggiormente costruttivo, veramente
valido. Anche perché non c'erano più gli ostacoli creati dagli
altri". Una testimonianza
molto significativa viene fornita dal maestro libertario Felix
Carrasquer, creatore ed animatore di una importante scuola per
amministratori di collettività a Monzón, villaggio dell'Aragona.
Nelle visite settimanali ai vari paesi, che effettuava con i giovani
studenti, aveva osservato le differenze fra le collettività
liberamente costituite, specialmente quelle formate da piccoli
proprietari con una certa esperienza agricola, e quelle imposte con
la forza da una minoranza convinta - ma talora autoritaria -, oppure
dalle colonne di miliziani anarcosindacalisti di Barcellona che
combattevano sul fronte aragonese. Data la sua esperienza educativa e
il senso dell'etica libertaria, Carrasquer fu chiamato a risolvere
alcune dispute fra sostenitori ed oppositori del collettivismo. La
sua formula era chiara e coerente: "Dovete lasciare in pace la
gente affinché decida essa stessa quello che vuole fare". Ad ogni
modo, secondo le sue affermazioni, i casi di collettivizzazione
totale e imposta sarebbero stati solamente una ventina su molte
centinaia di aziende collettivizzate.
Il ruolo dei
comunisti
In alcune
situazioni gli "individualisti" che volevano continuare a
coltivare in proprio erano politicamente neutri o anche appartenenti
alla CNT, ma più frequentemente i protagonisti ricordano il sostegno
politico offerto dal Partito comunista che stava cercando consensi
tra i medi e i piccoli proprietari di tendenza conservatrice. Per
Villar Sanchez la federazione comunista di Valencia "si
trasformò nel luogo di riunione di tutti i reduci della C.E.D.A."
(il partito reazionario che non poteva costituirsi legalmente nella
Spagna repubblicana), in quanto "per loro andavano bene tutti.
Anzi li fomentavano. Li difendevano a viso aperto". Gli effetti di
questa propaganda contraria si fanno sentire presto: "Così, queste
persone di Pedralba (villaggio del Levante) che erano entrate nella
collettività, alcune in buona fede (anche se non erano della CNT,
erano entrate in buona fede), altre forse per coprirsi le spalle,
davanti a questa presa di posizione dei comunisti alzarono la testa e
cominciarono a opporre resistenza e a creare difficoltà. Alla fine
andarono via dalla collettività portando con sé le loro terre. Il
congresso costitutivo della Federación Regional de Colectividades
de Aragón tenutosi a Caspe nell'inverno del 1937, e ricordato da
Bernabé Esteban, stabilisce che "qualunque proprietario che
rimanga fuori della collettività non potrà conservare più terre di
quelle che gli è possibile coltivare da solo poiché viene abolito
il lavoro salariato. Inoltre, continua Esteban, si approva una norma
che applica gli insegnamenti di Bakunin, che consigliava di evitare
lo spodestamento violento, mentre la soluzione del problema sta nella
soppressione dell'eredità". Per i collettivisti
la valutazione dell'esperienza vissuta è fortemente legata alla
difesa di principio della scelta della via rivoluzionaria da seguire
nella guerra antifranchista. Ma oltre a tale posizione
politico-ideologica la memoria dà spazio a molti aspetti concreti
della vita quotidiana e delle necessità economiche. Bernardo Merino
Perez, operaio edile anarchico del Levante, ricorda con evidente
orgoglio: "Mai, in nessuna occasione, la terra del Levante, che
è molto prodiga nella produzione agricola, giunse a produrre tanto
come durante la guerra, malgrado che la maggior parte delle
collettività, poiché i compagni si erano incorporati nelle milizie,
fossero composte da compagni che avevano più di 35 anni o più di
30, da donne e da ragazzi". Le urgenze dello
scontro bellico e delle scadenze agricole, che entrano in conflitto
tra loro fin dalle giornate immediatamente successive al 19 luglio
1936, determinano differenti considerazioni nei testimoni. Bernabé Esteban
afferma che a Utrillas (Teruel), invece di disarmare l'infida Guardia
civil e impossessarsi delle armi e della caserma, "i compagni si
erano tranquillizzati la coscienza dicendo che la Guardia Civil era
una minoranza e avevano preferito organizzare i gruppi di mietitori
per raccogliere il grano. Il raccolto era certamente utile, ma era
più urgente distruggere il fascismo, perché se avesse trionfato, a
cosa ci sarebbe servito accumulare grano?". José Villar
Sanchez riflette sull'aspetto economico dell'esperienza e rileva che
in generale la produttività "si mantenne ai livelli medi
dell'anteguerra" però andrebbe anche considerato il fatto che
"nelle collettività mancava circa il 30% dei giovani (...)
perché dalle collettività partivano molti volontari, mentre fra gli
"individualisti" ce n'erano pochi". Ma era soprattutto
la nuova organizzazione del lavoro e della vita sociale ad animare ed
entusiasmare chi si attendeva molto dall'esperimento collettivista.
La testimonianza di Fernando Aragón, della collettività di Angùés
(Huesca) è molto esplicita in proposito: "Quando facemmo la
raccolta del grano (che fu eccellente perché avevamo lavorato molto
e la pioggia era stata favorevole) ci fu la conferma che avevamo
ragione: tutto quel grano che si era seminato, raccolto e trebbiato
con il nostro lavoro, prima andava a beneficio dei proprietari che
non facevano niente. Com'era triste pensare a quello che quei padroni
facevano prima, come ci sentivamo felici quando vedevamo che il
frutto del nostro lavoro andava a beneficio della collettività, di
tutto il paese...".
"Lavorare
in comune non è una stupidaggine"
Anche osservatori
relativamente estranei o contrari testimoniano tale profondo
cambiamento. Juan Martinez, un medio proprietario simpatizzante della
lzquierda Republicana, aveva accettato l'espropriazione anche
dei magazzini di derrate alimentari attribuendo la principale
responsabilità all'emergenza bellica. Egli ricorda comunque il clima
amichevole dei gruppi di lavoro e i vantaggi della collaborazione:
"Lavorare in comune non è assolutamente una stupidaggine.
Significava una grande concentrazione di terra al posto di
appezzamenti piccoli e dispersi. In questo modo si risparmiavano
tempo e sforzo". Il principio di
solidarietà, da sempre sostenuto dagli anarchici spagnoli quale
valore alternativo alla competizione tipica del sistema
capitalistico, sembra realizzarsi in modo quasi miracoloso. Un
episodio di grande significato si scolpisce indelebilmente nei
ricordi di Matilde Escuder, compagna di Felix Carrasquer e
collettivista di Mirandel (Teruel). Quando giunge in paese un camion
di tessuti, lei teme lo scatenarsi della tradizionale rivalità fra
donne, aggravata dalla penuria della guerra. "Ma invece no. Fu
impressionante perché, dopo aver disteso gli scampoli, ciascuna
compagna si preoccupava dell'altra. Ad esempio, tutte più o meno
avevano dei figli, però una diceva "Guarda questo scampolo.
Guarda come andrebbe bene per un paio di pantaloni per tuo figlio,
non ti sembra?...". C'era un legame di fraternità che io non
avevo mai visto...". La solidarietà
dovrebbe far fronte anche ai problemi che la singola collettività
non può risolvere con le sue sole forze. L'accordo sottoscritto a
Caspe dalle collettività aragonesi viene letto da Bernabé Esteban
durante l'intervista. Esso prevede che: "Quando si costituiscono le
federazioni di comarca (provincia) e la federazione regionale,
bisogna eliminare i limiti tradizionali che esistono tra i paesi;
inoltre saranno destinati a uso comune gli strumenti di lavoro e le
materie prime, posti indistintamente a disposizione delle
collettività che ne abbiano bisogno". Ed è pure previsto uno
scambio di manodopera dalle zone di eccedenza a quelle con scarsità
di forze lavorative. Anche sotto
l'aspetto solidaristico sono però rammentate varie incongruenze.
Gaston Leval, anarchico di lingua francese con vari incarichi di
responsabilità , era partito dall'Argentina con l'obiettivo di
documentare la rivoluzione in atto perché riteneva che "le
esperienze che si vivevano dovessero essere raccolte per il futuro".
Aveva già conosciuto la Spagna durante gli Anni Venti e restò
interdetto perché "nelle città si mangiava molto: ricordo che
a Valencia ero stato turbato (...). Mai la gente aveva mangiato tanti
dolci a Valencia", mentre rileva che "i contadini hanno avuto
un senso più concreto, più preciso di responsabilità di fronte al
futuro che si avvicinava". La sua critica allo spreco e alla
scarsa solidarietà delle città è ribadita perfino nei confronti
della capitale catalana, la roccaforte dell'anarchismo: "Avevo
fatto un viaggio in Aragona e avevo constatato che il grano era
cresciuto e che mancava la gente per raccoglierlo. Ed avevamo dei
lavoratori che pigliavano il loro salario senza far nulla a
Barcellona", dove la disoccupazione edile era diffusa. José Villar
Sanchez resta demoralizzato di fronte al ragionamento di alcuni
appartenenti alla collettività di Pedralba, una delle più ricche e
meglio amministrate del Levante. "Una volta mi dissero: "Guarda,
noi dal punto di vista economico andiamo avanti molto bene, se ci
uniamo per esempio con quelli di Marines, certamente loro non
miglioreranno la loro situazione, mentre noi peggioreremmo di
sicuro". Varie testimonianze
concordano con la documentazione d'archivio sul fatto che al pericolo
dell'isolazionismo si cercava di ovviare con organismi di
coordinamento regionale in Aragona, nel levante e in Catalogna.
Talvolta però i conflitti si spostavano a livello interregionale.
Barnabé Esteban dichiara che sorsero dei problemi negli scambi fra
l'Aragona contadina e la Catalogna più urbanizzata: "Abbiamo avuto
degli scontri duri (...) perché i catalani ci davano abbastanza
fastidio su tali questioni". Il fatto non è purtroppo
ulteriormente precisato, mentre poi si ricorda che dopo qualche mese
"le cose si aggiustarono". Le difficoltà di
funzionamento non sembrano costituire nella memoria dei sopravvissuti
dei limiti insuperabili. "Era tutto da maturare in Spagna (...).
Bisognava discutere tutto. Naturalmente.". Ricorda Florentia Soler,
combattente nella colonna Durruti e dal novembre 1936 collettivista
nel suo villaggio di origine in Aragona. "Insomma la situazione
era questa: in principio è stato fatto, o meglio improvvisato, com'è
stato possibile (...) dopo avrebbe avuto luogo l'unificazione. Invece
sono arrivati i ministeri, i comunisti con la loro forza ed hanno
distrutto le collettività" sintetizza Gaston Leval. La repressione
compiuta dalle truppe guidate da Enrique Lister viene rievocata da
tutti i collettivisti che spesso aggiungono dei particolari ed
esprimono tristezza e rabbia miste ad un senso di impotenza. Tali
sentimenti sono esemplificati da Matilde Escuder: "vennero i
grigi e distrussero tutto e portarono via tutti gli uomini".
Qualsiasi organo
di potere...
Questo fatto
traumatico induce ovviamente a frequenti riflessioni sulle
possibilità di una difesa efficace e di una prevenzione militare
dell'operazione di smantellamento. Uno degli intervistati, José
Borras, militante della colonna Durruti, coglie l'occasione
dell'intervista per esporre il suo pensiero sul consiglio d'Aragona,
organo politico composto da esponenti delle varie forze
antifranchiste con la prevalenza di anarchici. Tale Consiglio fu
"riconosciuto come rappresentante del governo centrale, e di
conseguenza, a partire da quel momento non ebbe più il ruolo di
organo rivoluzionario". Al contrario la Federazione delle
Collettività aragonesi, formata dalle entità produttive di
villaggio, avrebbe costituito un'autentica struttura libertaria e
rivoluzionaria e in quanto tale, maggiormente resistente alle
repressioni. In sostanza secondo José Borras, l'intervento militare
di Lister "poté sopprimere ciò che proveniva dall'alto come
emanazione e rappresentanza del potere, senza radici e senza base".
E polemicamente conclude: "voglio aggiungere, perché questo ci
serva di lezione, che il consiglio di Aragona, determinante perché
costituito da una maggioranza di compagni, giocò un ruolo che
meriterebbe la definizione di controrivoluzionario. Ciò dimostra che
qualsiasi organo di potere, anche se retto da libertari, si trasforma
in autoritario". Al contrario, a
livello della singola collettività, quasi tutti i protagonisti
affermano ripetutamente che si era realizzato uno dei cardini
principali della teoria e del movimento anarchico: l'abolizione
dell'autorità. José Villar Sanchez, ad esempio, ricostruisce
l'organizzazione del lavoro in questi termini: "Il lavoro si
svolgeva in brigate. A ciascuna brigata veniva affidato un compito ed
alla sua testa veniva nominato un responsabile che però non aveva il
potere di decisione: era soltanto responsabile per quanto riguarda il
lavoro. In genere questo incarico veniva affidato a colui che dal
punto di vista professionale era maggiormente preparato. Ma senza
autorità".
La condizione
femminile
Si rammenta che
talvolta era arduo praticare nei rapporti quotidiani una innovazione
tanto radicale. Così il maestro Felix Carrasquer si rendeva conto
che "la cosa difficile è arrivare a capire che il maestro è
nella scuola soltanto un ragazzo adulto, che però non ha nessuna
autorità". Florentia Soler sostiene, in base alla propria
esperienza, che era avvenuta una trasformazione rivoluzionaria
dell'intera vita sociale: "Con il cambiamento delle strutture della
società non c'erano autorità, non c'era nessuno in paese, né
tribunale né sindaco, non c'era niente, non c'era altro che il
Comitato rivoluzionario". E ancora: "Non ci furono furti. Non
ci furono ammazzati né per odio né per niente, la gente andava a
lavorare, non avevamo nessuna autorità, nessuna". Eppure i
mutamenti nella realtà di ogni giorno sono profondi e in pochi
giorni si rompono tradizioni e norme consolidate da tempo. La stessa
donna afferma: "Le ragazze che, per esempio, tre mesi prima
fossero andate a casa con un ragazzo dicendo: "Questa notte
dormiamo insieme", il padre le avrebbe picchiate da ammazzarle.
Allora invece era una cosa normale...". Proprio la
condizione femminile sembra quella maggiormente investita dai nuovi
valori. Per Matilde Escuder la rottura fu innanzitutto sul piano
dell'informazione e della cultura "perché si tenevano
conferenze, si leggeva e si discuteva. E la donna era finalmente
uscita dal focolare, aveva distrutto i tabù...". "A Monzón,
che si trovava nella Sierra..., che aveva cinque o seimila abitanti,
il sindacato aveva una grande casa, c'era anche una biblioteca del
sindacato, anche grande, ce n'era un'altra dove c'erano Mujeres
Libres e davano lezioni di sera per le donne del popolo, per
quelle che non sapevano leggere e davano loro lezioni sulla
maternità, di pronto soccorso, ecc...". Suceso Portalez, di
famiglia anarchica, mette in evidenza la necessità di un movimento
particolare delle donne perché anche negli ambienti libertari "la
donna era la compagna del compagno, ma niente di più di questo".
Già prima del 1936 "avevamo cominciato a far prendere coscienza
alle donne perché potessero lottare assieme agli uomini" e
durante la guerra "ci interessava di più far prender coscienza
alle donne dei problemi economici, dei problemi sociali, piuttosto
che prepararle per la guerra" anche se in ogni modo "aiutavano
perché c'era il nemico lì vicino". L'obiettivo principale era
"far qualcosa per realizzare un cambiamento totale, sociale e
rivoluzionario" e in questo senso era necessario battere i
franchisti in quanto "il rombo dei vecchi ferri ci circondava i
polsi" ricorda Suceso Portalez citando una poesia della sua
amica Lucia Sanchez Saornil. Ed è ancora una
donna che riassume con grande efficacia il sentimento di quasi tutti
i collettivisti. All'arrivo nel suo villaggio aragonese dove trova
già in funzione la collettività, Florentia Soler prova
"l'impressione di vivere in pieno comunismo libertario": le
decisioni sono prese dalle assemblee della popolazione, il denaro è
abolito, si vive nell'uguaglianza e nella libertà. La rievocazione
rinnova le forti emozioni vissute quarant'anni prima e la memoria si
confonde con il desiderio: "Nella nostra vita è stato come un
sogno... adesso quando lo ricordo è come un sogno". E questo
stesso concetto, affiancato da un ragionamento più teso a confermare
la validità dell'ideale libertario, è presente nella testimonianza
di Saturnino Carod, capo-colonna della CNT: "Forse eravamo dei
sognatori, o degli utopisti. Sì, tutti noi: ma perfino il
liberalismo fu un'utopia prima di farsi realtà, come del resto il
socialismo. Eravamo, e siamo, convinti che un giorno la nostra utopia
(forse la più utopistica di tutte) si farà realtà, perché se non
è così, l'uomo non sarà contento...".
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