Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 129
giugno 1985


Rivista Anarchica Online

Ma l'antimilitarismo "democratico" è un assurdo

Sono abbastanza restio solitamente ad intervenire per iscritto anche su argomenti che mi toccano personalmente, quale appunto quello sull'antimilitarismo, in corso da alcuni numeri su "A" rivista anarchica. Se ora mi sforzo ad esprimere qualcosa è perché tacere sarebbe accettare passivamente le posizioni uscite dal dibattito in corso.
Inizio con una puntualizzazione d'obbligo, che vorrebbe servire a prendere fin da ora una chiara posizione, focalizzando con precisione il fulcro del mio pensiero sull'argomento.
Sebbene a suo tempo, l'arrivo della cartolina di chiamata alle armi mi trovò determinato nella decisione di rifiutare tale obbligo, l'etichetta di "obiettore totale" non mi è mai piaciuta, né tanto meno quella di "obiettore di coscienza". Mi sento un individuo (mi sia concesso) anarchico, che cerca di lottare contro la struttura e la mentalità militarista, che vorrei veder distrutta, identificandola con uno dei bracci repressivi dello stato o ancor più spina dorsale del sopracitato bubbone, contro il quale tanto bisognerà fare per distruggerlo che i piccoli sparuti esempi, ma non per questo non validi, di compagni che rifiutano il servizio militare, non rimangono che delle gocce d'acqua in un mare tutto da distruggere, dissacrare, violentare e rifiutare.
Personalmente non credo che si possa ottenere la fine del militarismo usando i mezzi che lo stato mette a disposizione (come il Servizio Civile), seppur strappati dopo anni di pressioni, usando le critiche e le analisi concesse, che si rifanno idealmente al presunto alto valore dei principi, ma sui quali pure la struttura repressiva si basa. Una lotta antimilitarista impregnata di valori democratici non può essere tale.
La Costituzione difende il volere della classe politica al potere e personalmente non mi interessa prendere parte al gioco per riuscire a dimostrare che l'Obiezione di Coscienza è un diritto riconosciuto dalla carta costituzionale. La mia lotta antimilitarista non vuole ottenere la non-punibilità di questo diritto/dovere, ma la fine di questo sopruso, l'annientamento di quella struttura che quotidianamente ci impone cose che sono in netto contrasto con il nostro essere e la nostra volontà e che, se molte volte accettiamo, è solo per un forte sentimento di debolezza e fatalismo che ci pervade. E ciò anche grazie alla passiva accettazione di teorie ed analisi che non ci appartengono e alle quali dovremmo opporre con maggior chiarezza il nostro dissenso.
Se quindi arrivo ad affermare che io non voglio essere definito "obiettore totale" né "obiettore di coscienza", e così pure non vorrei che così fossero definiti quei compagni che con chiarezza hanno opposto il loro rifiuto allo stato, è per evitare facili fraintendimenti ed equivoci accostamenti con una metodologia di intervento che io personalmente non condivido ed alla quale mi oppongo fermamente.
Certe posizioni prese da quegli antimilitaristi che definirei istituzionalisti (quali il pacifismo, la nonviolenza istituzionalizzata e di partito, la difesa popolare nonviolenta, le aleatorie azioni nonviolente, il disarmo unilaterale, l'obiezione fiscale, ecc.), non sono le mie e penso che neppure il Movimento Anarchico dovrebbe farle proprie senza aver prima chiarito cosa si mascheri dietro a queste forme di lotta e proposte. Non voglio comunque entrare nel merito di ogni singolo argomento, diventerebbe troppo lungo e complesso. Personalmente le liquido ora molto sommariamente come espressioni di quell'antimilitarismo riformista che, camuffandosi con abilità e maestria, è riuscito a penetrare nel movimento antimilitarista al punto da deviarlo verso la sterile lotta istituzionale.
Una volta chiarito che l'antimilitarismo è una cosa e la lotta per migliorare le istituzioni un'altra, voglio entrare nel merito dell'antimilitarismo anarchico, senza voler avere la presunzione di detenere in assoluto alcuna verità, ma criticando chi nell'illusione di fare qualcosa non combina assolutamente niente di positivo, se addirittura non svolge, inconsapevolmente o meno, il gioco predeterminato dal potere che permette all'opposizione una blanda forma di innocua espressività: mi riferisco a chi fa dell'obiezione di coscienza e del servizio civile il punto primario della propria lotta.
Parto dalla concezione che il rifiuto del servizio militare sia, nell'ottica antimilitarista, la scelta ideale da farsi: questa è una mia ferma convinzione personale. Questo non per questioni di purezza interiore, ma per riuscire, nel caso specifico, a comunicare la propria avversità all'istituzione, l'indisponibilità ad accettare passivamente il volere dello stato, cosa questa che per un individuo in perenne lotta contro l'opposizione ed il sopruso dovrebbe essere allargata ad altri settori della propria vita.
Eticamente, per un anarchico, il rifiuto espresso al servizio militare e all'obbligo/alternativa del servizio civile dovrebbe essere una cosa in sintonia con il proprio pensiero. Che senso avrebbe limitarsi ad esprimere il proprio dissenso a tutta una serie di cose se poi si accetta "criticamente" tutto? Vogliamo fare i politici o coloro che partecipano in prima persona al cambiamento, anche con piccoli gesti quotidiani? La repressione dello stato che accompagna ogni forma di protesta deve limitarci nella nostra lotta, e questa dobbiamo farla in rapporto a quanto ci è concesso, o a quanto noi reputiamo giusto fare?
Il lavoro che pochi/e compagni/e stanno cercando attualmente di fare, tra mille difficoltà ed incomprensioni, è quello di riuscire a diffondere a più vasti settori tale lotta, di creare strutture atte per un sostegno valido per quei compagni che si trovano nella condizione di ribellarsi all'imposizione dell'anno di leva.
Consapevoli del fatto che solo lo sviluppo generalizzato del non-consenso alle strutture istituzionali possa portare alla costruzione di quella società libertaria, alla quale tanto pochi compagni continuano a credere (e a lavorare), pervasi come si è da un fottutissimo realismo presente in quasi tutti noi, come una colata di piombo sopra i nostri piedi.
Io sostengo un tipo di lotta antimilitarista che ora reputo la più opportuna, ma ho la consapevolezza che non è l'unica. Quindi auspico che si sia capaci di andare oltre le sterili polemiche fatte più per giustificarsi (senza volersi togliere di dosso i panni sporchi che non abbiamo mai smesso) che per dare il proprio apporto al prosieguo della lotta, per trovare una sintonia di intervento che si finalizzi alla realizzazione di una società libertaria (e, per forza di cose, alla distruzione di quella attuale).
L'antimilitarismo non è comunque l'unico settore di lotta nel quale si esaurisce il dissenso allo stato, ma rientra nel più vasto e ricco bagaglio di critica/analisi propria del movimento anarchico. Quindi ripresa dell'antimilitarismo anarchico sul territorio, ma anche ripresa della lotta contro il sopruso, la violenza istituzionale e la repressione: ogni forma di ribellione sociale o individuale costituisce un importante tassello per la ricostruzione di una mentalità libertaria.
Ribellarsi e lavorare per l'anarchia.

Sergio Cattaneo (Lecco)