Rivista Anarchica Online
Ma
l'antimilitarismo "democratico" è un assurdo
Sono abbastanza
restio solitamente ad intervenire per iscritto anche su argomenti che
mi toccano personalmente, quale appunto quello sull'antimilitarismo,
in corso da alcuni numeri su "A" rivista anarchica. Se ora
mi sforzo ad esprimere qualcosa è perché tacere sarebbe accettare
passivamente le posizioni uscite dal dibattito in corso. Inizio con una
puntualizzazione d'obbligo, che vorrebbe servire a prendere fin da
ora una chiara posizione, focalizzando con precisione il fulcro del
mio pensiero sull'argomento. Sebbene a suo
tempo, l'arrivo della cartolina di chiamata alle armi mi trovò
determinato nella decisione di rifiutare tale obbligo, l'etichetta di
"obiettore totale" non mi è mai piaciuta, né tanto meno
quella di "obiettore di coscienza". Mi sento un individuo (mi
sia concesso) anarchico, che cerca di lottare contro la struttura e
la mentalità militarista, che vorrei veder distrutta,
identificandola con uno dei bracci repressivi dello stato o ancor più
spina dorsale del sopracitato bubbone, contro il quale tanto
bisognerà fare per distruggerlo che i piccoli sparuti esempi, ma non
per questo non validi, di compagni che rifiutano il servizio
militare, non rimangono che delle gocce d'acqua in un mare tutto da
distruggere, dissacrare, violentare e rifiutare. Personalmente non
credo che si possa ottenere la fine del militarismo usando i mezzi
che lo stato mette a disposizione (come il Servizio Civile), seppur
strappati dopo anni di pressioni, usando le critiche e le analisi
concesse, che si rifanno idealmente al presunto alto valore dei
principi, ma sui quali pure la struttura repressiva si basa. Una
lotta antimilitarista impregnata di valori democratici non può
essere tale. La Costituzione
difende il volere della classe politica al potere e personalmente non
mi interessa prendere parte al gioco per riuscire a dimostrare che
l'Obiezione di Coscienza è un diritto riconosciuto dalla carta
costituzionale. La mia lotta antimilitarista non vuole ottenere la
non-punibilità di questo diritto/dovere, ma la fine di questo
sopruso, l'annientamento di quella struttura che quotidianamente ci
impone cose che sono in netto contrasto con il nostro essere e la
nostra volontà e che, se molte volte accettiamo, è solo per un
forte sentimento di debolezza e fatalismo che ci pervade. E ciò
anche grazie alla passiva accettazione di teorie ed analisi che non
ci appartengono e alle quali dovremmo opporre con maggior chiarezza
il nostro dissenso. Se quindi arrivo ad
affermare che io non voglio essere definito "obiettore totale"
né "obiettore di coscienza", e così pure non vorrei che
così fossero definiti quei compagni che con chiarezza hanno opposto
il loro rifiuto allo stato, è per evitare facili fraintendimenti ed
equivoci accostamenti con una metodologia di intervento che io
personalmente non condivido ed alla quale mi oppongo fermamente. Certe posizioni
prese da quegli antimilitaristi che definirei istituzionalisti (quali
il pacifismo, la nonviolenza istituzionalizzata e di partito, la
difesa popolare nonviolenta, le aleatorie azioni nonviolente, il
disarmo unilaterale, l'obiezione fiscale, ecc.), non sono le mie e
penso che neppure il Movimento Anarchico dovrebbe farle proprie senza
aver prima chiarito cosa si mascheri dietro a queste forme di lotta e
proposte. Non voglio comunque entrare nel merito di ogni singolo
argomento, diventerebbe troppo lungo e complesso. Personalmente le
liquido ora molto sommariamente come espressioni di
quell'antimilitarismo riformista che, camuffandosi con abilità e
maestria, è riuscito a penetrare nel movimento antimilitarista al
punto da deviarlo verso la sterile lotta istituzionale. Una volta chiarito
che l'antimilitarismo è una cosa e la lotta per migliorare le
istituzioni un'altra, voglio entrare nel merito dell'antimilitarismo
anarchico, senza voler avere la presunzione di detenere in assoluto
alcuna verità, ma criticando chi nell'illusione di fare qualcosa non
combina assolutamente niente di positivo, se addirittura non svolge,
inconsapevolmente o meno, il gioco predeterminato dal potere che
permette all'opposizione una blanda forma di innocua espressività:
mi riferisco a chi fa dell'obiezione di coscienza e del servizio
civile il punto primario della propria lotta. Parto dalla
concezione che il rifiuto del servizio militare sia, nell'ottica
antimilitarista, la scelta ideale da farsi: questa è una mia ferma
convinzione personale. Questo non per questioni di purezza interiore,
ma per riuscire, nel caso specifico, a comunicare la propria
avversità all'istituzione, l'indisponibilità ad accettare
passivamente il volere dello stato, cosa questa che per un individuo
in perenne lotta contro l'opposizione ed il sopruso dovrebbe essere
allargata ad altri settori della propria vita. Eticamente, per un
anarchico, il rifiuto espresso al servizio militare e
all'obbligo/alternativa del servizio civile dovrebbe essere una cosa
in sintonia con il proprio pensiero. Che senso avrebbe limitarsi ad
esprimere il proprio dissenso a tutta una serie di cose se poi si
accetta "criticamente" tutto? Vogliamo fare i politici o coloro
che partecipano in prima persona al cambiamento, anche con piccoli
gesti quotidiani? La repressione dello stato che accompagna ogni
forma di protesta deve limitarci nella nostra lotta, e questa
dobbiamo farla in rapporto a quanto ci è concesso, o a quanto noi
reputiamo giusto fare? Il lavoro che
pochi/e compagni/e stanno cercando attualmente di fare, tra mille
difficoltà ed incomprensioni, è quello di riuscire a diffondere a
più vasti settori tale lotta, di creare strutture atte per un
sostegno valido per quei compagni che si trovano nella condizione di
ribellarsi all'imposizione dell'anno di leva. Consapevoli del
fatto che solo lo sviluppo generalizzato del non-consenso alle
strutture istituzionali possa portare alla costruzione di quella
società libertaria, alla quale tanto pochi compagni continuano a
credere (e a lavorare), pervasi come si è da un fottutissimo
realismo presente in quasi tutti noi, come una colata di piombo sopra
i nostri piedi. Io sostengo un tipo
di lotta antimilitarista che ora reputo la più opportuna, ma ho la
consapevolezza che non è l'unica. Quindi auspico che si sia capaci
di andare oltre le sterili polemiche fatte più per giustificarsi
(senza volersi togliere di dosso i panni sporchi che non abbiamo mai
smesso) che per dare il proprio apporto al prosieguo della lotta, per
trovare una sintonia di intervento che si finalizzi alla
realizzazione di una società libertaria (e, per forza di cose, alla
distruzione di quella attuale). L'antimilitarismo
non è comunque l'unico settore di lotta nel quale si esaurisce il
dissenso allo stato, ma rientra nel più vasto e ricco bagaglio di
critica/analisi propria del movimento anarchico. Quindi ripresa
dell'antimilitarismo anarchico sul territorio, ma anche ripresa della
lotta contro il sopruso, la violenza istituzionale e la repressione:
ogni forma di ribellione sociale o individuale costituisce un
importante tassello per la ricostruzione di una mentalità
libertaria. Ribellarsi e
lavorare per l'anarchia.
Sergio Cattaneo (Lecco)
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