Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 129
giugno 1985


Rivista Anarchica Online

Quelle palizzate da abbattere

Glisso elegantemente sugli insulti e ringrazio Patrizio per la sua lettera, perché ho avuto modo di rendermi conto che anche altri compagni - seppure con spirito del tutto diverso - non sono d'accordo con quanto ho scritto (alcuni per differenze di fondo, altri perché lo hanno frainteso) e quindi rispondere a Patrizio mi dà modo di chiarire meglio a loro il mio pensiero, di cercare di renderlo più comprensibile in modo da sgombrare il campo da possibili equivoci.
Innanzitutto le quisquilie.
Primo. Definire esaltazione una interpretazione (discutibile finché si vuole perché soggettiva) di un fatto sociale, non significa niente. Perché a questa interpretazione non ne è stata opposta un'altra?
Secondo. Ho citato Christa Wolf perché sono d'accordo sul concetto che esprime. Dovevo forse modificare la citazione? Se gli occhi non mi ingannano, però, io non ho mai usato in tutto l'articolo la parola maschi, ma sempre uomini. O forse sono diventata improvvisamente cieca?
Terzo. Che cos'è la giustizia proletaria e cosa ha espresso ad esempio in questo caso se non i valori della cultura dominante? - mi chiedevo nell'articolo - con la speranza che un fatto tanto evidente facesse riflettere sugli schemi mentali che hanno informato un periodo storico e che sarebbe ora di rivisitare criticamente. A meno che non torni più comodo continuare a pensare il mondo bianco e nero, con i buoni tutti da una parte e i cattivi dall'altra.
Quarto. Paragonare l'episodio delle due ragazze bruciate a quello delle due donne di Catania che hanno ammazzato il violentatore delle loro figlie/bambine mi sembra a dir poco pretestuoso: una cosa è compiere un atto di giustizia sommaria collettiva verso due ragazze colpevoli di essere considerate "diverse", un'altra è rispondere in prima persona a una violenza insopportabile. O mi sbaglio?
Ma tutto questo serviva a Patrizio per arrivare al nocciolo del problema, e cioè il mio supposto approccio "femminista". Spiacente di deluderlo. Certo sarebbe più tranquillizzante per lui - ma non solo per lui - potermi incasellare in una definizione per cui quello che dico e sostengo non varrebbe più neppure la pena di essere discusso. E invece no. Quella definizione, quella casella non mi appartengono, e se la memoria non mi inganna mi risulta che quasi tutte le critiche e gli attacchi al movimento femminista apparsi su "A" portino, guarda caso, proprio la mia firma. Ma questi articoli - e sono molti - Patrizio si è ben guardato dal citarli. E allora?
Allora continuo a essere quella che sono sempre stata - cioè anarchica - ma questo non mi impedisce di analizzare la realtà in cui vivo, questo non mi impedisce di vedere che la cultura che informa questa società è cultura maschile di potere, di violenza, di sopraffazione, è cultura di cui la donna è solo il segno (l'uomo, cioè, riesce a pensarsi solo attraverso la donna). Una cultura che ha messo da una parte gli uomini, assegnando loro una serie di caratteristiche, e dall'altra le donne, con altre caratteristiche. Questa cultura, questa divisione, questo immaginario non l'ho certo fatto io e da tanto vado dicendo - ma inutilmente, a quanto pare - che va distrutto e ricostruito da donne e uomini messi insieme. Ma a quanto pare ne siamo ancora distanti anni-luce, se la semplice analisi di un fatto sociale emblematico scatena reazioni simili a quelle di Patrizio.
In un certo senso beato lui e quelli come lui. Basta dire la formula magica: "essere libertari è una cosa che riguarda l'individuo senza distinzioni di sesso, età, razza, nazionalità" e come per incanto tutto è risolto. A me, invece, sembra tutto molto, molto più difficile. Non si tratta di differenze biologiche, di quello che si ha o non si ha fra le gambe, ma di una cultura così profonda e radicata e partecipata che non saranno certo le dichiarazioni di principio ad estirpare, altrimenti non vedremmo - anche fra di noi - il persistere di comportamenti e atteggiamenti tipici proprio di quella cultura.
Certo ci sono donne - poche - che scelgono di assumere i valori della sfera culturale maschile (aggressività, competizione, potere, morte, ecc.) ma la maggior parte resta nella sfera che le è stata assegnata (vita, dolcezza, amore, sensibilità, ecc.). Ecco il senso della frase volutamente provocatoria con cui chiudevo il mio articolo: "Malgrado tutto sono contenta di essere donna". Provocatoria perché voleva significare che una donna, proprio per quella divisione culturale operata dagli uomini agli inizi della storia umana, non avrebbe mai potuto concepire un gesto tanto atroce. Ed ecco perché non ho scritto del povero barbone o di tanti altri fatti spaventosi ed ho scritto invece di queste due ragazze: perché il fatto mi sembrava riassumere in sé molto chiaramente questa cultura che travalica gli strati sociali e dimostrava quale può essere il prezzo per chi rifiuta l'una sfera ma anche l'altra.
Noi viviamo in questa società, non in una società anarchica e parlare di individuo oggi - proprio per il discorso di divisione culturale che ho appena fatto - se è giusto a livello teorico non corrisponde affatto alla realtà, o almeno a me così sembra. Se prima non si opererà la distruzione di queste due sfere (e quindi dell'immaginario maschile che le ha create) e la costruzione di un nuovo immaginario collettivo in cui il maschile e il femminile possono convivere all'interno di ciascuna persona senza conflitti, l'individuo resterà quello che è oggi, cioè dimezzato.
Questo a me sembrava già un compito difficile ma ora, dopo questa lettera, mi sembra difficilissimo e lontanissimo: ci sono evidentemente su questo problema forme di difesa, palizzate addirittura, talmente robuste che non so proprio come si potrebbero abbattere. E allora lasciamo a chi vuole l'illusione che essere anarchici significhi tout-court il superamento del problema. Io continuo a credere che c'è tanto lavoro da fare sia a livello individuale che collettivo e quindi - come ormai pare sia diventato il mio ruolo storico - continuerò a rompere le scatole cercando di intaccare le palizzate.

Fausta Bizzozzero (Milano)