Rivista Anarchica Online
Quelle palizzate da abbattere
Glisso
elegantemente sugli insulti e ringrazio Patrizio per la sua lettera,
perché ho avuto modo di rendermi conto che anche altri compagni -
seppure con spirito del tutto diverso - non sono d'accordo con quanto
ho scritto (alcuni per differenze di fondo, altri perché lo hanno
frainteso) e quindi rispondere a Patrizio mi dà modo di chiarire
meglio a loro il mio pensiero, di cercare di renderlo più
comprensibile in modo da sgombrare il campo da possibili equivoci. Innanzitutto le
quisquilie. Primo. Definire
esaltazione una interpretazione (discutibile finché si vuole perché
soggettiva) di un fatto sociale, non significa niente. Perché a
questa interpretazione non ne è stata opposta un'altra? Secondo. Ho citato
Christa Wolf perché sono d'accordo sul concetto che esprime. Dovevo
forse modificare la citazione? Se gli occhi non mi ingannano, però,
io non ho mai usato in tutto l'articolo la parola maschi, ma sempre
uomini. O forse sono diventata improvvisamente cieca? Terzo. Che cos'è
la giustizia proletaria e cosa ha espresso ad esempio in questo caso
se non i valori della cultura dominante? - mi chiedevo nell'articolo
- con la speranza che un fatto tanto evidente facesse riflettere
sugli schemi mentali che hanno informato un periodo storico e che
sarebbe ora di rivisitare criticamente. A meno che non torni più
comodo continuare a pensare il mondo bianco e nero, con i buoni tutti
da una parte e i cattivi dall'altra. Quarto. Paragonare l'episodio delle due ragazze bruciate a quello delle due donne di
Catania che hanno ammazzato il violentatore delle loro figlie/bambine
mi sembra a dir poco pretestuoso: una cosa è compiere un atto di
giustizia sommaria collettiva verso due ragazze colpevoli di essere
considerate "diverse", un'altra è rispondere in prima
persona a una violenza insopportabile. O mi sbaglio? Ma tutto questo
serviva a Patrizio per arrivare al nocciolo del problema, e cioè il
mio supposto approccio "femminista". Spiacente di
deluderlo. Certo sarebbe più tranquillizzante per lui - ma non solo
per lui - potermi incasellare in una definizione per cui quello che
dico e sostengo non varrebbe più neppure la pena di essere
discusso. E invece no. Quella definizione, quella casella non mi
appartengono, e se la memoria non mi inganna mi risulta che quasi
tutte le critiche e gli attacchi al movimento femminista apparsi su
"A" portino, guarda caso, proprio la mia firma. Ma questi
articoli - e sono molti - Patrizio si è ben guardato dal citarli. E
allora? Allora continuo a
essere quella che sono sempre stata - cioè anarchica - ma questo non
mi impedisce di analizzare la realtà in cui vivo, questo non mi
impedisce di vedere che la cultura che informa questa società è
cultura maschile di potere, di violenza, di sopraffazione, è cultura
di cui la donna è solo il segno (l'uomo, cioè, riesce a pensarsi
solo attraverso la donna). Una cultura che ha messo da una parte gli
uomini, assegnando loro una serie di caratteristiche, e dall'altra le
donne, con altre caratteristiche. Questa cultura, questa divisione,
questo immaginario non l'ho certo fatto io e da tanto vado dicendo -
ma inutilmente, a quanto pare - che va distrutto e ricostruito da
donne e uomini messi insieme. Ma a quanto pare ne siamo ancora
distanti anni-luce, se la semplice analisi di un fatto sociale
emblematico scatena reazioni simili a quelle di Patrizio. In un certo senso
beato lui e quelli come lui. Basta dire la formula magica: "essere
libertari è una cosa che riguarda l'individuo senza distinzioni di
sesso, età, razza, nazionalità" e come per incanto tutto è
risolto. A me, invece, sembra tutto molto, molto più difficile. Non
si tratta di differenze biologiche, di quello che si ha o non si ha
fra le gambe, ma di una cultura così profonda e radicata e
partecipata che non saranno certo le dichiarazioni di principio ad
estirpare, altrimenti non vedremmo - anche fra di noi - il persistere
di comportamenti e atteggiamenti tipici proprio di quella cultura. Certo ci sono donne
- poche - che scelgono di assumere i valori della sfera culturale
maschile (aggressività, competizione, potere, morte, ecc.) ma la
maggior parte resta nella sfera che le è stata assegnata (vita,
dolcezza, amore, sensibilità, ecc.). Ecco il senso della frase
volutamente provocatoria con cui chiudevo il mio articolo: "Malgrado
tutto sono contenta di essere donna". Provocatoria perché
voleva significare che una donna, proprio per quella divisione
culturale operata dagli uomini agli inizi della storia umana, non
avrebbe mai potuto concepire un gesto tanto atroce. Ed ecco perché
non ho scritto del povero barbone o di tanti altri fatti spaventosi
ed ho scritto invece di queste due ragazze: perché il fatto mi
sembrava riassumere in sé molto chiaramente questa cultura che
travalica gli strati sociali e dimostrava quale può essere il prezzo
per chi rifiuta l'una sfera ma anche l'altra. Noi viviamo in
questa società, non in una società anarchica e parlare di individuo
oggi - proprio per il discorso di divisione culturale che ho appena
fatto - se è giusto a livello teorico non corrisponde affatto alla
realtà, o almeno a me così sembra. Se prima non si opererà la
distruzione di queste due sfere (e quindi dell'immaginario maschile
che le ha create) e la costruzione di un nuovo immaginario collettivo
in cui il maschile e il femminile possono convivere all'interno di
ciascuna persona senza conflitti, l'individuo resterà quello che è
oggi, cioè dimezzato. Questo a me
sembrava già un compito difficile ma ora, dopo questa lettera, mi
sembra difficilissimo e lontanissimo: ci sono evidentemente su questo
problema forme di difesa, palizzate addirittura, talmente robuste che
non so proprio come si potrebbero abbattere. E allora lasciamo a chi
vuole l'illusione che essere anarchici significhi tout-court il
superamento del problema. Io continuo a credere che c'è tanto lavoro
da fare sia a livello individuale che collettivo e quindi - come
ormai pare sia diventato il mio ruolo storico - continuerò a rompere
le scatole cercando di intaccare le palizzate.
Fausta Bizzozzero (Milano)
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