Rivista Anarchica Online
Quel malcelato
femminismo
Cari compagni, vorrei intervenire
in merito all'articolo di Fausta, dal titolo "Dietro un rogo",
apparso sullo scorso numero della rivista. Buona parte
dell'articolo è portata via dal lungo panegirico di quasi
esaltazione di queste due nobili figure che fanno sì parte di quel
mondo di emarginati che si trova in una "squallida"
baraccopoli della "magnifica" Roma (contrasto un po'
aristocratico direi) ma che ne sono senz'altro al di sopra (chissà
in che modo), prostituendo sì il loro corpo ma non la mente e
l'anima come molte donne "perbene" (qui siamo nel regno
della parapsicologia!!!). Passo poi ad
apprendere che secondo Christa Wolf (e se lo dice lei non può essere
che vero) "i maschi (non uomini perché sennò verrebbe data
loro la dignità di esseri umani -nota personale-), deboli ma con il
prepotente bisogno di vincere, si servono di noi come vittime per
poter conservare il sentimento di sé". L'aver scoperto di
essere un debole e di aver bisogno di vincere è stata per me una
rivelazione anzi un vero e proprio shock, mentre l'aver scoperto che
il maschio mantiene il sentimento di sé vittimizzando le donne mi ha
messo in crisi perché, non avendo sottomano donne da vittimizzare,
mi è sorto il dubbio di non avere sentimento di me o peggio di non
essere un maschio e stai a vedere che senza saperlo ho forse cambiato
sesso. È stato il crollo della mia certezza di essere maschio. Ma ecco, subito
dopo, un altro atroce colpo alle mie certezze, questa volta
politiche. Per anni sono stato, e in fondo lo sono ancora, uno di
quegli idioti e semplicioni (non tutti possono essere intellettuali a
questo mondo, se ciò succedesse non ci sarebbe più distinzione tra
élite e massa amorfa) che credono nella giustizia proletaria, non
quella belluina che si concretizza nell'applicazione della legge di
Lynch, ma quella che dovrebbe essere un approfondimento, un
miglioramento e quindi un superamento della cosiddetta "giustizia
borghese". Ma al di là di noi creduli mortali che ci
crogioliamo negli slogan, ho l'impressione che anche coloro che
tentano di approfondire razionalmente le più svariate tematiche
cedano di quando in quando al fascino "idiota e semplicione"
della giustizia proletaria, o sarebbe più giusto dire al plauso
incondizionato del farsi giustizia da sé (si vedano in proposito gli
articoli di Fausta apparsi su "A" dell'aprile '82 e del
marzo '84), e non mi si facciano paragoni sulla diversa gravità del
fatto scatenante, il risultato sembra lo stesso. Ma, forse, il fatto
che in un caso i giustizieri siano donne mentre nel secondo le donne
sono le vittime cambia il valore del giudizio. È in fondo la logica
atavica dell'appartenenza ai gruppi, alle logge, alle razze, ai
sessi, ecc., e da che mondo è mondo si assiste a queste duplicità
di valutazione: per ogni "gruppo" è un atto di giustizia colpire
un proprio nemico mentre diventa un fatto atroce quando qualcuno del
"gruppo" viene colpito e la cosa è inversamente valida per gli
altri "gruppi". Il fatto successo a
Roma è certamente un fatto atroce e quando l'ho appreso sono rimasto
con il cucchiaio a mezz'aria (stavo mangiando), sgomento e pieno di
orrore nel pensare che qualcuno potesse arrivare a tanta atrocità e
ancor più sgomento quando lo speaker continuava ad insistere sul
fatto che le due ragazze fossero tossicodipendenti, quasi a voler
trovare in questo una giustificazione all'azione compiuta contro di
loro. Un fatto della
stessa dinamica ma con vittime diverse, fossero stati anche maschi e
per di più fascisti, mi avrebbe riempito dello stesso orrore.
Ricordo in proposito, un fatto quasi analogo successo alcuni anni fa:
un barbone venne bruciato da quattro fascistelli. Non mi sembra però
di ricordare che in quell'occasione ci fossero state prese di
posizione tanto veementi. Tra le altre cose, il barbone era un
maschietto mentre tra i suoi arrostitori c'era, guarda caso, una
femminuccia. Conosco già la
classica obiezione che può essere fatta a questo punto e cioè che
costei è stata una vittima della cultura maschile, che come si sa è
autoritaria e violenta mentre le donne sono tendenzialmente
libertarie e quindi bla-bla. Ma questa teoria può andar bene a chi
parte dalla propria soggettività e pensa per questo che tutti coloro
che sono simili a lui fisicamente lo siano automaticamente anche nel
temperamento e nei sentimenti. Per chi, come me, è
convinto invece che l'essere libertari sia una cosa riguardante
l'individuo e quindi una sua precisa scelta culturale e politica e
non certo una questione di sesso, di razza, di nazionalità, di età,
ecc., la storia è lì a testimoniare che la violenza è un modo di
rapportarsi universale e che le donne quando hanno potuto e possono,
quando cioè non ne sono state e sono esautorate dagli uomini, hanno
usato e usano anch'esse e abbondantemente della violenza e
dell'autorità. Quindi non è l'avere un'appendice tra le gambe che
fa necessariamente essere violenti e autoritari e non è la sua
mancanza che fa necessariamente essere libertari, esistono individui
autoritari e individui libertari. Concludendo. Per
quel che riguarda la sottile acrimonia nei confronti della generalità
del sesso maschile che pervade tutto l'articolo, questa è materia da
rimandare ad uno studio psicanalitico. Per il resto mi sembra a dir
poco strumentale il fatto che dietro un rogo (cioè a partire da un
orrendo fatto di cronaca) si voglia far passare un discorso che,
nella migliore delle ipotesi, risulta essere viziato da un malcelato
femminismo dei più deteriori. Non vorrei con
questo attirarmi le ire delle compagne femministe, ma penso che una
cosa sia la critica (e la lotta) radicale alla società e ai
comportamenti maschilisti, in ogni loro aspetto, portata avanti con
linguaggio pacato e intelligente, altra cosa sia invece la ricerca
della contrapposizione a tutti i costi con l'intero genere maschile. Salud,
Patrizio Biagi
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