Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 129
giugno 1985


Rivista Anarchica Online

Cerchiamo finalmente di guardare al presente

Vorremmo provare a mettere per iscritto alcune riflessioni che ci nascono in seguito, più che agli episodi di "euroterrorismo" in sé, ai commenti di vario tipo che ne sono seguiti. Ci siamo detti allora che forse le esperienze di questi anni non sono state una dimostrazione, e vengono invece vissute semplicemente come un'esperienza soggettiva. L'esperienza della lotta armata (politica e umana) viene da alcune parti vista oggi, nel "post-terrorismo", come un errore di forma e non, più complessivamente, come un errore di metodologia e teoria. Si imputa cioè il fallimento alle forme organizzative pensando non che esse deviassero dall'ideologia di fondo, ma che fossero sovraimposte al fenomeno, soggettivamente di chi viveva quest'esperienza. In questo modo si dice "loro hanno fatto degli incidenti di percorso, noi non li faremo".
La nostra riflessione ci fa dire invece che l'esperienza della lotta armata non poteva produrre altro da quel che ha prodotto. Certo in teoria poteva andare anche diversamente e le O.C.C. potevano anche vincere lo scontro militare, anziché perderlo. Non crediamo che questo avrebbe cambiato significativamente lo scenario del risultato, politico e umano. Umano nel senso di relazioni personali distrutte o falsificate, ma anche nel senso di una cultura espressasi nella violenza e che della stessa si nutre.
Tutto questo era insito nei modelli interpretativi e trasformativi, nelle ideologie che hanno guidato la lotta armata e avrebbero dato i loro frutti nel caso di una vittoria così come li hanno dati nella sconfitta. Sorge legittima una sorta di interrogativo e cioè: perché non provare a sganciarsi da simili modelli, pur conservando coscienza di quello che è stato e la tensione ad esprimere istanze libertarie e di trasformazione? Interrogativo al quale seguono riflessioni che riteniamo di carattere generale e necessarie a superare, in senso positivo, gli accadimenti.
Le utopie sono tra di loro fondamentalmente simili, sia che si tratti di utopie "progressiste" sia che si tratti invece di quelle "conservatrici". La fondamentale identità sta nel carattere proprio dell'Utopia, che è quello di rimandare a un futuro in cui si realizzerà quella determinata forma sociale. Così è per le Utopie che prefigurano una trasformazione dell'esistente come per quelle che reggono lo Status quo. Infatti anche l'utopia del Capitale prevede una società posta nel futuro, in cui la forza economica e scientifica del progresso porterà ad un benessere diffuso. Ogni Uomo, insomma, cerca la felicità, vorrebbe possederla, ma non trovandola si costruisce dei mondi futuri, siano essi frutto di trasformazione o di evoluzione del presente, sempre allontanati nello spazio e nel tempo. Ed ecco che comunque, sia nelle teorie della liberazione che in quelle della conservazione o della restaurazione, il presente scompare, viene annullato nello spazio mitico del futuro assoluto o del passato altrettanto assoluto. È qui il nocciolo della questione.
Viviamo in un mondo che tutti coloro che lo abitano, sia che lo governino o che siano governati, reputano bruttissimo e invivibile. E, infatti, le prospettive concrete di questa società si situano tra la distruzione nucleare catastrofica e la più lenta ma non meno tragica morte ecologica per esaurimento delle fonti energetiche e per inquinamento.
Cerchiamo allora di guardare finalmente al presente, perché altrimenti il futuro in cui collocare l'Utopia rischia di scomparire veramente nell'Utopia. Con la distruzione definitiva del mondo non ci sono più spazi né tempi in cui collocare sogni e/o desideri; e guardare al presente vuol dire distogliersi dai Grandi Progetti e avere il coraggio di guardare al particolare. Salvare il salvabile in un mondo che va a pezzi è una strategia che può permettere di pensare ancora ad un possibile futuro, una possibilità di schivare la catastrofe. Salvare il salvabile può significare concretamente la riappropriazione del territorio geografico, sociale, relazionale, in cui ognuno di noi vive. Recupero di una dimensione umana dei rapporti, ma anche recupero ed invenzione di sistemi abitativi e produttivi che non distruggano l'ambiente e anzi lo arricchiscano. Questa società è un serpente che si morde la coda e all'interno dei suoi modi-sistemi non c'è speranza, è solo ponendosi fuori, concretamente, che ci si può salvare. Non solo perché si renderebbe possibile un futuro migliore, ma soprattutto perché si renderebbe vivibile il presente. Le soddisfazioni non andrebbero poste nell'utopico "Futuro Paradiso" ma nel concreto processo creativo del vivere in armonia con gli altri e col mondo.
Tutto ciò in coerenza con l'interrogativo iniziale, finalizzato allo sganciarsi da modelli che tendono ad aderire al sistema e da altri che vorrebbero creare la vita producendo però morte. In tutto ciò la lotta armata non ha alcun senso, non solo per i motivi già detti, ma anche in caso di difesa di "territori liberati" (una comunità che si difende presuppone già l'idea di Esercito Patria e Stato), e soprattutto perché questa logica del salvare il salvabile non si pone contro ma al di fuori, in un altro territorio che non prevede collisioni con questo. E, detto tra parentesi, ci si domanda sa non sia il caso di abbandonare l'immagine di una società divisa in classi, che oltre ad essere vecchia, riflette solamente l'utopia economicistica di uomini prodotti dalle merci, per rivolgersi invece all'immagine di una società di uomini/persone.
Pur nella contraddittorietà e limitatezza del discorso, il senso che ne nasce è la segreta speranza che qualcuno voglia ascoltare...

Nella Montanini, Valeria Vecchi, Ivan Zerlotti (Parma)