Rivista Anarchica Online
Questi verdi un
po' grigi
di Luciano Lanza
Rappresentano la
novità, la "nota di colore" delle prossime elezioni
amministrative. Sono i verdi italiani, nati probabilmente su
imitazione dei loro più famosi cugini d'oltralpe. Le liste verdi si
apprestano a sostenere la verifica del voto. Saranno veramente capaci
di svecchiare la politica italiana, sono un non-partito, cosa e
quanto potranno realmente fare? Gli interrogativi
su questa nuova forza si sprecano. Guardati con curiosità, con
interesse, con ostilità. Armati di un programma tanto variegato
quanto composita è la loro aggregazione e diversificati su problemi
di carattere squisitamente locale, i verdi italiani sembrano
riconoscersi su un solo punto comune: difendere l'ambiente per
migliorare la qualità della vita. Cercare di dare un
quadro esatto delle proposte politiche e dei programmi dei verdi è
un compito effettivamente difficile, perché una delle
caratteristiche principali del "movimento" è la sua
differenziazione da città a città, da regione a regione.
"Non pensiamo
di modificare le istituzioni esistenti, ma di utilizzarle
nell'interesse dell'ambiente e della qualità della vita"
sostiene Fiorello Cortiana della lista verde milanese, mentre Michele
Boato di Venezia considera la lista verde della sua città "un
tentativo di connubio tra democrazia diretta e democrazia
rappresentativa che faccia riscoprire il senso dell'assemblea
popolare". Questi primi due
esempi danno con efficace immediatezza la distanza, non solo
geografica, che divide lista da lista. Ma la diversità di opinioni e
di strategie si possono riscontrare anche tra i membri di una stessa
lista: a Milano, Adriano Ciccioni, verdissimo e radicale, è
contrario alla presentazione di dirigenti politici (in pratica i
radicali) nella lista. Non così pensano i suoi compagni: infatti
proprio pochi giorni fa è stato deciso il contrario e Ciccioni si è
ritrovato in imbarazzante minoranza. Altro grosso
problema la biodegradabilità. In alcune città si stanno
perfezionando accordi per la rotazione dei consiglieri eletti, in
alcuni casi come a Venezia si sta pensando a una revocabilità
dell'incarico in qualsiasi momento da parte degli elettori (sembra
quasi una formulazione anarchica per i delegati), mentre in altre
città si fa professione di biodegradabilità, ma si riconosce la
necessità che gli eletti durino in carica per tutto il periodo del
mandato. Comunque tutti i verdi dichiarano che non vogliono diventare
dei politici di professione: "Vogliamo portare la politica ai
ritmi e ai modi della gente normale e con un impegno non
professionale". Avanzare dei dubbi
sulla buona fede è forse intempestivo, ma va ricordato che quasi
sempre le forze politiche nuove amano, a volte anche con reale
convincimento, presentarsi come la novità che saprà spezzare
l'inesorabile legge sociologica del potere. Ci sono però molti
veterani di lotte ecologiche che formulano critiche pesanti ai loro
colleghi promotori delle liste. Miro Merelli, animatore della rivista
Etnie e da anni attivo difensore dell'ambiente, non ha dubbi:
"Non si può chiedere allo stato, come di fatto fanno quasi
tutte le liste verdi, di garantire la tutela dell'ambiente cioè
chiedere al maggiore inquinatore oggi esistente di fare una cosa
contraria ai suoi interessi, alla sua "vocazione". Secondo
Merelli la riappropriazione del territorio e la sua salvaguardia deve
essere opera della gente in prima persona senza richiedere interventi
diretti dello stato, anzi, sempre secondo Merelli, la situazione
ecologica è migliore proprio in quelle zone, in quelle regioni che
godono di una relativa autonomia rispetto alla "partitocrazia"
romana. Un altro elemento
che complica una definizione dei verdi è individuabile nell'ampiezza
dei programmi. Una parte sostiene che gli obiettivi devono essere
circoscritti e specifici, altri invece che le liste verdi devono
occuparsi non solo di ecologia ma anche di diritti civili, dei
problemi delle minoranze, della politica in generale. Naturalmente
per svecchiarla, per liberarla dalle lottizzazioni e così via. Su quest'ultimo
punto lo scontro è talvolta accesissimo. Franco Corleone, promotore
del Comitato per la città e dirigente radicale di Milano, sostiene,
ad esempio, che la lista verde milanese deve essere un'occasione per
raggruppare un vasto schieramento di forze in grado di essere
vincente nella prossima tornata elettorale e per instaurare un nuovo
equilibrio politico in Milano. Ciccioni è invece nettamente
contrario ai programmi onnicomprensivi. "Vogliamo riportare la
nostra città in condizioni vivibili, abbiamo degli obiettivi precisi
e soprattutto non vogliamo diventare un partito come troppi
pretenderebbero". La logica del potere sembra produrre già da
ora i suoi effetti e non pochi dei simpatizzanti della prima ora
mostrano, con l'approssimarsi delle elezioni, la propria perplessità:
"Speravamo molto nei verdi - confessano con rammarico alcuni
attivisti torinesi - purtroppo dopo il convegno di Firenze ci stiamo
accorgendo che è sempre la solita vecchia politica, è solo cambiato
il colore". Anche Michele
Boato, che di esperienza politica ne ha molta sulle spalle pur senza
essere approdato su tante spiagge come il fratello Marco, riconosce
che il pericolo di trasformarsi in una forza politica di tipo
tradizionale sussiste, che essere veramente biodegradabili è un
fatto non certissimo. "Ma è una scommessa - aggiunge Boato -
che voglio giocare fino in fondo pur conoscendone i rischi". L'arcipelago verde
è veramente ricco di contraddizioni, di ingenuità e di
incontrollabili certezze, di volontà nuove e vecchie, di spirito
antipartitico e desiderio di imitare il Palazzo, di stato nascente e
istituzione. Nel crogiolo del verdismo italiano per il momento
ribollono ancora tutti separati questi elementi; vedremo quali
prevarranno. Inoltre, e su
questo concordano quasi tutti i promotori delle liste, la forma
politica nasce prima di un reale e consistente sviluppo di un
movimento ecologista come è invece accaduto, ad esempio, in altri
paesi europei. L'istituzionalizzazione si è verificata in assenza di
un effettivo soggetto sociale portatore di una progettualità. Fatto
perlomeno anomalo e che non fa sperare per il meglio. "Mi sembrava
di essere ritornato indietro di oltre quindici anni: facce diverse ma
stranamente simili a quelle di allora, sono cambiati gli slogan, i
temi, ma tutto mi sembrava così maledettamente uguale a quello che
si faceva e si diceva allora", ha commentato con un misto di
ironia e di amarezza, dopo un'affollata assemblea in un teatro
milanese, un ex-sessantottino con la barba e la chioma ormai
spruzzate da pennellate di grigio.
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