Rivista Anarchica Online
La gemma spezzata
di K. Velusamhi
"Offensiva
generale dell'esercito dello Sri Lanka nel nord est dell'isola per
salvaguardare la popolazione civile singalese dall'attività
terroristica tamil". Questo il frettoloso e lapidario annuncio
offerto dai mass-media occidentali sulla complicata e tragica
situazione dell'ex Ceylon. L'opinione pubblica mondiale resta, così,
paralizzata dall'equazione tamil contro singalesi e viceversa. Come
se si trattasse di uno scontro comunalistico, la componente emotiva
viene mobilitata a discapito di quella razionale. Modi aggiornati per
eterne bugie, che i mezzi di comunicazione spacciano secondo gli
interessi delle classi politiche dominanti. In realtà i
trecento morti, le migliaia di feriti e arrestati negli ultimi due
mesi del 1984 rappresentano il crudo bilancio di una guerra tra forze
armate governative e movimento indipendentista tamil. Promesse
tradite ed escalation militare vanno di pari passo. Organizzazione
clandestina e terrorismo di stato i poli della violenza quotidiana. Dal
post-indipendenza le rivendicazioni tamil per un'uguaglianza
politico-civile con la maggioranza dominante singalese cercano
risposta e soluzione. Alla manifestazione del giugno '56 presso la
Camera dei rappresentanti - dove si sta varando la legge che accorda
al solo singalese lo status di lingua ufficiale - si contrappone la
repubblica presidenziale del '78. All'azione diretta nonviolenta dei
tamil, attuata nel nord dell'isola il 2 ottobre 1972, in coincidenza
con l'anniversario della nascita di Gandhi, si risponde nel '79 con
l'estensione del potere poliziesco per contrastare il movimento
separatista. Dalla perdita di
credibilità del partito parlamentare tamil, il TULF (Tamil United
Liberation Front), alla costituzione del LTTE (Liberation Tigers of
Tamil Eelam), dichiarato fuori legge fin dal '77. Dal moltiplicarsi
degli attentati dei gruppi armati nella penisola di Jaffna, al pogrom
del luglio '83; al coprifuoco; alla fascia militarizzata lungo tutte
le coste dell'isola; all'esercito di occupazione; alla forzata
installazione di popolazione singalese nelle zone a maggioranza
tamil; alla censura sulla stampa, fino al raffreddamento dei rapporti
con la vicina India, accusata dal governo di Sri Lanka di proteggere
e aiutare i terroristi rifugiatisi nello stato Tamil Nadu dell'Unione
Indiana. Ma è dalle
condizioni sociali, economiche, civili dei lavoratori nelle aree
urbane e dei tamil nelle piantagioni del centro che emerge, seppur
volutamente sottaciuta, la situazione esplosiva, da "sotto il
vulcano", di questa "isola splendente". Orgogliosamente
pubblicizzati dai ministeri nazionali come la manodopera meno cara
dell'Asia (cioè a dire la più sfruttata del mondo) e la più
specializzata (80% di alfabetizzazione), sono proprio gli operai
delle zone franche (circondario di Katunayake) il punto di forza per
favorire l'afflusso di capitali stranieri del programma liberistico.
Tè, caucciù, cocco le risorse principali dell'isola. La loro
esportazione, se non altro, l'unico introito per tentare di tenere
sotto controllo l'indebitamento dello stato con il Fondo Monetario
Internazionale e la Banca Mondiale. Sono questi due organismi
finanziari ad imporre, fra l'altro, drastiche limitazioni alla spesa
interna per le assistenze sociali. Ammassati negli
ex Estate inglesi - sorta di feudi all'interno dello stato moderno -
dove sono costretti a nascere, lavorare e morire, i tamil del
sottoproletariato rurale vivono una quotidianità da schiavi.
Produttori di
ricchezza, restano emarginati perfino dall'antagonismo della scala
sociale, che prospera sulla loro miseria. Privati di qualsiasi
diritto politico e tutela civile, la "sindacalizzazione" è
diretta dagli stessi proprietari e da esponenti governativi in prima
persona. La raccolta del tè è affidata a bambine di 12 e meno anni,
il cui sviluppo fisico è definitivamente compromesso dal pesante
carico che grava sulle loro spalle. Non è per caso se le donne tamil
sono di bassa statura. Non registrati anagraficamente, esistono solo
come numero, senza possibilità di assumere almeno un'identità
giuridica. Sottoposti alle facili strumentalizzazioni nazionalistiche
dei tamil di Jaffna e alle beghe di potere dei partiti progressisti
della borghesia singalese, sono di fatto abbandonati da tutti,
perché, senza diritto di voto, non possono nemmeno far numero nella
competizione elettorale. E soprattutto perché è pur necessario al
dominio di ogni colore che essi continuino ad essere dei "no
land's men". Né srilankiani, né indiani, né tamil, né
singalesi: ma sfruttati da sempre e per sempre. Infine è nelle
leggi sulla cittadinanza che si scopre, in maniera manifesta, il
cinismo proprio del potere. Ad un milione e
duecentomila unità ammonta la popolazione di origine indiana
dell'isola. Centoquarantamila hanno ricevuto la cittadinanza
ceylanese: trentamila hanno ottenuto un passaporto indiano e un
milione di tamil delle piantagioni restano degli apartheid. Il
Parlamento di Colombo ha definito in maniera stretta la nazionalità
ceylanese, per la quale è necessario dimostrare, nell'arco di tre
generazioni (oltre cento anni), la propria origine autoctona. Come
dire: cancellare la realtà storica dell'immigrazione tamil ad opera
dei coloni inglesi, penalizzando - ancora una volta - gli sfruttati
di allora negli eredi di oggi. Sulla base di
questo milione di "senza nome" rientra l'accordo tra il
primo ministro Bandaranaike e il suo collega indiano Shastri del 31
ottobre 1964. Esso prevedeva, in via di principio, l'impegno da parte
dell'India a far rimpatriare cinquecentomila indiani tamil;
trecentomila sarebbero diventati srilankiani e i restanti
duecentomila oggetto di nuove contrattazioni. A tutt'oggi in
vigore, l'accordo viene ostacolato dal governo Jarawardene, resosi
interprete delle lamentele dei proprietari fondiari e dei piantatori
di tè, che reputano la partenza dei lavoratori tamil una rovina per
le loro aziende. Ma l'aspetto più ripugnante di tutto questo affare
è che due governi, che hanno fama di rivaleggiare nella domanda di
dichiarazioni "umanitarie" e che rappresentano rari esempi
di esperienza "democratica" nel continente asiatico,
possano trattare, in maniera giuridica totalmente sprovvista di
generosità, la sorte di un milione di esseri umani. Altrettanto
straordinari potranno sembrare l'interesse e la denuncia di problemi
concernenti la nazionalità da parte di una rivista anarchica.
Prosaicamente si tratta di diritti minimi contro ingiustizie massime.
Non ci troviamo davvero di fronte al superamento delle frontiere in
un mondo di libertà, ma ad una condizione medievale per servi della
gleba alle soglie del duemila.
K.V.
Non
pochi e secondari sono i motivi di interesse conoscitivo verso
la storia e gli avvenimenti contemporanei della repubblica di Sri
Lanka (ex Ceylon). Geologicamente connessa al sub-continente indiano,
la sua strategica posizione di isola-ponte fra i paesi
medio-orientali del golfo Persico ed il sud-est asiatico, la forma
politico-amministrativa di un regime democratico-costituzionale (raro
esempio nella tormentata scacchiera del terzo mondo) e la concretata
presenza in un territorio relativamente piccolo (poco più grande
della Sicilia) di variegati, molteplici ed intricatissimi aspetti
strutturali, contribuiscono a farne un punto dove i meccanismi di
sfruttamento e oppressione del potere assumono connotati
significativi ed "anomali". Le conseguenze
devastanti di quattro secoli e mezzo di dominazione coloniale
classica si perpetuano e si sommano nei programmi della politica
nazionale. Il dato più
evidente, che salta subito agli occhi e di cui è superfluo
sottolineare l'incongruenza e l'ingiustizia, è lo scarto fra le
preziose risorse naturali di cui gode il suo territorio e la
profonda, endemica povertà della popolazione. Il prodotto nazionale
lordo per abitante consiste in 2080 rupie, ossia poco più di 100
dollari. Appena il 28% di tutta la popolazione attiva può contare su
di un'occupazione stabile. Ma queste statistiche sono ben poco
eloquenti circa il grado di sfruttamento a cui sono soggetti i
lavoratori salariati. Infatti il rapporto fra la disoccupazione e
media dei redditi mensili per comunità è inversamente
proporzionale. Tra i burghers, euroasiatici, europei, musulmani e
singalesi delle pianure, il tasso di disoccupazione e reddito è fra
i più alti; viceversa fra gli immigrati tamil, singalesi delle
piantagioni e tamil indigeni, introito mensile e percentuale di
disoccupazione segnano i livelli più bassi. Ciò significa, dunque,
che chi non lavora (nel senso di chi non presta la propria attività
in un lavoro dipendente) è meno povero o "più ricco" di
chi è costretto a vendere la propria mano d'opera. (1) A burghers,
singalesi, musulmani sono aperte le strade dei traffici commerciali e
dello sfruttamento del lavoro altrui ed ai lavoratori dipendenti è
offerta l'alternativa tra il morire di fame o il lavoro sottopagato. In una superficie
di 66mila Km. quadrati, abita una popolazione di circa 14 milioni di
persone, con una densità fra le più alte dell'Asia: 200 abitanti
per Km. quadrato. A quattro etnie, a tre lingue e cinque religioni
fondamentali si aggiunge una variegata gamma di espressioni etniche e
religiose minori. I singalesi, che
parlano singalese e professano il buddismo, sono dislocati nelle zone
sud-ovest e nella regione di Kandy; di lingua tamil - idioma facente
parte del ceppo dravidico - e di religione induista, i tamil,
suddivisi a loro volta in indigeni ed immigrati di origine indiana,
occupano il nord-est ed il centro del paese; i maures, di religione
musulmana, e bilingui, ben inseritosi nel tessuto sociale dell'isola,
assumendo caratteristiche particolari che esulano ben poco da quelle
del mondo islamico tradizionale, sono spartiti un po' ovunque; ed
infine burghers ed europei, anglofoni e cristiani-cattolici, vivono
generalmente nelle grandi città come Colombo. La storia
dell'isola conduce al primitivo alternarsi di dinastie singalesi e
tamil, entrambi tribù provenienti dall'India, che si assimilarono
agli aborigeni vedda, l'unica etnia autoctona. Poche centinaia di
vedda sopravvivono oggi nella foresta orientale di Bintenna, tra i
distretti di Batticaloa e di Kandy. La risicoltura per
irrigazione e la religione buddista furono i veicoli per mezzo dei
quali si formò il potere centralizzato delle varie dinastie. La
prima grande rottura di questa coalizione interna, che aveva il suo
centro nella città di Anarudapura, si manifestò verso la fine del
dodicesimo secolo, in concomitanza di due fenomeni: la degradazione
del sistema idraulico e la recrudescenza delle incursioni tamil
dall'India meridionale. La popolazione tese a ritirarsi verso il sud,
cosicché il nord e l'est, con il reame indipendente di Jaffna,
divennero regioni prevalentemente tamil. In questo periodo
di congiuntura etnico-politica fanno la loro prima comparsa gli
europei: nella fattispecie dei portoghesi, assetati di anime e di
cannella, la più pregiata del mondo. Il loro furore iconoclasta e
cattolico aprì la strada alla dominazione olandese, di gran lunga
più specialistica e sistematica, che si avvaleva di metodi
commerciali più avanzati e cioè di maggiore portata sfruttatrice.
La loro conquista si servì dell'alleanza tattica con la stessa
dinastia del reame di Kandy, impegnata in una guerra di resistenza
contro i portoghesi. Il comportamento già capitalista degli olandesi
annuncia il sistema britannico, non soltanto nell'ambito economico,
ma anche in quello politico-repressivo. Il "divide et impera"
seppe approfittare e addirittura fomentare le ostilità tra
l'aristocrazia singalese e la dinastia tamil, per prendere, senza
colpo ferire, la città di Kandy nel 1815. Vedremo in seguito che
questo tatticismo è giocato anche oggi dalle potenze straniere e
dallo stesso governo, a proposito dei moti del 1983. La dominazione
inglese differisce da quelle che l'hanno preceduta per l'ampiezza dei
mezzi tecnici di cui dispose e per la profondità del suo impatto
sull'economia e la società singalese. Questa sovversione coloniale
rappresenta la seconda rottura nella storia dell'isola. La
moltiplicazione delle vie di penetrazione aprì tutti i paesi interni
alle influenze esterne. Nei villaggi l'economia monetaria cancellò
quella di scambio. All'economia tradizionale paesana fu imposta
un'economia di piantagioni capitalista. Centinaia di migliaia di
lavoratori tamil vennero importati dall'India per servire da mano
d'opera sottopagata nei grandi possedimenti. Infine
un'amministrazione di tipo europeo fu sovraimposta sul regime feudale
delle città kandiane, tanto che si costituì un sistema scolastico
all'inglese. Attraverso la
politica del bastone e della carota il dominio inglese concesse
l'autonomia interna nel 1931. Non prima, cioè, di aver saldamente
imposto gli interessi e garantito i profitti capitalistici; di aver
così privato il paese di ogni e qualsiasi reale condizione di
autosufficienza economico-sociale e non senza aver represso, alla
maniera forte, i moti insurrezionali del 1818, 1848, 1915. Dopo il 1948, il
paese abbandona il titolo di "stato di dominio", per
mettere in atto una sequela di governi più o meno influenzati dalla
politica internazionale. Il sistema di potere regge ancora sulla
forza ed il prestigio clientelare di alcune grandi e potenti famiglie
locali: i Senanayake, stretti collaboratori degli inglesi che ressero
la cosa pubblica fino al '52 e da cui nacque l'United National Party;
i Bandaranaike dello Sri Lanka Freedom Party che, con un
machiavellismo alla lunga fallimentare, riuscirono a formare una
coalizione tra le più eterogenee (si avvalsero perfino delle
formazioni trotzkiste e filo-sovietiche del Lanka Sama Samaja Party e
del Communist Party); ed infine Jayawardene, attuale presidente
della repubblica, che, da democratico-parlamentare, è divenuta, con
la svolta repressiva degli anni 70, repubblica presidenziale.
Jayawardene, leader indiscusso (almeno fino alla crisi dell'estate
'83) dell'UNP è fautore di una politica economica liberalizzatrice a
modello singaporegno. È , a prima vista, contraddittorio il fatto
che governi progressisti in materia di politica interna, come il
SLFP, abbiano attuato una politica economica conservatrice e che, di
rimando, un governo restauratore, come l'attuale, si prefigga
l'apertura agli investimenti stranieri e al libero mercato. In effetti si
tratta di un fenomeno "logico" dal punto di vista della
trasformazione multinazionale del capitalismo, le cui esigenze
espansionistiche richiedono situazioni nazionali in grado di avere il
controllo assoluto e la garanzia di governabilità a lungo termine.
La liberalizzazione dell'economia ha da un lato ingrandito il volume
d'affari, ma, dall'altro, ha generato un restringimento dei margini
beneficiari. Secondo un processo classico, è stato raggiunto un
tasso di crescita elevato, ma al prezzo di un indebitamento estero e
di un'inflazione galoppante. Inoltre le importazioni di beni di
consumo hanno creato più bisogni che mezzi per soddisfarli. È in
questa fase che sorge la necessità istituzionale della cosiddetta
democrazia armata, strumento necessario e fenomeno complementare al
neocolonialismo americano. Non è tanto
difficile smascherare il "gioco", quanto piuttosto
ricomporre forze e tradurle operativamente in un contesto locale come
quello di Sri Lanka, dove sembra quasi impossibile, data l'estrema
vivacità del suo tessuto sociale, trovare un comune denominatore.
Eppure proprio questa caratteristica intrinseca rende necessario ed
interessante uno sforzo di analisi e pratica che mantenga intatta
l'originalità di base improntata ad una ricettività sociale - e,
contemporaneamente, cancelli le divisioni in seno agli stessi
sfruttati. La formula magica
appartiene agli apprendisti stregoni, ossia a tutti quelli che,
confidando nel potere, ambiscono a conquistarlo e con ciò svendono
causa ed ideale. La dominazione e lo sfruttamento continuano. L'insurrezione del
1971 rappresenta la terza rottura della storia di Sri Lanka. Mai da
150 anni il potere costituito ebbe da affrontare una rivolta armata
di simile gravità. E nessuno avrebbe immaginato che un pugno di
studenti radicali sarebbe stato capace di attirare la massa di
studenti in un'azione violenta di tale vigore e che la polizia e
l'esercito avrebbero potuto dar sfogo ad una repressione così
impietosa e cruenta. Solitamente è questo il commento che si fa a
quel moto complesso che fu il "maggio francese" di Sri
Lanka. La coalizione del
governo Bandaranaike aveva beneficiato dell'appoggio degli studenti
durante la campagna elettorale e pertanto doveva permettere ai suoi
inquieti supporter di organizzare meeting, durante i quali si
denunciava l'inazione di un governo incapace di mantenere le
promesse. Per la gioventù istruita, ma con la sola prospettiva della
disoccupazione, gli ambienti universitari di Colombo rappresentavano
il terreno più propizio per una propaganda rivoluzionaria.
L'organizzazione clandestina Janata Vimukti Peramuna (Fronte di
Liberazione del Popolo) si inserì nel movimento con una prassi
politico-militare di tipo maoista. Nella notte fra il 5 e il 6 aprile
un centinaio di posti di polizia furono attaccati simultaneamente,
distrutti ed evacuati. In vaste zone rurali nel circondario di
Anuradapura, Kegalle e al nord di Galle, il J.V.P. si stabilì per
qualche settimana. Il governo spodestato riunì le sue forze nelle
città e, con l'aiuto militare della maggior parte delle potenze
dell'est e dell'ovest, ristabilì le sue posizioni. Gli eccessi
repressivi furono di una virulenza senza precedenti. Un vero e
proprio razzismo antigiovane si impossessa del paese. La polizia e
l'esercito uccidono e torturano. Un bilancio del numero delle vittime
non è stato mai redatto. Si suppone superiore a 5000 giovani uccisi.
Più di 20.000 sospetti furono imprigionati. (2) Precipitata nelle
provocazioni, private dell'appoggio della popolazione urbana, delle
minoranze tamil e della classe operaia, questa "rivoluzione" si
rivelò velleitaria e calata dall'alto. Ha un solo, indiscutibile
merito: quello di aver attuato un precedente di rivolta autonoma. Il
repentino aiuto degli stati occidentali ed orientali al governo
minacciato ne è una conferma. L'internazionale dello stato è senza
frontiere... Dopo le elezioni presidenziali dell''82, un ulteriore
tentativo di ridurre i margini di democrazia interna con un
referendum atto a prolungare il mandato dei deputati, dà il segno di
un malessere generale e delle relative preoccupazioni sulla
governabilità del paese. Incidenti sintomatici nelle zone a
maggioranza tamil e la recrudescenza del ciclo
provocazione-repressione si innestano proprio nell'ambito insoluto
delle rivendicazioni separatiste della minoranza tamil, attivo
soprattutto nella regione di Jaffna. Gli attacchi a soldati e a
poliziotti da parte dei gruppi terroristici tamil; gli attacchi
deliberati a negozi tamil della città di Trincomale da parte di
squadre singalesi e membri delle forze armate; l'incendio in una
stazione nei pressi di Jaffna del treno di collegamento con la
capitale danno un segno della urgenza e della complessità dei
problemi. Jayawardene decide di convocare una conferenza che
riunisca, accanto al suo partito, i rappresentanti di tutti i partiti
di opposizione. Inizialmente disertata dai partiti più interessati
alla questione per motivi inerenti alla trattazione del terrorismo
tamil, da affrontare, secondo loro, nella globalità della questione
dei diritti delle minoranze, viene tuttavia fissato un incontro in
questi termini per la settimana stessa. Ma proprio a questo punto
scoppiano i gravissimi incidenti. Nella notte fra il
23 e il 24 luglio i terroristi tamil uccidono in un'imboscata tredici
soldati, tutti singalesi. Dopo le esequie al cimitero centrale di
Colombo, durante la notte una folla sovreccitata si ammassa
all'intorno, scavalca la polizia e dei gruppi si lanciano all'assalto
dei negozi tamil del quartiere. L'indomani i quartieri commercianti
della capitale prendono fuoco uno dopo l'altro; poi gli incendi e i
saccheggi si estendono ai quartieri di abitazioni a sud di Colombo. I
giorni seguenti, nonostante il tardivo coprifuoco che le forze armate
"non sanno" far rispettare efficacemente, le violenze
continuano in tutte le città di provincia dove risiedono
commercianti tamil e così pure in numerose località popolate da
tamil immigratati nelle piantagioni. Il clima di terrore
prosegue nei giorni successivi. Le operazioni sono metodicamente
organizzate, dirette da un abile capo all'europea con tanto di
istruzioni scritte circa i negozi e le zone da colpire. Non senza
fondamento sono quelle ipotesi che ritengono opera di governo e,
senza dubbio, una strumentalizzazione la genesi e lo sviluppo dei
moti. La spiegazione
ufficiale fa ricadere tutta la responsabilità degli avvenimenti su
di un complotto di sinistra: il J.V.P., responsabile dei fatti del
'71, il Nava Sama Samaja Party - una piccola organizzazione sorta da
una scissione dei partito trotzkista (il Lanka Sama Samaja Party) - e
il Communist Party. Ma ragioni ben più oggettive non fanno scartare
il convincimento che una crisi in seno al potere stia a monte di
queste violenze, troppo frettolosamente qualificate "razziali"
e spacciate come conseguenza diretta del separatismo tamil. Ora,
proprio una fedele conoscenza della supposta questione razziale e del
sentimento separatista, differentemente condiviso da una comunità
con interessi diversi, accreditano l'immagine del governo e dei suoi
apparati statali - esercito in prima fila - che soffia sul fuoco. Durante le tragiche
giornate di luglio sono frequenti gli episodi in cui cittadini
singalesi prestano soccorso e riparo ai tamil minacciati e in cui
tamil delle zone miste cercano aiuto dai loro vicini singalesi. La
guerra psicologica dei mass-media che propaganda un odio ancestrale
tra tamil induisti e singalesi buddisti non regge di fronte
all'osservazione diretta dei rapporti quotidiani fra le due
comunità-etnie. Ed anche la ricostruzione storica dello sciovinismo
singalese, che ha attinto dalla dominazione inglese l'idea di razza,
sottolinea la stessa spudorata malafede dell'informazione dominante.
Furono gli inglesi ad importare mano d'opera tamil nelle piantagioni;
sono stati loro i gendarmi dell'espansione capitalistica,
responsabile dello sradicamento tamil dall'India del sud e dei suoi
contraccolpi sul piano sociale. Il mito della razza ha di fatto
sempre nascosto la realtà dell'odio di classe. Nel passato i
contatti fra tamil e singalesi furono di reciproca assimilazione. Nondimeno il
separatismo tamil è un fenomeno ben più diversificato da come lo si
fa intendere e anche questo è legato e fomentato dalla natura e dai
valori propri ad ogni stato. I fautori di un
separatismo intransigente sono i tamil di Jaffna ed è qui che tali
richieste incontrano risonanza. Il sistema di casta è un supporto
fondamentale alle loro aspirazioni. La casta Vellavar, che forma
circa la metà della popolazione, ma che domina da molto in alto
tutta la vita della regione, si considera la guardiana
dell'ortodossia tamil, esente dai contatti che hanno trasformato la
società tamil dell'India del sud, da dove ha emigrato. L'ideologia
della povertà e della gerarchia, che è alla radice del sistema di
casta, ha penetrato tutti i comportamenti di un gruppo sociale che
presenta uno degli esempi, il più complesso, di quella che si è
chiamata "sanscritizzazione" (l'adozione da parte di una
casta, situata al di sotto, dei valori braminici) e che domina
dall'alto il 25/30% di intoccabili al suo servizio. Ora nel contesto
indiano tradizionale, la nozione di stato è inseparabile dalla
presenza di una casta dominante che occupa un territorio determinato. Proprio il diverso
sistema di casta dei tamil della zona orientale rende questa
popolazione indifferente alla richiesta separatista. La casta, per
loro, rappresenta la funzione lavorativa e non tanto la collocazione
gerarchica. Inoltre i tamil dell'est non costituiscono la maggioranza
assoluta. Comunità musulmane e singalesi sono fortemente presenti
nella zona. I tamil viventi in
regioni a maggioranza singalese sono, senz'altro, ancor meno
sensibili alle richieste oltranzistiche, sentendosi i più esposti
alle rappresaglie. E ancora una consistente proporzione di questi
tamil del sud-ovest sono commercianti, piccoli industriali, impiegati
del settore privato e membri delle professioni liberali. Un discorso a parte
meritano i tamil stabilitisi con l'emigrazione del secolo scorso,
nelle regioni delle piantagioni. Il peso relativo nella popolazione
dell'isola di questo gruppo non ha cessato di diminuire dopo gli anni
'60, in ragione della politica di rimpatrio in India e delle violenze
di cui questo gruppo è stato la vittima, notoriamente nel '71 (anno
del più bieco conservatorismo). Ma, a dispetto di certe iniziative,
non ha mai identificato il proprio interesse con quello dei tamil di
Jaffna. In ragione della sua posizione geografica sulle alte terre
dell'isola, dove forma un isolotto allogeno, la rivendicazione
separatista non ha proprio senso. In aggiunta i tamil
delle piantagioni non hanno mai cercato l'alleanza con i partiti di
governo, dimostrando una latente coscienza delle cause sociali,
politiche, religiose della miseria, della oppressione e della
ingiustizia di una umiliante condizione. Così recitano i
versi di un antico canto di lavoro; un canto che sembra raccogliere
l'eco di tutti gli sfruttati:
"Ho perduto mio fratello Morto di fatica Riposa laggiù Sotto i cespugli del te
Ho scavato il numero di buchi Che mi era assegnato Quando mi sono raddrizzato La schiena a pezzi Il Kangani (3) ozioso mi ha spronato Vai, scava ancora, scava dunque!"
K. Velusamhi
1) Vedi scheda
annessa alle statistiche. 2) Il più sordido
episodio della repressione fu la tortura sadica e l'assassinio a
Kataragama di Premawathie Manamperi, un'istitutrice di 22 anni,
scelta come regina di bellezza durante un precedente festival di
Kataragama. L'autore di questo crimine era un ufficiale dell'esercito
regolare. 3) Kanagani = capo
squadra con funzioni di aguzzino.
NVDAG Report è il
titolo dell'unica pubblicazione non-governativa edita a Sri Lanka di
cui noi abbiamo conoscenza. È l'organo (in inglese) del Nonviolent
Direct Action Group, il cui indirizzo è: Vale Cinema Road,
Chavakachcheri, Sri Lanka, Asia. Il NVDAG è affiliato con varie
organizzazioni nonviolente e pacifiste internazionali, fra cui il
MIR. Il bollettino NVDAG Report esce ogni tre mesi. L'abbonamento
annuo costa 3 dollari USA.
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