Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 126
marzo 1985


Rivista Anarchica Online

La gemma spezzata
di K. Velusamhi

"Offensiva generale dell'esercito dello Sri Lanka nel nord est dell'isola per salvaguardare la popolazione civile singalese dall'attività terroristica tamil". Questo il frettoloso e lapidario annuncio offerto dai mass-media occidentali sulla complicata e tragica situazione dell'ex Ceylon. L'opinione pubblica mondiale resta, così, paralizzata dall'equazione tamil contro singalesi e viceversa. Come se si trattasse di uno scontro comunalistico, la componente emotiva viene mobilitata a discapito di quella razionale. Modi aggiornati per eterne bugie, che i mezzi di comunicazione spacciano secondo gli interessi delle classi politiche dominanti.
In realtà i trecento morti, le migliaia di feriti e arrestati negli ultimi due mesi del 1984 rappresentano il crudo bilancio di una guerra tra forze armate governative e movimento indipendentista tamil. Promesse tradite ed escalation militare vanno di pari passo. Organizzazione clandestina e terrorismo di stato i poli della violenza quotidiana.
Dal post-indipendenza le rivendicazioni tamil per un'uguaglianza politico-civile con la maggioranza dominante singalese cercano risposta e soluzione. Alla manifestazione del giugno '56 presso la Camera dei rappresentanti - dove si sta varando la legge che accorda al solo singalese lo status di lingua ufficiale - si contrappone la repubblica presidenziale del '78. All'azione diretta nonviolenta dei tamil, attuata nel nord dell'isola il 2 ottobre 1972, in coincidenza con l'anniversario della nascita di Gandhi, si risponde nel '79 con l'estensione del potere poliziesco per contrastare il movimento separatista.
Dalla perdita di credibilità del partito parlamentare tamil, il TULF (Tamil United Liberation Front), alla costituzione del LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam), dichiarato fuori legge fin dal '77. Dal moltiplicarsi degli attentati dei gruppi armati nella penisola di Jaffna, al pogrom del luglio '83; al coprifuoco; alla fascia militarizzata lungo tutte le coste dell'isola; all'esercito di occupazione; alla forzata installazione di popolazione singalese nelle zone a maggioranza tamil; alla censura sulla stampa, fino al raffreddamento dei rapporti con la vicina India, accusata dal governo di Sri Lanka di proteggere e aiutare i terroristi rifugiatisi nello stato Tamil Nadu dell'Unione Indiana.
Ma è dalle condizioni sociali, economiche, civili dei lavoratori nelle aree urbane e dei tamil nelle piantagioni del centro che emerge, seppur volutamente sottaciuta, la situazione esplosiva, da "sotto il vulcano", di questa "isola splendente".
Orgogliosamente pubblicizzati dai ministeri nazionali come la manodopera meno cara dell'Asia (cioè a dire la più sfruttata del mondo) e la più specializzata (80% di alfabetizzazione), sono proprio gli operai delle zone franche (circondario di Katunayake) il punto di forza per favorire l'afflusso di capitali stranieri del programma liberistico. Tè, caucciù, cocco le risorse principali dell'isola. La loro esportazione, se non altro, l'unico introito per tentare di tenere sotto controllo l'indebitamento dello stato con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Sono questi due organismi finanziari ad imporre, fra l'altro, drastiche limitazioni alla spesa interna per le assistenze sociali.
Ammassati negli ex Estate inglesi - sorta di feudi all'interno dello stato moderno - dove sono costretti a nascere, lavorare e morire, i tamil del sottoproletariato rurale vivono una quotidianità da schiavi. Produttori di ricchezza, restano emarginati perfino dall'antagonismo della scala sociale, che prospera sulla loro miseria. Privati di qualsiasi diritto politico e tutela civile, la "sindacalizzazione" è diretta dagli stessi proprietari e da esponenti governativi in prima persona. La raccolta del tè è affidata a bambine di 12 e meno anni, il cui sviluppo fisico è definitivamente compromesso dal pesante carico che grava sulle loro spalle. Non è per caso se le donne tamil sono di bassa statura. Non registrati anagraficamente, esistono solo come numero, senza possibilità di assumere almeno un'identità giuridica. Sottoposti alle facili strumentalizzazioni nazionalistiche dei tamil di Jaffna e alle beghe di potere dei partiti progressisti della borghesia singalese, sono di fatto abbandonati da tutti, perché, senza diritto di voto, non possono nemmeno far numero nella competizione elettorale. E soprattutto perché è pur necessario al dominio di ogni colore che essi continuino ad essere dei "no land's men". Né srilankiani, né indiani, né tamil, né singalesi: ma sfruttati da sempre e per sempre.
Infine è nelle leggi sulla cittadinanza che si scopre, in maniera manifesta, il cinismo proprio del potere.
Ad un milione e duecentomila unità ammonta la popolazione di origine indiana dell'isola. Centoquarantamila hanno ricevuto la cittadinanza ceylanese: trentamila hanno ottenuto un passaporto indiano e un milione di tamil delle piantagioni restano degli apartheid. Il Parlamento di Colombo ha definito in maniera stretta la nazionalità ceylanese, per la quale è necessario dimostrare, nell'arco di tre generazioni (oltre cento anni), la propria origine autoctona. Come dire: cancellare la realtà storica dell'immigrazione tamil ad opera dei coloni inglesi, penalizzando - ancora una volta - gli sfruttati di allora negli eredi di oggi.
Sulla base di questo milione di "senza nome" rientra l'accordo tra il primo ministro Bandaranaike e il suo collega indiano Shastri del 31 ottobre 1964. Esso prevedeva, in via di principio, l'impegno da parte dell'India a far rimpatriare cinquecentomila indiani tamil; trecentomila sarebbero diventati srilankiani e i restanti duecentomila oggetto di nuove contrattazioni.
A tutt'oggi in vigore, l'accordo viene ostacolato dal governo Jarawardene, resosi interprete delle lamentele dei proprietari fondiari e dei piantatori di tè, che reputano la partenza dei lavoratori tamil una rovina per le loro aziende. Ma l'aspetto più ripugnante di tutto questo affare è che due governi, che hanno fama di rivaleggiare nella domanda di dichiarazioni "umanitarie" e che rappresentano rari esempi di esperienza "democratica" nel continente asiatico, possano trattare, in maniera giuridica totalmente sprovvista di generosità, la sorte di un milione di esseri umani.
Altrettanto straordinari potranno sembrare l'interesse e la denuncia di problemi concernenti la nazionalità da parte di una rivista anarchica. Prosaicamente si tratta di diritti minimi contro ingiustizie massime. Non ci troviamo davvero di fronte al superamento delle frontiere in un mondo di libertà, ma ad una condizione medievale per servi della gleba alle soglie del duemila.

K.V.


Non pochi e secondari sono i motivi di interesse conoscitivo verso la storia e gli avvenimenti contemporanei della repubblica di Sri Lanka (ex Ceylon). Geologicamente connessa al sub-continente indiano, la sua strategica posizione di isola-ponte fra i paesi medio-orientali del golfo Persico ed il sud-est asiatico, la forma politico-amministrativa di un regime democratico-costituzionale (raro esempio nella tormentata scacchiera del terzo mondo) e la concretata presenza in un territorio relativamente piccolo (poco più grande della Sicilia) di variegati, molteplici ed intricatissimi aspetti strutturali, contribuiscono a farne un punto dove i meccanismi di sfruttamento e oppressione del potere assumono connotati significativi ed "anomali".
Le conseguenze devastanti di quattro secoli e mezzo di dominazione coloniale classica si perpetuano e si sommano nei programmi della politica nazionale.
Il dato più evidente, che salta subito agli occhi e di cui è superfluo sottolineare l'incongruenza e l'ingiustizia, è lo scarto fra le preziose risorse naturali di cui gode il suo territorio e la profonda, endemica povertà della popolazione. Il prodotto nazionale lordo per abitante consiste in 2080 rupie, ossia poco più di 100 dollari. Appena il 28% di tutta la popolazione attiva può contare su di un'occupazione stabile. Ma queste statistiche sono ben poco eloquenti circa il grado di sfruttamento a cui sono soggetti i lavoratori salariati. Infatti il rapporto fra la disoccupazione e media dei redditi mensili per comunità è inversamente proporzionale. Tra i burghers, euroasiatici, europei, musulmani e singalesi delle pianure, il tasso di disoccupazione e reddito è fra i più alti; viceversa fra gli immigrati tamil, singalesi delle piantagioni e tamil indigeni, introito mensile e percentuale di disoccupazione segnano i livelli più bassi. Ciò significa, dunque, che chi non lavora (nel senso di chi non presta la propria attività in un lavoro dipendente) è meno povero o "più ricco" di chi è costretto a vendere la propria mano d'opera. (1) A burghers, singalesi, musulmani sono aperte le strade dei traffici commerciali e dello sfruttamento del lavoro altrui ed ai lavoratori dipendenti è offerta l'alternativa tra il morire di fame o il lavoro sottopagato.
In una superficie di 66mila Km. quadrati, abita una popolazione di circa 14 milioni di persone, con una densità fra le più alte dell'Asia: 200 abitanti per Km. quadrato. A quattro etnie, a tre lingue e cinque religioni fondamentali si aggiunge una variegata gamma di espressioni etniche e religiose minori.
I singalesi, che parlano singalese e professano il buddismo, sono dislocati nelle zone sud-ovest e nella regione di Kandy; di lingua tamil - idioma facente parte del ceppo dravidico - e di religione induista, i tamil, suddivisi a loro volta in indigeni ed immigrati di origine indiana, occupano il nord-est ed il centro del paese; i maures, di religione musulmana, e bilingui, ben inseritosi nel tessuto sociale dell'isola, assumendo caratteristiche particolari che esulano ben poco da quelle del mondo islamico tradizionale, sono spartiti un po' ovunque; ed infine burghers ed europei, anglofoni e cristiani-cattolici, vivono generalmente nelle grandi città come Colombo.
La storia dell'isola conduce al primitivo alternarsi di dinastie singalesi e tamil, entrambi tribù provenienti dall'India, che si assimilarono agli aborigeni vedda, l'unica etnia autoctona. Poche centinaia di vedda sopravvivono oggi nella foresta orientale di Bintenna, tra i distretti di Batticaloa e di Kandy.
La risicoltura per irrigazione e la religione buddista furono i veicoli per mezzo dei quali si formò il potere centralizzato delle varie dinastie. La prima grande rottura di questa coalizione interna, che aveva il suo centro nella città di Anarudapura, si manifestò verso la fine del dodicesimo secolo, in concomitanza di due fenomeni: la degradazione del sistema idraulico e la recrudescenza delle incursioni tamil dall'India meridionale. La popolazione tese a ritirarsi verso il sud, cosicché il nord e l'est, con il reame indipendente di Jaffna, divennero regioni prevalentemente tamil.
In questo periodo di congiuntura etnico-politica fanno la loro prima comparsa gli europei: nella fattispecie dei portoghesi, assetati di anime e di cannella, la più pregiata del mondo. Il loro furore iconoclasta e cattolico aprì la strada alla dominazione olandese, di gran lunga più specialistica e sistematica, che si avvaleva di metodi commerciali più avanzati e cioè di maggiore portata sfruttatrice. La loro conquista si servì dell'alleanza tattica con la stessa dinastia del reame di Kandy, impegnata in una guerra di resistenza contro i portoghesi. Il comportamento già capitalista degli olandesi annuncia il sistema britannico, non soltanto nell'ambito economico, ma anche in quello politico-repressivo. Il "divide et impera" seppe approfittare e addirittura fomentare le ostilità tra l'aristocrazia singalese e la dinastia tamil, per prendere, senza colpo ferire, la città di Kandy nel 1815. Vedremo in seguito che questo tatticismo è giocato anche oggi dalle potenze straniere e dallo stesso governo, a proposito dei moti del 1983.
La dominazione inglese differisce da quelle che l'hanno preceduta per l'ampiezza dei mezzi tecnici di cui dispose e per la profondità del suo impatto sull'economia e la società singalese. Questa sovversione coloniale rappresenta la seconda rottura nella storia dell'isola. La moltiplicazione delle vie di penetrazione aprì tutti i paesi interni alle influenze esterne. Nei villaggi l'economia monetaria cancellò quella di scambio. All'economia tradizionale paesana fu imposta un'economia di piantagioni capitalista. Centinaia di migliaia di lavoratori tamil vennero importati dall'India per servire da mano d'opera sottopagata nei grandi possedimenti. Infine un'amministrazione di tipo europeo fu sovraimposta sul regime feudale delle città kandiane, tanto che si costituì un sistema scolastico all'inglese.
Attraverso la politica del bastone e della carota il dominio inglese concesse l'autonomia interna nel 1931. Non prima, cioè, di aver saldamente imposto gli interessi e garantito i profitti capitalistici; di aver così privato il paese di ogni e qualsiasi reale condizione di autosufficienza economico-sociale e non senza aver represso, alla maniera forte, i moti insurrezionali del 1818, 1848, 1915.
Dopo il 1948, il paese abbandona il titolo di "stato di dominio", per mettere in atto una sequela di governi più o meno influenzati dalla politica internazionale. Il sistema di potere regge ancora sulla forza ed il prestigio clientelare di alcune grandi e potenti famiglie locali: i Senanayake, stretti collaboratori degli inglesi che ressero la cosa pubblica fino al '52 e da cui nacque l'United National Party; i Bandaranaike dello Sri Lanka Freedom Party che, con un machiavellismo alla lunga fallimentare, riuscirono a formare una coalizione tra le più eterogenee (si avvalsero perfino delle formazioni trotzkiste e filo-sovietiche del Lanka Sama Samaja Party e del Communist Party); ed infine Jayawardene, attuale presidente della repubblica, che, da democratico-parlamentare, è divenuta, con la svolta repressiva degli anni 70, repubblica presidenziale. Jayawardene, leader indiscusso (almeno fino alla crisi dell'estate '83) dell'UNP è fautore di una politica economica liberalizzatrice a modello singaporegno. È , a prima vista, contraddittorio il fatto che governi progressisti in materia di politica interna, come il SLFP, abbiano attuato una politica economica conservatrice e che, di rimando, un governo restauratore, come l'attuale, si prefigga l'apertura agli investimenti stranieri e al libero mercato.
In effetti si tratta di un fenomeno "logico" dal punto di vista della trasformazione multinazionale del capitalismo, le cui esigenze espansionistiche richiedono situazioni nazionali in grado di avere il controllo assoluto e la garanzia di governabilità a lungo termine. La liberalizzazione dell'economia ha da un lato ingrandito il volume d'affari, ma, dall'altro, ha generato un restringimento dei margini beneficiari. Secondo un processo classico, è stato raggiunto un tasso di crescita elevato, ma al prezzo di un indebitamento estero e di un'inflazione galoppante. Inoltre le importazioni di beni di consumo hanno creato più bisogni che mezzi per soddisfarli. È in questa fase che sorge la necessità istituzionale della cosiddetta democrazia armata, strumento necessario e fenomeno complementare al neocolonialismo americano.
Non è tanto difficile smascherare il "gioco", quanto piuttosto ricomporre forze e tradurle operativamente in un contesto locale come quello di Sri Lanka, dove sembra quasi impossibile, data l'estrema vivacità del suo tessuto sociale, trovare un comune denominatore. Eppure proprio questa caratteristica intrinseca rende necessario ed interessante uno sforzo di analisi e pratica che mantenga intatta l'originalità di base improntata ad una ricettività sociale - e, contemporaneamente, cancelli le divisioni in seno agli stessi sfruttati.
La formula magica appartiene agli apprendisti stregoni, ossia a tutti quelli che, confidando nel potere, ambiscono a conquistarlo e con ciò svendono causa ed ideale. La dominazione e lo sfruttamento continuano.
L'insurrezione del 1971 rappresenta la terza rottura della storia di Sri Lanka. Mai da 150 anni il potere costituito ebbe da affrontare una rivolta armata di simile gravità. E nessuno avrebbe immaginato che un pugno di studenti radicali sarebbe stato capace di attirare la massa di studenti in un'azione violenta di tale vigore e che la polizia e l'esercito avrebbero potuto dar sfogo ad una repressione così impietosa e cruenta. Solitamente è questo il commento che si fa a quel moto complesso che fu il "maggio francese" di Sri Lanka.
La coalizione del governo Bandaranaike aveva beneficiato dell'appoggio degli studenti durante la campagna elettorale e pertanto doveva permettere ai suoi inquieti supporter di organizzare meeting, durante i quali si denunciava l'inazione di un governo incapace di mantenere le promesse. Per la gioventù istruita, ma con la sola prospettiva della disoccupazione, gli ambienti universitari di Colombo rappresentavano il terreno più propizio per una propaganda rivoluzionaria. L'organizzazione clandestina Janata Vimukti Peramuna (Fronte di Liberazione del Popolo) si inserì nel movimento con una prassi politico-militare di tipo maoista. Nella notte fra il 5 e il 6 aprile un centinaio di posti di polizia furono attaccati simultaneamente, distrutti ed evacuati. In vaste zone rurali nel circondario di Anuradapura, Kegalle e al nord di Galle, il J.V.P. si stabilì per qualche settimana. Il governo spodestato riunì le sue forze nelle città e, con l'aiuto militare della maggior parte delle potenze dell'est e dell'ovest, ristabilì le sue posizioni. Gli eccessi repressivi furono di una virulenza senza precedenti. Un vero e proprio razzismo antigiovane si impossessa del paese. La polizia e l'esercito uccidono e torturano. Un bilancio del numero delle vittime non è stato mai redatto. Si suppone superiore a 5000 giovani uccisi. Più di 20.000 sospetti furono imprigionati. (2)
Precipitata nelle provocazioni, private dell'appoggio della popolazione urbana, delle minoranze tamil e della classe operaia, questa "rivoluzione" si rivelò velleitaria e calata dall'alto. Ha un solo, indiscutibile merito: quello di aver attuato un precedente di rivolta autonoma. Il repentino aiuto degli stati occidentali ed orientali al governo minacciato ne è una conferma. L'internazionale dello stato è senza frontiere... Dopo le elezioni presidenziali dell''82, un ulteriore tentativo di ridurre i margini di democrazia interna con un referendum atto a prolungare il mandato dei deputati, dà il segno di un malessere generale e delle relative preoccupazioni sulla governabilità del paese. Incidenti sintomatici nelle zone a maggioranza tamil e la recrudescenza del ciclo provocazione-repressione si innestano proprio nell'ambito insoluto delle rivendicazioni separatiste della minoranza tamil, attivo soprattutto nella regione di Jaffna. Gli attacchi a soldati e a poliziotti da parte dei gruppi terroristici tamil; gli attacchi deliberati a negozi tamil della città di Trincomale da parte di squadre singalesi e membri delle forze armate; l'incendio in una stazione nei pressi di Jaffna del treno di collegamento con la capitale danno un segno della urgenza e della complessità dei problemi. Jayawardene decide di convocare una conferenza che riunisca, accanto al suo partito, i rappresentanti di tutti i partiti di opposizione. Inizialmente disertata dai partiti più interessati alla questione per motivi inerenti alla trattazione del terrorismo tamil, da affrontare, secondo loro, nella globalità della questione dei diritti delle minoranze, viene tuttavia fissato un incontro in questi termini per la settimana stessa. Ma proprio a questo punto scoppiano i gravissimi incidenti.
Nella notte fra il 23 e il 24 luglio i terroristi tamil uccidono in un'imboscata tredici soldati, tutti singalesi. Dopo le esequie al cimitero centrale di Colombo, durante la notte una folla sovreccitata si ammassa all'intorno, scavalca la polizia e dei gruppi si lanciano all'assalto dei negozi tamil del quartiere. L'indomani i quartieri commercianti della capitale prendono fuoco uno dopo l'altro; poi gli incendi e i saccheggi si estendono ai quartieri di abitazioni a sud di Colombo. I giorni seguenti, nonostante il tardivo coprifuoco che le forze armate "non sanno" far rispettare efficacemente, le violenze continuano in tutte le città di provincia dove risiedono commercianti tamil e così pure in numerose località popolate da tamil immigratati nelle piantagioni.
Il clima di terrore prosegue nei giorni successivi. Le operazioni sono metodicamente organizzate, dirette da un abile capo all'europea con tanto di istruzioni scritte circa i negozi e le zone da colpire. Non senza fondamento sono quelle ipotesi che ritengono opera di governo e, senza dubbio, una strumentalizzazione la genesi e lo sviluppo dei moti.
La spiegazione ufficiale fa ricadere tutta la responsabilità degli avvenimenti su di un complotto di sinistra: il J.V.P., responsabile dei fatti del '71, il Nava Sama Samaja Party - una piccola organizzazione sorta da una scissione dei partito trotzkista (il Lanka Sama Samaja Party) - e il Communist Party. Ma ragioni ben più oggettive non fanno scartare il convincimento che una crisi in seno al potere stia a monte di queste violenze, troppo frettolosamente qualificate "razziali" e spacciate come conseguenza diretta del separatismo tamil. Ora, proprio una fedele conoscenza della supposta questione razziale e del sentimento separatista, differentemente condiviso da una comunità con interessi diversi, accreditano l'immagine del governo e dei suoi apparati statali - esercito in prima fila - che soffia sul fuoco.
Durante le tragiche giornate di luglio sono frequenti gli episodi in cui cittadini singalesi prestano soccorso e riparo ai tamil minacciati e in cui tamil delle zone miste cercano aiuto dai loro vicini singalesi. La guerra psicologica dei mass-media che propaganda un odio ancestrale tra tamil induisti e singalesi buddisti non regge di fronte all'osservazione diretta dei rapporti quotidiani fra le due comunità-etnie. Ed anche la ricostruzione storica dello sciovinismo singalese, che ha attinto dalla dominazione inglese l'idea di razza, sottolinea la stessa spudorata malafede dell'informazione dominante. Furono gli inglesi ad importare mano d'opera tamil nelle piantagioni; sono stati loro i gendarmi dell'espansione capitalistica, responsabile dello sradicamento tamil dall'India del sud e dei suoi contraccolpi sul piano sociale. Il mito della razza ha di fatto sempre nascosto la realtà dell'odio di classe. Nel passato i contatti fra tamil e singalesi furono di reciproca assimilazione.
Nondimeno il separatismo tamil è un fenomeno ben più diversificato da come lo si fa intendere e anche questo è legato e fomentato dalla natura e dai valori propri ad ogni stato.
I fautori di un separatismo intransigente sono i tamil di Jaffna ed è qui che tali richieste incontrano risonanza. Il sistema di casta è un supporto fondamentale alle loro aspirazioni. La casta Vellavar, che forma circa la metà della popolazione, ma che domina da molto in alto tutta la vita della regione, si considera la guardiana dell'ortodossia tamil, esente dai contatti che hanno trasformato la società tamil dell'India del sud, da dove ha emigrato. L'ideologia della povertà e della gerarchia, che è alla radice del sistema di casta, ha penetrato tutti i comportamenti di un gruppo sociale che presenta uno degli esempi, il più complesso, di quella che si è chiamata "sanscritizzazione" (l'adozione da parte di una casta, situata al di sotto, dei valori braminici) e che domina dall'alto il 25/30% di intoccabili al suo servizio. Ora nel contesto indiano tradizionale, la nozione di stato è inseparabile dalla presenza di una casta dominante che occupa un territorio determinato.
Proprio il diverso sistema di casta dei tamil della zona orientale rende questa popolazione indifferente alla richiesta separatista. La casta, per loro, rappresenta la funzione lavorativa e non tanto la collocazione gerarchica. Inoltre i tamil dell'est non costituiscono la maggioranza assoluta. Comunità musulmane e singalesi sono fortemente presenti nella zona.
I tamil viventi in regioni a maggioranza singalese sono, senz'altro, ancor meno sensibili alle richieste oltranzistiche, sentendosi i più esposti alle rappresaglie. E ancora una consistente proporzione di questi tamil del sud-ovest sono commercianti, piccoli industriali, impiegati del settore privato e membri delle professioni liberali.
Un discorso a parte meritano i tamil stabilitisi con l'emigrazione del secolo scorso, nelle regioni delle piantagioni. Il peso relativo nella popolazione dell'isola di questo gruppo non ha cessato di diminuire dopo gli anni '60, in ragione della politica di rimpatrio in India e delle violenze di cui questo gruppo è stato la vittima, notoriamente nel '71 (anno del più bieco conservatorismo). Ma, a dispetto di certe iniziative, non ha mai identificato il proprio interesse con quello dei tamil di Jaffna. In ragione della sua posizione geografica sulle alte terre dell'isola, dove forma un isolotto allogeno, la rivendicazione separatista non ha proprio senso.
In aggiunta i tamil delle piantagioni non hanno mai cercato l'alleanza con i partiti di governo, dimostrando una latente coscienza delle cause sociali, politiche, religiose della miseria, della oppressione e della ingiustizia di una umiliante condizione.
Così recitano i versi di un antico canto di lavoro; un canto che sembra raccogliere l'eco di tutti gli sfruttati:

"Ho perduto mio fratello
Morto di fatica
Riposa laggiù
Sotto i cespugli del te

Ho scavato il numero di buchi
Che mi era assegnato
Quando mi sono raddrizzato
La schiena a pezzi
Il Kangani (3) ozioso mi ha spronato
Vai, scava ancora, scava dunque!"

K. Velusamhi


1) Vedi scheda annessa alle statistiche.
2) Il più sordido episodio della repressione fu la tortura sadica e l'assassinio a Kataragama di Premawathie Manamperi, un'istitutrice di 22 anni, scelta come regina di bellezza durante un precedente festival di Kataragama. L'autore di questo crimine era un ufficiale dell'esercito regolare.
3) Kanagani = capo squadra con funzioni di aguzzino.

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