Rivista Anarchica Online
Votare oh oh!
di Paolo Finzi / Maria Teresa Romiti
Anche questa
volta la solita musica
Decisive per il
futuro dell'Italia (Craxi). Fondamentali come quelle del '48 (De
Mita). Non è ancora iniziata ufficialmente la campagna
elettorale in vista delle amministrative del prossimo 12 maggio che
già si sprecano gli aggettivi ed i ragionamenti per convincere
il popolo che questa volta è davvero la volta buona. Per
andare avanti, cambiare, difendere, confermare, ripulire, indicare,
voltar pagina, ecc. - a seconda dei programmi dei vari schieramenti.
In ogni caso, è la volta buona. Guai a chi si astiene! Se in Italia non ci
fosse un'elezione ogni uno/due anni, i nostri politici potrebbero
anche pretendere che qualcuno dia loro ascolto e si convinca che -
appunto - la prossima è la volta buona. Ma è sempre la
stessa musica, ripetuta con la stessa enfasi ad ogni piè
sospinto. E non crediamo sia necessario essere delle aquile per
rendersi conto del fatto che le moltissime elezioni che si sono
succedute in questi anni non hanno prodotto sostanziali modifiche
nella vita sociale ed individuale. Solidarietà nazionale,
sorpasso, governo balneare, astensione del PCI piuttosto che del MSI,
presidenza del consiglio laica: ne abbiamo provate di formule, ne
abbiamo visti di risultati "sensazionali", negli ultimi
anni. Perché questa volta dovrebbe essere diverso? Ogni tornata
elettorale ha le sue novità e questa del 12 maggio non fa
eccezione. Si tratta questa volta, delle liste verdi, già
presenti (in poche località) alle scorse amministrative ma ora
diffusissime su tutto il territorio nazionale. Nel variegato
arcipelago della "scheda verde" confluiscono numerose
tendenze, esperienze, sensibilità: da spezzoni della vecchia
"nuova sinistra" a gruppi locali impegnati in specifiche
lotte ecologiche (contro la centrale nucleare, contro la fabbrica
inquinante, per un'agricoltura biologica, ecc.), da vecchi marpioni
della politica (ed anche della "partitica") all'uopo
riciclati, collettivi che non hanno ancora maturato scelte precise
(per esempio, in tema di rapporti con le istituzioni). Il verde, non c'è
dubbio, tira. Un sondaggio di Intermatrix stima intorno al 12-14% il
potenziale bacino elettorale dei verdi italiani. E tutti i partiti si
sono scatenati a dare pennellate di verde alla propria immagine: dai
liberali che hanno dissepolto il cadaverico ministro all'ecologia
Biondi ai demoproletari che sono impegnati al massimo a porsi come
cerniera istituzionale tra i "movimenti" ed il Palazzo,
passando per i socialisti (a Milano il loro progetto ecologista per
una città più umana è al centro della loro
campagna elettorale) ed i comunisti (che puntano al collateralismo
strisciante della Lega Ambiente). Insomma, ce n'è per tutti. E noi? Sordi al
richiamo (invero sempre meno gradevole e tentatore) della sirena
elettorale, non andremo a votare. Nemmeno questa volta. Non
tralasceremo, però, di seguire con molta attenzione il
dibattito interno all'arcipelago verde (che non coincide
necessariamente con quello della "scheda verde"). Già
nel corso delle prime assemblee verdi, tenutesi a Firenze, sono
emerse posizioni, spunti, impostazioni per certi aspetti non lontane
dalle nostre. Il 12 maggio,
comunque noi non ci saremo. Questa nostra scelta astensionista la
poniamo all'attenzione e alla riflessione di chi si batte
concretamente per migliorare la qualità della vita, per chi
vuole pensare globalmente e agire localmente al di fuori e contro i
meccanismi perversi del potere.
P.F.
Questo
referendum non s'ha da fare
Se
i giorni scorsi un viaggiatore intergalattico, mosso da studio e
diletto, si fosse avventurato nei cieli italiani e avesse deciso,
spinto dalla sua sete di conoscenza, di informarsi sull'attualità
politica del paese alieno, sarebbe rimasto a dir poco sconcertato.
Avrebbe certo creduto di trovarsi di fronte ad un paese sull'orlo
della catastrofe: economia, struttura, perfino la democrazia stessa
in pericolo. Torme di eroi in cerca affannosa della possibile
salvezza. E il pericolo agitato dai giornalisti e dai politici non
viene dalla guerra o dal degrado (non solo ambientale) o dai mille
altri problemi che affliggono oggi l'umanità. I nostri Don
Chisciotte stanno lottando per riuscire a bloccare in extremis il
referendum sulla scala mobile indetto per abrogare il decreto legge
sul taglio dei punti di scala mobile dell'anno scorso. A muoversi non
sono solo partiti e gruppi che hanno subito la cosiddetta iniziativa
popolare, non solo il governo, ma lo stesso partito (PCI) che si era
mosso per raccogliere le firme necessarie nemmeno un anno fa. Tutti
presi da atroci dubbi e sotto sotto convinti che "Questo
Referendum non s'ha da fare". Se il nostro viaggiatore, dopo
aver trovato il fenomeno un po' schizoide (o l'equivalente nella sua
lingua), avesse cercato di informarsi di più, si sarebbe
presto accorto che l'episodio non è certo unico, anzi sembra
ricorrente. Il
referendum è quell'istituto per cui prima si mobilitano
centinaia di persone per raccogliere le firme necessarie e subito
dopo se ne mobilitano altrettante per evitarlo. Forse perché
il voto popolare fa paura? Siamo seri; non è certo quel voto
che cambia qualcosa: o la legge non viene abrogata per cui tutto
rimane come prima o se la legge viene abrogata se ne fa subito
un'altra ad hoc per coprire il "vuoto legislativo". Nessun
cambiamento reale, al massimo l'indice dell'opinione pubblica. Una
specie di grande sondaggio per vedere da che parte tira il vento.
Allora perché tante preoccupazioni, tanto darsi da fare? La
risposta è nel meccanismo principe della nostra società
"dove tutto fa spettacolo" e tutto è quello (e solo
quello) che fa spettacolo. La
mobilitazione per le firme tira, serve soprattutto al partito/i che
l'hanno indetta. Un ricatto morale, una riserva di scontento da
mostrare agli altri, lo spauracchio da agitare per ottenere nella
sede giusta (il palazzo) i cambiamenti che interessano che poi, sia
detto di sfuggita, possono riguardare anche argomenti del tutto
diversi. È lo
spettacolo di massa ben orchestrato (una volta usavano molto più
le manifestazioni, ma è ormai tempo passato, e poi sono molto
più difficili da gestire) per dimostrare chi ha in mano il
polso della gente. Venghino, signori, venghino, una firma per la
libertà di dire la propria. Una
volta che il carrozzone ha fatto spettacolo bisogna chiudere baracca
e burattini. Mica si possono buttare dalla finestra i soldi dello
stato (ce ne sono così pochi!). Meglio fermarsi in tempo se
possibile, tanto ciò che si voleva ottenere è stato
raggiunto. Lo spettacolo chiude dopo il primo atto (così non
devono neppure restituire i soldi del biglietto), tutti a casa
tranquilli. Tanto gli spettatori, rimbecilliti dalla televisione,
sembrano digerire qualsiasi cosa.
M.T.R.
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