Rivista Anarchica Online
Il mio amico Eric Blair
di George Woodcock
Non c'è che dire. Orwell, quest'anno, tira. Il suo «1984», com'era facilmente prevedibile, è balzato
in testa alle classifiche dei best-seller. E poi dibattiti, inchieste televisive, analisi, Orwell aveva
ragione, no aveva torto, Orwell nella pubblicità, Orwell dappertutto. E' sempre così: quando un
prodotto si ritiene che possa funzionare, la società dello spettacolo ci si butta sopra e lo spreme al
massimo. Il nostro interessamento per Orwell e per la sua produzione letteraria non ha niente a che
vedere con l'attuale moda. Affonda infatti le sue radici in momenti storici ed ideali comuni, per
esempio in quella Barcellona rivoluzionaria e libertaria del '36/'37 da lui così efficacemente
descritta in «Omaggio alla Catalogna» - oppure, in negativo, in quell'utopia (negativa, appunto) di
«1984» che solo uno spirito sensibile alle tematiche libertarie avrebbe potuto concepire e descrivere
con tanta forza. Eric Blair (questo il vero nome di George Orwell) fu, tra l'altro, intimo amico di
George Woodcock, a Londra negli anni '40. Woodcock era allora un attivo militante anarchico.
Insieme con Maria Luisa Berneri, pubblicò il periodico antimilitarista War Commentary e
successivamente fu redattore di Freedom, la storica testata anarchica inglese. Tra il '40 ed il '47
Woodcock pubblicò, sempre a Londra, la rivista letteraria libertaria Now. Poi si trasferì in Canada,
dove risiede tuttora: lì ha pubblicato, tra il '59 ed il '77, la rivista Canadian liberature. Prolifico
scrittore, Woodcock - che in Canada si era ritirato dall'attività militante - ha pubblicato una
sessantina di libri, due dei quali (L'anarchia e Viaggio in India) sono stati pubblicati anche in
italiano. La sua amicizia londinese con Blair/Orwell è al centro di un lungo saggio che esce
integralmente sulla rivista letteraria canadese Quest e (in parte) sulla nostra rivista, nella traduzione
di Fiorenza Masieri.
( ... ) Orwell andò nella casa che aveva affittato nel Giura nell'estate del 1946 e fu là che cominciò a
scrivere «1984». Ritornò a Londra nell'ottobre di quell'anno e poi tornò nel Giura nell'aprile del
1947. Dopodiché egli non tornò mai più nell'appartamento ad Islington e, nonostante fossimo in
corrispondenza regolarmente fino a quando io partii per il Canada all'inizio del 1949, non lo vidi
più. Al principio io e mia moglie eravamo troppo poveri per permetterci il lungo e complicato viaggio
di due giorni che egli ci esortava a fare nel Giura, e più tardi eravamo troppo indaffarati nei
preparativi per la nostra partenza dall'Inghilterra. L'inverno del 1946-47 fu uno dei più duri che avevamo subito da molti anni in Inghilterra ed
Orwell stava soffrendo, già prima di lasciare Londra, di ciò che egli descriveva come una bronchite.
Trascorsi parte del brutto periodo in Olanda e quando tornai, un giorno, andai a trovarlo e lo trovai
pallido e tirato, seduto, in pigiama e con una vestaglia scura e sciupata, alla sua macchina da
scrivere mentre faceva uno dei suoi ultimi articoli per il «Tribune». Stava tentando alacremente di
far fronte ai suoi impegni giornalistici. La sua salute si ristabilì nelle Ebridi durante l'estate ed egli mi scrisse alcune vivaci lettere
descrivendo la vita nel Giura. Era ottimista circa la sua situazione là. «Qui posso lavorare con
poche interruzioni», mi disse, «e penso avremo meno freddo qui. Il clima, sebbene umido, non è
così freddo come in Inghilterra, ed è molto più facile procurarsi carburante». Per carburante egli
intendeva certamente la torba. Stava lavorando sodo a «1984» e finì la prima stesura alla fine di ottobre. A quel tempo egli era
ancora malato, doveva stare a letto ed era evidente che aveva qualcosa di molto peggio che la
bronchite. Per ogni eventualità, consultò un tisiologo proveniente dal continente, che gli
diagnosticò una tubercolosi al polmone sinistro e lo mandò in un ospedale vicino a Glasgow.
Sembrava che reagisse alle cure e i dottori gli lasciarono fare una piccola recensione ed infine
cominciò, in maggio, a lavorare alla seconda stesura di «1984». In luglio tornò nel Giura e sembrava essersi dimenticato del pericolo per la sua salute, dato che si
dedicò interamente a finire il romanzo: cosa che fece entro l'inizio di novembre. Aveva mandato
una richiesta urgente al suo agente letterario ed ai suoi amici a Londra per trovargli uno stenografo
che fosse disposto a raggiungerlo nel Giura e a lavorare con lui al manoscritto che, a causa dei suoi
molti cambiamenti, sarebbe stato impossibile trascrivere senza la sua presenza. Ci volle tempo a trovare qualcuno e prima che si riuscisse a trovare la persona giusta, la pazienza di
Orwell si esaurì ed egli utilizzò gli ultimi residui di energia per battere a macchina la versione
finale di quel lungo romanzo in sole tre settimane. Fu solo allora, nel dicembre del 1948, che si
decise a sottoporsi al trattamento sanitario. Il resto della sua vita lo trascorse in istituti, un sanatorio
nel Gloucestershire e poi l'ospedale dell'università di Londra. Sperò costantemente che sarebbe venuto il giorno in cui sarebbe stato ancora in grado di lavorare,
ma i suoi medici più prudentemente erano propensi a credere che non sarebbe mai stato meglio di
ciò che qualcuno di loro descriveva (in una frase straordinariamente orwelliana, che doveva averlo
divertito) come un «buon cronico». Le sue condizioni di salute vacillavano, ma dall'inizio di
gennaio sembrava stesse abbastanza bene, da essere mandato nelle Alpi. Ma il 21 gennaio 1950
ebbe un'emorragia al polmone e morì immediatamente. Prima di morire Orwell fece due cose che stupirono molti dei suoi amici e sottolinearono un
sostanziale conservatorismo nel cuore di questo famoso ribelle. Sul suo letto di morte si sposò una
seconda volta con Sonia Brownell, una donna della sua classe, nata in India da una famiglia del
servizio imperiale. E, secondo la sua volontà, dopo decenni di agnosticismo proclamato, ordinò che
avrebbe dovuto essere sepolto secondo i riti della Chiesa d'Inghilterra e sulla semplice pietra
avrebbe dovuto essere scritto solamente «Qui giace Eric Arthur Blair», con la data della nascita e
della morte. Fu come se egli considerasse la carriera di George Orwell come un gioco in cui aveva assunto il
ruolo preminente, ma era rimasto in fondo, al livello basilare «della vita e della morte», il suo se
stesso ufficiale, quell'Eric Blair, di cui aveva odiato il nome (ma non l'aveva mai cambiato). Ormai lo scrittore emarginato e l'annunciatore radiofonico senza entusiasmo che aveva incontrato
solo un decennio prima era diventato un personaggio di fama mondiale. Seppi della sua morte
quando un uomo arrivò ad un party invernale a Vancouver e addirittura prima di scrollarsi gli
stivali per levarsi la neve, si precipitò verso di me per dirmi: «Il suo amico Orwell è morto! Lo
hanno detto al notiziario della CBC!». E ora lo celebriamo. 34 anni dopo la sua morte, la nostra attenzione è incentrata più sul libro che gli
diede celebrità, che sull'uomo.
Il successo di «1984» Prima di discutere se Orwell fosse o non fosse un grande scrittore, ci chiediamo perché «1984»
avrebbe dovuto suscitare l'attenzione della gente al momento della sua pubblicazione e perché
continua ad essere letto così largamente 1/3 di secolo dopo la sua prima apparizione. Dal modo in cui egli ne ha sempre parlato sospetto che Orwell credesse, in cuor suo, che qualunque
tipo di fama o di fortuna gli giungesse, il suo corso non sarebbe stato duraturo. Egli sentiva una
forte identificazione con scrittori che lavoravano duramente ma erano sfortunati, come George
Gissing, e l'idea dell'insucceso finale sembrava averlo ossessionato; e per questa ragione non
voleva che su di lui qualcuno scrivesse una biografia - come disse al suo amico John Atkins -
«poiché ogni vita, osservata dall'interno, sarebbe una serie di sconfitte troppo umilianti e
disonorevoli su cui riflettere». Recentemente si è sviluppato un culto su Orwell, cosicchè ogni cosa che ha scritto è stata trovata ed
elogiata, ma i suoi contemporanei giudicarono il risultato della sua opera più limitato, ed Orwell
stesso tendeva ad essere d'accordo con loro. Herbert Read pensava che «Defoe fu il primo scrittore
ad elevare il giornalismo ad arte; Orwell forse l'ultimo». L'elogio metteva nello stesso tempo in
evidenza i suoi limiti. Il romanziere John Wain disse che Orwell fu un romanziere che non scrisse
mai un romanzo soddisfacente, un critico letterario che non si seccò mai ad imparare la sua
professione correttamente, uno storiografo sociale, la cui storia era piena di vuoti. Comunque egli
è importante: per quanto polemico, il suo lavoro non fu mai meno che magnifìco, e le vitù che il
tipo di polemica richiede - urgenza, incisività, chiarezza e humor -le possedeva nella giusta
combinazione. Orwell stesso sembrava approvare questo giudizio quando faceva notare al nostro
comune amico Julian Symons Non sono certo un vero romanziere e quando in un'altra occasione
disse che, come risultato delle circostanze - il suo servizio in Birmania, la sua partecipazione alla
Guerra Civile Spagnola, ecc. - sono stato forzato a diventare una specie di scrittore di opuscoli. Sebbene egli abbia sviluppato un suo stile di prosa di superba chiarezza e flessibilità, lo fece per
l'interesse degli argomenti e non per destrezza, poiché non sopportava coloro che elevavano la
forma sopra il contenuto. «Quando mi siedo per scrivere un libro non dico a me stesso: sto per fare un'opera d'arte. Lo scrivo
perché ci sono alcune bugie che voglio denunciare, alcuni fatti sui quali voglio attirare l'attenzione
e il mio interesse principale è riuscire ad avere ascoltatori». Così vediamo Orwell attraverso i suoi modesti occhi, e la visione che ne ricaviamo è più vicina alla
verità di quella accreditata dai suoi adoratori, che cioè fosse un grande artista così come un grande
moralista. Che fosse un grande moralista era la sua forza, e la sua ricerca di parole esatte, veritiere e
trasparenti era parte di questo suo modo d'essere, e lo rendeva uno dei più eccellenti stilisti di prosa
della sua età e un giornalista che tutti gli abili giornalisti consideravano uno dei più nobili antenati
della nostra tribù. Ma come a molti giornalisti, ad Orwell mancò la facoltà inventiva ed il potere di
lasciar crescere i caratteri lontano da se stesso, come fa un buon romanziere. E così «1984» è un buon libro - forse anche un grande libro - senza essere un buon romanzo.
Orwell descrive i rischi del governo totalitario nel 20° secolo tanto impressionanti quanto
incontestabili, ma la forza intrinseca del soggetto tende a indebolire la credibilità del mondo
immaginario che Orwell crea. Infatti egli unisce nel romanzo numerosi tipi di racconto. C'è un romanzo sogno-ossessione di ribelli predestinati, Winston e Julia, che cercano amore e
libertà in un mondo dominato da un partito dedicato esclusivamente allo spietato mantenimento del
potere. C'è una satira amara sui sistemi politici esistenti o recentemente passati, nazismo e
comunismo. E c'è l'immagine di un'Utopia andata male, il cui scopo è mettere in guardia la gente
circa le possibilità negative di tutte le società moderne. Questa è una conseguenza del fatto che Orwell cominciò a scrivere con idee alle quali adeguò i
personaggi e la situazione, piuttosto che, come un vero romanziere, lasciando che i personaggi si
formassero prima nella sua mente. Ma questo non rende le idee stesse meno energiche o rilevanti.
In ogni modo, Orwell fu sia il beneficiario, sia la vittima del suo tempo. Se la guerra fredda non
avesse coinvolto un gran nmero di persone dal 1949, quando «1984» apparve non avrebbe avuto la
vendita sorprendente di 50 mila copie in Gran Bretagna e 360 mila negli Stati Uniti, nel suo primo
anno di pubblicazione. Ma molte di queste vendite avvennero perché, tra gli americani più che tra
gli inglesi, il romanzo fu interpretato solamente come un attacco al comunismo russo ed anche
come un attacco al socialismo in generale, e così fu entusiasticamente sostenuto dai conservatori,
che sempre avevano sostenuto Orwell come uno dei loro portavoce, il che era falso.
Contro il comunismo sì ma da sinistra Egli fu in realtà un portavoce dell'anti-comunismo «radical», ed una delle motivazioni a monte di
«1984» fu la sua esperienza personale dei metodi usati dai comunisti in Spagna, dove aveva
combattuto come soldato della riserva in uno dei partiti di sinistra dissidenti dal partito comunista,
quel POUM che i comunisti «ufficiali» perseguitarono e diffamarono. Orwell fuggì dalla Spagna con la sua prima moglie Eileen e si salvò per miracolo, mentre molti dei
suoi compagni erano nelle prigioni comuniste e quando tornò in Inghilterra scrisse della sua
esperienza in uno dei suoi libri migliori, «Omaggio alla Catalogna». Due cose erano chiare in quel libro: l'adesione di Orwell al tipo di socialismo idealista libertario,
che egli vide nelle strade rivoluzionarie di Barcellona quando vi arrivò nel 1936, e la sua
avversione per quelli che per l'interesse del potere - e della polizia russa - si davano da fare per
attaccarlo e per distruggerlo. Orwell non era assolutamente un monomaniaco. In un articolo intitolato «Perché scrivo», che pubblicò nel 1946, egli disse: Fino a quando rimarrò
attivo e starò bene, continuerò a sentire fortemente lo stile in prosa, ad amare la faccia della terra,
a trovare piacere negli oggetti solidi e nei frammenti di informazioni inutili. E questa parte di lui
rimase attiva fino alla fine, esternandosi nel suo amore per la natura e gli animali, nella sua
simpatia per gli scrittori eccentrici e sconosciuti, nella sua gran sfera di amicizie e nel suo piacere
di coltivarle, e soprattutto nella varietà imprevedibile di soggetti su cui egli scelse di scrivere, i suoi
libri e i suoi pezzi giornalistici. Tuttavia, dal periodo in cui tornò dalla Spagna nel 1937, fu evidente che le sue esperienze avevano
cristallizzato il suo pensiero in tal modo che per il resto della sua vita ci fu un tema centrale alla sua
opera letteraria: i pericoli del totalitarismo ed il modo in cui esso distrugge la vita umana. Ciò che
impressionò Orwell degli eventi in Spagna non era solamente l'uso, da parte dei comunisti (guidati
da agenti russi) dei metodi di tortura e degli interrogatori implacabili per disgregare la volontà di un
oppositore prima di distruggerlo, che sono ora universalmente conosciuti per essere stati usati dal
GPU di Stalin; ma anche il modo in cui essi manipolavano la stampa per alterare le percezioni
pubbliche della verità, innanzittutto travisando ciò che accadeva e secondariamente inventando un
tipo di linguaggio teso a confondere più che a informare.
La minaccia totalitaria Da allora in poi, molto del suo tempo Orwell lo passò vagando nelle librerie di Londra,
raccogliendo il materiale di propaganda comunista e inducendo i suoi amici a fare altrettanto,
finché istituì la grande collezione di opuscoli, che si trova attualmente alla «British Library». Si divertì a mostrare come lo stesso opuscolo variasse da edizione a edizione in seguito al variare
della linea del partito e come ciò che veniva registrato come un fatto, venisse poi cancellato od
anche cambiato, esattamente come in URSS le relazioni ed i libri furono costantemente riveduti, in
modo che anche alcuni esponenti della vecchia guardia bolscevica, che Stalin aveva eliminato, non
solo sparirono dalla terra, ma anche dalla storia, così che sembrerebbe che non siano mai esistiti. Questo fu uno dei temi di «1984» che costantemente affiorò nella conversazione con Orwell dal
giorno che lo incontrai. L'altro fu la manipolazione del linguaggio da parte dei politici - e non solo
da parte dei comunisti - al punto da perdere tutta la precisione del significato. Uno fra i saggi migliori di Orwell, «Politica e lingua inglese», è un modello, sia per giornalisti che
per gli studenti d'inglese: mostra come il modo di parlare dei politici non solo deforma il
linguaggio, ma anche lo impoverisce e così lo rende meno suscettibile di esprimere una varietà di
pensieri e sentimenti. In pratica esso non è che uno strumento per oscurare e dominare le menti dei
lettori o ascoltatori. Tutte queste tendenze - repressione del dissenso, distruzione della storia, esaurimento della lingua,
sviluppo di tecniche per penetrare e regolare la mente degli uomini - Orwell le vide come
espressioni dell'avidità di potere che corrompe l'ideale politico, che sfocia in quel fenomeno che lui
ed altri scrittori come Franz Borkenau e Arthur Koestler bollarono come totalitarismo molto tempo
prima che i politologi cominciassero ad usare il termine liberamente. Nazismo, fascismo e
comunismo potevano variare nei loro fini ma erano quasi identici nei loro mezzi, e i mezzi sempre
pericolosi perché possono facilmente diventare fini a se stanti. Orwell fu particolarmente consapevole del pericolo del controllo sul pensiero, perché l'aveva subito
quando era al servizio del Raja in Birmania. In «Giorni in Birmania», che aveva ultimato tre anni
prima di andare in Spagna, il personaggio principale, Fleury, è una proiezione di Orwell, che a quel
tempo rifletteva sul mondo dei sahib: E' un mondo in cui ogni parola ed ogni pensiero sono
censurati. In Inghilterra è duro anche immaginare una tale atmosfera. Ognuno è libero in
Inghilterra. Noi vendiamo le nostre anime in pubblico e le ricompriamo in privato, tra i nostri
amici. Ma anche l'amicizia può esistere con fatica quando ogni uomo bianco è un ingranaggio
nelle ruote del dispotismo. Parlare liberamente è impensabile. Tutti gli altri tipi di libertà sono
permessi. Tu sei libero di essere un ubriacone, un fannullone, un calunniatore, un fornicatore, ma
non sei libero di pensare da solo. La tua opinione su un argomento ti è dettata dal codice dei buoni
sahib. Ecco l'inizio dell'idea dello «psicoreato», che è così centrale in «1984». Il mondo chiuso, intimamente tirannico dei sahib in «Giorni in Birmania», che domina gli indigeni
mantenendosene separato, è il precursore del mondo chiuso intimamente tirannico del partito in
«1984», dominante i «prolet» dai quali ugualmente si tiene separato; Fleury, che arriva a percepire
cosa sia l'imperialismo, è anche il precursore del Winston Smith di «1984» che, seduto nel suo
ufficio al Ministero della Verità, si rende conto che la sua occupazione consiste nel cambiare i
registri storici in una menzogna che egli stesso non può sopportare a lungo. Così si trova in quella
situazione di ribellione che lo porterà nelle stanze bianche del Ministero dell'Amore, dove O'Brien,
il suo tentatore e torturatore, distruggerà la sua volontà ed entrerà in possesso della sua mente. Non c'è solamente una continuità nell'opera di Orwell che scorre dal suo primo romanzo «Giorni in
Birmania», all'ultimo «1984». C'è anche, nell'ultimo libro, una continuità sorprendente tra l'anno in
cui scrisse e l'anno a proposito di cui scrisse. Nel momento in cui cominciai a leggere «1984», nell'estate del 1949 sull'isola di Vancouver, 7mila
miglia lontano dal sanatorio di Orwell, sentii lì espresse tutte quelle idee su cui si era parlato da
tempo, che conoscevo tutte a memoria. Ma della trama del romanzo ne sapevo quanto chiunque
altro. Orwell l'aveva difeso da chiunque egli conoscesse fino al giorno in cui lo inviò al suo agente
e la sorella Avril, con cui divideva la casa nel Giura, ne sapeva poco come chiunque altro.
Lo scrittore, un guerrigliero irregolare Dalla sua lettura ricavai una straordinaria impressione e tanti ricordi, poiché quella era la mia
Londra e la sua, in cui gli unici edifici più vecchi degli anni '30 erano le grandi strutture dei
ministeri, attraverso cui il partito maneggiava il potere. C'erano gli stessi luoghi bombardati con le
loro erbacce bruciate che conoscevamo, gli stessi edifici puntellati, gli stessi mercati e i pub
rumorosi dellla classe lavoratrice, gli stessi missili di ogni guerra, anzi di questa unica guerra che
non conosce soste. Orwell la descrisse con vivacità come fece nelle sue descrizioni delle catapecchie di Parigi e
Londra in «Senza un soldo a Parigi e a Londra», ed era proprio perché gli aspetti più ossessionanti
di «1984» si trovavano in un mondo così simile al presente che impressionavano così
violentemente. Molti romanzi situati nel futuro, anche se rappresentano un mondo tutto sommato indesiderabile,
almeno lo mostrano come un mondo che è progredito tramite un immenso progresso tecnologico:
nel caso di Orwell l'unico «progresso» stava nelle tecniche di repressione, ed in ciò egli mostrava
un occhio accorto al cammino su cui il mondo stava avviandosi. I comunisti accusarono Orwell di essersi venduto ai conservatori e come ho detto, i conservatori
tentarono di accreditarlo come uno di loro. Ma egli scrisse i suoi grandi libri di denuncia come
«Omaggio alla Catalogna», «La fattoria degli Animali» e «1984» non perché c'era stata una
rivoluzione in Russia o perché il popolo spagnolo si era ribellato per mettere in discussione (quasi a
mani nude) il pronunciamento del generale Franco, ma perché i comunisti avevano tradito sia la
Rivoluzione Russa sia la ribellione spagnola e si erano mostrati i più sinistri fra tutti i conservatori.
Proprio mentre stava fuggendo dalla Spagna nel 1937 con gli agenti del GPU sulle sue tracce,
scrisse a Cyril Connolly dichiarando la sua fiducia nel socialismo. Egli si considerò sempre un uomo di sinistra: per lui la sinistra poteva includere una varietà strana
di tendenze (inclusi gli anarchici, tra i quali allora io militavo). Orwell non ebbe mai rapporti con la
Destra. Nel 1945 la Duchessa di Atholl lo invitò a parlare ad un meeting della League for European
Freedom, un gruppo di conservatori che credevano giustamente che Winston Churchill si fosse
lasciato ingannare da Stalin. Orwell dette atto della loro sincerità ma chiese perché, se essi stavano
denunciando l'espansionismo russo nell'Europa orientale non denunciavano al contempo anche il
dominio britannico in India. Egli concluse dicendo: «Appartengo alla sinistra, e devo lavorare al
suo interno, proprio perché odio il totalitarismo russo e la sua influenza velenosa in questo paese». Quest'ultima dichiarazione mi sembra una chiave nella posizione di Orwell - la posizione che
mantenne fino alla sua morte. Fu chiarita con maggior forza un anno più tardi, nel 1946, quando
egli disse che ogni riga di lavoro serio che aveva scritto, era stata contro il totalitarismo e per il
socialismo democratico, come lo intendo io. E poi ci fu la celebre sconfessione che egli sentì l'esigenza di fare nel 1949, mentre ammalato era
costretto a letto nel Gloucestershire, quando seppe che «1984» era stato definito dalla stampa
americana come antisocialista: Il mio recente romanzo non era da intendere come un attacco al
socialismo o al British Labour Party (di cui sono un sostenitore), ma come denuncia delle
perversioni di cui una società centralizzata è responsabile e che abbiamo già sperimentato
parzialmente nel comunismo e nel fascismo. In ognuno di questi passi le parole hanno il loro peso: «socialismo democratico come lo intendo io»
e «corruzioni di cui una economia centralizzata è responsabile». Ciò chiarisce la posizione di
Orwell nella sinistra. Egli si descrive come un sostenitore del British Labour Party, ma non ne fu
mai un membro. Infatti l'anno precedente aveva scritto in un saggio «Scrittori e Leviatano» che lo scrittore non
dovrebbe mai perseguire i suoi scopi politici al servizio di un partito: egli dovrebbe farlo come un
individuo, un esterno, al massimo un guerrigliero irregolare a,fianco di un esercito regolare.
L'unico partito politico a cui appartenne, anche se per un breve periodo, fu l'Indipendent Labour
Party, un gruppo dissidente che si separò dal Labour Party, perché quest'ultimo non era abbastanza
«radical».
Alle radici del potere L'unica organizzazione in cui egli occupò una carica fu un gruppo per le libertà civili, il Freedom
Defence Committee, di cui egli era vice-presidente e io segretario: esso includeva pacifisti,
socialisti indipendenti, anarchici e scrittori indipendenti. I suoi scopi socialisti non erano molto ben
delineati ma includevano la fine del colonialismo, che gli stava molto a cuore, e la socializzazione
dell'industria - sebbene non necessariamente intesa come controllo statale - e la decentralizzazione
per quanto possibile, dato che ogni tipo di governo centralizzato appariva come una minaccia alla
libertà. Era scettico a proposito del progresso materiale, e pensava che socialismo in realtà significasse
accettare una vita meno ricca, che avrebbe permesso una minimizzazione dei controlli politici. In
questo egli era vicino agli anarchici con i quali era d'accordo che la base del potere non è
economica, come Marx sosteneva, ma psicologica e che l'amore del potere è una aberrazione che
modella e corrompe gli individui e le società. Questo fu certamente uno dei temi principali di
«1984». Sicuramente Orwell era incoerente e c'erano alcuni aspetti incontestabilmente conservatori nel suo
«radicalism», quali il suo appassionato patriottismo inglese (che egli però distingueva attentamente
dal nazionalismo) e la sua opposizione al controllo delle nascite. In ogni caso egli si impegnò sempre in difesa del suo tipo di socialismo libertario. Era uno spirito
libero che non si lasciava dettare le opinioni da nessun partito: fece la sua scelta sulla parte in cui
militare, ed era essa decisamente a sinistra del centro, dove invece si ritrovava la maggior parte dei
suoi amici. Quanto lontano vedeva realmente Orwell l'anno 1984 come punto cronologico attorno al quale ciò
che egli diceva nel suo libro, poteva avverarsi? Penso che nessuno intenda realmente leggere il suo libro alla lettera, come un quadro del mondo 36
anni in anticipo, e neppure in nessun altro periodo. Orwell lo chiarì in una lettera che scrisse a un
americano, Francis A. Henson, poco dopo l'uscita di «1984»: non credo che il tipo di società che
ho descritto si verificherà, ma credo (dato per scontato il fatto che il libro è una satira) che
qualcosa di simile potrebbe accadere. Credo anche che le idee totalitarie si siano radicate nelle
menti degli intellettuali dovunque, e ho tentato di portare queste idee alle loro logiche
conseguenze. La scena del libro è collocata in Inghilterra per enfatizzare che le razze di lingua
inglese non sono migliori di qualsiasi altra e che il socialismo totalitario, se non lo si contrastasse,
potrebbe trionfare dovunque. Perciò dobbiamo accettare che «1984» era stato concepito come un avvertimento e non come una
profezia. Rimane la tentazione di analizzare quanto lontano, dal reale anno 1984, l'avvertimento si sia
avverato, e la risposta deve essere che il mondo ha percorso un lungo (e forse un irreversibile)
cammino lungo la strada che Orwell ha immaginato.
Quanto si è avverato di quelle profezie Guardiamo alcuni dei temi di «1984» e consideriamo in che maniera la situazione si è andata
evolvendo. 1) Il Ministero della Pace è una delle tre istituzioni centrali del mondo immaginario di Orwell. Esso
si occupa, secondo i principi del «bispensiero», della guerra. Il mondo è diviso in tre blocchi di
potere, Oceania, Estasia ed Eurasia. In un modello di alleanze che muta costantemente, essi sono
eternamente in guerra, troppo spaventati delle conseguenze di un conflitto atomico totale per
combattersi sui territori centrali, da impegnarsi all'infinito in guerre secondarie nei territori lontani,
quali l'India e l'Africa. Cambiamo nome agli Stati Uniti, all'URSS e alla Cina, con i loro rispettivi
gruppi di stati subordinati, e questo è precisamente ciò che succederà nel 1984 anche se le sporche
piccole guerre non venissero dichiarate. 2) Il Ministero dell'Amore si occupa della repressione, che non è solamente la persecuzione dei
dissidenti, ma è in definitiva la distruzione dello stato d'animo in cui il dissenso si rende possibile. I
metodi usati sono sofisticate torture e condizionamenti psicologici spietati alla cui realizzazione, la maggior parte della continua ricerca in Oceania è finalizzata. Una lettura regolare dei rapporti di Amnesty
International è sufficiente per dimostrare che tecniche di tortura e di interrogatorio sono sviluppati
in molti paesi sulle stesse linee, se non completamente della stessa ampiezza del Ministero
dell'Amore di Orwell, e basta solo una possibilità nella struttura del potere per essere trasferiti
ovunque. Persino regimi non completamente comunisti o fascisti, quali il governo islamico di
Komeini in Iran e i governi militari in America Latina, usano le tecniche di repressione immaginate
in «1984», includendo la corruzione dei bambini spinti a dare informazioni sui loro genitori. 3) Da quando «1984» è stato pubblicato, aree intere del mondo sono passate nell'area totalitaria, sia
che il totalitarismo sia espresso in termini di comunismo, di dittatura militare oppure di rivoluzione
islamica. L'elenco dei paesi che sono passati in quest'area, oltre ai paesi dell'Est europeo che Stalin
acquisì con il trattato di Yalta, è allarmante: Cuba, Cile, Uruguay, Paraguay, Libia, Algeria, Iraq,
Siria, Etiopia, Afganistan, Tibet, Vietnam, Laos, Cambogia, Pakistan, per non menzionare quei casi
non ancora stabilizzatisi quali Libano, Turchia e le repubbliche dell'America Centrale. 4) Dovunque la diffusione della televisione, del computer e di simili tecnologie ha creato tecniche
di comunicazione, persuasione e condizionamento mentale che erano solamente prevedibili quando
Orwell viveva, cosicché persino nel mondo libero un possibile «dittatore» troverebbe gli strumenti
per la sua propaganda già in atto, mentre l'avvento del «welfare state» è stato indirizzato dalla parte
sbagliata, con la creazione di vasti apparati burocratici che hanno catalogato e codificato le persone
come mai prima d'ora. Anche quando non c'è la dittatura, il processo di inquadramento e
irregimentazione ha reso la gente sempre più passiva nelle sue reazioni alle pretese dello stato. Allo
stesso tempo la complessità delle funzioni dello stato ha ridotto la reale partecipazione dei cittadini
al governo trasferendo la responsabilità dei parlamentari a funzionari statali che sempre più
dominano tramite diversi espedienti. Tutto ciò ha reso persino i governi formalmente democratici
più arroganti nelle loro trasgressioni alle libertà. 5) Il terzo Ministero del futuro immaginario di Orwell era il Ministero della Verità, dove la storia
veniva cambiata, situazioni erano inventate per ingannare la gente e i principi del linguaggio
completamente snaturati, la «Neolingua» era sviluppata per ammaestrare la gente al «bispensiero»,
come espresso nei tre grandi slogan dello Stato dell'Oceania: «La Guerra è Pace, la Libertà è
Schiavitù, l'Ignoranza è Forza». Non mi resi conto esattamente quanto eravamo avanzati nel «bispensiero» ed avevamo progredito
verso la «Neolingua» fino a che sentii che il Presidente Reagan ha definito i missili MX
«Peacemaker» (pacificatori)! Questi sono solo alcuni dei modi in cui penso la parola «Orwelliano» può essere propriamente
riferita al nostro mondo, dal momento che esso si sviluppa sempre più simile al futuro immaginato
da Orwell. C'è di più, molto di più e certamente ce n'è abbastanza per far rivoltare ansiosamente Orwell nella
tomba di Eric Blair, nel tranquillo cimitero inglese di Sutten Courtenay.
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