Rivista Anarchica Online
Si ricomincia da tre
di Paolo Finzi
Il processo contro Monica Giorgi ed un'altra decina di imputati si rifarà. Lo ha deciso la prima
sezione penale della Corte di Cassazione, riunita a Roma il 28 febbraio scorso sotto la presidenza di
Marco Di Marco, su conforme requisitoria del sostituto procuratore generale Antonino Scopelliti.
E' stata così annullata la sentenza emessa il 28 aprile di due anni fa dalla Corte d'Assise d'Appello
di Firenze, in seguito alla quale Monica e gli altri imputati (salvo quelli detenuti per altre ragioni)
furono scarcerati. O meglio, per quanto riguarda Monica, è stata confermata (quindi passata in
giudicato) la condanna a 2 anni inflittale a Firenze per partecipazione a banda armata: una
condanna che fu da tutti interpretata come una «giustificazione» a posteriori dei due anni trascorsi
in carcere da Monica, dal momento dell'arresto (30 aprile 1980) alla sentenza di Firenze. Mentre
per (quasi) tutte le altre imputazioni, per le quali era stata assolta (con varie formule) a Firenze, il
processo si dovrà rifare. La Cassazione ha deciso la trasmissione degli atti processuali al tribunale
di Perugia, che dovrà istruire un nuovo processo: il terzo. Uno degli effetti di questa sentenza della Cassazione è che ora la magistratura può tranquillamente
spiccare un nuovo mandato di cattura contro Monica, che - una volta cancellata la sentenza di
Firenze - si trova imputata di reati gravi (tentato sequestro e tentato omicidio del petroliere Neri,
ferimento del medico carcerario Mammoli, ecc.), per i quali a Livorno (al termine del primo
processo, nel luglio '81) era stata condannata a 12 anni (2 dei quali condonati) e 6 mesi, nonché a
varie altre pene accessorie. Si riapre dunque il «caso Giorgi». Un caso che la nostra rivista ha seguito con particolare
attenzione e partecipazione, dall'indomani dell'arresto di Monica. C'era - scrivevamo all'indomani della sentenza di Firenze - un'ignobile montatura da smascherare,
mettendo a nudo i perversi meccanismi dell'infamia di Stato. C'era l'imbarbarimento della giustizia
da denunciare, chiarendo alla gente - con gli esempi concreti che la vicenda di Monica offriva a
iosa - come il pretesto della lotta contro il terrorismo venga utilizzato per colpire chi non si allinea
al potere. C'era una perfida campagna-stampa da controbattere, abilmente dosata con calunnie e
silenzi. C'era, dal luglio 1981, la pesantissima sentenza di primo grado da contrattaccare,
denunciare, ribaltare. C'era da mettere in luce la sostanziale convergenza, dentro e fuori il
carcere, tra il disegno di uno Stato sempre più forte (in nome della democrazia) e il folle progetto
lottarmatista (in nome del proletariato). C'era, insomma, tutta una battaglia da condurre, una
battaglia difficile, irta di ostacoli che noi per primi abbiamo sempre avuto presenti e rammentato,
perché a facili entusiasmi non seguissero nefaste disillusioni. Questo scrivevamo due anni fa, all'indomani di quella sentenza di Firenze che, nella sostanza,
salutavamo anche come «una nostra vittoria». Ora, dopo la sentenza della Cassazione, dobbiamo
cancellare il tempo imperfetto e riscrivere tutto al presente: c'è un'ignobile montatura da
smascherare, c'è l'imbarbarimento della giustizia da denunciare, c'è la sentenza di Livorno con cui
fare i conti, ecc. All'indomani della sentenza di Roma, molte domande sorgono spontanee. Quando si farà il
processo a Perugia? Spiccheranno un mandato di cattura contro Monica? E al processo
convocheranno quell'Enrico Paghera, perno delle tesi dell'accusa, rivelatosi assolutamente
incredibile, menzognero, contraddittorio? La risposta a queste e ad altre domande dipende dalla
magistratura. Per parte nostra, immutato resta l'impegno a far sì che il caso Giorgi esca il più possibile dalle aule
dei tribunali per ragiungere la gente, perché i loro sporchi giochi non li possano fare nella
penombra dei loro palazzi di (in)giustizia, perché ancora una volta - come a Firenze due anni fa -
questo caso diventi un boomerang e si ritorca contro chi questa montatura ha concepito, realizzato e
portato avanti con tanta perversa determinazione. La vendetta del potere, lo sappiamo, sa avere anche i tempi lunghi. Ma noi non siamo di quelli che
si agitano scompostamente, gridano e fanno casino per un po' e poi si ritirano nel privato o chissà
dove, scomparendo dalla scena sociale, vivendo di ricordi e ... lasciando campo libero al potere.
Rivoluzionarismo parolaio, truci propositi, sparate propagandistiche, che lasciano il tempo che
trovano, non fanno parte del nostro «armamentario» e del nostro stile. E' invece nell'impegno umano, quotidiano, militante che ritroviamo il segno del nostro agire
sociale. Ed il potere, nel caso Giorgi come in tante altre battaglie, ci ritroverà puntualmente sul suo
cammino, ad ostacolare per quanto possibile i suoi disegni repressivi, a lottare per la libertà.
«Non basta la singola libertà per dire di vivere liberamente. La libertà è un bene troppo grande per
essere barattata individualmente. La libertà, quella vera, è il riscatto collettivo dallo sfruttamento e
dall'oppressione: per tutti. Che cosa ne facciamo di una «libertà» che è solo egoistico angolo di
sopravvivenza? Come si fa ad essere liberi, se altri, fosse anche uno solo, sono in catene? Da questo
inevitabile, inesorcizzabile legame sottile prende consistenza la solidarietà: l'esigenza sublime di un
mondo di liberi ed uguali». (da una lettera di Monica Giorgi, inviataci dal carcere di Livorno nell'ottobre 1980, pubblicata su
«A» 87)
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