Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 14 nr. 116
febbraio 1984


Rivista Anarchica Online

Psicoterapia e società
di Mario Marrone

Sono colui che unisce, colui che cerca ( ... ). Sono colui che cerca lo spirito del giorno ( ... ). Cerco dove vi è paura e terrore. Sono colui che ripara, che cura la persona malata ( ... ). Rimedio dello spirito ( ... ). In verità tu sei uomo abbastanza da risolvere la verità ( ... ). Tu sei colui che unisce, mette assieme, risolve. Tu sei colui che parIa con la luce del giorno, tu sei colui che parla con il terrore.
E' il canto di uno sciamano di antichi tempi, ma potrebbe benissimo essere la dichiarazione di uno psicanalista.
C'è uno strano parallelismo tra queste due figure così lontane nel tempo e nello spazio. Ambedue lavorano con il terreno friabile della psiche umana, ambedue curano lo spirito. Si occupano dei nostri terrori, delle buie zone dove nascondiamo i nostri cadaveri. Ambedue sono sentiti come fortemente ambigui: ispirano sentimenti di amore/odio, sicurezza/entusiasmo e terrore. Sono personaggi importanti, ci si rivolge spesso a loro, ma sono anche temuti per la loro potenza, per l'ambito in cui si muovono, così intimo, così imbarazzante da portare alla luce. Figure indispensabili a civiltà peraltro così diverse, ma mentre lo sciamano non si occupa solo delle paure e della psiche e nella società piena del senso del sacro in cui vive spazia tra gli spiriti, vive il respiro del mondo, lo psicanalista, sciamano moderno, si deve accontentare dei misteri dell'«inconscio», deve darsi un aspetto strettamente scientifico e razionale per poter essere accettato: anche se poi ci si rivolge a lui come allo stregone chiedendo il miracolo.
La psicanalisi, fin dalla sua nascita, è vissuta sotto questo segno ambiguo: ora rifiutata con tutte le forze, considerata scandalosa o inutile, ora acclamata, ricercata fino all'inverosimile. E' questo che rende tanto difficile un'analisi distaccata che riesca a mettere in evidenza luci e ombre di una teoria che indubbiamente ha sconvolto il mondo.
Non si dovrebbe, a rigor di logica, neppure parlare di psicanalisi in senso generale perché le teorie psicanalitiche sono diverse, in parte intersecantesi, in parte completamente opposte se non estranee. Ma tutte convinte di essere l'unica, la vera teoria psicanalitica, l'erede legittima di Freud. E' uno dei grossi nodi irrisolti di teorie che si presentano in veste scientifica, ma che hanno grosse difficoltà a disporre di dati oggettivi o oggettivabili. La psicanalisi è soprattutto interpretazione, elaborazione attraverso un altro essere umano che difficilmente può essere sicuro di prescindere dal proprio inconscio, dalle proprie fobie o in ogni caso ad estranearsi dal proprio credo. Si è quindi dipendenti dai valori dell'analista. Una scienza soggettiva? Un tentativo di ricerca che parte coscientemente dal soggetto? Non è proprio così, visto che gli psicanalisti sono così convinti della verità della proria teoria. Sembra quasi che all'incertezza/impossibilità dell'oggettività rispondano partendo dal presupposto che ciò che pensano è vero. Metafisica rivestita di scientificità.
Questa è stata a lungo una fondamentale obiezione della scienza ufficiale alla psicanalisi, anche se bisogna riconoscere che la maggior parte delle scienze umanistiche soffre dello stesso difetto. Il problema, però, non si risolve presupponendo come assioma la verità delle proprie supposizioni, ma piuttosto ammettendone l'impossibilità dimostrativa. D'altra parte non si può più negare l'esistenza dell'inconscio o il fatto che la nostra mente è un groviglio dove si stratificano in modo strano e spesso contorto molteplici esperienze che poi condizionano i nostri atteggiamenti, la nostra vita. Ed è anche vero che per quanto difficilmente dimostrabile in linea teorica, la pratica clinica ottiene dei risultati a volte anche notevoli.
Se la teoria psicanalitica dovrebbe portare l'essere umano a capirsi, a liberarsi dai propri stessi nodi, è anche vero che non è raro il caso in cui si risolve in un semplice spostamento di dipendenza. Se prima il paziente era condizionato dai suoi timori, dopo sposterà la dipendenza sullo psicanalista che diventerà amico-padre-fratello. Si può obiettare che questo è il risultato di una cattiva analisi, che dimostra solo l'incapacità dell'analista, ma non è certo possibile dimenticare che il caso è tutt'altro che raro, tanto da far pensare che la cattiva analisi sia più comune di quella buona.
E noi? Come abbiamo reagito, come ci poniamo di fronte al problema? Difficile dare una risposta. L'ambiguità si ripresenta tra di noi come tra tutti: siamo dopo tutto un campione di umanità, rifiuto e esaltazione, difficilmente riflessione critica.
D'altra parte sembra che un problema neppure tanto peregrino, anche se forse un po' emblematico, si sia posto a molti di noi: gli uomini sono infelici perché non accettano la società in cui vivono, se la psicoterapia serve a renderli meno infelici significa che essi si adatteranno e non avranno più voglia di ribellarsi.
Seppure in modo semplicistico, l'obiezione pone l'accento sul pericolo di una terapia posta al servizio del potere, con l'unico scopo di ridurre le angosce, di rendere accettabile ciò che accettabile non è. Un pericolo reale, sfruttato coscientemente dal potere che si è servito in larga misura degli psicoterapeuti per poter rendere vivibili situazioni angosciose: dalla terapia comportamentista americana agli psicanalisti più ortodossi, dal servizio nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nei ghetti. Ma non si può dimenticare che le angosce e i problemi psichici possono paralizzare un uomo più di una terapia, e che è molto difficile riuscire a lavorare insieme quando ognuno soffre per le proprie angosce non risolte.
La risposta, in ogni caso, non è il rifiuto o la diffidenza, ma l'approfondimento, la conoscenza. E' per questo che, seppure con un certo ritardo, abbiamo pensato di buttare anche noi una pietra nello stagno con questo articolo, che fornisce un quadro generale delle teorie psicanalitiche e delle diverse pratiche terapeutiche. Ne è autore Mario Marone, anarchico argentino (ha militato nel gruppo anarchico di Rosario finché una decina d'anni fa non ha «dovuto» lasciare l'Argentina e si è stabilito a Londra) e psicoterapeuta (lavora in due ospedali ed ha uno studio in cui svolge la sua professione con pazienti «poveri»). Completano il servizio le testimonianze di due compagne in merito alla loro esperienza psicanalitica.

Maria Teresa Romiti


In questa società industriale un sempre maggiore numero di persone si sente disorientata ed angosciata per una infinità di motivi. Molti di questi problemi si riflettono sulla vita soggettiva delle persone e molta gente comincia a porsi interrogativi psicologici. In questo clima prosperano diversi metodi psicoterapeutici i cui nomi cominciano a diventare familiari alla gente: psicoanalisi, analisi di gruppo, psicodramma, gruppi di incontro, terapia gestaltica, bioenergetica, ecc ..
Chiunque abbia bisogno di aiuto per risolvere i suoi problemi personali attraverso la psicologia può trovarsi in serie difficoltà nello scegliere il tipo di terapia e il terapeuta capace di offrirgli una esperienza significativa. Diceva Guntrip - uno psicoanalista britannico - che, al di là di quello che si può avere o non aver letto di psicologia, c'è qualcosa che tutti dovrebbero leggere: Tutti noi dobbiamo cominciare con Freud, poiché Freud è il punto di partenza per i freudiani, per i neo-freudiani come per i non freudiani e gli anti-freudiani. Nessuno può ignorare o non prendere in considerazione Freud.
Le idee di Freud, cioè la teoria psicoanalitica, costituiscono la base di una psicologia che chiameremo «analitica». Vi sono poi altre due psicologie, quella «umanistica» e quella «comportamentale», la cui importanza non deve essere sottovalutata. All'interno dei confini teorici di queste tre psicologie si possono inquadrare quasi tutti i metodi psicoterapeutici in voga. Risulta estremamente difficile spiegare in poche parole le differenze essenziali tra queste tre psicologie, ma si potrebbe tentare una prima approssimazione analizzando l'atteggiamento basilare che ciascuna di esse esprime rispetto alla vita soggettiva o interiore degli esseri umani: la psicologia comportamentale la nega, quella analitica la esamina, quella umanistica la esalta.
La psicoanalisi propriamente detta, l'analisi di gruppo ed altre terapie psicoanalitiche si inseriscono nell'ambito teorico della teoria psicoanalitica. Si tratta di terapie verbali che scavano nell'inconscio e promuovono lo sviluppo del pensiero riflessivo. La psicologia umanistica abbraccia una varietà di metodi terapeutici, dallo psicodramma di gruppi di incontro alla terapia gestaltica, ecc.. Questi metodi hanno in comune alcuni elementi: lavorano con gruppi, utilizzano tecniche corporee (movimento, espressione drammatica, contatto fisico), si interessano più dei problemi dell'uomo «medio» o «normale» che del lavoro clinico o della investigazione nella psicopatologia individuale e, infine, hanno un atteggiamento critico verso la nostra cultura. A differenza della psicologia analitica e di quella comportamentale (che sono sistemi teorici con un significativo livello di coerenza interna), la psicologia umanistica è più che altro un conglomerato di tendenze ideologiche affini.

La psicologia analitica
La psicologia analitica si fonda sul modello della mente proposto da Freud, per cui i fenomeni psichici sono in relazione tra loro secondo leggi di casualità e sono il risultato di una interazione di forze: le esigenze istintuali e le imposizioni sociali. Spesso le prime entrano in conflitto con quelle socio-culturali e l'apparato psichico deve utilizzare meccanismi specifici per ricreare un certo ordine interno. Questi conflitti sono, almeno in parte, inconsci.
Uno dei problemi fondamentali su cui gli analisti contemporanei polemizzano e tendono a formare sottoscuole è se l'uomo sia essenzialmente un animale sociale o solitario. Teorie divergenti si fondano sull'elaborazione di idee che si possono trovare negli scritti di Freud. Secondo la teoria degli istinti l'uomo è alla ricerca del piacere: alcuni suoi impulsi hanno bisogno di essere scaricati e mentre cerca di imparare ad adattarsi al suo ambiente ed a rapportarsi con gli altri, libera questi impulsi in modo egocentrico. L'esigenza fondamentale dell'individuo consisterebbe quindi nel liberare la sua tensione interna ottenendone piacere. L'individuo impara a rapportarsi e a condividere il piacere con gli altri solo in seguito all'educazione e alla pressione dei condizionamenti sociali.
Questa parte della teoria freudiana indica che, in un dato momento, Freud considerò l'uomo come essere solitario che deve imparare a comportarsi socialmente. Ma senza dubbio Freud si rese anche conto che i bambini sviluppano vincoli profondi e duraturi con i genitori e propose una concezione dell'uomo come essere sociale. Questa contraddizione nel pensiero di Freud sembra riflettersi nelle due sottoscuole più importanti della psicoanalisi contemporanea (la «psicologia dell'io» e la «teoria delle relazioni oggettuali») che si sono divise proprio sulla base di questi presupposti.
I sostenitori della psicologia dell'io sembrano dare per scontato che l'uomo sia essenzialmente individualista ed alla ricerca del piacere. La teoria delle relazioni oggettuali, invece, si fonda sull'osservazione che l'uomo ha una forte tendenza a stabilire legami affettivi con gli altri. La parola «oggettuale» è inadeguata ma fa parte del lessico scientifico per ragioni storiche. «Oggetto» è la rappresentazione mentale delle persone significative della nostra infanzia e secondo la teoria delle «relazioni oggettuali» gli episodi di vita interpersonale del bambino incidono in modo duraturo sulla formazione della sua personalità e sul suo comportamento successivo. Dal punto di vista di questa sottoscuola si può dire che l'individuo non è tanto alla ricerca del piacere quanto «alla ricerca di persone». In realtà una serie di lavori sperimentali sembra accreditare questa ipotesi. Ad esempio il bambino piccolo entra in relazione con la madre attraverso la relazione stessa, essendo la ricerca del cibo che essa soddisfa un fattore motivazionale secondario. Questo principio può essere paragonato all'affermazione dello psicologo Durkeim: Gli uomini si associano attraverso l'associazione stessa.

Da dove viene l'angoscia
Non dobbiamo dimenticare che sono passati molti decenni dalla pubblicazione, nel 1900, de «L'interpretazione dei sogni», l'opera con cui Freud pose le fondamenta della disciplina psicoanalitica. Sono trascorsi più di sessant'anni ormai anche dall'apparizione de «L'io e l'es», il libro in cui cristallizzò in modo definitivo il suo modello strutturale dell'apparato psichico. Da allora molti psicoanalisti hanno sviluppato nuovi modelli teorici, si sono verificati ampi cambiamenti sociali, politici e tecnologici e sono apparse sulla scena nuove scienze (come l'etologia e la cibernetica).
Come si sa, Freud postulò per primo l'esistenza di impulsi istintuali sessuali e di autoconservazione, teoria che successivamente sostituì con il dualismo degli impulsi di vita e di morte. E' quindi logico che la prospettiva psicoanalitica presti particolare attenzione alle vicissitudini degli impulsi istintuali dell'essere umano, alla loro espressione, repressione e trasformazione.
In anni più recenti, il modello «lineare» ed «energetico» di Freud è stato messo in discussione. Secondo le regole della causalità lineare, il fattore «A» produce l'effetto «B». Secondo il modello energetico esistono tensioni interne, prodotte dall'accumulazione e dal controllo di energia, che debbono essere scaricate. Freud, ad esempio, supponeva che l'accumulazione di energia sessuale desse luogo ad effetti patologici. Questi concetti furono enunciati sulla base delle conoscenze biologiche di quell'epoca, ma da allora la biologia ha fatto molti passi avanti ed ora si sa che le cose non sono così semplici. Ora dobbiamo pensare in termini di sistemi e sotto-sistemi di interrelazione dinamica, connessi tra loro tramite canali principali e derivati, la cui stabilità dipende dalla preservazione di alcune funzioni omeostatiche essenziali. Studi recenti stanno mettendo in evidenza che la stabilità e l'ottimo funzionamento dell'apparato psichico dipendono dall'esistenza di condizioni favorevoli nel sistema che lo circonda (l'ambiente familiare e sociale). Inoltre, lo sviluppo della personalità dell'individuo viene influenzato enormemente dalle sue esperienze infantili di interazione con il padre, la madre, i fratelli ed altre figure significative del suo ambiente.
Quando fattori esterni minacciano l'equilibrio e l'integrità della psiche, il primo segnale di allarme è l'angoscia o dolore psichico. Questo sintomo segnala uno stato di crisi, ma nel caso in cui la situazione di sofferenza continui o si ripeta incessantemente, come può accadere ad un bambino i cui genitori litighino continuamente, la persona cerca di evitare tanto dolore ignorando le sue esperienze soggettive. In questo caso gli elementi perturbatori vengono eliminati o perlomeno accerchiati e «incapsulati» negli strati inconsci della mente. Allo stesso modo si bloccano i ricordi di episodi interpersonali che originariamente provocano dolore. Senza dubbio questi mezzi di difesa non sono mai sufficientemente efficaci e finiscono per «tradire» il problema, vale a dire che i fattori e i sentimenti repressi continuano ad agire in modo sotterraneo. La funzione dell'analisi è di riportare tutto questo alla coscienza.
Riassumendo, il movimento psicoanalitico riunisce vari gruppi con indirizzi teorici diversi. Tutti però condividono radici storiche comuni: il pensiero di Freud. Gli elementi che li differenziano sono molteplici e complessi. Un primo approccio al tema ci permette di dividere questi gruppi in due grandi linee: a) quelli che privilegiano lo studio delle forze e dei meccanismi endopsichici, biologici e strutturali (le vicissitudini degli istinti, le fantasie inconsce, ecc.); b) quelli che fondamentalmente concettualizzano l'individuo in relazione al suo ambiente. A loro volta questi ultimi possono essere suddivisi in: 1) quelli che accentuano l'importanza dei fattori ambientali (la madre, la famiglia) che agiscono sulla formazione psichica infantile e 2) quelli che si interessano soprattutto delle influenze che la società e la cultura esercitano sull'individuo durante tutto il suo ciclo vitale.
Queste differenze teoriche si ripercuotono sulla pratica terapeutica, sulla sua focalizzazione e sulla sua conduzione. La terapia può essere individuale o di gruppo, ma senza dubbio quest'ultima è molto più congeniale alla concezione «ambientalista» che non a quella «endopsichica». D'altro canto, aldilà della pratica clinica, lo studio psicoanalitico delle interrelazioni tra l'individuo e il suo ambiente durante l'infanzia e successivamente, interessa educatori e sociologhi e ovviamente tutti noi che desideriamo ricostruire la società per renderla più adeguata alle esigenze degli esseri umani.

La psicologia umanistica
Il fondatore della psicologia umanistica fu Jacob L. Moreno, creatore anche dello psicodramma. Moreno era uno psichiatra esistenzialista e non si può capire la psicologia umanistica senza tener presente le sue radici filosofiche. Moreno lavorò con Martin Buber con cui editò a Vienna, dal 1918 al 1920, la rivista filosofica «Daimon».
Uno dei principali problemi che Moreno si pose era come conoscere e modificare la psiche individuale nel contesto della relazione interpersonale paziente-terapeuta. Secondo Moreno gli analisti di quell'epoca erano di orientamento positivista e pensavano di poter studiare l'essere umano come se si trattasse di una cosa oggettivabile. Per Moreno, invece, l'uomo non può raggiungere la sua completezza in solitudine o in relazione agli oggetti, bensì in relazione ad un'altra persona. Vale a dire che la dimensione umana si può conseguire solo attraverso l'«incontro».
Questo modo di vedere è strettamente legato alla filosofia di Buber, che concepiva la relazione dell'individuo col suo mondo ora come «Io-esso» ora come «Io-tu». «Esso» è l'oggetto di conoscenza scientifica, la cosa che la persona può e deve vedere, esplorare, analizzare. Secondo Buber quando l'incontro è diretto, mutuo e profondo, quando ha la qualità dall'«Io» al «tu», questa esperienza reciproca e soggettiva non serve come veicolo di conoscenza scientifica. Questo incontro è un «momento», è un atto creativo di comunione non duratura che non può essere analizzato. Da questa angolazione, il momento dell'esperienza acquisisce una dimensione trascendentale. Poter vivere questo momento in modo totale, con tutto il nostro essere, dandosi completamente, è più importante che decifrare teoricamente i fattori che determinano il nostro comportamento. Si tratta di un'idea un po' astratta ma che, senza dubbio, contiene notevoli implicazioni per la pratica psicoterapeutica giacché propone una rivalutazione dell'incontro umano tra paziente e terapeuta (e tra i membri del gruppo, se si lavora in gruppo) superando la concezione che tende a ridurre questa relazione ad un atto puramente tecnico ed esplicativo.
Moreno emigrò negli Stati Uniti nel 1936 e in questo nuovo paese trovò un terreno fertile per lo sviluppo e la diffusione delle sue idee e del suo metodo terapeutico. All'inizio mantenne una posizione di antagonismo rispetto alla psicoanalisi, ma successivamente riuscì a stabilire un dialogo proficuo con alcuni psicoanalisti. Moreno non si preoccupò di diffondere apertamente l'esistenzialismo europeo, che invece fece la sua comparsa nel Nord-America e influenzò la psicologia attraverso altre persone, come Rollo May. In quel momento le correnti «ambientaliste» della psicoanalisi non si erano ancora sviluppate e molti psicologi e psicoterapeuti non potevano
accettare di considerare l'uomo come una creatura fondamentalmente passiva, in balìa dei suoi conflitti istintuali. Per loro l'angoscia era il risultato immediato dell'aver coscienza che l'«esistere» è una contingenza incompleta e senza significato. La ricerca del significato sarebbe quindi una spinta motivazionaIe primaria e non un prodotto collaterale degli impulsi istintivi.
Il passaggio dall'esistenzialismo europeo alla psicologia nord-americana fu segnato dall'impatto con la cultura di quel paese. Mentre Moreno se ne stava nel suo istituto di Beacon (vicino a New York) in cui insegnava e riceveva pazienti, altri, che avevano fatto proprie alcune sue idee, si lanciarono a proporre la psicologia umanista come rimedio all'insoddisfazione dell'uomo medio. Uno dei nuovi ideologi della psicologia umanista fu Abraham Maslow, che cercava le condizioni per la realizzazione più completa dell'essere umano, concepiva le nevrosi come fallimento dello sviluppo delle potenzialità individuali e glorificava le esperienze «più estreme», momenti intensi e transitori di realizzazione e di estasi creativa.
Carl Rogers, altro pilastro della psicologia umanista, disse che il nucleo fondamentale della natura umana, lo strato più profondo della personalità, è essenzialmente positivo nel senso che tende verso il razionale, il realistico, il costruttivo, il sociale, la crescita e la maturità. Secondo lui, la terapia consiste nel far emergere questo nucleo e non nell'analisi di quelle parti che si suppongono frammentate e represse. Questa impostazione è senza dubbio molto diversa da quella degli psicoanalisti, soprattutto di quelli che credono nell'«istinto di morte» e sostengono che tutti abbiano impulsi distruttivi innati.
In realtà è molto difficile descrivere la psicologia umanista proprio perché non costituisce un movimento con una precisa ed omogenea caratterizzazione teorica. Gli psicologi umanisti sono un gruppo eterogeneo ed utilizzano una grande varietà di metodi: alcuni fanno psicodramma, altri lavorano nel campo della terapia gestaltica, altri si specializzano in bioenergetica, ecc .. In genere ciò che caratterizza ed accomuna gli psicologi umanisti è più che altro un «atteggiamento». Tutti rifiutano il modello «medico» nella pratica terapeutica, preferiscono lavorare con gruppi e, in un modo o nell'altro, includere il corpo (drammatizzazione nello psicodramma, massaggi ed esercizi fisici in bioenergetica, giochi di comunicazione non verbale nei gruppi di incontro).

La psicologia comportamentale
Il comportamentismo si basa sul presupposto che qualunque comportamento - normale o anormale - è il prodotto di ciò che l'uomo ha appreso o non ha appreso. Per gli psicologi di questo orientamento le nevrosi sono il risultato di abitudini apprese, acquisite involontariamente, risposte a stimoli specifici dell'ambiente che si rafforzano attraverso la ripetizione. In effetti, secondo Eysenk - uno dei massimi esponenti di questa tendenza - non esiste nevrosi al di sotto dei sintomi, esistono solo i sintomi stessi. I sintomi sono la malattia. Essenzialmente il problema terapeutico è semplice: «Elimina i sintomi e avrai eliminato la nevrosi».
La psicologia comportamentale nega la concezione psicoanalitica dell'inconscio. Il suo fondatore fu John B. Watson: per lui lo spirito e la vita soggettiva sono cose extra-naturali, mentre la scienza deve limitarsi allo studio dei fatti osservabili. Perché la psicologia sia scientifica, essa deve seguire l'esempio delle scienze esatte: quindi farsi meccanicista, materialista, determinista ed oggettiva. All'interno di questa corrente i lavori di Thorndike, Pavlov e Bechterew sono serviti come punto di partenza per una psicologia che pone l'osservatore completamente al di fuori dell'oggetto di studio: vale a dire che i processi interpersonali e le esperienze soggettive concomitanti non hanno alcun valore. Sulla base di questi presupposti si è sviluppata la terapia comportamentale che, in sintesi, consiste nel condizionare il comportamento del paziente attraverso una serie di manovre che includono «premi» e «punizioni».
La psicologia comportamentale ha compiuto studi di grande importanza sui meccanismi dell'apprendimento e del condizionamento e gli psicologi di questa tendenza hanno creato tecniche terapeutiche utili in alcuni casi clinici. L'accettazione e la diffusione di questa psicologia e metodologia terapeutica sono state decisamente maggiori nei paesi anglosassoni che non nei paesi latini. Anche se disponiamo di scarse informazioni su quello che accade dietro la cortina di ferro, sappiamo che la riflessologia, cioè la variante russa del comportamentismo, ha lo statuto di scuola «ufficiale» e probabilmente è anche l'unica ad avere il diritto di esistere (il movimento psicoanalitico russo fu distrutto dallo Stato nel 1919).

Aspetti politici della psicologia
Come ho appena detto, non si può assolutamente scartare tutto quello che sostengono gli psicologi comportamentali, convinto come sono che non vi sia nessuna scuola psicologica che non abbia alcuni principi validi ed utili. Da un lato essi hanno scoperto alcuni meccanismi di apprendimento e condizionamento del comportamento di grande interesse scientifico. Dall'altro hanno inventato alcune tecniche terapeutiche che permettono di aiutare quei pazienti che, per un motivo o per l'altro, non possono ottenere risultati ricorrendo alla psicoterapia analitica o umanista.
Prendendo in esame queste tre psicologie, comunque, dobbiamo separarne i diversi aspetti. Ciascuna psicologia si fonda su una filosofia di base. Ciascuna psicologia, e soprattutto quelle analitica e comportamentale, sviluppa ed utilizza presupposti scientifici derivati dal proprio indirizzo o presi da altre discipline. Ciascuna psicologia offre una gamma di tecniche terapeutiche la cui utilizzazione nel lavoro clinico dipende anche dalla capacità e dalla bravura personale del terapeuta, così come sia la filosofia di base che il modo in cui viene praticata l'arte terapeutica possono avere implicazioni, risultati e conseguenze socio-politiche.
A livello filosofico, ad esempio, la psicologia comportamentale si disinteressa delle esperienze soggettive dell'uomo e di fatto le nega, mentre a livello scientifico offre dati utili. A livello politico può essere pericolosa, come vedremo, mentre a livello psicoterapeutico è un sistema di ingegneria del comportamento. Appare quindi importante separare teoricamente i diversi aspetti di ciascuna psicologia per evitare di effettuare estrapolazioni scarsamente utili ad una reale comprensione. Il terapeuta comportamentale non si interessa della personalità globale dell'individuo né delle sue preoccupazioni esistenziali. Quello che gli interessa soprattutto è eliminare quei comportamenti scomodi per l'individuo e per la società e sostituirli con altri più adeguati per entrambi. Ad esempio può aiutare un agorafobico ad uscire dalla sua casa o una persona con paura del dentista a sottoporsi ad un'estrazione. Una volta stabilito l'obiettivo con la collaborazione volontaria del paziente, il terapeuta interviene in modo attivo per influenzare il comportamento del suo cliente. Negli esempi citati questo tipo di azione sembra avere, apparentemente, propositi benefici, ma è certo che la sperimentazione di queste tecniche può anche servire ad una causa ben più pericolosa: la manipolazione psicologica del comportamento umano. Al contrario, gli psicoanalisti cercano di influenzare il meno possibile i loro clienti, non danno consigli né istruzioni e invece di determinare il corso degli eventi cercano di mettere le carte in tavola affinché la persona possa giudicare liberamente.
Dal punto di vista politico, la psicologia umanistica inizialmente assunse una posizione più radicale della psicoanalisi. Come abbiamo già detto Moreno era influenzato da Buber, le cui posizioni erano molto vicine alle idee libertarie. Moreno era un tipo un po' stravagante e molta gente non lo prendeva sul serio: anche per questo a volte alcune sue opinioni sono state ignorate. Egli difendeva la libertà, la pace e la solidarietà e sognava una società utopica. A volte le sue idee erano incredibilmente ingenue, come quando disse che se i capi di stato avessero formato gruppi di psicodramma, forse avrebbero rinunciato al potere e si sarebbe potuta evitare la seconda guerra mondiale. Ma nutriva anche un grande amore e solidarietà per tutte le minoranze e per tutti gli emarginati.
Uno dei primi e più significativi esperimenti di terapia di gruppo fu da lui realizzato con prostitute di Vienna, non tanto per esaltare la prostituzione, quanto per riscattare l'umanità che esse avevano al di là del ruolo che era stato loro assegnato. Inoltre Moreno creò un metodo di ricerca sociologica che chiamò «sociometria», allo scopo di risolvere i problemi che impediscono l'organizzazione di base dei gruppi e delle istituzioni. Quando Moreno emigrò negli Stati Uniti si dedicò soprattutto all'insegnamento e furono altri ad assumere la leadership del movimento umanista e a proporre nuovi metodi di lavoro. All'interno di questa corrente lo psicodramma cessò di essere la tecnica di lavoro preferenziale, ma senza dubbio tutta questa gente, in un modo o nell'altro, fu influenzata dal pensiero moreniano.

Ma la psicanalisi non deve essere un lusso
Mentre le istituzioni psicoanalitiche di tutto il mondo si trasformavano progressivamente in entità dogmatiche, burocratiche e settarie, sempre disposte a scomunicare ed escludere quegli eredi che, come Wilhelm Reich, si allontanavano dalla dottrina ufficiale, il movimento umanistico si trasformò in un conglomerato ambiguo, indefinito ed eterogeneo di dissidenti della psicoanalisi che cercavano nuovi spazi di libertà. Ciononostante, sia le radici esistenzialiste sia la natura libertaria di questo movimento si diluirono sotto la pressione dei fattori socio-economici e culturali così pregnanti negli Stati Uniti e nei paesi industrializzati: il consumismo, la mercificazione, la credenza che in questo mondo il segreto della felicità risiede nell'iniziativa privata. In questo modo le domande poste dai filosofi esistenzialisti trovarono facili risposte: «facciamo dei gruppi di incontro e potremo ridare un senso alla vita».
All'inizio gli psicologi umanistici si proponevano come il crogiuolo di una nuova cultura e credevano di poter educare la gente alla pratica di una libertà fino ad allora sconosciuta nel contesto di quelli che alcuni di loro chiamarono «laboratori sociali». Essi attribuivano caratteristiche paradisiache a questi gruppi che rappresentavano un «mondo felice» raggiungibile qui ed ora. Il messaggio era: «se sei scontento della tua vita e del mondo in cui vivi, la sola cosa che devi fare è partecipare ai nostri gruppi».
Ancora una volta è necessario ricordare che una cosa è una teoria o una corrente di pensiero e un'altra quello che fanno le persone che dicono di rappresentarla. Succede spesso che i membri di un movimento riescano a tradire il suo spirito originario: nel caso della psicologia umanistica ai problemi esistenziali furono date risposte ingenue, la sua potenzialità rivoluzionaria perse vigore sotto l'influenza del liberalismo, il desiderio di facilitare il contatto tra le persone portò ad una intimità forzata.
Nel frattempo la psicoanalisi è sopravvissuta conservando la sua identità e il suo potenziale creativo, malgrado le divisioni degli psicoanalisti dovute a differenti interpretazioni e sfumature, e l'analisi di gruppo, nata in seno al movimento psicoanalitico, si sta espandendo velocemente. Delle tre psicologie, nessun'altra ha potuto svilupparsi in tutti i sensi (numericamente, scientificamente, istituzionalmente) come la psicologia analitica. Nessun'altra è riuscita a costruire una teoria così completa della personalità e dei processi psicopatologici. Si tratta di una teoria non esente da contraddizioni interne, ed in costante revisione, ma la cui matrice fondamentale è solida.
I problemi della psicologia analitica risiedono nelle sue istituzioni. Indipendentemente da tutti gli aspetti positivi della psicoanalisi, le sue istituzioni crearono training costosi, accessibili solo a membri delle classi agiate che difficilmente potevano liberarsi completamente dall'ideologia della loro classe. Il trattamento psicoanalitico in sé è riservato all'élite che lo può pagare e questo è un dato drammaticamente evidente in paesi come il Brasile o il Cile, in cui le differenze di classe sono molto marcate e gli psicoanalisti sono ricchi e lavorano per i ricchi. Molti credono che la psicoanalisi sia un lusso desiderato e creato da chi lo può pagare. Non è così: indipendentemente dalla classe sociale d'appartenenza, molta gente avrebbe bisogno di un trattamento psicoanalitico. Non si può generalizzare, visto che ci sono psicoanalisti che hanno scelto deliberatamente di lavorare in istituzioni sociali e di sviluppare la psicoterapia analitica di gruppo, meno costosa e - per fortuna - molto efficace.
Poiché le conoscenze psicoanalitiche possono essere applicate alla psicoterapia di gruppo, all'educazione, alla psicologia sociale e alla politica, le istituzioni psicoanalitiche si specializzano in forme professionali che teoricamente dovrebbero dedicare la vita ad un numero limitato di pazienti ad alto livello economico. Sia la psicoanalisi applicata, sia qualunque possibilità di integrare la psicoanalisi con altre discipline e correnti di pensiero, restano comunque escluse dal funzionamento delle istituzioni ufficiali che legittimano solo quegli sviluppi basati sulla pratica individuale, quasi che solo la psicoanalisi individuale sia la vera psicoanalisi, senza prendere in considerazione lo studio sistematico delle relazioni interpersonali e la dinamica dei gruppi e delle istituzioni dalla prospettiva dell'inconscio.
Di fronte a questa realtà alcuni professionisti decisero di restare fuori dalle istituzioni ufficiali anche a rischio di perdere la legittimazione e la sicurezza di lavoro ad esse legate. In anni recenti sono sorte in vari paesi associazioni indipendenti di terapeuti che lavorano sia in analisi individuali sia in analisi di gruppo.

Sulle orme di Freud
Freud fu un genio creativo che si ribellò alle norme culturali di una società puritana ed ipocrita e criticò l'uso della coercizione sociale. Nel suo libro «L'avvenire di una illusione» disse che la società moderna congela emozionalmente l'uomo e toglie spontaneità alla sua vita. La prima guerra mondiale lo colpì profondamente e lo spinse ad analizzare le cause che portano gli esseri umani a distruggersi vicendevolmente. Uno dei suoi massimi valori era la libertà personale e l'obiettivo del suo metodo terapeutico la liberazione dell'individuo dalle coercizioni interne. Egli non cessò mai di criticare la società in cui viveva e gli avvenimenti politici. Anche se il suo pensiero non è scevro da contraddizioni ed ambiguità e contiene un certo grado di elitismo, non si può disconoscere che egli non era un conformista ed era autenticamente preoccupato dai problemi della nostra civiltà.
E' tragico, invece, che tanti psicoanalisti contemporanei si «disinteressino» dei problemi socio-politici. Ho usato le virgolette perché, in realtà, questo atteggiamento clinico asettico non può essere altro che compiacenza o complicità.
Tre sono i problemi che credo vadano accuratamente separati. Il primo riguarda la necessità di riscattare la possibilità che la psicoanalisi - come scienza dell'inconscio - ci offre per investigare i problemi umani e sociali da una prospettiva politica. Il secondo riguarda la necessità che la psicoanalisi sia un sistema teorico aperto all'integrazione di altre discipline ed ai progetti, certamente validi, della psicologia umanista. Il terzo, infine, si riferisce a un problema socio-politico ed etico: la terapia deve essere accessibile a tutti coloro che ne hanno bisogno.

(traduzione di Fausta Bizzozzero)


La fatica di diventare adulti

A 17 anni ho incominciato ad avere il desiderio di chiarire una fobia che avevo fin da piccola, così mi sono rivolta ad una psicologa. La frequentai per circa tre mesi. Un piccolo approccio abbastanza superficiale, data l'età, ma che ha dato il via al conflitto tra la mia volontà di raggiungimento della mia autonomia personale, che questa paura impediva, e le resistenze che tutto questo cambiamento comportavano.
A 20 anni la confusione era più grande, come era più grande il desiderio di stare bene e di raggiungere quell'unità tra mente e corpo che è strettissima. Ho avuto così il coraggio di rivolgermi di nuovo alla stessa psicologa, la quale mi consigliò di iniziare una psicoterapia di gruppo. Mi sono fidata di questo consiglio ed ho fatto bene.
Iniziai la terapia e capii subito che la mia fobia era soltanto un paravento, come una fotografia di un'altra me stessa che mettevo davanti alla mia faccia, che non mi permetteva di vedere la vera personalità che c'era dietro. Perciò non restava altro che lasciare da parte la fobia e finalmente parlare di me, dei miei problemi, in poche parole, cominciare a conoscermi.
Incominciai a capire che il raggiungimento dell'autonomia personale, ossia la capacità di sentirsi bene anche quando si è soli con se stessi senza bisogno di inutili dipendenze o di compensazioni, è una cosa difficilissima e faticosissima da raggiungere. Perché richiede coraggio, responsabilità, fiducia in se stessi e un equilibrato senso della realtà.
Tutte queste cose richiedono una scelta, quella di diventare persone adulte, perciò di rinunciare all'essere bambini e a tutto ciò che esser bambini comporta. Ho scoperto che a tutte l'età si può essere bambini, se uno lo decide. Io ho deciso di essere una persona adulta, e l'analisi mi ha aiutato a fare questo passaggio dalla adolescenza.
Il lavoro che io ho svolto pricipalmente con me stessa e con altre 9 persone, compresa la psicanalista, mi ha portato ad avere un metodo di analisi e la capacità di poter affrontare da soli i problemi della vita in modo equilibrato. Dopo tre anni e mezzo mi sentii di continuare questo lavoro da sola, di poter contare sulle mie forze, così lasciai l'analisi, ma mi accorsi ben presto che quello non era che un inizio.
Da numerose persone ho sentito molte critiche sulla psicanalisi. Naturalmente la psicanalisi è soggettiva: io sono un esempio positivo, ve ne possono essere negativi, ma spesso ho potuto constatare che questa non fiducia verso la psicanalisi è verso se stessi, a causa delle proprie resistenze. In effetti per cambiare ci vuole molta fatica e sofferenza, e io lo posso ben dire, ci vuole molto tempo, «troppi anni, ma chi me lo fa fare?». Ma è proprio in questa fatica che si ha contatto con se stessi e questo fa troppo paura.
Non riesco ad immaginarmi una persona che riesce a cambiare in un giorno, non si può dare un termine di tempo alla terapia psicanalitica, ognuno ha i suoi tempi.
Lo ripeto ancora, la psicanalisi non è che un lavoro che tu fai con te stesso per creare quell'equilibrio che è necessario per vivere e stare bene, in cui la psicanalista non è nient'altro che una persona che può aiutarti in questo e che certo non può farlo per te.
Per creare questo equilibrio bisogna avere chiarezza di ciò che si vuole, ma spesso ci si sente in dovere di fare una cosa perché la fanno gli altri e non perché la si vuole veramente. C'è un sacco di gente, ma proprio tanta, che non sa veramente quello che vuole perché non si accorge dei tabù, delle frustrazioni, dei pregiudizi e delle inibizioni della propria educazione e cultura. La mia esperienza mi ha aiutato a liberarmi in parte da tutto ciò e mi ha dato la possibilità di migliorarmi criticamente.
Per quanto mi riguarda non condivido la critica molto frequente rivolta al compito sociale dello psicologo o psicanalista, infatti secondo tale critica l'individuo viene reinserito nella società, ossia viene «curato» affinché ne accetti le regole. A mio parere anche se questa riaffermazione di sé non viene cercata in generale a livello ideologico, ossia non incita primariamente ad una rivoluzione politica, economica o sociale, rimane una riaffermazione individuale dove il singolo impara ad agire nel proprio interesse, in modo autonomo, ad esprimere i propri sentimenti ed a esercitare i propri diritti senza negare i diritti degli altri nel suo ambiente immediato e abituale, cioè a casa, al lavoro, a scuola, nei negozi e nei ristoranti, nei vari tipi di incontri con gli altri ossia mette in evidenza la propria diversità.
Questo non è per niente in contraddizione con ciò che un anarchico cerca di fare perché per un anarchico è molto importante la propria autoaffermazione, ed è proprio questo che la psicanalisi, come strumento, può aiutare a fare.

Loredana


Attenzione ai venditori di fumo

Parlare della mia esperienza psicoanalitica mi risulta abbastanza difficile. Si corre il rischio di essere poco obiettivi, soprattutto se la psicanalisi ci ha abituato a risolvere alcuni dei nostri problemi o se ci ha aiutati a capire meglio noi stessi.
All'età di 14/15 anni, a causa di un grosso shock, ho sofferto per alcuni mesi di una grave forma di anoressia (rifiuto totale del cibo), ho cominciato a soffrire di insonnia connessa ad altri problemi di tipo nervoso .... mi sono così rivolta ad uno psicanalista ed ho iniziato una psicoterapia individuale durata sei anni.
La strada che ho percorso è stata lunga e difficile, la tentazione di mollare tutto era frequente, la sofferenza nello sviscerare il proprio essere ancora peggiore. Era difficile avere una netta sensazione di miglioramento, mi ricordo di avere avuto per molto tempo la sensazione di non risolvere assolutamente niente. Fortunatamente (o sfortunatamente, non so) non avevo davanti a me altre vie d'uscita e quindi ho continuato.
Il risultato finale direi che è stato più che soddisfacente. Non ho sicuramente risolto tutti i miei problemi, non sono nemmeno una persona sempre felice o serena, continuo come tutti ad avere i miei alti e bassi, i miei momenti di depressione. Lo psicanalista non è certamente stato un mago che con un incantesimo mi ha completamente trasformata, era semplicemente una persona che aveva gli strumenti necessari per aiutarmi a capire chi ero, cosa volevo, cosa non sarò mai e forse vorrei essere. Ho semplicemente imparato ad accettarmi così come sono.
Quindi, per me, la psicanalisi è sicuramente stata un'esperienza positiva, ma non sono acritica nei suoi confronti, anzi, proprio perché l'ho vissuta personalmente, penso di aver visto più da vicino di molti altri gli aspetti talvolta negativi di questa pratica.
Gli psicanalisti che ho consultato inizialmente mi hanno dato la chiara dimostrazione di quanto possa essere negativa la loro influenza. Spesso ho trovato che alcuni di questi consideravano una «devianza» il mio essere contraria e riluttante ad ogni tipo di moralismo o di conformismo, della cosiddetta società-bene. Non ero anarchica a 14 anni, ma avevo già una netta avversione per ogni tipo di autorità esercitata nei miei confronti, non sopportavo la morale comune e spesso questa mia avversione è stata considerata come la fonte di ogni mio problema. Secondo alcuni dovevo essere reinserita in un loro schema ben preciso che non lasciava spazio a dubbi od a incertezze, la normalità era una sola, ogni strada che deviasse da quella maestra era sicuramente la causa principale della mia frustrazione e delle mie crisi depressi ve. Penso che per ogni anarchico i commenti siano superflui.
Bisogna quindi stare ben attenti nella scelta della persona che per molti anni guiderà la nostra «ricerca» (di cosa non so bene, forse del nostro lato nascosto). L'onestà dello psicanalista ci impedisce anche di diventare psicodipendenti da lui: è ben noto lo sfruttamento delle depressioni altrui da parte di molti psicanalisti che, a scopo di lucro, permettono il continuo ripetersi di sedute ormai inutili per il paziente. In America il numero degli psicodipendenti è enorme. Bisogna saper capire quando è giunto il momento in cui ogni soluzione dipende da noi; capita la causa dei nostri problemi, bisogna avere la forza di affrontarli direttamente, ed una persona se è valida deve aiutarci nel distacco invece di aprofittare della nostra debolezza e delle nostre insicurezze.
Quindi sì, la psicanalisi può essere certamente utile per molti, basta non affidarsi ciecamente nelle mani di venditori di fumo. Bisogna salvaguardare la nostra essenza, mantenerla ad ogni costo, salvarla da inutili tentativi di «normalizzazione», perché altrimenti si corre il rischio di trasformare la nostra anarchia in un nuovo «inconscio» sommerso da tante gratificanti sedute psicanalitiche.

Antonia