Rivista Anarchica Online
La guerra prossima ventura
di Michael T. Klare
Mentre la sessione speciale sul disarmo dell'ONU era riunita a New York, lo scorso giugno, con il
dichiarato obiettivo di trovare una soluzione per la pace nel mondo, ci si stava nel frattempo
avvicinando sempre più ad un conflitto nucleare. All'inizio della sessione solo due potenze nucleari
- Israele e Gran Bretagna - erano impegnate in ostilità militari (rispettivamente in Libano e alle
Falkland), mentre altre nazioni, alleate dell'una o dell'altra delle superpotenze, erano impegnate in
guerre altrove. Nonostante nessuno di questi conflitti abbia provocato lo scoppio di una guerra
nucleare, non è difficile immaginarsi come in futuro qualche variante in simili conflitti possa
«impazzire» e rappresentare la miccia di uno scontro nucleare. Un'analisi approfondita delle attuali
tendenze mondiali porta alla terrificante conclusione che la terra è caratterizzata da un numero
crescente di conflitti militari, i quali sono a loro volta caratterizzati da un crescente rischio di
escalation nucleare. L'aumentato rischio di guerra nucleare non è il risultato di un solo fattore, bensì della convergenza
di un certo numero di eventi che si muovono nella stessa direzione. Tra questi vi sono certamente i
più recenti sviluppi della tecnologia nucleare - in particolare l'introduzione delle cosiddette armi di
counterforce, come i missili M-X, messi a punto per un iniziale attacco nucleare - ma vanno
sottolineati anche gli sviluppi sul terreno politico e diplomatico nonché delle armi convenzionali,
non-nucleari. Il mondo degli armamenti convenzionali sta infatti conoscendo una rivoluzione
profonda quanto quella delle armi nucleari e questa rivoluzione delle armi convenzionali rende più
probabile lo scoppio di una guerra nucleare. Il crescente legame tra armi convenzionali e guerra nucleare è anche una conseguenza del fatto che
le recenti innovazioni tecnologiche dell'industria bellica - in particolare lo sviluppo dei nuovi
esplosivi e di armi «intelligenti» (con quasi il 100% di sicurezza nel colpire l'obiettivo) - hanno
reso le armi convenzionali letali e distruttive come mai fino ad oggi. Ne deriva che le future guerre
combattute con le più moderne armi convenzionali produrranno livelli elevatissimi di violenza e di
distruttività (un esempio: le devastazioni provocate in Libano dall'invasione israeliana), con il
risultato di produrre le condizioni perché l'uno o l'altro dei belligeranti si senta tentato (o costretto)
a far uso delle armi atomiche. In effetti, è questo lo scenario più probabile dell'inizio di un conflitto
nucleare. Tenendo poi presente la crescente tendenza delle maggiori potenze nucleari ad intervenire
in conflitti locali del Terzo Mondo, il rischio di un simile evento aumenta di giorno in giorno
sempre più. C'è un diretto legame tra armi convenzionali e interventismo da una parte ed escalation nucleare e
catastrofe globale dall'altra. Purtroppo il movimento pacifista ha teso finora a sottovalutare questo
legame e ad affrontare separatamente le questioni dell'interventismo e della guerra nucleare. Molti
attivisti del movimento antinucleare, perciò, credono che il nostro esclusivo obiettivo sia
l'eliminazione delle armi nucleari e che allora, e solo allora, potremo affrontare la questione delle
armi convenzionali. Nel loro desiderio (certo comprensibile) di mettere un freno alle armi nucleari,
alcune organizzazioni per il controllo degli armamenti hanno perfino proposto aumenti nelle armi
convenzionali degli USA, come parte di un piano per la riduzione delle armi nucleari in Europa.
Altri gruppi hanno sostenuto che è l'interventismo la questione centrale e che il disarmo nucleare è
ora di secondaria importanza. Da quanto accennato prima, però, dovrebbe risultare ovvio che le
questioni dell'interventismo e delle armi nucleari sono inseparabili e che perciò il movimento
pacifista dovrebbe affrontarle come un'unica questione, da vedere con un'analisi ed una strategia
globali. Solo una strategia che unisca queste due questioni, infatti, può condurre a risultati concreti
contro la violenza globale del mondo contemporaneo. Per mettere appieno in evidenza l'ineludibile necessità di un simile collegamento, è essenziale che
si esaminino qui le attuali tendenze mondiali, che stanno rendendo sempre più vicina una guerra
nucleare. 1) Le armi convenzionali stanno diventando sempre più simili a quelle nucleari per quanto
attiene la loro capacità di distruggere grandi concentrazioni di gente. In seguito alle recenti
scoperte nel campo della tecnologia degli esplosivi e delle armi, i costruttori di armi sono oggi in
grado di produrre armi convenzionali che hanno l'impatto distruttivo di una piccola bomba atomica.
L'industria bellica americana e tedesco-federale, per esempio, ha messo a punto delle bombe «a
grappolo» che sparpagliano su vaste aree urbane (qualcosa come 75 caseggiati!) delle bombe antiuomo, che uccidono, mutilano o paralizzano chiunque non sia protetto in rifugi. E, a causa
dell'opposizione antinucleare in Europa, i cervelli della NATO stanno accellerando lo sviluppo di
altri tipi di armi convenzionali, che hanno un raggio mortale pari a quello di piccole bombe
atomiche. 2) Ne consegue che le armi convenzionali stanno diventando di gran lunga più feroci e
distruttive che mai in passato. Come abbiamo visto alle Falkland e in Libano, le guerre
combattute con moderne armi convenzionali producono altissimi livelli di violenza e di distruttività
in periodi di tempo relativamente brevi. Con l'introduzione delle armi «intelligenti», inoltre, ogni
colpo è destinato a centrare l'obiettivo: così le guerre future provocheranno distruzioni enormi da
entrambe le parti, indipendentemente da chi eventualmente «vincerà» la guerra. La nuova «Guida
alla difesa» pubblicata dal segretario di stato alla difesa Caspar Weinberger nel maggio '82 osserva
infatti: «Lo scenario delle future guerre differirà profondamente da quelli che abbiamo conosciuto
in passato. Lo scontro con le forze armate sovietiche, o sostenute dai sovietici, sarà di più alta
intensità e di più lunga durata, con armi di ben maggiore precisione nel colpire l'obiettivo (...)». 3) Al contempo, le armi nucleari stanno sempre più assomigliando a quelle convenzionali nella
loro capacità di distruggere aree geografiche relativamente delimitate. Proprio come i
costruttori di armi convenzionali sono spinti a «pensare alla grande» al fine di costruire armi con
una distruttività quasi pari a quella nucleare, così i costruttori di armi nucleari sono spinti a
«pensare alla piccola» al fine di costruire ordigni nucleari tattici con lo stesso raggio mortale delle
armi convenzionali di grande portata. La bomba al neutrone non è che un risultato di questo
processo. L'obiettivo evidente di questo sforzo è la produzione di armi convenzionali e nucleari che
siano essenzialmente interscambiabili, rendendo così più semplice per le alte sfere militari la
giustificazione del passaggio dall'una all'altra forma di armamento. 4) Il cosiddetto «firebreak» (differenza di fuoco) tra le armi convenzionali e quelle nucleari
sta dissolvendosi. Quando comparvero le prime armi nucleari, c'era un grande «firebreak» tra la
più potente delle armi convenzionali e la più piccola delle armi nucleari, ed era perciò più facile per
i governanti il controllo dei conflitti prima che fosse varcata la soglia critica tra armi convenzionali
e nucleari. Come risultato di quanto detto nei precedenti punti 1) e 3), però, questo «firebreak» sta
scomparendo rapidamente. E poiché è probabile che le future guerre convenzionali saranno
combattute a livelli di violenza molto più alti che in passato, è facile immaginarsi una situazione in
cui le autorità militari - temendo la perdita delle loro forze di fronte alle armi convenzionali del
nemico - varchino questa soglia ed inizino ad utilizzare armi nucleari tattiche. E' questo, infatti, lo
scenario più probabile dell'inizio di una guerra nucleare. 5) Ci sono più punti caldi e zone di guerra oggi che mai in passato. Dopo la seconda guerra
mondiale, le superpotenze hanno esercitato un sostanziale controllo sulle attività militari dei loro
clienti ed alleati, limitando così i conflitti a quelle guerre che loro stessi avevano iniziato o alle
quali comunque partecipavano. Oggi la rivalità Est-Ovest si è mantenuta inalterata, ma l'erosione
dell'egemonia delle superpotenze ha permesso l'insorgere di nuove tensioni: la rivalità Nord-Sud, i
contrasti interni al Terzo Mondo, conflitti religiosi come lo scontro tra Iraq ed Iran, dispute
territoriali come quella per le Falkland, e via discorrendo. 6) Inoltre sempre più paesi del Terzo Mondo stanno acquisendo la capacità di combattere
guerre convenzionali ad alta intensità. Una volta le armi convenzionali di vasta portata e gli
arsenali di armi convenzionali sofisticate erano prerogativa esclusiva delle superpotenze e dei loro
più stretti alleati. Oggi, invece, molti paesi del Terzo Mondo dispongono di armi moderne a vasto
raggio e - grazie agli aiuti militari e alla politica di vendita adottata dalle maggiori potenze - enormi
riserve di armi moderne. Secondo il congressional Research Service della Biblioteca del Congresso
degli Stati Uniti, tra il 1974 ed il 1981 i maggiori fornitori hanno consegnato ai paesi del Terzo
Mondo: 18.211 carrarmati e cannoni semoventi, 22.686 pezzi d'artiglieria, 813 navi da guerra di
superficie, 6.041 aerei da combattimento e 29.795 missili terra-aria. Inoltre, nella loro fame di
profitti, i maggiori produttori di armi hanno venduto ai paesi del Terzo Mondo anche le loro armi
più avanzate e sofisticate, come i missili Exocet usati dall'Argentina per affondare le navi inglesi
nel conflitto delle Falkland. Ne consegue che le guerre future, in qualunque parte della terra
avvengano, saranno combattute con il medesimo livello di violenza e distruzione che noi ci
aspetteremmo in un conflitto tra le superpotenze sullo scacchiere europeo. Questo dato di fatto è
particolarmente preoccupante perché 7) le potenze nucleari sembrano tendere sempre più ad intervenire nei conflitti locali del
Terzo Mondo. Alla faccia delle loro assicurazioni di disimpegno, le due superpotenze stanno
estendendo le loro capacità di intervento a livelli senza precedenti; al contempo hanno adottato
politiche che rendono il loro uso sempre più probabile. Dopo il Vietnam, il governo americano -
pressato dalla mobilitazione popolare - assunse una posizione di non intervento nei conflitti interni
al Terzo Mondo e, con la «dottrina Nixon», affidò a «gendarmi» come l'Iran e l'Indonesia il
compito di proteggere gli interessi americani all'estero. Con la caduta dello scià, però, Washington
ha perso la sua fiducia in simili «gendarmi» ed ha ripreso a studiare la pianificazione di un
interventismo americano all'estero. Fin dalla sua nomina, il presidente Reagan ha accelerato
l'espansione dell'apparato interventista americano ed ha minacciato di servirsi di tutte le possibilità
a disposizione contro vari nemici: i guerriglieri del Salvador, i sandinisti in Nicaragua, i cubani in
Africa, ecc .. Nell'ambito di questa politica, Reagan ha inoltre auspicato l'espansione delle
cosiddette forze speciali americane - i «berretti verdi» ed altre organizzazioni sempre sul tipo del
«commando», utilizzate per la prima volta nella guerra del Vietnam - al fine di dotare gli USA di
rinnovate possibilità di intervento nei conflitti del Terzo Mondo. Questa costruzione delle forze d'intervento - in particolare la Rapid Deployment Force (una cui
unità sarà ospitata nella base NATO siciliana di Sigonella, ndr) e le forze navali USA - è parte
essenziale del massiccio programma di riarmo di Reagan. L'Unione Sovietica, nel frattempo, ha
dimostrato dal canto suo una forte propensione all'intervento all'estero: si è procurata un supporto
logistico per operazioni militari di vasta portata grazie ai suoi alleati in Angola, Cambogia ed
Etiopia, ed è intervenuta con le sue forze armate in Afghanistan. Ed anche se finora Mosca ha
evitato di impegnarsi direttamente nella crisi polacca, resta comunque possibile un futuro
coinvolgimento militare sovietico in Polonia o in qualche altro paese dell'Europa orientale. Una
volta, dunque, accertata la propensione delle superpotenze all'interventismo e la continua
proliferazione dei possibili scenari di guerra, è ovvio che ci troviamo dinnanzi al rischio quantomai
reale di un coinvolgimento degli USA o dell'URSS in un conflitto, o addirittura di un
coinvolgimento contemporaneo delle due superpotenze. E ciò conduce al più terribile degli incubi: 8) il mondo sta rischiando più che in passato un conflitto nucleare. Nessuno può predire il
futuro, ma la logica di questa deduzione appare ineludibile. Una volta accertato il fatto che il
mondo è caratterizzato da una crescente incidenza di guerre locali con un livello sempre più alto di
violenza e di distruttività, ed una volta accertato il fatto che le superpotenze sembrano sempre più
inclini ad intervenire in simili conflitti, e prospettando la possibilità che l'una o l'altra delle
superpotenze si trovi a dover fronteggiare in simili condizioni una disastrosa disfatta militare,
miscelando tutto ciò e accendendo il tutto con il fatto che sta svanendo il «firebreak» tra armi
convenzIonali e nucleari, allora non potrà che risultare terribilmente ovvio il fatto che ci troviamo
dinnanzi ad una minaccia reale ed ineludibile di catastrofe nucleare. Questa, certo, è una litania terrificante. Ma il mio obiettivo, nel recitarla, non è tanto quello di
terrificare, quanto quello di dimostrare l'assoluta necessità di collegare la lotta per il disarmo
nucleare a quelle per il non-interventismo e per il controllo del traffico d'armi internazionale.
Qualsiasi strategia di pace che tralasci di stabilire questo collegamento non riuscirà a centrare il
fattore più pericoloso nell'attuale corsa agli armamenti: la convergenza tra stimoli all'interventismo,
rivoluzione nelle armi convenzionali e crescente rischio di distruzione nucleare totale. Il collegamento tra anti-interventismo e disarmo nucleare non è solo una necessità strategica, ma
fornisce anche al movimento pacifista un'opportunità senza precedenti. Innanzitutto offre le basi
per coalizioni tra il movimento antinucleare ed i vari movimenti anti-interventisti (come quello
contro l'intervento americano nel Salvador). Inoltre - fatto ancora più importante - offre le basi per
coalizioni con tutti quei settori (i poveri, i vecchi, le minoranze, gli handicappati) che pagano le
conseguenze dello slittamento degli stanziamenti pubblici dal settore sociale all'apparato militare.
Infine fornisce le basi per collegare la vasta persistenza di un sentimento anti-interventista (la
cosiddetta «sindrome del Vietnam») al crescente esprimersi di un sentimento antinucleare. Per tutte queste ragioni, ma soprattutto per la terrificante litania che ho descritto prima, si deduce
che è assolutamente indispensabile che il movimento pacifista affronti il non-interventismo ed il
disarmo nculeare come obiettivi interconnessi di una stessa battaglia. In definitiva, non vedo altra
via possibile, per prevenire il fatto che una guerra d'intervento combattuta con le armi
convenzionali diventi una guerra tra le superpotenze combattuta con armi nucleari, che prevenire la
guerra d'intervento al suo primo stadio.
(dalla rivista canadese Our Generation, autunno 1982).
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