Rivista Anarchica Online
La nuova dissidenza
di Violette Marcos
Il XX congresso del PCUS, nel 1956, merita il titolo di congresso degli inganni: esso ha infatti
dimostrato l'abilità del potere assoluto. Il famoso «rapporto segreto» di Krusciov, venuto in
possesso della stampa mondiale, rappresenterà l'astuzia suprema. Ormai, e per più di vent'anni, lo
stalinismo sarà sinonimo di goulag: l'orrore, l'assurdo saranno denunciati. Era ora! Si dirà. Ma nello stesso tempo un solo colpevole sarà denunciato: Stalin! Il potere
sovietico uscirà invece ripulito da quesa operazione, anzi, in molti casi sarà ammirato per il
coraggio della sua autocritica. Questo, per l'URSS, ha rappresentato un'operazione positiva. Ma nel '65, il campo della critica rimane apparentemente aperto. L'intellighentia si arresta alla
denuncia degli aspetti spettacolari dello stalinismo. Abbandonando ogni analisi politica di fondo,
«dimenticando» che i primi campi di concentramento furono aperti da Lenin, tutti gli scritti di
questo periodo si limitano alla critica della parte visibile (la più scandalosa) dell'iceberg sovietico.
Così per qualche tempo, l'illusione di rinnovare il partito e di ripulirlo fu ancora molto forte.
Vecchia tesi sulla cattiva «direzione operaia». Ma il revisionismo, anche se moderato, sfonda
rapidamente quelli che il potere considera i limiti dell'accettabile. La destituzione di Krusciov
sancisce la fine dell'autorinnovamento del partito. La dissidenza poteva nascere. «Pensarla diversamente» in Russia significa essere dissidenti. Si può diventarlo in ogni momento.
Molti lo sono stati, molti rimangono tali. Ma «agire diversamente» significa diventare un dissidente
sovversivo e questo prevede dei rischi maggiori. Con la scomparsa dell'«opposizione legalitaria»
degli anni di Krusciov la dissidenza adotta una nuova tattica. Ormai non si occupa più del problema
politico, si mantiene invece nei limiti precisi della legalità e non ha ufficialmente che un solo
obiettivo: far applicare la costituzione. Sono giuristi pedanti e gallonati quelli che alzano la fronte
davanti al potere. Il 5 dicembre 1965 a Mosca prende il via il movimento. Una manifestazione di circa 200 persone,
unite dietro le parole d'ordine di un testo chiamato resistenza, un autore del quale è il matematico
Esseine-Volpine. La manifestazione ha per scopo la protesta contro l'arresto degli scrittori
Siniavski e Daniel: si conclude con numerose interpellanze. Ma ormai la strategia della dissidenza è
fissata: battersi solamente per la stretta osservanza della legge, fare di tutto per ottenere la
pubblicità dei processi. Il suo interlocutore e avversario è dunque il potere; suo portavoce e suo
strumento sarà la stampa occidentale. I legami tra dissidenti e movimenti sociali (scioperi, rivolte)
sono inesistenti: la dissidenza si rivolge non all'opinione pubblica russa, ma ai paesi dell'Ovest. I
processi contro i dissidenti provocano una vasta eco in occidente. L'Unione Sovietica danneggiata dalle denunce dei dissidenti decide di riattivare le operazioni del
K.G.B. Dal suo arrivo al K.G.B., nel '67, Andropov comincia a rinnovarne i metodi di intervento.
La macchina repressiva diventa così meno brutale in apparenza ma più repressiva nella realtà. Gli
artefici di questa politica sono dei giovani intellettuali e quadri di partito dei quali Andropov ha
saputo circondarsi. La loro strategia si articola su due linee: limitare la dissidenza e emarginarla al
massimo dal contesto sociale. Per limitarla, si diversifica la repressione. Certo le pene rimangono
molto alte (Siniavski e Daniel sono rispettivamente condannati a 7 e 5 anni di reclusione nei
«campi»), la repressione rimane implacabile con il moltiplicarsi dei processi. Nello stesso tempo le
tecniche repressive si affinano: si instaurano gli ospedali psichiatrici e si supera l'immaginazione
nei delitti. Alla violazione dell'ordine pubblico si aggiungono ora i reati di «vagabondaggio»
(contro i cosiddetti «huligani»), di traffico di valuta, ecc. Comunque, processo a porte aperte o no,
la stampa occidentale continua a dare largo spazio alla dissidenza, e questa, già limitata nei suoi
orientamenti iniziali, si impantana nella spettacolarità. In questo modo, all'ideologia, il dissidente
oppone la legge. All'anonimato della repressione egli risponde con la pubblicità e atteggiamenti da
primadonna. Ecco allora i professionisti della dissidenza: Soljenitsin, Sakharov, Guinzbourg,
Boukovski ... Ma dietro di loro e attraverso loro il partito si scontra con una opposizione più diffusa. Per mezzo
dei samizdad, molto numerosi dopo il '68, le analisi della dissidenza vanno diversificandosi. Nella
maggior parte dei testi è difficile trovare una critica radicale al regime. Si possono riscontrare delle
correnti, delle evoluzioni. Col passar del tempo i revisionisti più o meno legati al partito diventano
meno numerosi, mentre aumentano gli interventi dei democratici e dei nazionalisti religiosi e non.
Negli anni '70 la corrente «neo-radicale» è rappresentata dal marxista Medviedev. Egli sviluppa
un'analisi assai limitata sul fenomeno dello stalinismo, che sarebbe «un fenomeno profondamente
estraneo al marxismo-leninismo». Questo gli permette di mantenere l'illusione che «è
l'intellighentia che ha il compito di guidare le masse per valorizzare le sue azioni e promuovere
nella nostra società delle tradizioni democratiche». Medviedev è tuttavia uno dei pochi dissidenti a
diffidare dei rapporti intercorsi tra la dissidenza e l'occidente. Oggi l'assenza di una dissidenza chiara e sincera è riscontrabile nella maggior parte dei samizdad.
Al contrario la corrente democratica, che è dominante, produce delle analisi quantomeno bizzarre:
«Noi pensiamo che il capitalismo assicuri oggi nel mondo il più alto livello di vita, le più ampie
libertà individuali. Consideriamo quindi criminale e inutile la lotta al capitalismo in tutte le sue
forme». L'atomizzazione della società sovietica spiega in parte l'esiguità delle discussioni. I
movimenti sociali, gli scioperi, non sono conosciuti che molto più tardi (per esempio lo sciopero di
Novotscherkass del '62 venne fatto conoscere solo nel '75). La cesura tra dissidenti e società è
quindi dovuta alle strutture esistenti. Lo stato è impegnato ad accentuare questa emarginazione del
dissidente facendo leva su tematiche razziste o nazionaliste che coincidono con i sentimenti diffusi
tra la classe operaia. Alla fine degli anni '60, la prigione domina sulla Russia, Brezhnev è nella sua
forma migliore. Nel '68, l'ONU inaugura l'anno dei diritti dell'uomo, e i dissidenti ne approfittano. La «Cronaca
degli avvenimenti in corso», celebre samizdad, consacra alle dissidenze la maggior parte dei suoi
articoli. Le fonti di informazione sono allora inesauribili, dal momento che i campi di
concentramento «ospitano» secondo le fonti, tra 1,7 e 5 milioni di prigionieri alla fine del 1967. Se la strategia della dissidenza non si è evoluta durante il decennio, la repressione non si è fermata.
Ai metodi tradizionali si aggiunge, quando tutte le altre misure repressive si rivelano inefficaci, o
quando l'opinione pubblica internazionale si interessa troppo al contestatore, l'espatrio forzato.
Soljenitsyn viene espulso nel '74 e nel '73 viene impedito a Medviedev il ritorno in URSS. Tutti i
gruppi dissidenti, umanitari o meno, subiscono una sorte analoga. La repressione, l'isolamento e gli
abbagli dell'occidente sembrano aver avuto ragione della dissidenza degli anni '70. Anche se limitata nei suoi obiettivi, questa dissidenza degli anni '70 aveva tentato di sollevare la
cappa di piombo che pesa sul popolo sovietico. E' a partire da questo lavoro che nascono oggi dei
gruppi che tirano le somme degli errori commessi dalla generazione precedente. Più politicizzati,
questi gruppi non si rivolgono più all'occidente, ma tentano di rompere le barriere che dividono i
diversi gruppi sociali. Nel '78 nasce il «Gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti degli invalidi»,
una delle sue prime azioni è una dichiarazione di solidarietà con le vittime della guerra in
Afghanistan. L'anno dopo, l'«Almanacco delle donne in URSS», denuncia lo sfrutamento della donna sovietica
divenuta «schiava dello schiavo», come scrive N. Malakohvskaia. La stessa strategia si ritrova
nello SMOT («Unione interprofessionale libera dei lavoratori») creata nel 1977. Lo scopo di questo
sindacato è quello di «difendere i suoi membri in caso di violazione dei loro diritti nelle diverse
sfere della loro attività». Il sindacato si rivolge al proletariato. Ancora sulla stessa linea è il
«Gruppo di iniziativa per la democrazia popolare» che ha l'obiettivo di «organizzare delle
organizzazioni politiche di diverse tendenze e di indirizzarle alla gente». Dopo l'arresto del gruppo,
sembrava che ci fossero state delle relazioni tra questo gruppo e lo SMOT. Nel momento in cui la
repressione si accentua, (dicembre '82: arresto di dieci dirigenti dello SMOT), la dissidenza sembra
essersi evoluta. Il «leaderismo» è abbandonato, come anche il rifiuto sistematico di tutto il
socialismo. La dissidenza sembra impegnarsi maggiormente nella critica sociale dello stato
sovietico. Il periodo aperto col XX congreso potrà essere allora definitivamente chiuso. Andropov
non può permettersi di mitizzare la situazione reale in URSS. La dissidenza nemmeno. Il tempo
degli inganni è finito.
(dalla rìvìsta francese Agorà, febbraìo 1983).
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