Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 106
dicembre 1982 - gennaio 1983


Rivista Anarchica Online

CNT e potere socialista
di Luis André Edo

Dal 12 al 16 gennaio 1983, a Barcellona, nel «Palacio de los deportes», si terrà il 6° congresso della Confederacion Nacional del Trabajo («Confederazione nazionale del lavoro»), l'organizzazione anarcosindacalista spagnola che ha legate a sé alcune tra le pagine più esaltanti e più tragiche della storia dell'anarchismo internazionale. E' questo il 2° congresso della CNT dopo la fine del franchismo: il precedente (il 5° appunto), che si tenne a Madrid, nel salone della «Casa de campo», tra l'8 ed il 16 dicembre 1979, è stato infatti il primo dopo una lunghissima parentesi di quasi mezzo secolo. Bisogna infatti risalire al 1936, alla vigilia della guerra civile e della rivoluzione, per segnare un altro congresso della C.N.T. (il 4°).
E' ormai passata l'euforia del '79, quando il solo fatto di «celebrare» (come dicono in Spagna) un congresso della CNT suscitava profonde emozioni, perché testimoniava della sopravvivenza (se non necessariamente della vitalità) di un'organizzazione e più in generale di un movimento che più duramente di tutti gli altri aveva pagato il tragico prezzo della vittoria franchista, dell'esilio, della rigida spartizione del mondo in blocchi, ecc. Oggi la CNT, più ancora che nel '79, i suoi conti deve farli con il presente e con il futuro, più che con il passato: e sono conti difficili, perché difficile è la situazione socio-politica spagnola, difficile è forgiare analisi e strategie per un'efficace presenza libertaria.
Già il 5° congresso, con la successiva dolorosa lacerazione della CNT per la fuoruscita della cosiddetta tendenza «paralela» (rimandiamo in proposito all'articolo di Pep Castells su «A» n° 81), aveva mostrato in tutta la sua gravità la difficoltà di uscire dalle secche della problematica organizzativa interna per proiettarsi nel sociale. Rispetto ai primissimi anni del post-franchismo, quando ai meeting della CNT accorrevano decine di migliaia di lavoratori e di giovani, quando si aprivano sempre nuove sezioni, si promuovevano scioperi locali o settoriali, le cose sono cambiate - per tanti aspetti in peggio. Ma - e non lo afferiamo certo per sminuire la gravità della situazione - questo cambiamento e questo peggioramento hanno affiitto un po' tutte le forze politiche e sociali spagnole.
Ma i socialisti? Ed il loro trionfo elettorale? E' proprio da un'intelligente analisi del voto, che ha portato Gonzales al governo, che parte l'articolo di Luis Andres Edo che pubblichiamo in queste pagine. Edo è noto ai nostri «vecchi» lettori, sia perché nei primi anni '70 «A» partecipò alla campagna di solidarietà con la Spagna libertaria (campagna che aveva nella richiesta di liberazione di Edo e di altri antifranchisti anarchici incarcerati una delle sue costanti), sia perché successivamente Edo, ripreso il suo posto nella CNT, ha avuto modo di collaborare con la nostra rivista. Tra l'altro, Edo ha partecipato ai lavori della «Conferenza internazionale di studi sull'autogestione» (Venezia, settembre 1979).
Come già nel '79, il congresso della CNT sarà «affiancato» da tutta una serie di iniziative pubbliche, conferenze, dibattiti, proiezioni cinematografiche (sono preannunciati filmati assolutamente inediti sulle vicende del '36/'39), spettacoli teatrali, mostre (tra cui una con fotografie e documenti provenienti dagli Archivi della CNT ad Amsterdam) e un festival della canzone di protesta. Con la propabile partecipazione di Chomsky, Bookchin, Roussopoulos ed altri, ci sarà anche la presentazione in Europa dell'Istituo Anarchos, che raggruppa studiosi libertari residenti in Nord America. E' previsto anche un dibattito tra militanti della CNT e dell'UGT (il sindacato socialista) sulla situazione attuale del movimento operaio, di fronte alla nuova realtà del «potere socialista».

Segnalate con molto anticipo, tutte le previsioni sulla tendenza del corpo elettorale verso il voto ai socialisti sono state ampiamente superate dai risultati. Parlare di una vittoria socialista è, senza dubbio, una schematizzazione che non recepisce tutti i significati del responso popolare. I socialisti sono i primi interessati a non commettere equivoci nel valutare questo risultato. Innanzitutto perché la loro vittoria giunge con cinque anni di ritardo: nel '77 infatti questo risultato avrebbe significato automaticamente la ruptura politica, stimolata dalla voglia di cambiamento che caratterizzava allora la società spagnola. Oggi questa euforia non c'è, e questa vittoria giunge nel vuoto, nel seno di una società civile totalmente disarmata, smobilitata, con tutte le correnti sociali rupturistas neutralizzate e sommerse nel riflusso. La vittoria socialista non è stata il frutto dell'entusiasmo, il frutto della volontà di cambiamento, no, questa vittoria è la conseguenza di un voto difensivo, risposta al voto di paura cercato dalla grande destra. E' un voto istintivo quello che è stato espresso.
E questa è la seconda considerazione che devono tener presente i socialisti. Ha dato voti più ai socialisti l'istinto popolare che il contenuto del loro programma o la loro abile campagna elettorale o gli errori dei loro avversari. La grande destra ed il centro filo-governativo hanno progressivamente creato in questi ultimi anni un ambiente sociale e politico di angoscia, brandendo abilmente il pericolo golpista, non riducendolo con misure concrete, anzi accreditando la sua immagine.
Disarticolate, svincolate dagli «apparati» politici e sindacali della sinistra, le correnti popolari sottoposte da una parte alla tensione costante del pericolo reazionario e dall'altra alla politica del consenso promossa da questi stessi «apparati» della sinistra, hanno risposto con un istinto difensivo. Nonostante non se lo siano guadagnato con la forza, i socialisti cercheranno di sfruttare questa attitudine alla legittima difesa, ma per ora è il voto istintivo che si è servito dei socialisti.
Nella vittoria in queste elezioni a suffragio universale convergono tendenze che hanno diverse origini, a volte contrastanti: si blocca il voto comunista, si attrae quasi la metà del voto di centro e «si morde» sul settore tradizionalmente astensionista. Se ciò accade è perché ci troviamo in presenza di un elemento comune presente nel corpo della società civile che, al di là delle differenze anche stridenti, ha permesso questa convergenza sul voto socialista. Questo elemento non è altro che la risposta alla politica della paura da parte dell'istinto della legittima difesa. Ma nel seno di questo voto composito si trova il germe della sua stessa dissoluzione. Ed è questa la terza valutazione che devono compiere i socialisti. In effetti, una volta scomparso lo stato di legittima difesa, svanirà l'apparente unanimità del voto maggioritario, meramente formale, privo della benché minima solidità ideologica.

L'astensionismo della CNT e del movimento libertario
Tanto dall'interno della CNT come da diversi settori del movimento libertario si sono levate voci di protesta per l'assenza di una campagna di vaste proporzioni, sostenuta dalla CNT, in favore dell'astensione. Questa critica è diretta principalmente contro l'atteggiamento dei comitati rappresentativi della CNT: il comitato nazionale, i comitati regionali e le grandi federazioni locali.
Se è indiscutibile che questo atteggiamento c'è stato, è altrettanto vero che le succitate critiche non reggono all'analisi più elementare. Nelle risoluzioni prese al Plenum nazionale delle federazioni regionali della CNT, tenutosi a Madrid lo scorso 2 ottobre, sono state espresse le ragioni dell'astensionismo della CNT, sulla cui base si poteva sviluppare una campagna. Se poi questa campagna non si è certo sviluppata con maggior impeto, le cause non devono essere ricercate unicamente nell'atteggiamento dei comitati rappresentativi, bensì nella mancanza di entusiasmo da parte dei sindacati, cioè degli aderenti alla CNT. Quante volte in passato i sindacati e i loro iscritti hanno scavalcato nella CNT i comitati rappresentativi? Come mai questa volta non c'è stato alcuno scavalcamento?
La CNT e i suoi iscritti non si trovano certo al di fuori della società, isolati dalle correnti, dagli impulsi e dai sentimenti che attraversano i diversi strati sociali, ed è assolutamente logico che tali fenomeni si ripercuotano tra i suoi iscritti. Se la volontà astensionista della CNT manca nella sua base (cioè nei suoi aderenti) è assolutamente logico che questo fenomeno si ripeta a tutti i livelli dell'organizzazione, compresi i comitati rappresentativi.
Di fronte ad un fenomeno sociale di tale vastità, l'atteggiamento della CNT, con o senza campagna astensionista, è un elemento secondario, dal momento che focalizzare le analisi solo su di una critica alla CNT significa correre il rischio di trascurare la «vastità del bosco» concentrandosi unicamente sul «piccolo albero» rappresentato, in questo caso, dall'atteggiamento della CNT.

Ma l'ateneo del Pueblo Seco ...
Esaminando in generale il movimento libertario, l'assenza di una campagna astensionista è stata praticamente totale, per cui le sue critiche contro la CNT risultano ancor più tendenziose. A sua discolpa va sottolineato che il movimento libertario non possiede alcuna struttura che possa facilitare lo sviluppo di una campagna generale, il che non ha però impedito che vi siano state meritorie eccezioni, come l'iniziativa dell'Ateneo Libertario del Pueblo Seco, radicato in un sobborgo popolare di Barcellona.
L'iniziativa di questo Ateneo merita di esser segnalata non solo perché è stata un'eccezione, sviluppatasi durante tutta la campagna elettorale in vari sobborghi di Barcellona e nelle frequentatissime Ramblas (i vialoni dove si svolge il tradizionale passeggio, cuore della vita del capoluogo catalano. n.d.r.), ma anche come un precedente che dev'essere studiato attentamente, tanto nella forma come nello stile, basato su una satira mordace cui certamente non ha giovato il fatto di essere un'iniziativa isolata.
La pubblica messa in scena satirica di una campagna elettorale come quella sviluppata dall'Ateneo Libertario di Pueblo Seco apre una nuova via alla scelta astensionista, rompendo con gli schemi tradizionali che da un secolo caratterizzano l'intervento portato avanti su questo terreno dal movimento libertario. La satira è stata realizzata sulle pubbliche piazze, con uno scenario adeguato, con tre telecamere false, cinque compagni dell'Ateneo che recitavano la parte di altrettanti candidati (leader dei principali partiti politici) caricaturando i loro programmi e i loro tic, imitando i loro gesti e i loro discorsi, sotto il fuoco di fila delle domande di un «presentatore» o di una «presentatrice» della TV, personaggi anche questi caratterizzati da altri due compagni dell'Ateneo.
Questo modo di ridicolizzare la campagna elettorale era del tutto nuovo in Spagna, al punto che nel successivo turno di domande ai «candidati», generalmente preparate nella trama della satira, alcuni dei presenti partecipavano al processo convinti di trovarsi di fronte agli autentici leader e formulavano domande serie: solo dopo le risposte di tutti i «candidati» scoprivano che si trattava di una commedia.
Facciamo un solo esempio per far comprendere lo stile esatto di questa satira. Una giovane donna fece questa domanda chiave: «Voi volete il voto della donna, che cosa pensate di dirle, durante la campagna elettorale, per ottenerlo?». I cinque «candidati» si alzarono in piedi tutti insieme, si incominciò a sentire una musica di sottofondo e i cinque «candidati» all'unisono intonarono in perfetta sincronia la famosa canzonetta «Besame, besame mucho ... », modificando le parole in «Votame, votame mucho, ahora, come si fuere, hoy, la ultima vez ... » («Votami, votami molto, ora, come se oggi fosse l'ultima volta»).
Una seconda conclusione che deve essere tratta da questa eccellente iniziativa del succitato Ateneo è che, proprio perché si tratta di un caso unico nell'ambito del movimento libertario, costituisce la prova di un'evidente mancanza di immaginazione, che peraltro non manca in altri campi. Di fronte alla campagna elettorale questa immaginazione è come «pietrificata», bloccata su due possibilità: o la manifestazione furibonda o il mutismo. L'Ateneo del Pueblo Seco ci ha dimostrato che esistono altre dinamiche nel comportamento astensionista.

La «ruptura» come prospettiva
Quando morì Franco vi fu in Spagna, per molti mesi, un'atmosfera sociale di euforia rupturista, in cui tutto sarebbe stato possibile se non fossero venuti meno i settori organizzati del movimento operaio e della sinistra politica. Ma gli uni e gli altri imboccarono la strada del consenso con le formazioni del post-franchismo, invece di scatenare una dinamica di ruptura, quando l'estrema destra ed alcuni settori e istituzioni dello stato si trovavano in una situazione di evidente sbandamento. L'atteggiamento riformista della sinistra impedì che questo sbandamento si trasformasse nell'inevitabile svolta, e il governo dell'UCD (Unione di Centro Democratico) fece il resto, permettendo il recupero della grande destra, di nuovo pronta ad affrontare la campagna elettorale, sotto la guida di Fraga Iribarne, lo «Strauss spagnolo». Si perse allora l'occasione storica per una ruptura politica e si rese necessario, per avanzare lungo la «via della Riforma», neutralizzare l'ambiente sociale di euforia, cioè neutralizzare un movimento sociale di innegabile segno libertario, con evidenti contraddizioni al suo interno, peraltro logiche e giustificate. Sotto qualsiasi forma, era quello l'unico spazio politico nel quale la CNT doveva riversarsi per contribuire alla ruptura.
La CNT invece si mise a fare del sindacalismo, non dell'anarco-sindacalismo. «Fare del sindacalismo» è un'attività che non si traduce in risultati validi, se non dopo un lavoro paziente, tenace, lungo, mentre il «momento» storico che si viveva allora esigeva una strategia a tempi brevi per accrescere la disarticolazione della grande destra. E questa strategia la CNT non poteva perseguirla se non attraverso il citato movimento sociale.
Come abbiamo detto questa vittoria socialista arriva nel vuoto, in piena smobilitazione, arriva quando la società civile è incapace di generare le sue proprie «difese naturali». Se fosse necessario trovare un solo esempio per evidenziare l'innegabile esistenza di questa incapacità, sarebbe sufficiente segnalare l'atteggiamento impassibile del movimento operaio di fronte ai massicci licenziamenti di lavoratori, in molti casi votati e volontariamente accettati da loro stessi, conseguenza della «disoccupazione tecnica» provocata da una riconversione industriale che tiene conto esclusivamente degli interessi del grande padronato di fronte alla prospettiva dell'entrata spagnola nel Mercato Comune. Questa smobilitazione è giunta a tal punto che si è arrivati al punto di accettare di mettere in discussione la propria esistenza di movimento nel quadro delle correnti operaie. Sempre ammesso che esistano ancora gli «Apparati Operai». Altra cosa più discutibile è affermare l'esistenza del movimento operaio.
Ma esistono altri spazi sociali, altrettanto vitali, nei quali l'incapacità di mobilitazione della società civile è manifesta: l'università, l'ecologia, l'antimilitarismo, nei quali solo dei gruppuscoli «di testimonianza» portano avanti una lotta diseguale circondati dal vuoto assoluto.
La situazione penitenziaria critica e tesa, con un codice penale obsoleto che data dal 1883, che i sei anni di parlamentarismo democratico sono stati insufficienti per riformare, la tanto sperata legge penitenziaria che una volta approvata è risultata inapplicata ed inapplicabile, la riforma, che non arriva mai, del codice di procedura penale in base al quale un terzo dei carcerati è detenuto anticostituzionalmente, costituiscono nell'insieme dei fattori che aggravano sostanzialmente l'atteggiamento repressivo di un regime che ha dimostrato l'impercorribilità della Riforma per giungere alla ruptura. Un regime nel quale la tortura continua ad essere il metodo generalizzato della pratica poliziesca, nel quale è inoltre evidente la dipendenza del sistema giudiziario dal potere poliziesco e politico. Il tema della repressione, che in Spagna non è mai stato considerato un tema «marginale» ma un autentico «problema generale» della società, costituisce oggi più che in passato un tema di mobilitazione.
Di fronte a questa smobilitazione si capisce meglio il «gesto facile» del voto attribuito, per istinto, ai socialisti, nonostante loro siano stati uno dei settori politici responsabili dell'involuzione riformista.
Questo è il panorama che eredita il potere socialista. Ma non mischiamo le carte in tavola: questo voto istintivo massiccio concesso ai socialisti nasconde una «manovra», altrettanto istintiva, non programmata né razionalizzata (il che non significa irrazionale) nella quale vi è un chiaro desiderio di ruptura. Il «gesto facile» del voto non dimostra l'inesistenza di una volontà di ruptura, ma è solo la prova dell'incapacità della società civile ad impiegare, in questi tempi, altri metodi migliori per la ruptura.

Per la scarcerazione dei detenuti politici
Se in effetti la drammatica situazione dei carcerati comuni non è stata sufficiente per mobilitare i settori sociali, a parte alcuni gruppi minoritari e gruppi specialistici, a partire dai massicci scioperi della fame che si stanno sviluppando da un anno in più di cinquanta carceri fino alle lotte del rancio di 3.000 detenuti nei giorni della visita del papa in Spagna, è certo che durante la campagna elettorale i socialisti si son visti obbligati a mantenere colloqui riservati con vari settori della sinistra, nel corso dei quali si è discusso del futuro dei prigionieri politici. E non si tratta solo dei controversi negoziati tra Roson, il ministro degli interni, e l'vvocato basco Bandrés, rappresentante di Euskadi Ezkerra, svolti si per più di un anno, ma di un piano generale di scarcerazione dei detenuti implicati nelle istruttorie dei processi politici, la cui «chiave» si trova nei negoziati segreti iniziati a Parigi durante la campagna elettorale tra rappresentanti dell'ETA militare e del Partito Socialista. Non pare, secondo le ultime indiscrezioni, che questi negoziati stiano per essere denunciati dai socialisti dopo l'attentato effettuato a Madrid il 2 novembre, che è costato la vita al generale comandante della brigata Brunete, Lago Romàn, quando il nuovo governo socialista non era ancora in carica.
Anche i detenuti libertari sono stati oggetto di un colloquio svoltosi il 7 ottobre a Madrid tra il segretario generale della CNT, José Bondia, e il vicesegretario generale del PSOE, Alfonso Guerra, nel quale si è discussa la sorte di più di 50 detenuti libertari e cenetisti, e di dozzine di esiliati, alcuni con rischio di estradizione, come nel caso di Jesus Fortes in carcere a Roma dall'inizio dell'anno.
A questo proposito il comitato nazionale della CNT, riunito in assemblea plenaria nei giorni 6 e 7 novembre, ha stabilito di continuare i contatti con i nuovi responsabili del governo, al fine di studiare tutte le misure che saranno necessarie per accelerare la scarcerazione generale dei detenuti libertari. Questa assemblea plenaria della CNT si rivolge a tutti i sindacati ed ai suoi iscritti, così come a tutto il movimento libertario; perché si mantengano pronti a mobilitarsi in appoggio alla scarcerazione dei compagni. Si rivolge al contempo al movimento libertario internazionale perché promuova una campagna generale contro l'estradizione dei compagni in Spagna e in appoggio al libero ritorno in Spagna dei libertari esuli e perseguitati.
Tutto questo movimento in merito alla situazione dei detenuti politici, promosso da diversi settori della sinistra durante la campagna elettorale e intensificato nel periodo antecedente la presa del potere da parte dei socialisti, dimostra ancora una volta (come tante altre nella storia di questo paese) che la sorte dei detenuti politici può costituire l'elemento che permette il rilancio di una dinamica di mobilitazione esplicitamente di ruptura in seno ai diversi strati della società civile spagnola.