Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 100
aprile 1982


Rivista Anarchica Online

Volontà, rivoluzione, libertà
di Nico Berti

A prima vista sembra che Malatesta non abbia dato un contributo originale al pensiero anarchico. L'impressione iniziale che si ha leggendo i suoi scritti, è quella di una "sintesi" e di una sistemazione concettuale del precedente patrimonio di pensiero. Insomma, grande "sistematore", grande "sintetizzatore", grande "divulgatore", ma non grande pensatore, non grande teorico.
L'impressione - a mio avviso - è totalmente errata. Secondo me, Malatesta in questa sintesi, in questa sistemazione e in questa divulgazione, ha dato all'anarchismo forse il contributo più grande di tutta la storia del pensiero anarchico: ancora oggi superare la "soglia Malatesta" mi sembra francamente un'impresa disperata. Voglio dire che, sul piano della proposizione, della positività dell'anarchismo risulta quasi impossibile aggiungere qualcosa di nuovo a quanto lui aveva già detto o anche solo accennato. Ripeto, e sia ben chiaro, sto parlando del piano della proposizione, cioè del piano dell'esplicazione teorico-pratica che tramuta, per così dire la dottrina da verbo ad azione. Il che significa che gli scopi dell'anarchismo e quella che potremmo chiamare la "deontologia professionale" dell'anarchico che attualizza questi scopi nella e con la sua azione, nella complessiva delineazione concettuale malatestiana, sono ancora oggi difficilmente superabili.
Per arrivare a questo traguardo Malatesta ha diviso i fini dell'anarchismo dalla sua scienza analitica. In altri termini ha dovuto dimostrare come la validità universale dell'anarchismo non dipende dalla comprensione e dalla considerazione storica del presente, per cui, una volta individuate le forze e i significati di queste forze in questo presente, il futuro si dia come complessiva deduzione del passato, ma dipenda, invece, dal valore universale dell'anarchismo stesso. Vediamo di spiegarci. I teorici anarchici precedenti (Goodwin, Proudhon, Bakunin) o a lui contemporanei (Kropotkin, Merlino) avevano tutti cercato di dare, chi più chi meno un fondamento teorico all'anarchismo. Volendo dare cioè una spiegazione e una giustificazione della validità oggettiva dello stesso. Chi cercando i fondamenti nella ragione (Goodwin), chi nelle leggi della società (Proudhon), chi addirittura nel determinismo naturalistico (Kropotkin). Teorie volte a spiegare la validità dell'anarchismo sulla base di un'analisi del presente e di una deduzione per il futuro. Ad esempio: se tutti gli uomini hanno quale elemento comune più importante la ragione (Goodwin), fondiamo su essa, sulla sua esplicazione universale, la validità della proposta di una società di liberi ed uguali. Oppure, se tutti i beni economici e materiali della civiltà sono dovuti alla combinazione dell'insieme congiunto degli individui in società, per cui niente si dà se non come prodotto di una forza collettiva e di un essere collettivo (Proudhon), fondiamo sul riconoscimento e sull'esplicitazione di questa "verità" il valore del socialismo. Infine (ma l'elenco potrebbe continuare a lungo) poiché tutta l'evoluzione umana (che è indefinitivamente progressiva) ha potuto darsi grazie alla pratica generale e costante delle leggi naturali del mutuo appoggio (Kropotkin), troviamo quella scienza capace di renderci coscienti di queste stesse leggi per basare su esse l'organizzazione della società armonica nella libertà di tutti.

giudizi di fatto e giudizi di valore

Ora questo insieme, ma si potrebbe aggiungere quella bakuniniana dell'equivalenza fra l'analisi delle classi dovute alla divisione del lavoro e la ricomposizione di queste attraverso la rivoluzione, non è fuso e sintetizzato da Malatesta in un unico quadro concettuale che, scartando le parti caduche di ognuna, presenti la "summa" del pensiero anarchico. Niente di tutto questo da parte sua. Si può dire invece che per Malatesta il problema è, in un certo senso, tutto l'opposto: come dare un fondamento all'anarchismo - che in questo caso dovrà essere veramente universale - senza chiuderlo dentro le maglie di un sistema.
Per lui la via è una sola: svincolare ed autonomizzare i fini di questo, da qualunque deduzione che voglia essere necessitante, univoca, oggettiva e definitiva con il presente. La deduzione, egli afferma, è già implicita nelle cose e sempre ci sarà il modo più adeguato per esplicitarla finché tali cose non si risolveranno nell'ordine anarchico. Ora, poiché la deduzione muta con le cose stesse, è inutile e dannoso far dipendere gli scopi dell'anarchismo da questo mutamento. Gli scopi non possano essere dedotti da un presente in continua mutazione, né possono essere ricavati da una sua pura negazione.
Per dare un fondamento veramente universale dell'anarchismo bisogna invece riflettere su quello che motiva lo stesso anarchismo. Si scoprirà così che la motivazione, o l'insieme delle motivazioni, non è più dovuta ad una deduzione, ma ad una aspirazione. In altri termini, si scoprirà che gli scopi dell'anarchismo sono tutti costituiti da valori. Ne viene del tutto logicamente che l'anarchismo non è fondato su un essere, ma su un voler essere.
Questo è il punto centrale di tutta la riflessione malatestiana. Qui sta la sua straordinaria modernità, nell'avere cioè capito che i giudizi di fatto non possono assolutamente coincidere con i giudizi di valore. Tutto ciò è profonda concordanza con le acquisizioni di tutto il pensiero epistemologico contemporaneo, che stabilisce una netta demarcazione tra le cosiddette scienze normative e le cosiddette scienze descrittive. Le prime appartengono alla sfera dei valori, cioè del dover o voler essere, le seconde invece appartengono alla sfera della realtà fattuale, cioè dell'essere. In altri termini le prime sono soggettive, le seconde oggettive. Tra loro vi è in un certo senso un salto logico, perché non si può ottenere una inferibilità di direttive e valori dalle descrizioni e previsioni. Mi spiego: la previsione che si attui la società di uomini liberi ed uguali non comporta il valore di essa e la direttiva di cercare di raggiungerla. Così la libertà, l'uguaglianza, la solidarietà - vale a dire i valori costitutivi dell'anarchismo - non sono proposizioni subordinate una volta per tutte a spiegazioni scientifiche ma a giustificazioni etiche dell'agire umano volto verso il futuro.

il "decantamento storico" dell'anarchismo

L'importanza assegnata al voler essere invece che all'essere, cioè all'aspirazione invece che alla deduzione o alla negazione, è l'indice più evidente del decantamento storico dell'anarchismo come puro anarchismo. Malatesta esprime nel modo più compiuto questo decantamento. È lui, più di qualsiasi altro, che fa dell'anarchismo o, per meglio dire, che porta l'anarchismo a differenziarsi da qualsiasi altra dottrina socialista o comunista o rivoluzionaria e a costituirsi come specifica e distinta dottrina anarchica. È lui che fa dell'idea anarchica una dottrina a sé, espungendone tutti gli elementi spuri e contraddittori. È lui che dà una completezza insuperabile al modo di vedere, al modo di essere, al modo di sentire dell'anarchismo, dando a questo insieme una logica del tutto propria. Infatti questo insieme di operazioni che si snodano con l'evoluzione storica del movimento anarchico si può dire che coincidano in gran parte con il sessantennio malatestiano:1872-1932.
Ora, la costituzione dell'anarchismo come puro anarchismo, se da una parte evidenzia la necessità di questa specifica creazione quale mezzo primario per far avanzare l'emancipazione umana, dall'altra comporta la reale separazione pratica tra questo mezzo e la tendenza generale, ma anche del tutto generica dell'emancipazione popolare. Si apre così un problema difficilmente risolvibile. L'anarchismo deve mantenersi come specifico movimento ideologico, ma non può assolutamente perdere il contatto con l'azione popolare. Deve rimanere rivoluzionario senza diventare settario, continuare ad essere insurrezionalista senza rinchiudersi in un attendismo paralizzante, mantenere l'integrità della dottrina senza ridursi alla ripetitività stereotipata della propaganda fine a se stessa.
Come risolvere questi problemi? Come fare che l'anarchismo sia nella storia, ma contemporaneamente contro la storia? Come mediarsi con il processo evolutivo del movimento operaio e socialista senza rincorrerlo e assecondarlo nelle sue tendenze più rinunciatarie?

la distinzione fra anarchismo e anarchia

La risposta che Malatesta dà è ricavata proprio dalla distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di valore che abbiamo visto sopra: se gli scopi dell'anarchismo trascendono ogni deduzione univocamente necessitante ed oggettiva con il presente, bisogna per forza operare una distinzione pratica e teorica fra anarchismo e anarchia. Il primo si media con la storia, acquisendo tutti i giudizi di fatto che questa storia produce nel suo continuo mutamento, la seconda si mantiene contro la storia perché il processo storico non può mai coincidere con i giudizi di valore che l'anarchia esprime.
Malatesta apre così una sostanziale distinzione epistemologica tra anarchia ed anarchismo. La prima costituisce l'ideale, la meta mai completamente raggiungibile della libertà e dell'uguaglianza, e perciò l'insieme dei motivi che stanno alla base dell'agire anarchico; il secondo invece costituisce l'insieme teorico-pratico della traduzione di questi valori e di questi motivi nel processo storico e come tale fa da tramite dinamico fra la deduzione mutevole e relativa del presente e gli obiettivi universali del futuro. L'anarchismo può quindi utilizzare e far proprio qualunque strumento di comprensione dell'esistente (se ciò serve per il futuro verso cui si tende), mentre l'anarchia non ha bisogno, per sussistere, di essere "giustificata" da tale spiegazione.
Con questa operazione Malatesta sottrae l'anarchismo da ogni caducità storica, non perché lo pone solo su un piano puramente etico e morale, ma perché proietta i suoi scopi, cioè i suoi valori, oltre la contingenza e il mutamento. Insomma, la deduzione è necessaria per contestualizzare l'anarchismo dentro il processo storico, perché ne individui le forze e le tendenze in atto, ma non per dare spiegazione e giustificazione dell'anarchia, cioè dei motivi ultimi che fanno sussistere l'anarchismo. La distinzione fra anarchismo e anarchia spiega l'intero disegno strategico e tattico malatestiano. Pensiamo, ad esempio, alla sua più importante implicazione: il rapporto con il movimento operaio. Il movimento anarchico deve rimanere un movimento specifico perché la sua specificità è necessaria al mantenimento degli scopi dell'anarchismo (i valori costituiti dall'insieme che va sotto il nome di anarchia), ma gli anarchici possono (anzi devono) mediarsi con le organizzazioni del movimento operaio e popolare. Essi costituiscono la presenza vivente dell'emancipazione umana nell'azione storica dell'emancipazione popolare. La mutevolezza, gli avanzamenti e gli arretramenti che questa esplica non "compromettono" l'azione rivoluzionaria dell'anarchismo perché se esso si coniuga a tutte le vicissitudini storiche popolari, mantiene e ribadisce nondimeno ad ogni piè sospinto il valore dell'emancipazione integrale. Il movimento anarchico non si costituisce in avanguardia rivoluzionaria dell'azione storica dell'emancipazione popolare, ma in irriducibile presenza rivoluzionaria dell'emancipazione umana dentro tale azione. Così il perseguimento specifico dei fini anarchici non fa mai violenza al livello storico raggiunto dalle masse popolari.
Lo stesso discorso si può fare per quanto riguarda la composizione delle forze all'interno del movimento anarchico specifico. Si sa che Malatesta era per l'organizzazione comunista della società e per la tendenza "organizzativa" dell'anarchismo. Ma ciò non gli ha mai impedito di ribadire la relatività e la contingenza di queste stesse concezioni, perché come tutte le teorie e le ipotesi esse potevano avere valore solo qualora fossero state sottoposte all'esperienza concreta. Il pluralismo, la radicale convinzione della relatività di ogni tendenza, la consapevolezza del rapporto tutto libertario ed egualitario fra proposte e la loro conferma pratica, delineano la concezione malatestiana come concezione equilibrata, complessa e multiforme, come concezione, vorrebbe dire, autenticamente anarchica.
Dunque, anche qui abbiamo lo stesso "schema": l'anarchismo può mediarsi in più tendenze, può moltiplicarsi e crescere su più esperienze purché queste non neghino per definizione le altre. Esse, rispetto agli scopi che perseguono ed esprimono (i valori dell'anarchia) sono in un certo senso dei giudizi di fatto che possono cambiare a seconda delle smentite e delle conferme, smentite e conferme che possono darsi solo alla luce del confronto con i giudizi di valore che esse stesse dicono di perseguire.
L'esempio del rapporto fra movimento anarchico e movimento operaio e l'esempio del rapporto fra le varie forze agenti all'interno dell'anarchismo ci suggeriscono altre analogie. Con la distinzione fra anarchismo ed anarchia si può infatti superare anche l'annosa questione del rapporto rivoluzionario. Se la storia con il suo mutamento produce altre forze sociali emergenti, sigillando il declino della presunta centralità della classe operaia, l'anarchismo potrà benissimo riconoscere questi nuovi fatti e farsene un giudizio (appunto, giudizio di fatto) senza intaccare minimamente i suoi giudizi di valore. Diverse situazioni sociali, economiche e politiche contestualizzeranno l'agire anarchico ma non i suoi scopi, che sono quelli di portare, dentro questa contestualizzazione, dei valori universali.

anarchismo e "senso comune"

Si badi: in tutto questo non c'è assolutamente nulla di idealistico, se non nel significato del tutto generico di perseguimento dell'ideale. Vi è invece qualcosa d'altro. Vi è il gigantesco tentativo di trasformare l'anarchismo sulla base reale dell'aspirazione umana verso la libertà, l'uguaglianza, il benessere, la solidarietà, ecc. ecc. da specifica ideologia politica a universale sentire e pensare umano, di saldare, in altri termini, la logica e il modo d'essere di un movimento particolare alla logica e al modo d'essere generale, e perciò di saldare l'ideologia anarchica che persegue gli ideali della libertà e dell'uguaglianza al "senso comune" che la generalità degli uomini ha della stessa libertà e della stessa uguaglianza. Ecco il grande tentativo: saldare l'ideologia anarchica al "senso comune". Ma in che modo?
Secondo Malatesta i grandi ideali dell'emancipazione umana non sono soltanto il patrimonio teorico di una piccola minoranza. In una certa misura sono stati recepiti anche dalla grande maggioranza della popolazione. Per i rivoluzionari il problema non è quello di plasmare pedagogicamente la popolazione (operazione squisitamente autoritaria) ma di piegare, di adattare, di curvare l'ideologia specifica dentro il modo di sentire e il modo di vedere di questa popolazione. Si tratta di trovare i punti in comune tra la logica popolare al fine di esplicitare la valenza libertaria che questa stessa logica popolare sottende. L'anarchismo diventa così universale sentire umano senza perdere nessun carattere rivoluzionario specifico. Esso infatti non viene stemperato in una sorte di generica dottrina umanitaria. La sua pregnanza emancipatrice rimane per intero in quanto essa è conformata alla mentalità e alle aspirazioni delle masse oppresse solo per quel tanto di valenza libertaria che questa mentalità e queste aspirazioni presentano.
Da qui la preminenza assegnata al fattore propaganda e alla forma che questa propaganda deve assumere. È in tal modo che nasce lo straordinario linguaggio malatestiano, il quale costituisce forse l'espressione più chiara di questo tentativo di dare all'anarchismo il significato universale di comunicazione e di riconoscimento della concezione umana. Si tratta forse dello sforzo più grande compiuto da qualsiasi pensatore rivoluzionario nell'ultimo secolo. Però bisogna fare attenzione perché il tentativo non è quello di leggere tutta la realtà con gli occhi dell'ideologia politica, di fare del pan-politicismo per vedere nel "senso comune" la conferma dell'ipotesi ideologica ma di fare esattamente il contrario, cioè di far scoprire all'ideologia stessa la valenza (non l'identificazione) libertaria stratificata dentro le pieghe sia pur contraddittorie della coscienza popolare. Malatesta supera così tutta la cultura populista del rivoluzionarismo e nello stesso tempo tutto l'elitismo "aristocratico" che questo stesso rivoluzionarismo per altri versi manteneva.

volontà, rivoluzione, libertà

La più grande forza della storia umana è la volontà umana: è questa la concezione più profonda, più radicata e più ragionata di tutto il pensiero malatestiano. La rivoluzione non è altro che l'espressione demiurgicamente più compiuta di questa volontà, la sua più convincente conferma. Però il binomio volontà/rivoluzione, che si può tradurre pure come volontà rivoluzionaria (anche se perde parte della sua forte pregnanza "prometeica"), non deve assolutamente essere inteso come volontà di imposizione o come volontà di purificazione palingenetica. È vero che Malatesta intitola il suo quotidiano Umanità Nova, ma non c'è in lui nessuna volontà di fare l'"uomo nuovo", nessuna volontà di imporre il suo modello antropologico. Malatesta non ha modelli antropologici da proporre: analogamente a tutti gli anarchici Malatesta intende la rivoluzione come liberazione.
Il valore assegnato da Malatesta alla volontà rivoluzionaria dipende invece dal fatto che vi è in lui la piena comprensione della valenza tutta culturale del progetto anarchico. La "società futura" si realizzerà nella misura in cui una nuova cultura fondata sul principio costitutivo della libertà si opporrà e vincerà la vecchia cultura fondata sul principio costitutivo dell'autorità. Molteplici, per non dire infiniti, possono essere i modelli sociali fondati sul principio della libertà. L'importante è la volontà di realizzare costruttivamente questo principio. Il resto è del tutto secondario, mutevole e contingente. Perché avvenga però il passaggio dall'uno all'altro principio, perché si passi insomma dall'autorità alla libertà, è necessaria una "rottura rivoluzionaria". In questo senso la rivoluzione non è più soltanto mera insurrezione violenta che tende a realizzare un tutto e subito, ma prima di tutto fatto psicologico traumatico, volontà, appunto, di rompere con il presente e con i suoi principi informatori.
L'idea regolativa della rivoluzione può così coniugarsi con l'idea costitutiva della rivoluzione medesima: la rivoluzione è necessaria, però la sua attuazione può essere fondata su un progetto gradulista. Questo realizza la rivoluzione nella misura in cui l'idea di libertà, di uguaglianza e di solidarietà si fa generale, si fa "senso comune". Come sfondo rimane comunque la volontà rivoluzionaria. Dunque volontà, rivoluzione, libertà, dove è chiaro che per arrivare all'ultimo termine bisogna partire dal primo dovendo passare per il secondo. Senza volontà di fare la rivoluzione non vi è rottura rivoluzionaria, senza rottura rivoluzionaria non vi è libertà. Malatesta è stato l'esempio vivente di questo trinomio.
Malatesta fu un grandissimo.