Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 12 nr. 100
aprile 1982


Rivista Anarchica Online

El Salvador
di G. G.

È ancora notte in El Salvador. Una notte che dura ormai da anni, è la stessa notte del Guatemala, dell'Honduras e di altri paesi del Centroamerica. La violenza e il terrore che impregnano l'aria dei paesi caraibici aumentano ogni giorno di intensità, tanto che la morte violenta di un amico o di un familiare sembra essere diventata un'incombenza quotidiana, alla quale non è possibile sottrarsi.
Sono questi i pensieri che tornano in mente ogni qualvolta si ascoltano i quotidiani bollettini degli assassinii commessi dalla giunta filo-USA di Napoleon Duarte. Ma si sa, un fatto sociologico non può essere spiegato emotivamente. Tenteremo quindi di dare una pur schematica e frammentaria interpretazione dei conflitti del Centroamerica, prendendo come punto di riferimento gli avvenimenti di El Salvador.
Quello che accade in El Salvador è cosa nota: da una parte una dittatura che, nel disperato tentativo di autoconservarsi, mette in atto una feroce repressione torturando e assassinando chiunque sia in odore di sovversione; dall'altra, troviamo un fronte di liberazione che in questi giorni sembra intensificare la sua offensiva. Ma gli interessi che si affrontano in El Salvador trascendono un semplice conflitto tra una dittatura e la sua opposizione.
I paesi del Centroamerica rappresentano infatti una delle ultime roccaforti della politica reaganiana nel continente americano: gli USA devono evitare con qualunque mezzo che esperienze quali Cuba o il Nicaragua possano ripetersi. In questa chiave si può comprendere l'insistenza con la quale l'amministrazione Reagan appoggia le giunte liberticide dei paesi caraibici. Di contrasto assistiamo al sempre più intenso interessamento che paesi quali Cuba o URSS prestano alle vicende dei vari fronti di liberazione, tentando, attraverso l'invio di armi o consiglieri militari, di condizionarne le scelte politiche. È evidente il tentativo sovietico di creare una seconda Cuba in America Centrale, o forse bisognerebbe dire una terza, vista la piega che stanno prendendo gli eventi nel Nicaragua.
Tragica realtà quella del popolo salvadoregno. Stretto tra la ferocia disumana della giunta militare al soldo di Washington e la prospettiva di una liberazione "alla cubana" segnata dai gulag, è l'esempio vivente di come la ragion di stato sia cieca e sorda di fronte alle possibili aspirazioni alla libertà di un popolo, proprio perché tutta tesa alla conquista del Potere: e per il Potere, si sa, tutto è lecito. In un paese come El Salvador, segnato da fame miseria e ignoranza, sono infatti assai scarse le possibilità che, dopo una vittoria del Fronte, il popolo salvadoregno possa sfuggire ai "disinteressati" aiuti dell'impero sovietico.
Questa fosca prospettiva sembra essere confermata dai recenti eventi del Nicaragua. Dopo la cacciata di Somoza, il governo sandinista sembra infatti essersi progressivamente allineato con il modello cubano in politica sia interna che estera. Come interpretare infatti la presenza costante di consiglieri tedesco-orientali a Managua e l'addestramento di truppe scelte nicaraguensi in Bulgaria, se non alla luce di questo allineamento? Le conseguenze di questa politica sono ormai note: dopo l'abolizione del diritto di sciopero giustificato dalla "volontà di salvaguardare l'economia" e la deportazione di massa degli indios locali, è giunta a metà marzo la notizia della proclamazione dello stato d'assedio, lugubre preludio di future repressioni. Fatti, questi, spiegabili solo in parte col tentativo della CIA di destabilizzare il Nicaragua, ma molto più comprensibili se raffrontati con la politica di allineamento alle direttive sovietiche che fu di Cuba qualche anno fa. Di fronte a queste accuse, il governo sandinista ha risposto che si tratterebbe di una grossa montatura orchestrata da Washington per destabilizzare il governo "rivoluzionario". Può darsi. Ma questo tipo di difesa fa pensare a qualcosa di simile, accaduto alcuni anni fa. Mi riferisco ai demagogici proclami del governo USA durante la guerra in Vietnam, quando l'allora presidente Nixon, di fronte a chi lo accusava di cospargere col napalm i territori del Vietnam e della Cambogia, rispondeva che si trattava di una montatura orchestrata dal comunismo per screditare l'immagine della democrazia americana.
L'esperienza della rivoluzione sandinista sembra ormai avviata verso la normalizzazione alla cubana. Le conseguenze di tutto questo sono facilmente immaginabili. Chi, fra gli orfani della grande rivoluzione di ottobre, aveva avuto ancora qualche speranza che il modello cubano fosse una cosa qualitativamente diversa rispetto all'universo concentrazionario rappresentato dai paesi marxisti, dovrebbe aver avuto tempo per ricredersi. Oggi Cuba è una nazione in cui la gioventù e la manodopera sono militarizzate, con una polizia onnipresente attraverso i vari "Comitati di difesa della Rivoluzione", con un'informazione uniformizzata e una politica interna ed estera assoggettate economicamente e militarmente alla strategia sovietica. Pensare, ad esempio, che l'intervento militare cubano in Angola sia stata un'iniziativa entusiasta e spontanea del popolo è pura follia, spiegabile solo con la cecità totale in cui brancola la sinistra italiana sempre alla ricerca di nuovi modelli che possano finalmente smentire quella verità che non può essere smentita: il fatto cioè, che il marxismo è l'espressione più alta del totalitarismo, l'arte più perfetta per la creazione del Gulag.
Che futuro si può ipotizzare per le popolazioni caraibiche? Un futuro non molto roseo, crediamo. Il Centro America sembra essere diventato un immenso campo di calcio dove a tenere la palla è sempre e solo il potere, una partita quindi dove può trionfare solo lo stato coi suoi arsenali di morte. In questo contesto la sensazione che la lotta delle popolazioni centroamericane sia una lotta senza speranza aumenta sempre di intensità, una lotta quindi dove la posta in gioco non è la libertà di un popolo, ma il prevalere di una delle "ragion di stato" che lottano furiosamente per il Dominio. Tragica realtà dunque, dura da ammettere: ma è l'unico modo per evitare la creazione di nuovi miti, destinati poi a sgonfiarsi tragicamente. È l'unico modo per mantenere lucida quella critica libertaria che ha permesso la denuncia anche in "nuce" di ogni tipo di oppressione, anche quella "popolare".