Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 93
giugno 1981 - luglio 1981


Rivista Anarchica Online

A Wroclaw con Solidarnosc
di Marianne Enckell

Queste pagine dedicate all'attuale situazione nell'Europa Orientale (e precisamente in Polonia e nell'URSS) comprendono cinque articoli. Il primo è il resoconto di un'esperienza di viaggio e di colloqui in Polonia, inviatoci dalla compagna Marianne Enckell (responsabile della biblioteca del Centro Internazionale di Ricerche sull'Anarchismo, a Ginevra). Gli altri quattro pezzi sono stati tradotti (da Andrea Chersi) dal n. 3 della rivista libertaria Iztok ("Oriente") edita a Parigi e dedicata alla situazione nei Paesi dell'Est. Ecco il dettaglio: l'editoriale di presentazione del numero stesso, dal quale emerge nelle sue linee essenziali l'approccio della redazione di Iztok alla questione polacca; notizie sull'opposizione libertaria nell'URSS, integrate con quelle contenute nell'ultima circolare diffusa a maggio sempre dai compagni di Iztok con gli ultimi aggiornamenti sulla situazione dei detenuti libertari in Russia; l'intervista ad un membro della Comune di Leningrado fino al novembre '78, quando dovette emigrare (l'intervista, fatta dopo il suo abbandono dell'URSS, è originariamente apparsa sulla rivista austriaca Gegenstimmen); ed infine notizie relative alla pubblicazione "autorizzata" (e controllata) di opere sull'anarchismo, e anche di anarchici, in URSS. (La Redazione)

Davanti alla fabbrica Pafawag di Wroclaw, che produce soprattutto locomotive, vediamo una serie di ritratti e di slogans che ricordano i manifesti elettorali: sono i ritratti dei lavoratori più meritevoli, gli stakanovisti. Una guardiana con casco e cinturone urla e gesticola: vietato fotografare, lasciate le macchine fotografiche e di passaporti all'entrata, tirate diritto!
Una volta superato il cancello, i responsabili della sezione di Solidarnosc ci accolgono a braccia aperte. È la prima volta che una delegazione non ufficiale visita la fabbrica. Nel cortile una croce di legno ricorda la grande messa officiata davanti a tutto il personale durante gli scioperi dell'estate 1980. Nei reparti qualche scritta Solidarnosc sulle tute da lavoro, dei pugni, delle porte aperte, e gli altoparlanti che prima diffondevano parole d'ordine vantando la produttività socialista, ora trasmettono le informazioni del sindacato indipendente autogestito, le notizie degli ultimi negoziati e durante le pause i corsi di formazione sindacale.
È proprio a Pafawag (6.000 operai, di cui il 98% aderisce a Solidarnosc) che nell'agosto scorso si era installato il comitato di sciopero locale (MKS); è qui che in caso di sciopero generale si rifugeranno gli uffici del comitato regionale di Solidarnosc, è qui che in caso di pericolo più grave i militanti sapranno difendersi. È qui, come nelle altre imprese, che esiste la prima forza sindacale e che le rivendicazioni diventano realtà. Non si tratta, per ora, di autogestione, poiché il sistema continua: il sindacato indipendente reclama un diritto di controllo a tutti i livelli sulle decisioni e sulla loro applicazione. Controllo, cioè diritto di veto, diritto di controllo sull'andamento dei negoziati: non si tratta per ora di sostituirsi agli organi dirigenti o di gestire la crisi o la produzione.
Lo stesso controllo si pratica d'altronde in seno a Solidarnosc: ci si ricordi le trasmissioni diffuse in diretta, con gli altoparlanti, dei negoziati di Danzica, il principio di rotazione dei posti di lavoro, la revocabilità degli organi di coordinamento per facilitare i contatti con la base. Ma la democrazia interna non è un'istituzione - si sa troppo bene a cosa porta il "centralismo burocratico" - essa si pratica e si conquista giorno per giorno, è questo che noi, un gruppo di sindacalisti e di militanti del CSSOPE (comitato di solidarietà socialista con gli oppositori dei Paesi dell'Est) invitati dalla sezione di Solidarnosc di Wroclaw a degli incontri nel quadro di una campagna di appoggio, abbiamo constatato e voluto riaffermare in ogni momento.
Una delle cose che aveva colpito gli osservatori durante l'estate '80 era "la potenza e il comportamento sorprendente degli operai che senza cercare di manifestare nelle strade o davanti ai luoghi di potere, giravano le spalle a coloro che, con un incredibile disprezzo, restando ben fermi sul loro terreno, esigevano che gli operai andassero a negoziare con loro". Da un lato vi è la forza popolare che si organizza e dall'altro vi è lo Stato-padrone, senza possibilità di equivoci. Ogni partecipazione agli organi di stato sarebbe inammissibile, i negoziati si fanno sulla base dei rapporti di forza. Tutte le persone con le quali abbiamo parlato avevano una chiara coscienza di ciò: Solidarnosc è il movimento reale dei lavoratori; "essi" sono in basso, altrove ci sono gli altri. Di Walesa, per esempio, si dice che se continua così finirà per rassomigliare a loro.

Sindacalismo rivoluzionario

Sindacalismo rivoluzionario, società di resistenza come durante la Prima Internazionale, one big union come l'IWW americana? Niente di tutto ciò, in ogni caso. In ogni impresa una sola sezione riunisce tutti i lavoratori, dagli spazzini agli ingegneri. La sezione trattiene il 60/70% delle quote, di cui una parte va al MKZ (il comitato regionale interaziendale), un'altra parte è destinata al sostegno delle sezioni più povere. (Vi siete mai chiesti quale è la ripartizione delle vostre quote sindacali?). Il MKZ è composto da rappresentanti di impresa eletti a suffragio diretto. Vi sono inoltre dei consiglieri, intellettuali o altri militanti che si sono messi al suo servizio, preparano i documenti, redigono testi, ma non hanno nessun potere decisionale. Ovunque ci si preoccupa dell'informazione e della formazione. Si sono messi in piedi una serie di corsi nei quali si discute sia del sindacalismo internazionale che della falsificazione della storia ad opera del Partito e della letteratura in generale. Ogni tappa, ogni vittoria è discussa, commentata, analizzata per migliorare e consolidare il movimento.
Intorno alle sedi di Solidarnosc, in alcuni punti strategici come nei pressi della stazione o delle fermate degli autobus, dei manifestini contro la repressione, sugli ultimi negoziati, informano su ciò che accade nel paese. I giornali murali sono dei fogli fotocopiati, grigi, senza margini, pubblicati grazie a dei tesori di ingegnosità su macchine arcaiche, con carta da recupero, come gli innumerevoli bollettini di fabbrica. Li si legge in gruppo, li si commenta, li si segnala al passante distratto.
I muri delle città polacche, vergini di pubblicità (se si esclude i manifesti per qualche spettacolo, per qualche impresa statale e per la... Pepsi Cola), sono anche vergini di graffiti: si vede solo un John Lennon e due o tre scritte anti-nucleari. Le "A" cerchiate, cari compagni, indicano le fermate degli autobus!
Durante le riunioni ufficiali degli organi sindacali non si scherza, non si beve, si prende tutto sul serio (e si capisce il perché). Solo i responsabili della sezione radio e media, che lavorano anch'essi notte e giorno, si considerano dei lumpen- intellettuali e offrono un bicchiere collettivo di rosso e di vodka, ascoltando jazz a tutto volume.
"Poveri ma liberi", "poveri ma degni", queste espressioni si sentono spesso, non è forse sempre stata questa una caratteristica dei movimenti operai nascenti?

Un po' di storia

Dal 23 al 31 agosto 1980 il Comitato Centrale di sciopero a Danzica pubblica quattordici numeri del bollettino Solidarnosc, che espone in dettaglio le rivendicazioni degli scioperanti, informa sugli sviluppi del movimento di lotta e risponde agli attacchi delle autorità. Dal 3 al 16 marzo 1921 il Comitato rivoluzionario provvisorio di Kronstadt aveva anch'esso pubblicato quattordici numeri di Izvestia, organo del movimento degli scioperanti basato sulla parola d'ordine Tutto il potere ai soviet, non ai partiti.
I famosi ventun punti delle rivendicazioni degli operai polacchi non hanno nulla in comune con le 21 condizioni di adesione alla III Internazionale, hanno a che vedere, invece, ed in più punti, con i 15 punti delle risoluzioni adottate dall'assemblea generale delle prima e seconda squadra della flotta del Baltico, a distanza di 60 anni.
I due testi chiedono la creazione di sindacati indipendenti con organi direttivi liberamente eletti, la libertà di parola e di stampa, la liberazione dei prigionieri politici e di tutti gli operai e contadini imprigionati per motivi di sciopero, il libero accesso ai mezzi di informazione ed alla stampa e misure immediate per uscire dalla crisi economica: tessere di razionamento che assicurino l'uguaglianza dell'approvvigionamento per tutti e la soppressione dei privilegi.
La grande differenza che ha segnato sessanta anni di storia del movimento operaio è che il 18 marzo 1921 aveva segnato definitivamente la sconfitta della rivolta di Kronstadt, mentre il 31 agosto 1980 segna la firma degli accordi di Danzica. "Avvenimento contro natura", dicono gli osservatori per non gridare al miracolo. Mi era difficile far accettare alla mia mente ciò che i miei occhi vedevano e ciò che le mie orecchie sentivano scrive ancora Krzysztof Pomian. Semplicemente, non riuscivo ad assimilarlo, a integrarlo in quello che sapevo del mio paese e delle sue istituzioni. Ci si scopre a sognare: "Nell'anno del centenario della nascita di Stalin, la Polonia chiude definitivamente con lo stalinismo", direbbero i manuali di storia dei nostri bambini.... In questo momento si vive della storia reale, non della fantascienza.

Le banane miracolose

Un economista irrispettoso sostiene che la Polonia potrebbe senza problemi basare la propria economia sull'esportazione delle banane. Certamente dovrebbero nascere e svilupparsi nelle serre e costerebbero quindi cento volte di più delle banane dell'Honduras, ma quanti posti di lavoro saranno creati nelle miniere di carbone, nelle vetrerie, nelle acciaierie, nelle fabbriche di scatole di cartone? La produzione potrebbe essere sovvenzionata e posta tra le voci in perdita del bilancio statale, che pare sia una pratica corrente. Inoltre lo Stato potrebbe vendere ai produttori di banane carbone, vetro e tubazioni per le serre a prezzi ridicoli, il commercio delle banane sarebbe così redditizio a livello mondiale, anche se naturalmente le miniere di carbone e le vetrerie sarebbero fortemente deficitarie. La bilancia commerciale del paese sarebbe così magnificamente ristabilita, ma vi sarebbe carenza di carbone, non ci sarebbe più un quadrato di terra da coltivare e nessun polacco conoscerebbe il gusto di una banana.... L'immaginazione dei pianificatori è senza limiti e le attuali esportazioni creano tanti squilibri quanti ne creerebbero le banane o qualsiasi altra cosa.
Ciò che salta agli occhi del visitatore è tragico e sordido. I negozi vuoti, code a non finire, patate e cavoli sono il menu quotidiano, ovunque penuria e merda. Ma i nostri interlocutori ridono se noi parliamo di aiuto filantropico, di vestiti, di derrate alimentari e di medicinali: abbiamo bisogno di carta, di macchine da scrivere, da stampa, carta soprattutto, tutte cose che con la nostra moneta non possiamo acquistare.
L'esistenza di Solidarnosc non può fare i miracoli, il fervore religioso presente ovunque non significa che si creda ai miracoli. La chiesa, la nazione polacca, le lotte operaie tutto è mescolato nella memoria che si sta conquistando: nel coro della cattedrale di Varsavia le persone sfilano dinanzi ad una riproduzione del monumento alla memoria dei lavoratori caduti a Danzica nel 1970; i fondi per gli scioperi sono messi al sicuro presso l'arcivescovo; si intonano canti religiosi durante gli scioperi, perché è l'altra faccia della resistenza. La chiesa, la nazione sono tutti simboli di cui si sono riappropriati i nuovi sindacati, spogliati come sono stati dei simboli del movimento operaio. Può darsi che nuovi simboli, nuovi anniversari, nuove canzoni appariranno.
Ciò che accade in Polonia oggi non è la rivoluzione, non è la nascita di una società libertaria, ma, secondo me, è altrettanto importante del risorgere della CNT spagnola dopo la morte di Franco. Per la prima volta dopo Kronstadt un movimento operaio di massa si erge contro la borghesia rossa, contro i nuovi padroni che hanno usurpato il socialismo. Nessun modello, nessun paragone ci può dire cosa avverrà. A noi il compito di essere presenti, di aprire gli occhi, di trasmettere la nostra storia e la nostra esperienza, a noi il compito di coltivare la rivolta permanente, il rifiuto delle istituzioni, la critica dello stato in ogni sua forma.