Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 11 nr. 93
giugno 1981 - luglio 1981


Rivista Anarchica Online

Io sono nato...
di Murray Bookchin

Io sono nato letteralmente dentro il movimento rivoluzionario. I miei nonni da parte materna erano membri del partito social-rivoluzionario russo, i famosi narodniki o populisti, che furono molto influenzati da Bakunin anche se indirettamente. Avendo vissuto in Bessarabia, alla frontiera tra la Russia e l'Impero Austro-ingarico, essi parteciparono attivamente al trasporto di materiale di propaganda rivoluzionaria dentro e fuori la Russia zarista. Mia nonna materna e mia madre furono costrette a lasciare la Russia dopo la rivoluzione del 1905, più esattamente durante la notte della controrivoluzione che ne seguì. Si sistemarono a New York, dove immediatamente divennero membri dei club dei lavoratori russi, molti dei quali erano anarchici. Mia madre, operaia, divenne membro del sindacato rivoluzionario I.W.W. durante il periodo più drammatico della sua storia: mi raccontò molte storie su "Big Bill" Baywood, di Emma Goldman e di molti altri famosi rivoluzionari di quel tempo.
Io sono nato nel 1921 a New York, quando tutto un mondo di idee rivoluzionarie e molti esuli rivoluzionari, soprattutto russi, mi circondavano e animavano il mio mondo. Cominciai infatti a parlare in russo, ma i miei genitori, che si erano incontrati nella sede dell'I.W.W. e che erano ambedue di origine russa, smisero di parlarmi in russo. Volevano evitare che io parlassi con un accento straniero. Persi così tutto ciò che sapevo del russo: ricordo solo i canti rivoluzionari e le parole imparate da bambino. Sono cresciuto ascoltando le storie dei grandi rivoluzionari russi: Stenka Razin ed Emilian Pugacev invece delle storie di Robin Hood e Daniel Boone. Nel 1930, a 9 anni, entrai nei Giovani Pionieri, il movimento comunista dei bambini. Io dovevo immediatamente imparare tutto del marxismo, del leninismo, della storia del socialismo, delle rivoluzioni, del movimento operaio, ecc.. Se ho imparato qualcosa da questa esperienza è che un bambino molto piccolo può assorbire una enorme quantità di informazioni, molto più di quello che adulti e insegnanti possono immaginare, purché sia sufficientemente motivato. Anche se io avevo una comprensione molto limitata e ingenua di ciò che i miei insegnanti stalinisti mi propinavano, ricordo quel tempo (la grande depressione, il sorgere del fascismo tedesco, le code per il pane, gli scioperi, e, più tardi - nel '34 - la rivolta dei lavoratori austriaci a Vienna e dei minatori dell'Austria) bene come la guerra del Vietnam o il maggio francese.
Gli anni '30 segnarono l'apice del movimento operaio, non solo in Europa ma anche in America. Grandi scioperi che cominciarono con l'occupazione delle fabbriche a Parigi nel 1935 e continuarono con l'occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori americani. Il nuovo sindacato C.I.O. si diffuse in tutta la nazione e ci furono sanguinosi conflitti per sindacalizzare i lavoratori dell'acciaio, dell'automobile, minatori, trasportatori e lavoratori tessili. Dato che i miei genitori erano operai e molto poveri, io non potevo permettermi di rimanere disoccupato, e fui costretto a lavorare molto presto: prima come venditore di giornali, poi nelle grandi fabbriche del New Jersey. Fu qui, in una fonderia, che io cominciai ad interessarmi al lavoro sindacale, non in modo burocratico, ma come delegato di reparto (shop steward), poi come segretario della lega sindacale e come organizzatore pagato solo quando dovevo assentarmi dal mio lavoro. Più tardi, dopo un periodo nell'esercito, divenni un lavoratore dell'automobile, quando la United Automobile Workers (U.A.W.) era ancora il sindacato più militante e democratico, direi anzi il più rivoluzionario dopo l'I.W.W..
Tre cose però cominciarono a influenzare profondamente la mia vita: nell'anno '35/'36 l'intera Internazionale Comunista passò da posizioni ultrasinistre di lotta rivoluzionaria ad una posizione coerentemente riformista (il fronte popolare) di compromesso con la borghesia. Io abbandonai la Lega dei Giovani Comunisti (nel frattempo ero passato dal Movimento dei ragazzi al Movimento dei giovani) e tentai di fondare un nuovo movimento veramente rivoluzionario. La rivoluzione spagnola mi riportò tra le fila della Lega Comunista, perché non riuscii a trovare alcuna organizzazione attraverso la quale aiutare la Spagna. I comunisti, lavorando con i democratici, monopolizzarono completamente il movimento newyorchese di sostegno alla Spagna (Support Spain). In particolare la rivolta del maggio 1937 di Barcellona mi turbò: non potevo credere che una rivolta così estesa di lavoratori fosse ispirata dai fascisti e che gli anarchici fossero agenti del fascismo. Ruppi deliberatamente la disciplina di partito e andai a sentire Norman Thomas, il leader del Partito Socialista Americano, che fece un resoconto della sua visita in Spagna. Io fui sconvolto da ciò che egli disse degli intrighi dei comunisti in Spagna: avevo sedici anni ed ero ancora molto ingenuo, ma la mia pur limitata esperienza e i miei profondi istinti rivoluzionari furono molto scossi. I processi di Mosca, infine, distrussero completamente la mia fiducia nei comunisti. Non potevo credere che i miei vecchi "maestri" bolscevichi, specialmente Bucharin, fossero agenti di Hitler e io non me la sentivo di sostenere Roosevelt, come richiedeva la linea del Fronte Popolare. Nel '37/'38 ero in odore di espulsione dai giovani comunisti: invitavo trotzkysti a fare conferenze nel mio gruppo giovanile e leggevo liberamente tutto ciò che volevo, infischiandomene dell'Indice del partito. Alla fine fui espulso nel 1939 e divenni trotzkysta. Ma anche tra i trotzkysti, tutto ciò che avevo visto del movimento comunista si ripetè di nuovo. A metà degli anni '40 smisi di essere un leninista, di qualsiasi genere: lentamente mi spostai sulle posizioni del socialismo libertario e nei primi anni del 1950 su quelle anarchiche. Io credo che fu la rivoluzione ungherese ed il relativo dibattito nel 1956 a portarmi a definirmi anarchico: cominciai così a studiare molto seriamente la storia anarchica, soprattutto la rivoluzione spagnola. Quello che completò, per così dire, la mia educazione politica fu il declino del movimento operaio in America. Io avevo lavorato per dieci anni nell'industria pesante, come sindacalista, militante rivoluzionario, nella più radicale e militante lega dei miei tempi: la U.A.W.. Prima che fosse distrutta dai burocrati, non so se nel 1947 o nel 1948, partecipai allo sciopero della General Motors che durò mesi e mesi. Quando vincemmo lo sciopero e ritornammo al lavoro mi accorsi di un cambiamento totale nella lega e tra i lavoratori. Era ormai chiaro che il sindacalismo veniva ora accettato dalla borghesia; che i lavoratori avevano perso il loro spirito rivoluzionario ed erano solo interessati agli aspetti materiali; esisteva insomma una atmosfera di smobilitazione nella classe. Capii subito che la rivoluzione spagnola era stata il punto più alto e al contempo la fine di cento anni di storia rivoluzionaria della classe lavoratrice. Cominciai a rivedere l'intera storia del movimento operaio, dal giugno 1848 al luglio 1936, e le miei idee appaiono nell'ultimo capitolo del mio libro Gli anarchici spagnoli e nel mio articolo Autogoverno e nuova tecnologia che adesso è ristampato in Verso una società ecologica.
Cominciai a rivedere tutte le mie idee. Nel '52 scrissi un articolo sull'ecologia, che nel 1962 divenne un libro: (Il nostro ambiente sintetico) e più tardi un trattato anarchico sullo stesso argomento (Post-scarcity anarchism). Più recentemente: Verso una società ecologica. Sto ora ultimando un voluminoso lavoro, L'ecologia della libertà, che esprime tutto ciò che ho sviluppato dal 1950. Cominciai a rivolgermi verso i movimenti antinucleari piuttosto che verso il movimento sindacale (che attualmente è completamente morto da un punto di vista rivoluzionario) e da allora sono stato molto interessato all'ecologia. Cominciai anche a studiare il ruolo della gerarchia, non solo delle classi, e ho scoperto che la rivoluzione deve avvenire nelle camere da letto, nelle cucine, in realtà nella stessa sensibilità individuale, non solo nelle fabbriche. Così mi sono interessato molto al nuovo femminismo che, nelle sue punte migliori, implicitamente solleva tali problemi. Infine, cercando un'alternativa al sindacalismo, mi dovetti interessare all'anarco-comunismo (non parlo di Paul Brousse, quanto piuttosto di Pietro Kropotkin) e ho studiato i modi con cui la democrazia diretta a livello di quartiere e di comune funzionò nell'antica Atene, nei comuni del medioevo, nelle sezioni della Parigi rivoluzionaria del 1793, nelle assemblee cittadine del New England, nella Comune di Parigi del 1871 e li ho paragonati con i consigli di fabbrica e le forme di organizzazione sindacale, dedicando particolare attenzione all'impatto che la gerarchia di fabbrica ha sulla mentalità dei lavoratori. Nel '60, mi interessai al movimento dei diritti civili condotto dai neri e alla Students for a Democratic Society (S.D.S.) e alla contro-cultura. Andai anche a Parigi nel '68 verso la fine dei fatti di Maggio e Giugno, di cui feci reportages in gran dettaglio da un punto di vista anarchico per la stampa rivoluzionaria americana.
Quando la contro-cultura cominciò l'esodo dalle città, andai nel Vermount, forse lo stato più "libertario" del New England, dove ho vissuto in una comune e insegnato al Goddard College. Lì ho fondato l'Institute for Social Ecology dove ho tentato di insegnare e in parte praticare quello che avevo scritto sull'ecologia. Insegno anche, molto liberamente, a un College del New Jersey e molti dei miei studenti sono lavoratori e mantengo stretti contatti con il movimento dei lavoratori. Purtroppo non ho motivo di cambiare le mie vedute su questo argomento.
Viaggio per tutta l'America, avendo così una visione diretta di quel che succede. Potrei dire molto su quello che ho visto negli USA che contraddice nettamente quello che racconta la stampa europea. Vorrei dire ai miei compagni europei - ai miei fratelli e sorelle in Italia e altrove - che la gente non si sta muovendo verso destra negli USA. Nonostante l'elezione di Reagan c'è un profondo scontento tra la gente, gli inizi di un movimento contro la militarizzazione, di un nuovo radicalismo sociale che si estende all'ecologia, al femminismo, ai movimenti di quartiere nelle città americane.
Gli americani sono naturalmente libertari. L'intera tradizione sociale dell'America da prima della rivoluzione fino ai nostri giorni ha sempre valorizzato i diritti dell'individuo, l'autonomia personale, la decentralizzazione e un genuino odio per lo stato. Per anni questa tradizione libertaria è stata sommersa dalle forme di socialismo portate dagli immigrandi tedeschi, ebrei, russi e spagnoli. Per anni le idee di sinistra sono state sviluppate in linguaggi che la maggior parte degli americani non capiva e in forme prese a prestito dall'Europa. Bene, quell'immigrazione si è fermata anni fa e gli immigranti stessi hanno cominciato a sparire. Anche se la cosa può apparire tragica, noi dobbiamo venire faccia a faccia gli uni con gli altri e sviluppare le nostre idee in inglese non in tedesco, italiano, ebraico o russo, in effetti non in termini marxisti, engeliani leninisti o, potrei aggiungere, in termini del pensiero di Mao Tse Tung o Ho-Ci-Min. Dobbiamo ora guardare alla nostra tradizione - come ognuno dovrebbe fare - e sviluppare il suo contenuto rivoluzionario. Se i miei cinquant'anni di vita mi hanno insegnato qualcosa è: primo che il mondo è cambiato profondamente dai giorni storici del movimento operaio; secondo che l'anarchismo non è solo un corpo di idee, un'ideologia "congelata" definita una volta per tutte dai cosidetti "fondatori", ma anzitutto un movimento sociale che trova la sua vita nel reale sviluppo della gente; e infine che noi dobbiamo trovare le radici dell'anarchismo nelle tradizioni specifiche di ogni popolo, non nelle idee inventate nelle accademie o importate di peso da culture completamente diverse o da diverse situazioni sociali. Questa sensibilità per l'unicità, la varietà e la diversità è, a mio avviso, la forma più alta di internazionalismo rivoluzionario, perché permette la creatività culturale, sociale e storica e non dà spazio alla omogeneità e uniformità totalitaria.