Rivista Anarchica Online
Carceri, lotta armata, bierre, ecc.
Cari compagni, Sul numero 90 di A-rivista anarchica il compagno Roberto
Ambrosoli ci chiama in causa, con
una perentorietà che ammette poche vie di scampo, e pretende "una risposta onesta ed
inequivoca" da parte di "tutti quei compagni anarchici che oggi si occupano, con grande
entusiasmo (bontà sua...), del problema carcerario". Ritenendoci, crediamo a buon diritto, parte
di quel "manipolo di entusiasti" (anche se in realtà ci pare ci sia ben poco di cui
entusiasmarsi...), ci accingiamo pertanto a rispondere, "onestamente ed inequivocabilmente",
alle sue affermazioni, fidando che ci venga concesso il diritto di replica laddove ci siamo sentiti
ingiustamente incompresi e criticati. E, tanto per non smentire la nostra fama di "arrabbiati",
preciseremo subito che lo facciamo non tanto perché riteniamo di doverci in qualche modo
giustificare, ma piuttosto perché pensiamo sia tempo di chiarire definitivamente da che parte si
vuole stare e con chi, al di là delle facili ma vacue "dichiarazioni di principio". Vogliamo
innanzitutto precisare che, per quanto ci riguarda, sia come individui che come
collettivo redazionale, e a dispetto di quanto affermato dal compagno Ambrosoli, la repressione
non rappresenta affatto "l'unico argomento cui dedicare la nostra attenzione e la nostra attività"
e che il fatto di fornire, come tanti altri ma a differenza di molti altri ancora, il nostro sostegno e
la nostra partecipazione alle lotte dei compagni prigionieri, non ci impedisce per nulla di
svolgere una ben più vasta serie di interventi ed attività, sui quali il compagno Ambrosoli o
chiunque altro avrebbe potuto facilmente documentarsi, avendone la voglia. Ciò di cui
dobbiamo invece rammaricarci è di dover constatare che vi sono altri compagni, nel
movimento anarchico, che delle lotte dei prigionieri e delle loro condizioni di vita quotidiane, se
ne occupano solo per tentare di sollevare speciose polemiche o per esprimere sdegnose e non
sempre dignitose prese di distanza. Quanto al fatto che il compagno Ambrosoli ci accusi di "non
sentire il bisogno di una qualsiasi
riflessione sulle motivazioni strategiche di tali lotte, sui loro promotori, sulla natura dei
contenuti che esprimono", non possiamo far altro che dedurre che egli è un pessimo e distratto
lettore di quelle che definisce pubblicazioni specializzate, oppure che l'unica riflessione che in
realtà lo interessa dovrebbe essere una delle tristemente note condanne ideologiche con le quali
alcuni compagni sono purtroppo abituati a bollare tutto quello che fuoriesce dai loro schemini
intellettuali. E in quest'ultimo caso, diciamo subito che una tale "riflessione" si dovrà aspettarla
ancora a lungo, da parte nostra, poiché la nostra pratica di intervento e di lotta è basata sulla
fondamentale valutazione che solo la realtà e l'esperienza dello scontro col potere possono
fornire concretezza e senso al nostro dichiararci anarchici. Non ci pare il caso di ripetere in questa
occasione le stesse cose che abbiamo scritto ormai in
tutte le salse (anche se al compagno Ambrosoli sono sfuggite), ma ci limiteremo a riaffermare la
nostra profonda convinzione che la solidarietà coi rivoluzionari colpiti dalla repressione sia un
impegno al quale nessun sincero anarchico può sottrarsi, specie quando si tratti di compagni di
tendenza quantomeno chiaramente libertaria, dai quali ci possono magari dividere le più
raffinate distinzioni strategiche, ma ai quali, ben al di là di ciò, ci unisce la comune lotta contro
quel nemico che, ogni giorno in carne e ossa, ci opprime. E a questo riguardo ci duole di non
poterci dire certi che tutto il movimento anarchico possa sentirsi in pace con la propria
coscienza.... Per quel che riguarda infine la totale estraneità ed avversione che proviamo
per ogni progetto
autoritario (argomento sul quale pensiamo che il compagno Ambrosoli non possa "onestamente"
permettersi di fare insinuazioni di nessun tipo al nostro indirizzo), è nostra convinzione che
progetti politici di tal genere possano venire combattuti e sconfitti solo con l'impegno diretto dei
militanti anarchici e libertari, che all'interno delle lotte debbono saper esprimere l'alternativa
teorica e pratica a tali progetti, e non certo con le astratte dissertazioni ideologiche o, peggio,
col silenzio. Se nella realtà troppo spesso le BR o altri riescono ad imporre la propria arrogante
egemonia politica è proprio perché... "mentre, dentro, i detenuti ribelli sputano sangue sotto la
repressione, fuori"... troppi anarchici sputano solo sentenze. Vogliamo terminare auspicando che
per il futuro le polemiche tra compagni possano basarsi sul
confronto delle diverse esperienze di intervento e di lotta e non più e non solo su asserzioni
gratuite ed insinuazioni infondate, assicurando fin d'ora che se con questo metodo qualcuno ci
dimostrerà che stiamo sbagliando tutto, saremo semplicemente lieti di ravvederci. Nel
frattempo, "entusiasti" e "rabbiosi" come sempre, vi salutiamo fraternamente.
Il collettivo redazionale
della rivista "anarchismo"
Il Tecoppa, antico eroe del teatro dialettale lombardo, per cavarsi dagli impicci in qualche
momento critico, usava accusare l'antagonista di turno di avere "... parlato male di Garibaldi", e
così, sfruttando l'esecrazione che ciò non mancava di suscitare, riusciva ad avere sempre ragione.
Dal più al meno, è lo stesso trucco (altrimenti detto "mozione degli affetti") a cui ricorrono i
compagni di Anarchismo, quando mi richiamano al dovere della "solidarietà coi rivoluzionari
colpiti dalla repressione". Ma non attacca. Un conto è la solidarietà umana con le vittime dello
stato, la solidarietà che, come anarchici, ci lega a qualunque ribelle segnato dalla vendetta del
potere, altro è l'avvallo e l'accettazione di un progetto politico. Non confondiamo, per piacere. Un
conto è partecipare al dolore per la morte di Faina, altro è trovarsi d'accordo con l'analisi e le
indicazioni operative di Azione Rivoluzionaria. La solidarietà con gli individui, proprio perché
non è mai messa in discussione, ed è limitata solo dalle obiettive disponibilità di energie,
non ci
toglie il diritto di giudicare e di dissentire. Anzi, direi che in questa separazione tra giudizio
politico e, diciamo così, approccio umano, sta uno dei caratteri distintivi del movimento
anarchico, che gli ha permesso, in più d'una occasione, di salvarsi sia dal moralismo che
dall'opportunismo. Di ciò non mancano gli esempi illustri, ma basterà ricordare, per restare in
tempi recenti, i casi della candidatura Valpreda nel 1972, dell'attentato di Gianfranco Bertoli, e
(perché no?) degli arresti dei redattori di Anarchismo. Tutti casi in cui, sia pur con qualche
"variegatura", il giudizio politico non ha impedito la solidarietà e, viceversa, la solidarietà non ha
attenuato o diluito il giudizio politico. Attualmente, invece, nel campo del carcerario, questa prassi sembra essere
abbandonata, sicché
iniziative di sostegno politico in occasione di questo o quell'episodio del conflitto sociale amano
presentarsi, frequentemente, come iniziative solidaristiche a questo o quel recluso, a tutto
vantaggio delle possibilità di esercitare pressioni morali sui compagni più sprovveduti, ma certo
non a vantaggio della chiarezza delle adesioni e della possibilità di definire "da che parte si vuole
stare e con chi". Il dibattito politico, se lo si vuole affrontare, verte anche sulle distinzioni
strategiche, raffinate o no che siano, e il ricorso alla considerazione che siamo tutti "figli di dio",
cioè uniti dalla lotta comune eccetera eccetera, non serve né ad approfondire tale dibattito né
ad
evitare al movimento anarchico i rischi di scelte controproducenti. Ora, nessuno vorrà negare, penso,
che le lotte nelle galere traggano origine dalla disumanità della
condizione carceraria, ma nemmeno che siano anche, ormai in buona parte, espressione di un
progetto politico che le egemonizza, quello delle BR per intenderci. Né si può negare che
l'interesse (unico, prioritario, o che) nutrito da Anarchismo ed altri, per tali lotte, sia anch'esso
espressione di un progetto politico, di segno opposto a quello dei brigatisti. È da questi progetti
che ho inteso dissentire, dal primo per ovvi motivi che non è più il caso di ripetere, ma anche dal
secondo perché a mio parere, nell'attuale situazione, questo è "inquinato" da quello. Se la
componente libertaria all'interno del movimento carcerario è minoritaria e poco incisiva, ciò non
avviene perché il movimento anarchico è troppo tiepido nel farsi portavoce delle lotte dei reclusi,
come sembrano sostenere i compagni di Anarchismo con un'altra furbizia alla Tecoppa, ma,
piuttosto, perché tali lotte sono il frutto della "colonizzazione" del movimento carcerario da parte
delle BR (a sua volta legata all'ingresso massiccio di militanti BR nelle patrie galere) e in esse,
obiettivamente, c'è poco spazio per una componente libertaria. Non è solo un problema di
leadership, di lavorare per carpire alle BR il monopolio della protesta, ma di contenuti: quelli
espressi dalle lotte dei reclusi sono assai più funzionali al, pur velleitario, progetto militare dei
brigatisti che ad una presa di coscienza antiautoritaria. E nell'implicita accettazione di questi
contenuti, o nella reticenza a criticarli, io vedo un pericolo (mi si perdoni l'allarmismo) su cui mi
sembra legittimo sollecitare una riflessione. Non si tratta di prendere le distanze dal problema
carcerario o, più in generale, da quello della repressione. Si tratta, invece, di prendere le distanze
da queste lotte e quindi di rivedere il progetto politico che su di esse si basa, perché
l'accettazione
di questo terreno di intervento rischia di condurre il movimento anarchico a dissipare buona parte
delle sue già modeste energie nel tentativo sterile di contendere alle BR la supremazia in galera.
Il che, con buona pace dei compagni di Anarchismo, mi sembra un risultato al quale non ho
alcuna intenzione di contribuire.
Roberto Ambrosoli
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