Rivista Anarchica Online
Punk
di Maria Teresa Romiti
Si vestono quasi in divisa: pantaloni e giacconi di pelle nera, scarponi anfibi, spille appuntate
sul petto come medaglie al valor militare, capelli tagliati nei modi più impossibili e tinti
peggio... a volte usano simboli di sinistra memoria (svastiche), girano in branchi, usano
linguaggio e comportamenti aggressivi fra loro e verso gli altri. Sono i punk, uno dei nuovi
fenomeni metropolitani che, nato in Inghilterra alcuni anni fa, si va estendendo in altri paesi
europei. La caratteristica che colpisce di più chiunque si avvicini ai punk è
l'aggressività, la violenza che
permea molti dei loro atteggiamenti; una violenza ostentata, portata come una bandiera, ma che
in effetti, ad un esame più approfondito, sembra più rivolgersi all'interno, nei rapporti che
hanno tra di loro, o al massimo, verso le altre bande (mods e ska) che sono nate in questo
periodo nelle metropoli, piuttosto che verso polizia e istituzioni. Una violenza, quindi, più
apparente che reale, più introiettata che rivolta verso l'esterno: una risposta autodistruttiva alle
frustrazioni subite quotidianamente? I punk appaiono come una delle manifestazioni con cui si
scarica la rabbia, il senso di impotenza dei giovani nelle metropoli: niente di nuovo rispetto alle
bande degli anni '50 (mods, teddy boys, rockers), ai quali del resto si richiamano
coscientemente, almeno in parte, hanno portato alle estreme conseguenze la carica
autodistruttiva, proprio perché la situazione oggi presenta meno sbocchi. In effetti colpisce il
pessimismo che sottende molte loro affermazioni: la quasi-certezza dell'impossibilità di risolvere
i loro problemi, l'inutilità quindi di qualsiasi tentativo. A questo senso di impotenza si
ricollega il rifiuto deliberato di discutere, di cercare di chiarire i
problemi che nascono all'interno del gruppo, il vivere senza porsi domande, scaricando le
proprie frustrazioni, la propria aggressività nelle azioni. La ricerca di una nuova "cultura del
vissuto" o più semplicemente il rifiuto di risposte che possono essere angoscianti? In ogni caso
questa impostazione rischia di far rinascere la legge del più forte, il mito del "duro",
l'instaurarsi di puri rapporti di forza. Il pericolo maggiore di questa mancanza di chiarezza
è un altro: l'ambiguità di alcuni
atteggiamenti ad esempio l'uso inaccettabile della svastica. Ciò che sottende questo
comportamento è la convinzione che ribellarsi, opporsi al potere voglia semplicemente dire
comportarsi in modo esattamente contrario a quello corrente: una concezione da "mondo alla
rovescia" che non può che rimanere all'interno dello schema stato, i cui modelli non vengono
cambiati, ma solo ribaltati e quindi rimangono quelli vigenti, statali, letti all'incontrario. Di qui
l'ambiguità del messaggio, la sua impossibilità ad uscire dagli schemi, anzi la facilità con
la
quale può essere recuperato dal potere, diventando così funzionale al sistema che voleva
combattere. Per meglio comprendere questo fenomeno ci siamo incontrati con alcuni compagni
che si
riconoscono nel punk (tra l'altro, hanno fatto uscire in queste settimane il secondo numero di
Nero). Per esser precisi, due di loro si sono definiti "post-punk". Che cosa pensino e vogliano, lo
chiariscono nell'intervista che segue. Certo è che se il movimento punk ha delle radici di
ribellione questo non basta per qualificarlo libertario, tanto più che i contenuti espressi fino ad
ora sono abbastanza ambigui o contraddittori. Chi vivrà, vedrà.
Da quanto tempo sei punk e come ci sei arrivato? Daniele (20 anni, anarchico) - Ho cominciato
a frequentare i punk circa quattro mesi e mezzo,
cinque mesi fa, perché il tipo di vita che facevo, il tipo di cultura che avevo alle spalle (era già
fricchettone), erano superate, non mi davano soddisfazione, non riuscivano ad esprimere le
ribellioni o l'aggressività che avevo dentro. In effetti ci sono arrivato per curiosità, poi mi sono
reso conto che questa cosa valeva la pena di essere vissuta perché era nuova, qualcosa che
andava realmente ad incidere. Oggi per te essere punk cosa vuol dire? Daniele - Va beh, questa
domanda è abbastanza assurda, se vuoi ci sono le solite analisi socio-politiche... No, non voglio
analisi, vorrei una risposta a livello personale. Se uno fa una scelta, prima di
ogni analisi, c'è, secondo me, un livello di coinvolgimento emotivo. Insomma a te cosa da il
punk? Daniele - Con tutti i casini che abbiamo, in questo periodo non è molto divertente,
né gratificante
essere quello che siamo, però sono convinto che il tipo di ribellione che vivo sia incisivo rispetto
a tutto quello che c'è in giro, non riuscirei a vivere altrimenti la mia aggressività, la mia rivolta in
senso valido. Adesso non abbiamo più certe possibilità di esprimerci per la strada, di provocare
la gente; però quando queste cose ci sono state e sono state veramente valide era una grande
soddisfazione, mi sfogavo realmente di tutta la mia aggressività e sapevo che provocavo. Hai detto
che prima cercavate di provocare la gente, mentre ora vi hanno chiuso gli spazi, cosa
fate adesso? Quali sono le attività che svolgete insieme? Daniele - Ora stanno venendo i nodi
al pettine, stiamo vivendo una fase di stasi che sta mettendo
a dura prova tutti, io sto cercando, con altra gente di conquistarmi degli spazi nuovi, fare in modo
che non ci mandino nel ghetto. Molti di noi, al limite, nel ghetto ci stanno già cascando, nel senso
che pensano che ci sia svaccamento e tirano le giornate alla "brutto dio". All'esterno il messaggio punk
risulta violento, violenza nella musica come nei comportamenti. È
veramente così, e in questo caso la violenza che senso ha? È violenza istintiva oppure è un
uso
cosciente e motivato dell'aggressività? Daniele - Per me è istintiva. Anch'io ho i miei
comportamenti violenti, tranquillamente. Molti di
noi sono incazzati e quindi fanno casino, non è che io m'incazzi per questo comportamento, so
che esistente anche questo tipo di violenza istintiva e l'accetto. Al limite preferisco che uno abbia
un comportamento violento piuttosto che passi la sera a giocare a carte. All'inizio lo criticavo,
adesso mi va anche bene perché, in fin dei conti, è una delle nostre componenti. Non mi interessa
costruirmi una morale del tipo: questo è giusto, questo è sbagliato anche se io queste cose non le
faccio. Quando eravamo davanti a New Kerry avevo fatto un volantino (era il periodo delle botte
tra noi e i mods e viceversa) in cui dicevo che queste cose tornavano utili al sistema, perché
servono a costruire un'immagine di violenza fine a se stessa. L'uso di un certo modo di vestirsi e di
comportarsi (l'uso di certi vestiti, l'andare in giro in
bande) da un'immagine abbastanza paramilitare, questo, unito all'ostentazione di certi simboli
piuttosto che altri, può dare una lettura di violenza organizzata, addirittura di destra. Come
pensate di evitare queste ambiguità? Daniele - A parte il fatto che girare in branco, anche a livello
psicologico, è una forma di
sicurezza, noi quando giriamo in gruppi di quaranta, con i giubbotti di pelle ci sentiamo forti,
sicuri, se vuoi è un comportamento che incide perché nessuno si permette di venirti a rompere il
cazzo (a parte che poi arriva il primo pirla con la pistola, dice polizia e ti mette con le spalle al
muro). Le forme di provocazione che usiamo sono ben precise, cerchiamo di superare certe
forme culturali. L'uso delle svastiche e il fatto di girare in branchi è stato parallelo a una pratica
di controinformazione. Che rapporti hanno i punk anarchici con il movimento anarchico
organizzato? Daniele - Io vengo qua (sede anarchica) da quattro anni, sono conosciuto, non sono il primo
che
passa per strada, ma con un certo tipo di vestiario, certa gente mi ha sputato in faccia, non
letteralmente, ma mancava poco che mi levava anche il saluto. Adesso i mesi passano, la rivista
s'interessa, però sono sicuro che l'atteggiamento contro di noi andrà avanti in ogni
caso. Questo atteggiamento non è forse dovuto a carenza d'informazione e anche a certa
ambiguità
dei vostri comportamenti? Daniele - Sì, può essere. L'ambiguità, se vuoi, e quella
che ha creato il casino; all'inizio il punk
voleva avere solo questa immagine, non gli interessava di controinformare, perché era vissuta in
termini di provocazione totale autodistruttiva. Infatti il discorso dell'autodistruzione è presente,
l'ho presente anch'io. Chi si vuol salvare dall'autodistruzione o pensa che quella divisa non la
porterà addosso per altri dieci anni si pone il problema del futuro; cerca di controinformare
proprio perché non vuol vivere solo il momento della provocazione fine a se stessa. Quali
prospettive avete per il futuro? Daniele - In questo momento c'è il momento della ghettizzazione,
la chiusura di ogni possibilità
di esprimerci, magari le prossime persone che verranno saranno organizzate. Ci tengo a precisare
che purtroppo una definizione nostra, come movimento è impossibile, non siamo omogenei ed è
molto diffuso tra noi un certo tipo di comportamento individuale. Il rifiuto di parlare, di discutere in
generale, il fatto che preferite vivere le vostre esperienze
piuttosto che analizzarle che significato ha? Un tentativo di costruire una nuova forma di
"cultura del vissuto" o un rifiuto della cultura in genere? Daniele - La risposta non è semplice;
io, per esempio, di cultura m'interesso; siccome però ho
passato il tempo a piangermi addosso su tutta una serie di problemi e frustrazioni, allora a questo
punto preferisco bruciare questi mesi, magari mi sto tirando la zappa sui piedi, piuttosto che stare
a chiudermi nelle menate o nelle discussioni profonde sul perché di certe cose. Che differenze
ci sono tra il movimento punk all'estero e in Italia? Daniele - La situazione è la stessa per tutti
perché la merda la vivi qua, come a Zurigo o Londra.
Ma a Zurigo, Vienna il fenomeno punk è legato al movimento, alle forme attive di ribellione, qua
non c'è niente. Il nostro limite è che la nostra ribellione è un atto a sé stante, qui
siamo in piena
batosta per cui anche un tentativo di liberarci è stroncabile. Per assurdo, noi abbiamo fatto più
casino, in certi momenti dei "compagni". Per esempio abbiamo volantinato i concerti contro le
strutture, mentre invece i "compagni" non hanno fatto nulla; quelli che cinque anni fa tiravano i
sassi alla polizia sono quelli che ora organizzano i concerti e si comportano da bottegai.
A questo punto arriva Paolo (25 anni, militante anarchico, non si definisce punk
propriamente,
ma post-punk). Come ti sei avvicinato al movimento punk? Paolo - Un anno fa sono
andato a Londra, eravamo in un periodo abbastanza confuso, c'era una
situazione che vivevo molto male; una Milano in cui le cose principali erano le menate, il riflusso
(Bob Marley, spinelli, eroina), tutto questo confrontato con la realtà che mi sono trovato a Londra
era totalmente assurdo. Il punk poteva essere considerato se non una risposta anche per Milano,
almeno una cosa che poteva vivacizzare l'ambiente, dirompente, intelligente in un certo senso.
Non mi definisco punk perché non ci credo fino in fondo anche se penso che sia l'unica
possibilità per uscire dalla noia, inoltre nella sua spoliticizzazione anche delle idee di base che mi
sembrano molto anarchiche. Tu dici che il punk, almeno alla base, é libertario in che senso? Quali
sono le radici libertarie
del punk? Paolo - Il punk ha delle fondamenta anarchiche, nel senso che è il rifiuto in blocco
della società;
rifiuto del potere non in senso politico, non c'è un'analisi teorica, una pratica militante, ma in
senso viscerale. C'è la volontà di colpire, magari in maniera sbagliata, magari anche se
stessi. "Nero", il giornale che fate, come s'inquadra nelle attività punk? Paolo - Nero
e una cosa pre-punk, anche se ci lavorano alcuni punk. Nero è fatto da alcune
persone che sono interessate al punk e sono andate a cercarsi i contatti, ora vogliamo andare
avanti con questo discorso. Abbiamo in programma di fare una mostra sul punk, un paragone tra
quello che pensa il potere e quello che riusciamo a racimolare noi come realtà, in pratica
controinformazione. A Nero vogliamo parlare della metropoli che è l'unico discorso emergente in
senso distruttivo e costruttivo parallelamente al punk. Che differenze ci sono tra i punk-anarchici e quelli
che si definiscono solo punk? Paolo - Secondo me quelli che si definiscono punk-anarchici sono arrivati
alla seconda fase di
una tendenza punk; la prima fase è la rottura, la seconda la costruzione. Nei punk la violenza
è molto evidenziata, secondo te è una forma istintiva di rabbia o è una
violenza cosciente, usata per scopi precisi? Paolo - Per me il discorso che ci deve essere è chiaro:
la violenza in senso punk la usi ragionata,
se vieni provocato ti ribelli, ma non è violenza fine a se stessa, non è la violenza dello stupido,
perché allora si risale al ragazzotto di periferia che siccome è ubriaco spacca il vetro della
macchina. La violenza deve avere una ragione anche se esiste una componente punk che accetta
la violenza fine a se stessa. Che rapporti ci sono tra i punk, almeno quelli anarchici e il
movimento? Paolo - Atroci, atroci in tutti i sensi. Come collettivo di Nero ci trovavamo qui, quando si
sono
uniti i punk la situazione era più o meno a livello di zoo, cioè sembravano animali strani. È
storico, inoltre, che il movimento anarchico viene sempre dopo. Se noi che eravamo anarchici
non ci fossimo legati a queste situazioni penso che all'interno del movimento non se ne sarebbe
parlato o quasi. Le differenze tra il movimento punk in Europa e in Italia quali sono? Paolo
- Bisognerebbe avere più informazioni, comunque c'è una tendenza generale europea a
politicizzarsi. Anche qui si potrebbe rilanciare, con il coordinamento delle case occupate, un
tentativo di prendere uno spazio, bisogna vedere quanta gente aggrega. E tu, come sei
diventata punk? Daniela (19 anni, anarchica) - Io non sono punk, sono post-punk, ci tengo a precisarlo.
Comunque provengo dall'esperienza di Paolo, prima di interessarci al punk siamo anarchici.
Potrei dire che ci sono arrivata per contagio. La prima volta è stato un rifiuto netto e totale, una
musica che non avevo mai ascoltato, un insieme di suoni rozzi e venuti male, poi ho cominciato
ad ascoltare i Crass e a entrare nel discorso politico, alla musica sono arrivata dopo. Il punk ha
significato per me rompere con certi schemi tradizionali sia di far politica che di ascoltare
musica. Come sono i rapporti uomo-donna tra i punk? Daniela - Io sono un po' al di fuori
comunque per quello che ho potuto vedere, c'è stato un
riproporre la vecchia immagine della donna come sex-simbol, cioè la donna del tale, però un
sex-simbol degenerato, provocatorio. Daniele - Un momento. Magari fosse così, secondo me i rapporti
uomo-donna fra di noi sono
abbastanza normali, tipici...
Tipici in che senso, quali sono oggi nella nostra società? Daniele - Bisogna tener
presente che le esperienze tra di noi sono diverse, per cui anche i rapporti
che instauriamo sono diversi, se vuoi non sono neanche dei veri rapporti: sono delle cose così
che nascono, finiscono. Paolo - Non sono rapporti libertari... Daniele - Secondo me il problema della
sessualità al nostro interno é abbastanza forte ed è una
cosa che non si discute mai, guarda caso. Non esiste chiarezza e non ci interessa neanche averla. Paolo - Una
mia opinione personale è che un buon 50% della realtà dei punk sia un recupero, una
reinvenzione di quello che erano i Rockers degli anni cinquanta. Esattamente le donne dei
Rockers erano le donne. Daniela - Infatti: la donna del tipo. Daniele - C'è sempre nei nostri rapporti
questa maledetta aggressività che tiri fuori: infatti noi ci
picchiamo, ci sputiamo. Capisco questo discorso, però uno può essere aggressivo, ma
avere dei rapporti paritari o
almeno cercare di averli. Il discorso della donna nei Rockers non era proprio un discorso
paritario... Daniele - Ma infatti non lo è, non esiste parità tra i punk; dipende anche dalle
tue esperienze,
perché non c'è omogeneità tra noi, comunque esiste una grande violenza nei rapporti. Una
cosa
che manca è la chiarezza, ma non ci interessa averla, a me non interessa farmi le menate perché
non stiamo bene assieme. L'amicizia, il rapporto tra di noi si basa su certe cose che abbiamo
vissuto in comune: una sera ci siamo sbronzati insieme o anche esperienze di un attimo. Paolo - Una cosa
importante tra i punk sono i rapporti di forza, non è che la donna rivive la
situazione degli anni cinquanta, vive una situazione di forza. Se sa imporsi viene accettata come
persona, altrimenti diventa un vero e proprio oggetto. Comunque è una situazione diversa dalla
realtà d'oggi perché lì anche se cerca d'imporsi la donna non riesce mai.
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