Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 88
dicembre 1980 - gennaio 1981


Rivista Anarchica Online

Ulisse s'è fermato a Bova
di Leo Candela (del circolo "Cinurio Cosmo" di Bova Marina) e Bruno Traclò (del circolo "Apodiafazi" di Bova Superiore)

Tra le minoranze linguistiche che l'oppressione economica e morale sta quasi facendo scomparire dalla Penisola, una speciale attenzione merita la "minoranza" greca di Calabria. Un dialetto ellenico sopravvive ancora a Bova, a Roccaforte, a Rochudi ed a Gallicianò di Condofuri, tutti paesi montani, situati sull'estrema punta dello Stivale, nel versante ionico meridionale. Controverse sono ancora le origini storiche di questo dialetto: secondo alcuni glottologi esse risalgono ad immigrazioni di prigionieri condotti dalla Grecia verso la fine della dominazione bizantina, secondo altri il greco attuale è ciò che resta della lingua che anticamente si parlò in tutta l'Italia meridionale, in quella che fu la "Magna Grecia". A favore di quest'ultima tesi testimoniano le voci di greco antico che si trovano nel dialetto, la vastità dell'ellenismo calabro che si riscontra nella toponomastica e negli stessi dialetti italiani su un'area ben più vasta di quella corrispondente alla "Grecia" attuale, nonché il fatto che i cosidetti "Greci" di Calabria non si sono mai considerati come una minoranza etnica. Gli ellenòfoni tuttavia sono stati sempre disprezzati e giudicati "tamarri" (cioè cafoni) dalla borghesia locale e da quella dei paesi del circondario: più che di razzismo si tratta però del disprezzo del ricco verso il povero, un atteggiamento classista, perché gli ellenòfoni sono anche i più poveri nei paesi poveri sopra citati.
Della grecità di Calabria da più di un secolo si occupano i glottologi, i quali hanno prodotto studi di raffinata erudizione ed ora lamentano che questo "monumento vivente" (come talora definiscono la lingua di Bova) stia per scomparire. Raramente però si sono occupati delle condizioni di vita dei paesi che conservano questa lingua. Gallicianò di Condofuri è un paese privo di quasi tutti i servizi, al quale si arriva solo percorrendo una mulattiera che si inerpica tra i burroni. A Rochudi le condizioni di vita erano ancora più disperate, dico erano perché il paese da circa dieci anni è stato sfollato dopo l'ennesima alluvione: ora la sua gente vive dispersa tra Reggio e Locri, molti han cercato all'estero il pane che la "patria" nega. L'emigrazione, cioè - per dirla con Salvi - la "deportazione economica", è il male più grave, ma si tratta di un male comune a tutto il Meridione.
Puntuali arrivano ad ogni campagna elettorale le promesse degli uomini dei partiti "costituzionali" e si trova anche chi con prosopopea ricorda l'articolo 6 della Costituzione, che recita: "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche". Tali norme, si sa, non sono state mai fatte e se anche domani delle norme ci saranno, c'è ben poco da sperare: più che a difesa delle minoranze saranno ad incremento del sottogoverno e delle clientele. Il regime non applica la propria Costituzione e, quando la ragion di Stato lo richiede, palesemente la straccia, come è avvenuto di recente coi decreti antiterrorismo. Se la monarchia ed il fascismo hanno sterminato le minoranze linguistiche ricorrendo a leggi speciali, il regime "democratico" continua il "genocidio bianco" ricorrendo a metodi più sottili, che sono stati ampiamente illustrati dal Salvi nell'opera Le lingue tagliate (Rizzoli ed., 1975). Lo Stato è il Leviatano di sempre, la borghesia capitalistica che oggi toglie ai "Greci" dell'Aspromonte il proprio dialetto greco è la stessa che insegna il greco ai propri rampolli nei licei e nelle università, è la stessa che ieri lasciò i "Greci" dell'Aspromonte nell'analfabetismo e col solo dialetto greco per comunicare col mondo.
Oggi anche tra i derelitti "greci" di Calabria si assiste ad un certo risveglio: sono nati dei circoli culturali che cercano di opporsi all'estrema rovina della loro antichissima cultura (antropologicamente intesa). Circa dieci anni fa è sorto a Reggio Calabria il circolo "La Jonica", riconosciuto e pasciuto dalla Regione: questo circolo organizza, col pubblico denaro, viaggi in Grecia per i propri aderenti, feste di gemellaggio dove trionfa la retorica e l'ufficialità, vuole introdurre la lingua greca nella liturgia e negli atti ufficiali. I glottologi lo accusano di inquinare il grecanico, il cui valore di fonte storica risiede nella propria arcaicità, con l'introduzione acritica del moderno greco di Grecia. I giovani grecanici lo accusano di essere guidato ed ispirato da elementi fascisti nel periodo in cui la Grecia è oppressa dal regime dei Colonnelli. In antitesi al circolo "La Jonica", dominato da fascisti e da preti, sorgono altri circoli: "Zoì ce Glossa" (Vita e Lingua) che raggruppa giovani studenti di una comunità di Gallicianò che vive, quasi in un ghetto, alla periferia di Reggio Calabria; "Apodiafazi" (Rialbeggia) a Bova Superiore, circolo animato dal poeta-contadino Bruno Casile; a Bova Marina si costituisce il gruppo "Cinurio Cosmo" (Nuovo Mondo), di ispirazione libertaria, frequentato da giovani operai e studenti. Questi circoli pongono il problema sociale in primo luogo, denunciano all'opinione pubblica l'oppressione storica subita sotto tutti i regimi, vorrebbero salvare la propria lingua per ricollegarsi alla Grecia di tutte le età, alle sue antichissime tradizioni libertarie, alle sue lotte popolari di oggi.
L'azione di questi piccoli gruppi appare però disperata in un ambiente retrivo e molti studiosi prevedono non più di dieci anni per la grecità di Calabria. Dopo, la lingua greca di Bova scomparirà per sempre così come continueranno a spegnersi le altre minoranze linguistiche in un regime che si avvia a gettare anche la maschera di democrazia che ha usato fino ad ora.