Rivista Anarchica Online
Vertenza FIAT - Mirafiori
di R. Brosio
Torino, venerdì 10 ottobre, tardo pomeriggio. Sono davanti alla porta 5 della Fiat Mirafiori, dove
qualche ora prima Benvenuto ha parlato agli operai, in occasione dello sciopero generale. Ci sono
ancora gli addobbi speciali della manifestazione, oltre a quelli "normali" che fanno da scenario al
picchettaggio: il palco per il comizio, un grande ritratto di Marx (bello, devo dire), le bandiere
rosse, e poi volantini, manifesti, esposizioni di fotografie, eccetera eccetera. Ci sono capannelli di
gente che discute. In un angolo, qualcuno, su di un tavolo improvvisato, prepara panini per il
conforto dei picchettanti. Altri accendono falò, non sgraditi in questo ottobre improvvisamente
raffreddato. Con la rivista come viatico, cerco di attaccare discorso. Qualcuno, di fronte al
registratore, si schermisce e mi indirizza verso i funzionari del sindacato, che stanno un po'
defilati, in un autobus adibito per l'occasione a bureau. Ma, è chiaro, io preferisco dichiarazioni
meno ufficiali, anche se non è facile ottenerne, perché tutti appaiono abbastanza preoccupati
dell'"immagine" che potrà risultare dalle loro parole. - Si vanno ripetendo gli episodi di sfondamento
dei picchetti, da parte di persone che vogliono
entrare. Tu come li vedi, questi fatti? Franco (carrozzeria Mirafiori, uno dei 24.000 in cassa integrazione):
"Prima di tutto bisogna
puntualizzare una cosa, visto che i giornali ci accusano di essere violenti; noi siamo sempre stati
caricati. L'altra sera, Annibaldi (responsabile delle relazioni industriali) diceva che la violenza
è
dalla parte nostra, di chi fa i Picchetti. Invece, i violenti sono quelli che hanno cercato di
sfondare. È chiaro che quelli non sono mica gente che vuole lavorare. Sono organizzati dalla
Fiat, sono una provocazione della Fiat, che ha interesse a far credere all'opinione pubblica che
c'è tanta gente che non aderisce alla nostra lotta e vuole entrare a lavorare. Questo non è vero,
gli operai sono con noi, gli operai sono con gli operai, insomma. È la Fiat che vuole che
succedano casini, per far arrivare la polizia. Chissà perché, la polizia non s'è mai vista, prima
di
queste "cariche dei 600". Adesso invece è arrivata, e aspetta solo che noi provochiamo qualche
disordine per sciogliere i picchetti. Ma noi, in questi tranelli, non ci cadiamo...". - Credi che lo scopo sia
di mettere in difficoltà la gestione sindacale della vertenza, o
semplicemente diminuire la volontà di lotta della base? Franco: "Vogliono colpire il sindacato,
ma hanno fatto male i loro calcoli. Dopo i famosi
licenziamenti dei 61, il sindacato aveva fatto poco, bisogna ammetterlo, e la Fiat pensava che il
sindacato non esistesse più. Forse era un pensiero legittimo, perché il sindacato si era
effettivamente un po' rincoglionito, e il padronato ha pensato che sarebbe stato facile spazzarlo
via definitivamente. Ma adesso abbiamo dimostrato che tutto questo non è vero, che siamo
sempre uniti. E poi, se il sindacato non dovesse accontentarci pienamente, ormai la base è in
grado di farsi sentire lo stesso!". - Ti riconosci completamente nel modo con cui il sindacato sta gestendo
la vertenza, oppure hai
delle critiche da muovere? Franco: "Bè... ho sentito Lama, alla televisione, che riconosceva che
anche la Fiat ha le sue
difficoltà... e questo l'ha detto anche Benvenuto, qui davanti. In sostanza mi sembra che
intendono dire che su qualche punto bisognerà cedere.... Io questo non lo condivido.". - Secondo
te, che prospettive di "vittoria" ci sono? Franco: "Mah... penso che la Fiat non cederà,
perché ha un nome da difendere. Ha voluto
colpire i delegati di sinistra, quelli iscritti al PCI, al PDUP... perché alla Fiat non fa piacere che
qualcuno alzi la testa, reclami la sua dignità. Nei 24.000 ha infilato anche qualcuno che non
aveva mai detto bah, ma solo per camuffare l'intenzione di eliminare quelli che danno fastidio. E
quelli, in fabbrica non rientreranno più. Non ci rientreremo.". - E la crisi del settore auto, di cui
parlano tanto, non c'entra per nulla? I finanziamenti chiesti allo
stato, le esigenze del mercato... Franco: "Sarò ignorante, ma certe cose non riesco a capirle. Un
po' prima delle ferie, ci hanno
fatto delle proposte, per farci lavorare anche al sabato. Dunque, per produrre di più. Allora
significa che la richiesta c'è. Come mai, tutto d'un colpo, salta fuori la crisi? Il problema di
fondo non è la crisi, il problema di fondo è l'ordine in fabbrica, come dicono loro, la
"governabilità". I finanziamenti chiesti allo stato.... Ma la Fiat ha sempre pianto miseria, è la
sua politica! Lo scopo vero è togliere chi dà fastidio altro che!". Mi allontano un po'
deluso. Avevo sperato di sentire qualcosa di meno allineato, qualcosa di più
"frizzante", in un senso o nell'altro. Mi infilo in un capannello dove si chiacchiera senza un
argomento preciso. Dopo qualche schermaglia sugli anarchici ("Anarchici? Oh, per carità!", in
cui rischio di diventare io l'intervistato, accettano tutti, di buon grado, di rispondere a qualche
domanda. Ne risulta una discussione abbastanza animata, non facile da "trascrivere" sulla carta. - Tu ti riconosci
nella gestione sindacale della vertenza? Stefano (montaggio, delegato da 8 mesi, 11 anni di Fiat, in cassa
integrazione): "Pienamente!". - Però, certe decisioni dei vertici sono state sconfessate, una volta
sottoposte al giudizio della
base.... Stefano: "Questa è solo apparenza. In realtà non sono i vertici che prendono le
decisioni, solo il
consiglio di fabbrica prende le decisioni. I vertici possono fare delle proposte, ma la vertenza è,
nel suo insieme, il frutto delle decisioni prese dalla base.". Girolamo (officina 84, anche lui in
cassa integrazione): "È la base che prende le decisioni,
iscritta o no ai sindacati! Io, ad esempio, non sono iscritto a nessun partito e a nessun
sindacato.". - Dunque c'è partecipazione... Stefano: "Certo. Al 95%, la pensiamo tutti
allo stesso modo..." Girolamo: "Però, qui al picchettaggio, siamo sempre i soliti! Io sto
qui dal 31, da quando mi
hanno dato la lettera di cassa integrazione. Sto qui notte e giorno! - Secondo te, per quale motivo ti
hanno messo nel mucchio dei 24.000? Girolamo: "Per "indiscriminazione". Per mescolare i buoni con
i cattivi. Io ho lavorato 15 anni,
nei primi sette ne ho fatto dieci e mezzo, da tanto che facevo straordinari. Eppure mi hanno dato
la lettera. Io non mi vergogno di dire chi sono: sono Girolamo Giausa, officina 84, caposquadra
Duco.... La vergogna mia è di trovarmi qui con la prospettiva del licenziamento, dopo aver fatto
sempre il dovere mio!" - Ma c'è qualcuno che non è d'accordo col sindacato, che vorrebbe
una lotta più dura? Oppure,
viceversa, una lotta più morbida? Stefano: "In questo momento no. C'è abbastanza
unità. Non si può non riconoscersi nel
sindacato, in questo momento. - Cambiamo argomento. Quali sono i motivi reali, di fondo, di questa
vertenza? Stefano: "Il motivo reale e che la Fiat vuole eliminare il potere sindacale in fabbrica. Un attacco
al sindacato, insomma. Infatti, chi è stato colpito? Attivisti sindacali, delegati come me, donne....
E in mezzo c'hanno infilato anche qualcuno come Giausa, che non ha fatto niente, per buttare un
po' di fumo negli occhi." - Prospettive? Stefano: "Chi è più duro
vincerà, cioè vinceremo noi. La Fiat si rimangerà i licenziamenti e,
credo, anche la cassa integrazione così come vuole applicarla lei. La cassa integrazione a
rotazione è fattibilissima, senza ricorrere allo smembramento delle squadre, come fa la Fiat.
Loro smembrano le squadre per poter togliere di mezzo gli attivisti sindacali, i delegati. Per
esempio, nella mia squadra eravamo 54 persone. Di queste, 25 sono state messe in cassa
integrazione, e tra queste ci sono io, cioè il delegato. Capito com'è il gioco? Anche perché
i
programmi produttivi della squadra sono rimasti gli stessi, mica sono stati ridotti. Il che
significa che ora dovranno prendere 25 persone da un'altra parte e metterle al posto di quelli in
cassa integrazione, per avere la squadra completa. Intanto, però, hanno messo fuori me, ed era
quello che volevano." - Quindi la crisi del settore auto è solo una scusa... Girolamo:
"La crisi c'è. È mondiale. Mica posso metterlo in discussione io che sono un tapino
ignorante. Ma è strumentalizzata dalla Fiat per togliere di mezzo quelli che danno fastidio." -
Ma "quelli che danno fastidio" coincidono esattamente con le strutture sindacali? Insomma, è
davvero il potere del sindacato che si vuole colpire, o, più in generale, l'opposizione
operaia? Stefano: "Tre sono le categorie che si vuole togliere. Gli invalidi, che non servono più.
Le donne,
che tra maternità e roba del genere sono considerate un fastidio. Gli attivisti sindacali, e qui è
chiaro che si vuole colpire il sindacato. Sempre lì torniamo." Già, sempre lì
torniamo, ma senza risultato: l'identificazione della base combattiva col sindacato
non è messa assolutamente in discussione. Il discorso va avanti in questo modo ancora per un po',
senza che nessuno raccolga le mie "provocazioni" antisindacali. Poi quasi inaspettatamente,
prende una piega più interessante. - Dunque voi non pensate che queste lotte possano servire da
"trampolino" per le burocrazie
sindacali, per costruirsi un potere loro? Girolamo: "Se vinciamo, saremo tutti più forti, i sindacati
e quindi anche gli operai..." Ermanno (Fiat Lingotto): "Non capisci, lui allude ad un potere che
non ha nulla a che fare con
la classe operaia. A questo proposito, però, vorrei ricordare il fatto dell'altro giorno, quando
qui a Torino c'è stata la riunione dei delegati e Pio Galli ha proposto lotte meno dure, per una
minor sofferenza degli operai. In quell'occasione la base ha detto no, vogliamo continuare in
questa maniera." - Cioè, tu dici che la base è in grado di impedire ai vertici di svendere
le lotte... Ermanno: "Senz'altro! E ti dirò un'altra cosa. Ieri sera ero lì al Lingotto, ed
è arrivato
Benvenuto. Uè, l'abbiamo preso a fuoco di domande, l'abbiamo messo sotto il torchio. Bè, l'ho
visto molto deciso, molto teso, ha detto compagni questa lotta non dobbiamo perderla, e non la
perderemo! Cioè, sono convinto che anche loro, se prima avevano qualche idea di svendita come
dicevi tu, adesso si sono uniti alla base e non possono più fare marcia indietro." - Siete tutti
d'accordo su questo? Filippo (un "esterno", lavora all'INPS): "Io non sono così ottimista. Il fatto
è che la posta in
gioco, in questo momento, è alta, per il sindacato. Se perde questa battaglia, indubbiamente
rischia di scomparire. Non è tanto questione di essere uniti alla base, quanto questione di
sopravvivenza. Per questo si stanno buttando a capofitto su queste cose... capisci? Ermanno: "Ma,
compagno, sindacato cosa vuol dire? Vuol dire movimento operaio. Certo, il
sindacato ha fatto degli sbagli, tutti sbagliano... però è l'unica forza che abbiamo per combattere
contro il padronato. Filippo: "Sono d'accordo anch'io che, oggi come oggi, il sindacato ci serve,
ma il pericolo della
burocratizzazione esiste e bisogna vigilare, non fermarsi a quello che si ha. Non bisogna essere
ingenui, quei signori vanno controllati. Comunque, anche se in seguito, con il comunismo, il
sindacato è destinato a scomparire, io penso che nella fase attuale abbia una funzione
importantissima. Questo perché oggi non c'è più il vecchio mito del '68, l'occupazione delle
fabbriche, l'autogestione... oggi si dice Agnelli porco, ma poi tutti mirano all'accordo, il
discorso che passa è che se va in malora la Fiat andiamo in malora tutti..." - In altri termini, senza
il sindacato oggi le lotte non sarebbero possibili... Filippo: "La situazione è complessa, oggi. Non
ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra.
Un operaio dell'INPS che si rivolge al sindacato, trova un difensore ma anche una controparte,
contemporaneamente. Questo perché all'INPS (o all'INAM, è uguale) il consiglio
d'amministrazione è fatto proprio da sindacalisti. Cioè, il sindacato oggi gestisce direttamente
gli enti, in Italia. È una struttura del potere, insomma. Però, in un modello socialdemocratico
come quello italiano, ha anche una funzione di frizione. E questa è importante, oggi che
l'esperienza dei gruppi è andata a farsi fottere. Certo, quando c'era Lotta Continua certe cose
non succedevano, anche perché ci si muoveva per altre cose. Nel '69 alla Fiat il PCI era un
gruppo, alla pari di LC.... C'era tutto un altro rapporto di forza. Oggi c'è lo scoramento, la crisi
politica, ideologica... siamo più "indietro" rispetto al '69. In questo contesto il sindacato è
importante." - Tu dici allora che la gente delega al sindacato quello che non è più in
grado di fare da sola... Ermanno: "È perché non c'è maturazione. L'operaio
partecipa alla lotta perché è in gioco il suo
posto di lavoro, non altro..." Filippo: "C'è una delega al sindacato e contemporaneamente
una sfiducia verso istituzioni come
il sindacato...". - Forse perché non sono sentite come istituzioni proprie, gestite
direttamente... Filippo: "No, è un rapporto amore-odio. Da un lato la gente è sfiduciata
perché il sindacato non
fa abbastanza, dall'altro, però, il sindacato non può fare abbastanza perché la gente è
sfiduciata..." Filippo: "Il problema non è un sindacato diverso. A me sta bene il sindacato
che c'è, perché il
sindacato più di tanto non può fare, comunque sia organizzato. Col sindacato mica si realizza il
comunismo. L'unica funzione che può svolgere il sindacato è quella funzione di frizione, di cui
parlavo prima. Per esempio, in questa vertenza dirà: anziché 24.000 ne licenziamo 1.000 o
2.000... il morto Agnelli lo vuole e non sarà il sindacato ad impedirlo. La funzione del sindacato
è questa, non può essere che questa. Anche a Danzica. A Danzica non potranno certo fare di
più.
Anzi, forse faranno di meno... Stefano: "Io credo che noi abbiamo il sindacato più forte
di tutta l'Europa. In Inghilterra, in
Germania, ci sono stati licenziamenti in massa, e il sindacato di là non si è opposto, anzi quei
licenziamenti li ha contrattati. Qui in Italia questo non succede, dunque il nostro sindacato è più
forte degli altri sindacati europei, e forse anche di quelli americani." - Ma questa maggior
combattività non può essere apparente, o comunque, temporanea, finché il
sindacato non avrà conquistato un potere solido? Stefano: "Non credo proprio. Se questo
capitasse, allora perderebbe completamente la fiducia.
La fiducia della base è un po' aumentata, ultimamente, se quello che tu dici si verificasse
sarebbe il collasso, davvero."
Con questa convinta affermazione di fede, la discussione si chiude. Comincia a fare buio.
Ringrazio e mi allontano. Non so cosa pensare. Tutti hanno espresso fiducia nella lealtà del
sindacato, sia pure con motivazioni diverse, a vari livelli di politicizzazione. Tutti hanno insistito
sulla capacità della base di controllare le decisioni dei vertici, sul fatto che in questa vertenza chi
"da le indicazioni" sono loro, non i dirigenti. Soprattutto questo mi lascia perplesso. È
un'illusione, certo, allo stato attuale delle cose. Ma che significato ha? Cosa c'è dietro? C'è la
consapevolezza del problema, della necessità che sia la base ad autogestire le lotte, c'è dunque la
volontà di agire in prima persona? Sarebbe positivo: alla "resa dei conti", alla prima verifica del
"tradimento" dei vertici sindacali, la constatazione dell'inganno potrebbe suscitare benefiche
reazioni, finalmente. Oppure, non sarà anche questo un atteggiamento mentale costruito, il frutto
di un'abile manipolazione del consenso? In fin dei conti, in questa occasione, il sindacato non sta
facendo poi un grande sforzo, accettando di "prendere le indicazioni" dalla parte più combattiva
della base. A parte la bella figura, ha lui stesso bisogno di una lotta dura, questa volta, perché è in
gioco il suo potere, e non solo in fabbrica. È il sindacato, quindi, che cerca di "radicalizzare" la
base, di coinvolgerla nelle sue scelte, non viceversa. Mentre mi avvio alla macchina, così
rimuginando, incontro Donato, un conoscente, anche lui operaio Fiat. Non è di quelli in cassa
integrazione, però, e tutte le mattine si presenta ai cancelli nella speranza di entrare. Eppure non è
un capo, un servo fedele dell'azienda. Glielo dico, mentre riattacco per l'ultima volta il
registratore. Donato (Fiat Rivalta): "I capi magari fanno casino, cercano di sfondare. Ma di entrare, ormai,
hanno voglia tutti, perché è da troppo tempo che andiamo avanti. Alla fine di questo mese, in
busta, io non ci troverò un cazzo, mentre quelli dei picchetti, con la cassa integrazione, hanno
più del 90% del salario assicurato. Comunque io non ce l'ho con loro, in fondo difendono il
posto di lavoro, al loro posto probabilmente farei lo stesso. Io ce l'ho col sindacato, che si è
impuntato per una questione di principio, per far vedere alla Fiat che è più forte. Sono stufo di
perdere soldi per far piacere a Lama..." Ce ne andiamo ognuno per la sua strada. Certo, Donato non
è mai stato un gran rivoluzionario, e
i suoi discorsi possono essere facilmente tacciati di miopia egoista, e peggio. Eppure, nonostante
tutto, è difficile evitare di chiedersi: nel guazzabuglio mistificato di questo "nuovo scoppio di
conflittualità operaia", chi ha capito di più, chi sta veramente presentando il conto al sindacato,
Donato o i compagni ancora disperatamente disposti ad illudersi?
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