Rivista Anarchica Online
Quel diavolo di avvocato
di Paolo Finzi
Il 30 aprile gli hanno perquisito l'abitazione e lo studio legale, rovistando per ben undici ore tra
tutti i suoi fascicoli, le sue carte, gli incartamenti relativi alle centinaia di procedimenti grossi e
piccoli di cui si stava occupando. Poi, con un mandato di accompagnamento, lo hanno portato a
Firenze, dove è stato a lungo interrogato dai magistrati fiorentini responsabili della repressione
antiterroristica. Nella tarda serata del 1° maggio, al termine dell'interrogatorio, gli hanno
notificato un mandato di cattura e l'hanno spedito in carcere. Così Gabriele Fuga, anarchico,
attivissimo avvocato, si trova da un mese detenuto a San Vittore, accusato di favoreggiamento e
di altri reati connessi con il "terrorismo". Pochi giorni prima, due mandati di cattura erano stati spiccati contro
altri due legali di estrema
sinistra: Edoardo Arnaldi a Genova e Sergio Spazzali a Milano. Il primo aveva preferito
suicidarsi, piuttosto che finire in quelle carceri speciali che a lui - anziano, ammalato, stanco -
avrebbero riservato un trattamento davvero insostenibile. Spazzali, invece, dopo la consueta
perquisizione, era finito dentro. Invitato a nominarsi un avvocato, aveva subito scelto Fuga. Nemmeno tre
settimane dopo l'arresto di Fuga, è la volta di Rocco Ventre, altro attivissimo
avvocato, arrestato a Roma perché, secondo la confessione di uno dei tanti brigatisti pentiti, gli
avrebbe consigliato di stare all'occhio, perché il suo telefono gli risultava essere controllato. Le
motivazioni addotte per togliere dalla circolazione Rocco Ventre sono talmente futili e
presuntuose da scatenare la quasi-compatta protesta degli avvocati romani, che hanno dato vita
ad un clamoroso sciopero di protesta non privo di motivazioni bassamente corporative, ma non
per questo meno significativo. Negli anni '70, tra l'altro, Ventre aveva difeso numerosi compagni
anarchici (tra i quali, Giovanni Marini) e si era impegnato attivamente nella campagna politico-giudiziaria sulla
"strage di Stato".
In relazione a questi fatti, si è parlato giustamente di un attacco generalizzato al diritto alla difesa
da parte della Magistratura e dello Stato. E in effetti, quel diritto alla difesa, trasformato
addirittura in un dovere (al punto da imporre ai brigatisti che rigettavano il difensore di averne
comunque uno, al limite d'ufficio), è sempre più calpestato. Non da oggi però. Si pensi, per
esempio, alla disposizione emanata da tempo dal Ministero dell'Interno che obbliga tutti i
magistrati a trasmettergli tutti gli incartamenti relativi a procedimenti giudiziari ancora in corso,
compresi - s'intende - tutti gli atti relativi alla difesa degli imputati. Né si scordi che le
perquisizioni agli studi legali non sono iniziate adesso, ma risalgono già a qualche anno fa, con
quella allo studio del legale di sinistra milanese Cappelli. Tutte le volte che un fermato è invitato
a nominarsi un difensore, poi, gli si fa sempre presente l'opportunità (per lui) di non richiedere la
presenza di avvocati "sgraditi" alla magistratura, pena un inevitabile aggravamento della sua
posizione legale: a questo punto, chi nomina ugualmente un avvocato compagno viene subito
considerato un sovversivo impenitente, uno che probabilmente si considera un prigioniero
politico, e come tale va trattato. Al fondo, vi è da parte del potere la necessità di stroncare
l'attività di quegli avvocati che non stanno al previsto gioco delle parti, che non si accontentano
delle veline questurinesche, che pretendono di scoprire e di sapere troppo. Basta rileggere quanto scritto dai
carabinieri del generalissimo Dalla Chiesa nel rapporto inviato
al tribunale di Genova nel maggio dello scorso anno, per motivare la richiesta di estromissione
dell'avvocato Arnaldi in quanto potrebbe inquinare le prove, non solo quelle acquisite ma
soprattutto quelle ricercate. Citazione testuale. Centinaia di imputati in attesa di giudizio o di appello rimasti
improvvisamente senza avvocato
difensore, intimidazione e ricatto contro i sempre meno numerosi avvocati di sinistra disposti a
difendere gli arrestati dalle squadre speciali della polizia dei carabinieri. Decine di procedimenti
costretti a saltare e a slittare alle calende greche: questi alcuni degli effetti pratici voluti ed
ottenuti dal regime con l'arresto degli avvocati. Ma non è tutto.
Arnaldi, Fuga, Spazzali e pochissimi altri non si sono limitati a curare con il massimo impegno
possibile le strategie della difesa legale dei loro assistiti in vista e durante il processo, fino alla
sentenza definitiva. Oltre che difensori degli imputati, essi sono stati difensori dei carcerati: ciò
significa che non hanno abbandonato i loro difesi una volta terminato il processo, ma hanno
continuato a fare la spola tra le carceri e le supercarceri d'Italia per raccogliere informazioni e
denunce sulla brutale repressione di cui i "definitivi" soprattutto sono spesso oggetto. A costo di
grandi sacrifici personali, hanno svolto questo lavoro di immenso valore umano e politico perché
spinti dalla volontà di contrastare il disegno di annientamento del potere contro i suoi antagonisti,
facendo sì che i pestaggi, trasferimenti in isolamento, ricatti e violenze di ogni tipo non
restassero relegata tra le putride mura delle carceri, ma uscissero fuori a conoscenza dell'opinione
pubblica. Lunghi viaggi in treno o in auto, snervanti attese per i traghetti per Pianosa, l'Asinara o
la Favignana, tanti viaggi inutili perché nel frattempo il detenuto era stato trasferito, un continuo
lavoro per far sì che il sistema carcerario non possa inghiottire nel nulla i detenuti scomodi:
questo lavoro dei pochi difensori dei carcerati non poteva non disturbare profondamente i piani
di normalizzazione del generalissimo. Sono bastati pochi arresti per quasi azzerare anni e anni di
lavoro. Ed ora sono già qualche centinaio i detenuti rimasti senza difensore, senza nessuno a cui
potersi rivolgere, perlopiù senza soldi, senza appoggi, spesso senza colpa alcuna. Ora che i loro
difensori sono reclusi come loro, il potere sa di poter giocare pesante senza dover temere
fastidiosi ficcanaso e implacabili avversari.
Se è vero che tutti gli arresti dei legali rientrano in questo stesso disegno repressivo contro il
quale siamo impegnati a lottare, quello di Fuga ci ha colpito particolarmente. Non solo per la
comune matrice ideologica anarchica, ma anche per l'impegno nella difesa delle nostre vittime
politiche che ci ha visto collaborare. Nonostante Fuga abiti e lavori a Milano, incontrarlo ed
anche solo trovarlo al telefono era un'impresa - negli ultimi tempi, soprattutto. Se non era in
tribunale impegnato con un processo, era fuori studio perché chiamato da un compagno che si
ritrovava la polizia in casa per una perquisizione; oppure ti dicevano che per qualche giorno era
fuori città, e allora potevi star certo che era in viaggio per tutt'Italia lungo il "circuito dei
camosci" (come viene chiamato il giro fra le numerose carceri speciali). Anche l'intervista
pubblicata sul numero di febbraio (Tra repressione e garantismo) siamo riusciti a fargliela
all'ultimo momento, una domenica mattina alle 9, fra un impegno e l'altro, dopo numerosi rinvii
legati alla sua attività di avvocato/compagno, cioè - riprendendo il titolo della rubrica da lui
curata su "A" - di avvocato del diavolo.
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