Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 78
novembre 1979


Rivista Anarchica Online

Burocrazia e autogestione
di Slobodan Drakulic

Proverò in questo articolo a scoprire le origini della contraddizione che esiste in Iugoslavia tra burocrazia e autogestione, soffermandomi sull'importanza che ha non solo in Iugoslavia, ma nel movimento rivoluzionario in generale, la "tradizione rivoluzionaria" del socialismo assolutista (o anche "bolscevismo", "marxismo-leninismo", "socialismo scientifico" ecc.). Nella disputa/conflitto tra le tendenze autoritarie e quelle libertarie all'interno del movimento rivoluzionario del 19° secolo (e soprattutto nella 1a Internazionale), ha prevalso l'autoritarismo, mentre la tendenza libertaria è stata ridotta a un ruolo marginale. Raramente viene citata la conseguenza più importante del conflitto all'interno del movimento rivoluzionario: sebbene i partiti socialdemocratici continuassero ad aumentare le loro forze numeriche, il fervore rivoluzionario andava pian piano scemando.
Ci fu un'importante eccezione: i bolscevichi russi. Essi continuarono a propagandare la rivoluzione armata, ma sotto il diretto controllo del partito rivoluzionario - cioè loro stessi. Essendo perseguitati dalla polizia imperiale e aderendo all'ala più autoritaria del primo marxismo, diedero una struttura gerarchica alla loro organizzazione rivoluzionaria, ponendosi come obiettivo non l'abolizione o il decadimento dello stato, ma la conquista del potere e l'instaurazione della dittatura del proletariato. Le prime conquiste rivoluzionarie furono abolite o decaddero: vale a dire il soviet e il consiglio operaio. E qui si giunge alla più importante contraddizione del movimento rivoluzionario autoritario: invece di contrastare la struttura gerarchica della società, ne creò una nuova; invece di valorizzare di più le azioni rivoluzionarie spontanee dei lavoratori, le stroncò in nome della rivoluzione, della classe lavoratrice, della storia del Comitato centrale. Tuttavia essendo la sola rivoluzione vittoriosa della storia, la rivoluzione bolscevica esercitò un'attrazione enorme sui movimenti e sulle organizzazioni rivoluzionarie di tutto il mondo.
Così all'inizio e per tutta la prima metà del 20° secolo essa ispirò il movimento rivoluzionario in generale. Il ruolo dominante del partito nel movimento e il ruolo dominante dell'élite del partito all'interno del partito stesso divennero così le caratteristiche principali della maggior parte dei rivoluzionari filo-bolscevichi e delle organizzazioni di sinistra. Essi non si ponevano come obiettivo immediato, e neppure come fine tattico, l'autogestione.
Dopo la seconda guerra mondiale, i bolscevichi, o i partiti marxisti-leninisti, si impadronirono del potere in parecchi stati europei, compresa la Iugoslavia, instaurandovi sistemi politici autoritari, e cambiando (ma mantenendo) la struttura sociale gerarchica. La Iugoslavia si differenzia dagli altri paesi per il modo in cui il partito comunista conquistò il potere: mentre nei paesi dell'est europeo ciò avvenne perlopiù con l'intervento delle truppe sovietiche, in Iugoslavia ne fu artefice il movimento partigiano controllato dal partito comunista. Questa differenza giocherà una parte importante nelle future divergenze tra i comunisti iugoslavi e i paesi della "sfera di influenza" sovietica. Comunque, in Iugoslavia l'elite del partito divenne il gruppo sociale (alcuni direbbero la classe) dominante. I membri del partito costituirono pian piano la nuova borghesia, alla quale si unirono parecchi gruppi sociali, compreso quello che in Iugoslavia viene chiamato "tecnocrazia". Poi, in seguito alla relativa liberalizzazione dell'investimento privato (ma sempre su scala ridotta), anche un terzo gruppo, costituito da piccoli imprenditori, entrò a far parte della classe media. La classe lavoratrice (che ufficialmente veniva definita classe dominante dall'intera società) era perlopiù di origine contadina e i contadini stessi formarono la base della gerarchia sociale.
La posizione dei contadini merita particolare attenzione: sebbene possedessero la gran parte delle terre coltivabili del paese e producessero la maggior parte dei prodotti agricoli necessari al resto della società, per lungo tempo vennero considerati come degli emarginati sociali un retaggio dei secoli passati da eliminare il più presto possibile. Nello stesso tempo la produzione agricola socializzata non era e non è capace di produrre cibo a sufficienza per l'intera popolazione e, ancora più importante, la società non seppe socializzare l'agricoltura, perché non riuscì a integrare l'inevitabile eccesso di mano d'opera nell'industria, nei servizi sociali o nell'apparato dello stato. Così anche grandi zone agricole (specialmente nelle regioni montuose e costiere del paese) non furono in grado di nutrire la loro stessa popolazione sempre crescente, e cominciò un esodo enorme di disoccupati verso le grandi città e verso l'Occidente. Ne risultò una grave carenza dei prodotti agricoli tipici di queste zone, le quali si trasformarono o in località turistiche (come avvenne in molte parti della costa) o in zone semidesertiche e disabitate (come la maggior parte delle montagne). La classe contadina venne perciò a costituire circa un terzo della popolazione globale del paese, senza però mai integrarvisi completamente dal punto di vista socio-culturale. L'assimilazione di questo gruppo sociale all'interno del sistema autogestionario è tuttora un problema aperto. L'unica possibilità immediata, in questo senso, non risiede nel settore produttivo, ma piuttosto nel sistema socio-politico, dove tuttavia esistono resistenze, da parte delle classi medie e degli stessi gruppi dominanti, fin dal primo livello che si può considerare importante: quello della comune (la comune è il primo elemento dell'organizzazione socio-politica il cui potere economico e politico sia in qualche modo rilevante). Oltre questa soglia, lo stato e la burocrazia del partito scoraggiano con decisione qualsiasi serio tentativo di mettere in pratica i concetti dell'autogestione, e così facendo difendono il proprio monopolio del potere.
L'élite del partito si è trovata così in una posizione contraddittoria: quella di dovere essere, ad un tempo, il gruppo sociale (o classe) dominante e l'avanguardia rivoluzionaria. Ciò significa che, come gruppo sociale privilegiato, essa deve difendere i propri interessi economici, sociali, politici e culturali: nel contempo, in qualità di avanguardia rivoluzionaria, deve combattere i privilegi e gli interessi particolaristici di ogni sorta, in qualunque gruppo sociale si manifestino. Essa è perciò, nel medesimo tempo, alleata e nemica di se medesima. Come avanguardia rivoluzionaria deve cercare di migliorare le condizioni di vita degli operai e dei contadini, ma come gruppo privilegiato le circostanze (che sono un prodotto della sua precedente linea di condotta) la costringono a disinteressarsi dei problemi che non siano i propri e, spesso a porsi in aperto contrasto con gli interessi dei lavoratori. In questo modo essa diviene anche, e sempre nel medesimo tempo, alleata e nemica della classe operaia. Promuovendo l'autogestione, tende a dare sempre maggior potere ai lavoratori, ma deve anche impedire che giungano a scalzare i gruppi sociali privilegiati, tra i quali essa stessa è compresa. Ecco perché ha sempre un disperato bisogno di trovare qualcuno da opporre come nemico all'autogestione e alla rivoluzione in generale. Se può far credere che qualche altro gruppo contrasta lo sviluppo del sistema autogestionale, l'elite al potere viene a trovarsi automaticamente dalla parte delle classi lavoratrici e del popolo. Di tanto in tanto, perciò, conduce qualche battaglia contro i cosiddetti nemici dei lavoratori, reali o fittizi che siano, assumendo così un ruolo fondamentale nel processo rivoluzionario. Questo, però, si traduce in un'eterna guerra di difesa e la rivoluzione risulta vincente solo quando (o solo perché?) riesce ad evitare la sconfitta, oppure quando riesce a compiere un piccolo passo avanti, di tipo essenzialmente socialdemocratico, promuovendo riforme in un qualsiasi settore della vita sociale.
Un ruolo interessante e importante è giocato, all'interno di questo processo, dalle classi medie, economicamente, socialmente e culturalmente privilegiate, ma sostanzialmente prive di potere politico decisionale e da un lato minacciate dalle rivendicazioni dei lavoratori, dall'altro lasciate in balia dell'elite al potere. Le classi medie sono un gruppo sociale assai diversificato: privo di interessi comuni nella sfera sociale, formate essenzialmente dall'intellighentsia, da piccoli e medi burocrati, da piccoli imprenditori privati, da "tecnocrati", da tecnici e lavoratori altamente specializzati, risulta essere un'entità statica, piuttosto che un elemento sociale nel più vero senso del termine. Nelle espressioni ideologiche della classe dominante tutti questi gruppi compaiono, di volta in volta, come alleati o nemici della classe operaia. I piccoli proprietari, perciò vengono definiti "imprenditori privati" o "avanzi della società borghese" a seconda che li si voglia fare rientrare nella categoria neutrale o in quella degli avversari. I rappresentanti dell'intellighentsia tecnica, a loro volta, vengono definiti "esperti" o "tecnocrati" a seconda del ruolo che devono assumere, secondo i progetti delle elites dominanti, in un dato momento storico. I piccoli e medi burocrati, invece, sono sempre criticati, ma mai chiaramente classificati o bollati come gruppo sociale. Nell'ambito degli intellettuali, infine, si distinguono sempre due categorie: quella degli "onesti" e quella dei "rompiscatole", degli "estremisti", dei "critici senza costrutto", ecc. I tecnici e gli operai altamente specializzati sono esclusi da questo rituale, perché fanno parte della classe lavoratrice, ma anche, allo stesso modo, della classe privilegiata. Se la burocrazia non esistesse, l'elite al potere dovrebbe senz'altro inventarla, poiché essa è sempre il capro espiatorio di ogni società burocratica. È la causa dei fallimenti e dei ritardi nell'attuazione delle "misure" predisposte dall'elite dominante per risolvere questo o quel problema, particolare o generale, della società. È colpevole di dilapidare tanto denaro per mantenersi in vita, di lasciarne poco o nulla per la realizzazione dei vari progetti di pubblica utilità. È anche responsabile del naufragio di ogni tentativo di introdurre nuove e migliori forme di autogestione nei vari sotto-sistemi sociali. Tutti dovremmo unirci contro di essa, e combatterla, per difendere i "frutti della rivoluzione" e per farne maturare altri ancora. Tuttavia, nessuno è mai stato in grado di dire esattamente che cosa sia la burocrazia, da chi sia impersonata, che cosa faccia, come sia potuta diventare così potente e invincibile e, soprattutto, come sia possibile sconfiggerla. Alla fine, scopriamo che i burocrati sono perlopiù esseri dotati di notevoli privilegi, che compensano giustamente il disagio di fungere continuamente da nemici del popolo e della rivoluzione. Ci rendiamo anche conto del fatto che è impossibile combatterli, e tanto meno sconfiggerli, perché sono sempre protetti, e non tanto da questo o quell'individuo o gruppo, quanto dal sistema stesso. Infine, scopriamo che anche loro, con tutti i loro privilegi, sono impotenti, se non ricevono direttive "dall'alto". Per farla breve, si giunge alla conclusione che, ai suoi massimi livelli, la burocrazia è indistinguibile dalla stessa elite al potere, e si mescola con essa, emergendone di tanto in tanto. I burocrati non sono altro che gli alter ego, i mister Hyde di chi sta più in alto, amati e odiati, difesi e vituperati, comprati e venduti, usati e abusati dai loro padroni.
L'"intellighentsia tecnica", altrimenti detta "tecnocrazia", è un altro gruppo sociale interessante e contraddittorio, che attenta alle conquiste delle lotte operaie - alla Rivoluzione. Situati perlopiù nell'industria, i tecnocrati vi giocano una parte importante a livello direzionale. Il loro potere decisionale è assai maggiore della loro reale consistenza numerica, e ciò grazie alle norme legali che disciplinano la gestione delle imprese. Le decisioni finali su tutte le questioni che concernono la gestione imprenditoriale spetterebbero per diritto a tutti coloro che fanno parte dell'impresa stessa, ma in realtà la scelta cade sempre su una delle due o tre soluzioni proposte dai tecnocrati, sempre presenti in forze in tutte le più importanti commissioni che si occupano dei problemi basilari, quali la pianificazione, l'organizzazione della produzione, il marketing e la distribuzione del reddito. In particolare, per ciò che riguarda quest'ultimo punto, ogni tentativo di ripartizione egualitaria viene decisamente scoraggiato dal partito, dai sindacati e dalle altre organizzazioni "socio-politiche" e prontamente tacciato di uravnilovka (cioè di tendenza al livellamento).
Questa tendenza è ovviamente considerata riprovevole e viene fortemente osteggiata, poiché rende impossibile dare a tutti una retribuzione "adeguata al lavoro svolto". Ci si dimentica volentieri, tuttavia, che gli operai, intesi come gruppo, percepiscono un compenso che, rapportato al lavoro svolto (per quanto esso sia), è sempre inferiore a quello dei "tecnocrati" e "burocrati", e poco importa che il contributo di queste due ultime categorie al benessere della società sia assai più esiguo del loro. È giusto ricordare qui che persino i membri dell'elite dominante hanno spesso criticato questo aspetto e considerato il problema, senza mai però porvi rimedio. La mia opinione al riguardo è che l'elite al governo, nel giustificare il fallimento pratico dell'autogestione (o meglio: il fallimento del tentativo di introdurre l'autogestione sempre più rapidamente e sempre più in profondità nella vita sociale quotidiana), inventi e alimenti il mito della "burocrazia", della "tecnocrazia" e della "tecnoburocrazia" viste come i maggiori ostacoli che si frappongono a un ulteriore sviluppo autogestionale, mantenendo così inalterati, nel contempo, i privilegi socio-economici e culturali dei rispettivi gruppi sociali. In questo modo, quegli stessi gruppi sociali servono a mascherare il ruolo e la posizione sociale dell'elite dominante.
Anche l'intellighentsia è un gruppo sociale privilegiato, sia dal punto di vista socio-economico che dal punto di vista culturale, perché fa parte delle classi medie. I suoi membri sono presenti in tutti i gruppi sociali che abbiamo menzionato, ma dispongono anche di un campo d'azione specifico nella sfera sociale: quello dei mass-media e delle istituzioni scientifiche e di formazione. L'intellighentsia, dunque, controlla la produzione intellettuale di una società nella quale l'ideologia riveste un ruolo di estrema importanza a tutti i livelli. Per questo suo potere, l'intellighentsia è sottoposta a sua volta a pesante e severo controllo da parte dell'elite, che la disprezza e l'incensa per il suo lavoro, giudicato naturalmente dal punto di vista della classe dominante. Il controllo è particolarmente rigoroso nel campo dei mass-media e nel campo educativo ai livelli più bassi; lo è meno, invece, ai livelli più alti (ad esempio, nelle università). Le istituzioni scientifiche sono relativamente libere in questo senso, ma se non "usano in modo corretto" questa libertà possono essere private di risorse finanziarie di vitale importanza.
C'è una grande differenza tra l'intellighentsia di tipo tecnico e quella di tipo umanistico o sociale: la prima non incontra praticamente ostacoli nel suo lavoro (salvo, naturalmente, quelli di tipo "oggettivo", quali una reale carenza di risorse), mentre le altre due ottengono solo quelle che si meritano (e il limite non è mai niente). In questi ultimi anni si è riscontrata la tendenza a limitare il numero degli studenti delle discipline socio-umanistiche, con il pretesto che la società ha scarso bisogno di quadri politici con questo tipo di formazione. È forse interessante notare che i filosofi e i sociologi rientrano in questa categoria, così come è interessante osservare che i seguaci di queste discipline costituivano una componente principale all'interno di quello che potremmo chiamare il gruppo dei "dissenzienti". Infine, può essere utile ricordare che si è riscontrato un brusco calo di interesse nei confronti di queste due professioni, da parte della società in generale, soprattutto dopo la sconfitta del movimento antiautoritario degli studenti, tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta. Ciò avrebbe dovuto portare (soprattutto i marxisti) all'inevitabile conclusione che la società non aveva più bisogno di critici, il che equivaleva a dire che le classi dirigenti della società non volevano tra i piedi critici "estremisti" o "senza costrutto"; tuttavia, non essendo in posizione tale da poter dichiarare di non aver bisogno di filosofi e di sociologi, la società cerca di sottolinearne perlomeno la scarsa utilità. L'interesse degli studenti per queste materie, è eccezionalmente elevato, se paragonato a quello che essi rivelano nei confronti di professioni lautamente remunerative come quelle legali ("burocratiche") ed economiche ("tecnocratiche"). Si è creata, perciò, una profonda frattura tra le aspirazioni dei giovani e gli interessi dell'elite sociale dominante.
Quest'ultima non esita a riconoscere che l'autogestione costituisce un passo avanti veramente rivoluzionario, ma nel contempo si rende conto che è anche un passo verso la rivendicazione politica di una parte dei privilegi che sono attualmente appannaggio esclusivo delle classi medie. L'elite dominante salvaguarda i privilegi di queste classi, ma ne rintuzza le ambizioni politiche. Nel primo caso contraddice gli interessi della maggioranza dei lavoratori; nel secondo, entra in conflitto con una parte delle classi medie. In altre parole, gioca con tutti e due i gruppi sociali come il gatto con il topo. Credo di aver detto abbastanza chiaramente che, a mio avviso, nessuno dei gruppi sociali che ho finora menzionato (ad eccezione dell'elite del partito) detiene il potere politico. È, questo, l'unico privilegio che l'elite non spartisce con nessuno.
Il divario che esiste tra i livelli normativi e pratici della vita sociale è enorme. L'elite dominante mantiene inalterata la struttura di classe della società conservando intatti i propri privilegi e quelli delle classi medie e alimentando il mito/spauracchio dell'autogestione (potere dei lavoratori).
L'autogestione viene presa sul serio solo dai lavoratori e dalle classi medie inferiori (oltre che da parte dell'intellighentsia), cioè da coloro i quali aspirano a migliorare la loro posizione all'interno della società, o a portare avanti attivamente, nella pratica, il processo rivoluzionario. Così l'autogestione è sviluppata e ostacolata dal medesimo gruppo sociale che segue rigorosamente i suoi interessi: attaccando i privilegi delle classi medie attraverso l'autogestione e ostacolando l'autogestione attraverso il mantenimento delle gerarchie sociali. I lavoratori sono incoraggiati ad attaccare i servi dell'elite dominante, fungendo così essi stessi da strumento per la conservazione del sistema nel quale hanno il loro rango di proletari, dove paradossalmente si apre una possibilità di abolire una società di padroni, servi e proletari, se questi ultimi prendono l'autogestione (troppo) sul serio.
Per concludere: l'elite dominante è identica alla burocrazia d'alto livello ed è la classe egemone della società. Essa sfrutta le classi medie, che difendendo i propri interessi fungono da cuscinetto e attutiscono l'azione delle masse non privilegiate. Nello stesso tempo, sfrutta anche le classi sociali non privilegiate, che lottando per i propri diritti attraverso l'autogestione la preservano dalle mire a volte troppo ambiziose delle classi medie. È una situazione politica precaria, con due possibili vie d'uscita sempre aperte: una porta alla società libertaria, l'altra al totalitarismo. È curioso che i sostenitori dell'autogestione non siano rivoluzionari libertari e antiautoritari. Stanno persino cercando di rintracciare esclusivamente nella tradizione marx-leninista le radici teoriche dell'autogestione, e ciò non potrà certo portare a buoni risultati. Le componenti originarie libertarie dell'autogestione sono quasi completamente ignorate, perlomeno a quanto si può vedere.
Infine dobbiamo porci il problema della reale consistenza e del valore dell'autogestione in Jugoslavia. Esiste veramente? La risposta è positiva, allorquando e dove c'è chi sia disposto e capace di lottare per realizzarla; negativa, allorquando e dove non c'è chi lo faccia. Ma esiste più a livello di base, nelle fabbriche e nelle istituzioni, che a livello delle comuni, di Repubblica o di Federazione; più nei settori politicamente meno "sensibili" che in altri; più nelle aree economicamente, culturalmente e politicamente più sviluppate; infine, voglio sperare, oggi più di ieri, e domani più di oggi.