Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 73
aprile 1979


Rivista Anarchica Online

Spagna: le urne disertate
di Josep Alemany

I risultati delle recenti elezioni legislative (1° marzo) non hanno provocato alcun cambiamento sostanziale nel panorama politico spagnolo. Il partito al potere, U.C.D. (Unione di Centro Democratico; guidata dal primo ministro Suarez), mantiene le sue posizioni (167 seggi, due in più rispetto alle elezioni del 15 giugno 1977), seguito dal P.S.O.E. (socialisti, 121 seggi, 3 in più); dopo questi due colossi viene il P.C.E. (comunisti, 23 deputati, 3 in più) ed altri vari partiti con non più di 9 deputati.

Dal momento che tanto il P.S.O.E. quanto il P.C.E. mantengono più o meno le stesse posizioni di due anni fa (in leggero calo di voti il P.S.O.E. e in leggero aumento il P.C.E.), alcuni osservatori hanno giudicato la sinistra nel suo insieme, e soprattutto i socialisti, la vera sconfitta, dal momento che speravano in un vero e proprio trionfo del P.S.O.E. (già si parlava di una "primavera socialista") e in un significativo aumento delle altre forze di sinistra. Tanto per cambiare, le profezie non si sono avverate.

Il dato più rilevante di queste elezioni è indubbiamente l'elevato tasso di astenuti: il 33,6% del corpo elettorale, il che significa che su quasi 27 milioni di aventi diritto al voto, circa 9 milioni si sono astenuti. Anche considerando l'"astensionismo tecnico" (gli ammalati, ecc.), si tratta pur sempre di una percentuale considerevole, ancora più significativa se si tiene conto della campagna pubblicitaria dei mass-media, della partecipazione di tutti i partiti, del fatto che per la prima volta votavano tutti i maggiori di diciott'anni e che le elezioni si tenevano in un giorno feriale. Questo astensionismo non si può paragonare a quello del referendum per approvare la costituzione (6 dicembre 1978) - 32,3% - poiché in quell'occasione vari partiti, compresi alcuni non di sinistra, sostennero una posizione astensionista. Al contrario, queste elezioni legislative hanno visto la partecipazione compatta di tutti i partiti e partitini, per minoritari ed "estremisti" che fossero: non sono mancate all'appuntamento le rumorose sette trotzkiste, maoiste, marxiste-leniniste-nazionaliste, ecc., senza peraltro ottenere alcun deputato, fatta eccezione per i 3 seggi conquistati da "Herri Batasuna", coalizione di diverse organizzazioni basche, alcune delle quali vicine all'E.T.A. (organizzazione, questa, che professa un fanatismo nazionalista ultrautoritario tipo I.R.A.).

I perché dell'astensionismo

Fino a che punto l'astensionismo si deve all'influenza della C.N.T.? Credo solo in minima parte: innanzitutto perché nella C.N.T. hanno sempre convissuto un settore decisamente astensionista ed un altro sostenitore del lassez-faire. In secondo luogo, perché, anche tenendo presente la presenza quotidiana di militanti nelle fabbriche e nei quartieri come elemento propagatore delle idee libertarie, si deve constatare che, per mancanza di convinzioni in alcuni settori, per mancanza di mezzi in altri, o per altre ragioni ancora, a malapena la C.N.T. è riuscita a far sentire la sua voce astensionista. Infine bisogna considerare che la C.N.T., in campo astensionistico come in tanti altri campi, va a rimorchio delle situazioni e non riesce a porsi come elemento trainante.

Stando così le cose, dobbiamo necessariamente volgere la nostra attenzione verso altri fattori. Per comprendere l'astensionismo è necessario soprattutto considerare le particolarità del processo di "normalizzazione parlamentare" sviluppatosi in Spagna dopo la morte del Caudillo. Dopo una guerra civile, i partiti politici ed i sindacati erano presentati dal potere franchista come il demonio, la negazione stessa del sistema. Gli stessi partiti hanno contribuito alla formazione di questa immagine con una propaganda demagogica tendente a presentare la fine del regime e la loro conseguente andata al potere come la panacea di tutti i mali, come un cambiamento profondo della situazione. È bastata la morte di Franco (nel suo letto, fatto questo di per se stesso significativo) con la successiva legalizzazione dei partiti e dei sindacati, nonché l'inizio dello spettacolo parlamentare a partire dal giugno '77, perché alcuni si svegliassero dal loro sonno dogmatico e cominciassero a vedere la realtà per quello che era.

I partiti e i sindacati "operai", attesi come gli angeli sterminatori del franchismo, come i difensori ad oltranza degli sfruttati, hanno operato in maniera esattamente opposta, collaborando con gli eredi del franchismo (organizzati nell'U.C.D.) per modernizzare i meccanismi del potere statale franchista e parteciparvi.

Niente di nuovo sotto il sole, direbbe un qualsiasi cittadino di un qualsiasi stato democratico-parlamentare, abituato a fatti simili. D'accordo, però questi fatti hanno provocato un forte shock in Spagna, proprio per il contrasto abissale tra l'immagine costruita in quarant'anni e la cruda realtà dei nostri giorni, dopo la legalizzazione di partiti e sindacati. Si può perciò affermare che l'astensionismo affonda le sue radici soprattutto nel disprezzo e nel rifiuto generalizzato contro la classe politica spagnola e la constatazione che attraverso le elezioni niente cambia. L'astensione, in definitiva, pur con le eccezioni che confermano la regola, può essere "letta" come un fenomeno di rifiuto che solo in determinate zone del paese ha assunto caratteristiche "di sinistra" (utilizzo questa espressione con un significato positivo, tanto per capirci). Questo odio contro la classe politica a volte è il prodotto di un'attenta riflessione, più spesso di un ripudio viscerale. In entrambi i casi, comunque, non vi è alcuna prospettiva di "organizzazione rivoluzionaria" né di "radioso avvenire". Peccherebbe di trionfalismo chi volesse vedere nel fenomeno dell'astensionismo gli indizi della nascita di una prospettiva organizzativa oppure della crescita di una C.N.T. libertaria. Non sto facendo il profeta, sto solo constatando alcuni fatti: il disincanto, infatti, riguarda anche la C.N.T.

Burocratizzazione e crisi della C.N.T.

È evidente che non si può giudicare la C.N.T. come un tutto monolitico. Non si possono tacere, comunque, gli indizi di alcuni fenomeni preoccupanti, di un'evoluzione che tende ad una crescente burocratizzazione e gerarchizzazione della C.N.T., compresa una violazione ripetuta del suo funzionamento federalista. È soprattutto questa violazione a facilitare i maneggi più sporchi per ottenere i posti di "responsabilità" per la pratica di un dirigismo che provoca la passività e la sottomissione della "base" (e ne è a sua volta favorito).

Vi è un settore che, essendo ben ammanicato con le alte sfere della C.N.T. e potendosi quindi presentare come "la linea ufficiale", tenta di riempire il vuoto lasciato dalle altre organizzazioni sindacali, presentandosi come il "buon" sindacato della classe operaia, tralasciando la metodologia anarchica dell'azione diretta e la coerenza mezzi-fini. Secondo i suoi sostenitori, i presupposti anarchici dell'anarcosindacalismo della C.N.T. non costituirebbero altro che un freno al suo sviluppo: di fatto auspicano un "anarcosindacalismo senza anarchismo". Questo settore, composto da elementi "neo-verticalisti" (a volte neanche tanto "neo") sostenitori di un sindacalismo autosufficiente, con posizioni praticiste ed economiciste, è sostenuto da tutta una serie di elementi marxisti (che si riconoscono tali o no è questione del tutto secondaria) finiti nella C.N.T. non certo perché attratti dalla sua tradizione antiautoritaria quanto dalla sua fama di organizzazione sindacale "pura e dura" secondo i canoni dell'operaismo marxista e del conseguente mito autoritario della "dittatura del proletariato". Questo settore si caratterizza anche per il continuo tentativo di emarginazione delle componenti antiautoritarie e libertarie della C.N.T., vedendo uniti in questa operazione i sindacalisti verticalisti e quelli marxisti.

Verso il congresso di ottobre

Al margine e/o in polemica con questi settori ve ne sono altri che propugnano un sindacalismo differente, basato sull'azione diretta, sul rispetto delle organizzazioni autonome di lotta, tendente allo sviluppo di tutte le potenzialità antiautoritarie della C.N.T.. Questo settore rifiuta i contratti e difende le pratiche di contrattazione diretta e aziendale con il padronato; sostiene inoltre che l'accettazione dei contratti presuppone l'adozione e l'importazione nella C.N.T. dei modelli organizzativi sindacali del capitalismo burocratico, nonché l'adattamento della C.N.T. ai modelli di pianificazione economica funzionali al sistema (che è esattamente quello che è accaduto agli altri sindacati).

Questi sono, a grandi linee, gli argomenti controversi, anche se evidentemente posso essere incorso in qualche schematizzazione. Se da una parte bisogna registrare la nascita ed il primo sviluppo di un simile apparato burocratico dirigente e la gerarchizzazione delle funzioni, vi è pur sempre, a livello delle federazioni locali, dei sindacati e dei comitati di fabbrica, un'autonomia sufficiente per lo sviluppo delle proprie attività, naturalmente proporzionale all'impegno investitovi. In ogni caso, è innegabile che nella C.N.T. si sia prodotta una situazione di crisi e di disillusione. Alcuni ripongono le proprie speranze per superare l'attuale impasse nel prossimo congresso della C.N.T. (fissato per il mese di ottobre). Ma esistono le condizioni per un dibattito realmente aperto? Esistono davvero le premesse per una proficua partecipazione di base, come una stampa pluralista, non unidimensionale, che serva da tribuna alle differenti posizioni? Esiste forse nella realtà un funzionamento federalista che sia garanzia contro manovre ed intrighi? No, la risposta non può che essere negativa. Purtroppo l'apatia e l'inerzia di ampi settori proletari, che preferiscono la delega all'autogestione, non permettono grandi illusioni e confermano le difficoltà per lo sviluppo di un sindacalismo basato sull'azione diretta nella società attuale.