Rivista Anarchica Online
Guerra e pace
di Camillo Levi
Il recente incontro tra due noti criminali ha suscitato l'interesse isterico di tutti i mass-media, che con
collegamenti in diretta e dettagliati reportages ci hanno tenuti al corrente quasi minuto per minuto
dell'andamento degli incontri bilaterali. Uno dei due criminali ha iniziato la sua fortunata carriera politica
come agente delle truppe naziste d'occupazione, tanto da esser a quell'epoca ricercato dalla polizia
britannica. L'altro ha al suo attivo, tra l'altro, un attentato ad un albergo che provocò la morte di 90
persone ed un successivo massacro di qualche centinaio di adulti e bambini. I due criminali di cui stiamo
parlando non si chiamano né Reder, né Kappler, né Freda, né Almirante: più semplicemente Anwar El
Sadat e Menahem Begin, rispettivamente presidente egiziano e primo ministro israeliano. Se, appunto,
Sadat è stato fin da giovane filo-nazista, antisemita, reazionario e fanaticamente religioso (tutte doti che
lo accomunano al suo predecessore Nasser), Begin non è stato certo da meno: come capo dell'Irgun,
infatti, è il primo responsabile dell'attentato terroristico che quella organizzazione sionista compì contro
l'hotel King David di Gerusalemme (con i succitati 90 morti), nonché del massacro compiuto nel
villaggio arabo di Deir Yassim, trent'anni or sono. Crimini, questi, che appaiono quasi insignificanti se
rapportati all'immane distruzione di vite umane provocata dalle varie guerre arabo-israeliane, delle quali
Sadat e Begin sono sempre stati, sui rispettivi fronti, sostenitori accaniti.
Per completare questo breve ritratto dei due uomini di Stato basterà sottolineare un dato che li
accomuna: il fanatismo religioso. Sadat, si può ben dirlo, ce l'ha scritto in fronte: quella piccola macchia
scura che gli si vede chiaramente sulla fronte altro non è che la "zibiba", cioè una specie di callo
provocato dal prolungato appoggio quotidiano della fronte allo stuoino, mentre - come tutti i musulmani
- prega stando inginocchiato. Fra i seguaci di Allah, questa "zibiba" è la prova indiscutibile della massima
devozione. Begin, per quanto ne sappiamo, non deve certo esser da meno, anche se non siamo in grado
di rivelare dove abbia il suo callo.
Dunque, l'ex-agente nazista Sadat e l'ex-terrorista sionista Begin si sono incontrati, hanno fraternizzato,
forse si sono anche abbracciati. E qualcuno potrebbe chiedersi come mai ciò è potuto avvenire, se è vero
- com'è vero - che fino a ieri era l'odio ad improntare le loro dichiarazioni, tutte tese a dimostrare
l'ineluttabile necessità di spazzare via "gli altri" per poter assicurare la sopravvivenza del proprio popolo.
L'incontro, poi, è avvenuto proprio a Gerusalemme, questa città su cui grava la maledizione di essere
"sacra" addirittura a tre religioni (cristiana, ebraica e musulmana) e che perciò è sempre stata al centro
di contestazioni, di guerre e di distruzione. Perché, sulla terra di Giuda, Sadat e Begin si sono incontrati
per concordare una strategia comune?
Se Sadat parla di pace, è semplicemente perché sa di non essere in grado di fare ed ancor meno di
vincere un altro eventuale scontro bellico con gli israeliani. Se Sadat auspica una pacifica convivenza,
è perché i 40.000 miliardi di lire spesi finora dall'Egitto per la guerra hanno dissanguato il Paese,
paralizzandone qualsiasi possibile sviluppo economico e sociale. Se Sadat (ex-nazista molto poco ex)
inneggia alla fratellanza tra i popoli è perché sa che tra dieci mesi il grosso dell'arsenale militare egiziano
sarà praticamente fuori uso. Dai tempi della rottura tra URSS ed Egitto, con la contemporanea
espulsione dei ben 25.000 consiglieri militari sovietici, Mosca ha infatti interrotto la fornitura anche dei
pezzi di ricambio militari: oggi, a cinque anni da quella clamorosa rottura, mancano dieci mesi - secondo
gli esperti militari - a che l'Egitto resti praticamente "nudo" di fronte alla sicura potenza d'Israele. Se,
infine, Sadat spinge per una soluzione negoziata del conflitto, è perché la crisi della società egiziana
(disoccupazione, povertà endemica, rivolte studentesche ed agitazioni operaie, ecc.) non ammette
ulteriori deroghe alla soluzione dei principali problemi se non a spese della stabilità della casta
dominante. Un rischio troppo grosso per Sadat.
Anche in Israele la guerra e l'insicurezza generale hanno provocato notevoli difficoltà alla popolazione,
soprattutto a causa del continuo vertiginoso aumento del costo della vita che ha provocato un sensibile
abbassamento del tenore medio di vita.
Dietro Egitto ed Israele, comunque, giocano come sempre complicati meccanismi della diplomazia
internazionale, e delle super-potenze innanzitutto, interessate al petrolio, agli equilibri politico-militari,
alla ricerca di nuovi mercati.
E i palestinesi? Ufficialmente difesi da tutto il "fronte arabo" e rappresentati dall'OLP, i palestinesi si
trovano completamente tagliati fuori. Naturalmente nessuna potenza si interessa di loro più di quel poco
che può tornar utile ai fini propagandistici. Le organizzazioni come Al Fatah, poi, non rappresentano
altro che la nuova classe dominante palestinese alla disperata ricerca di uno Stato tramite il quale
esercitare il proprio dominio. Intanto, il popolo palestinese langue nelle tendopoli, in preda agli stenti,
vittima delle terribili incursioni israeliane e degli attacchi provenienti anche dagli eserciti dei "fratelli"
arabi (libanesi innanzitutto). Si aggiunga, poi, il fatto che tutte le religioni svolgono qui magistralmente
la loro funzione di oppio dei popoli, utilizzate come sono per soggiogare i popoli, per spingere al
fanatismo nazionalista e per confondere e diluire le differenze di classe.
Ma tant'è. Finché si continuerà a combattere per la causa araba o israeliana, in nome di Dio, di Javeh o
di Allah, per la conquista delle terre "sacre", rivendicando diritti di proprietà vecchi e nuovi, l'unica
guerra che ci interessa attivamente (quella sociale) la vinceranno sempre loro. I padroni.
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