Rivista Anarchica Online
Minoranze ribelli e dissenso operaio
di Luciano Lanza
"Ogni forza democratica deve essere richiamata a compiere il proprio dovere dinanzi al sempre più
grave manifestarsi della sanguinosa provocazione che ha come fine l'attacco al regime democratico.
Ogni compiacenza verso la violenza e ogni tolleranza verso la provocazione armata vanno bandite.
Questi nemici della democrazia e dei lavoratori vanno condannati e isolati. Ogni forza che si richiami
all'antifascismo deve assicurare alle forze dell'ordine il sostegno e la collaborazione nell'assolvimento
dei loro compiti di difesa dell'ordine pubblico e democratico.". Non è un'affermazione del ministro
Cossiga, ma un brano del comunicato della segreteria del PCI dopo i fatti di Roma del 21 aprile.
L'attacco delle sinistre ufficiali, ora che in pratica sono forze di governo, contro tutti coloro che non
accettano la logica riformista è ormai un dato acquisito e non varrebbe la pena di soffermarsi se tutto
quanto sta accadendo nelle grandi città italiane non fosse la riprova che il nuovo "totalitarismo
socialdemocratico" sta consolidando la sua strategia che consiste nel criminalizzare e annullare con l'uso
della forza ogni espressione di dissenso extraistituzionale.
Gli eventi in questi giorni si susseguono ad un ritmo incalzante, le situazioni si modificano, le posizioni
hanno una tale fluidità da non permettere valutazioni chiare, nemmeno dall'interno. Unico dato costante
è l'accrescersi della violenza statale e la risposta violenta dei "nuovi ribelli". La volontà del potere di
usare la maniera forte non è casuale, l'accrescersi della repressione poliziesca unita al consenso delle
forze politiche (che tutt'al più dibattono sui modi più che sulle finalità) è un elemento importante sul
quale sarà bene soffermarci.
L'Italia è l'unico paese europeo a regime democratico in cui la pratica della risposta armata alla violenza
della polizia sta estendendosi ed è possibile che questa conflittualità si sviluppi anche oltre i confini
nazionali perché nasce, principalmente, come risposta al processo di emarginazione che molti, moltissimi
giovani stanno vivendo. In Italia la situazione è più drammatica, ma non bisogna dimenticare che nei
paesi industrializzati più ricchi, cioè quelli affiliati all'OCSE (l'organizzazione che raggruppa i paesi più
industrializzati del mondo) i giovani disoccupati sono oltre sette milioni, cioè il 40% dei disoccupati.
Questo elemento è indice di una distorsione esistente tra strutture economiche e offerta di manodopera:
il sistema non è in grado di assorbire la gran massa di giovani che si presentano sul mercato del lavoro.
Non è difficile prevedere che nel volgere di alcuni anni il sistema riuscirà a razionalizzare questa sua
anomalia, ma resta il fatto che in questo lasso di tempo coloro che sono esclusi dal lavoro non sono
disposti a pagare, quasi per intero, il prezzo delle disfunzioni del sistema.
Nel breve periodo quindi il potere deve ricorrere alla violenza, alla criminalizzazione delle frange più
radicali per scoraggiare la potenzialità di lotta di masse sempre più consistenti di disoccupati e di
sottoccupati. Tanto più oggi che le restrizioni imposte al movimento operaio organizzato non vengono
accettate con la rassegnazione che i burocrati sindacali speravano.
L'assemblea del 6 aprile al Lirico di Milano è un sintomo di quel malessere che pervade ampi settori della
classe operaia. Quell'assemblea è altresì utile per comprendere la vitalità dei sindacati che sanno trovare
al loro interno gli elementi per la egemonizzazione anche di quegli operai che si sentono traditi dai vertici
sindacali. Al Lirico abbiamo assistito ad una tipica "rivolta dei colonnelli" che, recuperando tatticamente
gli umori di una base sempre più sconcertata, vogliono attribuirsi una parte dei poteri dei generali. Tutta
l'assemblea si è mossa nella logica sindacale anche se non sono mancate le voci discordi, ma è pur
sempre vero che sta sviluppandosi un dissenso operaio che preoccupa enormemente, basti pensare agli
attacchi violentissimi dell'Unità in quei giorni. Il drammatico è che i neoriformisti alla sinistra del PCI
riescono a stravolgere il significato del dissenso operaio e stanno utilizzando tutto quanto in loro potere
per impedire il contatto fra minoranze ribelli e operai dissidenti. Da questa unione potrebbero scaturire
lotte incontrollabili anche nei luoghi di lavoro che metterebbero in crisi il progetto di ristrutturazione
nato dall'incontro governo-confindustria-sindacati.
Per uscire dalla crisi economica i padroni privati e pubblici hanno bisogno di ridurre notevolmente la
conflittualità nelle fabbriche e di aumentare la produttività, cioè devono intensificare lo sfruttamento. È
pertanto estremamente importante che anche la dissidenza operaia rientri nella logica del sistema e
questo è un compito che si apprestano a svolgere i neo-riformisti.
La situazione attuale, pur ricca di potenzialità extraistituzionali, rischia di rientrare nell'alveo della logica
del sistema anche per la scarsa incidenza degli anarchici nella conflittualità. Siamo un'esigua minoranza,
è vero, però crediamo che il nostro intervento, se qualificato, possa sopperire almeno in parte alla nostra
carenza quantitativa. In questo momento si nota invece, all'interno del movimento, l'emergere di due
posizioni contrapposte: accettazione acritica ed esaltazione delle lotte dei "nuovi ribelli" o netta
differenziazione e addirittura condanna. Questo è preoccupante perché sia in un caso che nell'altro il
nostro intervento non assume una fisionomia definita, capace di creare momenti di aggregazione in
quell'area libertaria che sta crescendo in tutto il paese, ma che raramente entra in contatto con il
movimento anarchico.
L'intervento degli anarchici nell'area libertaria è un lavoro che non darà frutti subito, che dovrà essere
affrontato con la consapevolezza che anche se siamo i portatori di un progetto rivoluzionario globale,
non siamo i detentori della "verità", che costantemente dovremo verificare nella pratica le nostre teorie
di intervento. Dobbiamo poter offrire un'alternativa per impedire che l'area del dissenso prenda due
strade diametralmente opposte: lotta armata ad ogni costo o neoriformismo. Questo è quanto vogliono
i nuovi padroni comunisti e dobbiamo adoperarci in tutti i modi perché questo disegno non passi. Questo
significa essere in grado di imporre i momenti e i livelli di scontro che fino ad oggi sono stati imposti
dallo stato e dal suo braccio armato e che pertanto non potevano non essere perdenti.
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