Rivista Anarchica Online
Anarchiche è bello
a cura della Redazione
A colloquio con le compagne dell'O.D.L.
Da qualche mese si è costituita ed opera in Toscana l'Organizzazione delle Donne Libertarie
(O.D.L.), che comprende attualmente compagne di Livorno e di Empoli (Firenze). Si tratta di una
"novità" nell'ambito del movimento anarchico in Italia, anche se non di una novità assoluta.
Gruppi composti di sole donne, specificamente impegnate per l'emancipazione femminile,
esistevano in Italia prima ancora della prima guerra mondiale. Più che in "esempi" ricavati dalla storia passata del movimento, è nella grande ondata
femminista di questi ultimi anni che vanno ricercate le origini del rinnovato interesse
dell'anarchismo per la tematica femminile. Un interesse, questo, teoricamente mai venuto meno,
ma praticamente trascurato a volte a vantaggio di altre tematiche. L'ondata femminista, pur con
tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, ha forzatamente risvegliato questo interesse: la nascita
e l'attività dell'O.D.L. ne è un piccolo e pur significativo esempio. Ciò che ci preme sottolineare, prima di lasciare la parola le compagne dell'O.D.L., è il modo
critico con il quale si sono poste nei confronti del femminismo come ideologia. La posizione
dell'O.D.L. è, a nostro avviso, quella più coerente con il pensiero e la pratica dell'anarchismo. Il
dibattito è come sempre aperto a tutti gli interventi critici che certo la pubblicazione di
quest'intervista non mancherà di sollecitare in molte nostre lettrici e lettori.
Con quale impostazione generale voi dell'Organizzazione Donne Libertarie affrontate la "Questione
femminile"?
Il posto che la maggior parte delle donne occupa nelle società capitalistiche è senza dubbio - considerato
sotto tutti gli aspetti, sociale, economico e politico - meno importante di quello dell'uomo. Oggi, rispetto
a certe antiche civiltà occidentali ed orientali, non si ricorre più alle forme eclatanti di sadismo a cui
erano sottoposte le donne (ad esempio in India le vedove erano arse sul rogo alla morte del marito; gli
ebrei vendevano donne e bambini (soprattutto bambine), e molto spesso li votavano al sacrificio; in Cina
le vedove venivano indotte al suicidio; in Grecia venivano considerate né più né meno che oggetti) ma
si ricorre ad altre forme più raffinate di assoggettamento, quali ad esempio le legislazioni, il potere
politico, l'organizzazione economica, le convenzioni sociali e i pregiudizi religiosi. Questi sono i veri
nemici dell'emancipazione femminile e dobbiamo combatterli non solo per ottenere la nostra liberazione
ma anche quella di tutto il genere umano.
La donna viene considerata dall'ideologia dominante delle civiltà occidentali, in primo luogo, come un
oggetto sessuale di cui è lecito disporre a piacimento per soddisfare il sadismo generato da una società
basata sulla violenza e sulla sopraffazione dell'individuo più forte, in senso economico e politico, su
quello più debole; in secondo luogo, come oggetto capace, per mezzo della sua procreatività, di generare
esseri umani da poter sfruttare come forza-lavoro per i profitti della classe al potere; in terzo luogo,
come manodopera di riserva da pagare a basso prezzo. Ma, a ben guardare, l'asservimento femminile
non è altro che il simbolo della schiavitù che l'uomo impone al suo simile, uomo o donna che sia.
Anche l'uomo, infatti, subisce la doppia schiavitù materiale e morale di questa società capitalistica e
borghese e da questo punto di vista il ruolo di maschio virile, forte e possessore risulta un
condizionamento ideologico, e di costume al pari del ruolo di docile, passiva, madre e oggetto sessuale,
che viene assegnato alla donna. Quindi l'emancipazione non dovrebbe riguardare solo un sesso. Ma
poiché, oggettivamente, nel rapporto uomo-donna è l'uomo ad assumere l'aspetto del prevaricatore, del
privilegiato (anche se, ribadiamo, non fa altro che ubbidire a sua volta alle imposizioni culturali) spetta
alla donna il compito e il desiderio primo di liberarsi da questo giogo con le sue stesse energie, con la
sua stessa volontà. Il rendersi consapevoli di questo stato di subordinazione che subisce direttamente
come sesso, non deve essere altro che il primo passo verso la contestazione e la lotta generale contro
tutte le basi su cui poggia questo sistema, cioè contro la sua organizzazione economica e contro tutte
le istituzioni repressive che gli fanno da corollario come la famiglia patriarcale, il matrimonio, la scuola,
la polizia, la magistratura, i manicomi, le carceri ecc.
Nel rivoluzionare la società per costruire quella in cui esista veramente l'uguaglianza sessuale e politica
e la libertà di tutti gli individui, le donne non possono essere sole, ma necessariamente devono trovare
l'appoggio di quegli uomini a cui interessa la stessa causa e che subiscono più o meno lo stesso
sfruttamento.
L'emancipazione della donna dunque non potrà avvenire separandola dal resto di quegli aspetti della vita
sociale che opprimono tutta la classe sfruttata. La questione femminile non è una cosa a sé stante, come
non lo sono la questione operaia, la questione degli emarginati ecc., per cui la sua risoluzione avverrà
solamente combattendo l'organizzazione economica e sociale del sistema capitalistico e i valori che ne
reggono e giustificano l'equilibrio. Al di là del sesso esiste infatti il fenomeno dell'assoggettamento di un
individuo all'altro.
Come giudicate le posizioni dei diversi gruppi femministi?
La posizione del femminismo moderno non è utile né alla liberazione di tutti gli individui, né tanto meno
a quella della donna in particolare, poiché non fa altro che sviare da quelli che dovrebbero essere gli
obiettivi della liberazione. I movimenti femministi oggi esistenti non puntano, con le loro lotte e
rivendicazioni, ad un totale capovolgimento di questa società fondata sulla discriminazione sessuale, sulla
separazione tra lavoro manuale e quello intellettuale, e sulla divisione in classi, ma puntano
semplicemente ad un suo mutamento parziale, poiché contestano solo alcuni dei suoi aspetti repressivi.
Rientrano quindi nella logica del riformismo. Questo è infatti il senso delle lotte condotte dalle
femministe egualitarie come quelle del Movimento di liberazione della donna, che pretendono di ottenere
l'uguaglianza con l'uomo (sul piano del suo stesso sfruttamento) integrando la donna a tutti i livelli della
vita politica ed economica del sistema capitalistico; senza contare, inoltre, che il volersi sostituire
all'uomo è tanto futile quanto lo sforzo del proletario che vuole abbattere il borghese per andare al suo
posto. L'emancipazione certamente non si raggiunge facendo dell'oppressa una despota o una guardiana
del sistema. La donna poliziotto o la donna ministro o la donna presidente avrà conquistato il potere e
forse anche la "libertà", ma solo la "libertà" di opprimere gli altri.
Anche a nostro avviso, dunque, l'uomo non può essere considerato come la "controparte" della donna
nella sua lotta per l'emancipazione.
Le femministe separatiste hanno preso un grosso abbaglio nell'individuare nell'uomo la controparte
invece di individuarla nello stato, nella chiesa e nel capitalismo; ed in ragione di ciò non hanno
prospettive, si rinchiudono nei gruppi di autocoscienza, si fermano ai problemi di natura quasi
esclusivamente esistenziali, impediscono l'unità tra tutti gli sfruttati, uomini e donne, e si limitano a
manifestazioni plateali e folkloristiche.
Sulla scia del pensiero marxista si illudono che la liberazione della donna avverrà automaticamente con
l'abbattimento del capitalismo privato, poiché tralasciano di considerare la realtà del capitalismo di stato
e trascurano di individuare altre forme di potere.
La possibilità per le donne proletarie di liberarsi dal doppio giogo materiale e morale a cui le costringe
la classe egemone viene altresì allontanata dai continui appelli dell'Udi a favore della solidarietà tra tutte
le donne. In sostanza, rinnegando la lotta di classe e dando la massima importanza al fatto di venire elette
in parlamento e di mescolarsi nelle sporche lotte per la conquista del potere, crea una confusione
ideologica molto negativa per l'emancipazione femminile.
Si tratta, invece, di aiutare la donna oppressa a sollevarsi da una condizione secolare di prostrazioni
morali e civili; di spingere da una parte le donne proletarie a prendere coscienza che la propria
condizione ha origine dal sistema politico ed economico di stampo capitalistico e dai pregiudizi religiosi
del cattolicesimo; di indurre, dall'altra, le donne economicamente ed intellettualmente privilegiate a fare
una scelta di classe e ad abbracciare la causa degli sfruttati in modo sincero.
La problematica femminile, che racchiude in sé tutti gli aspetti contraddittori dei rapporti sociali e
individuali, è, da quanto detto, solo un aspetto, anche se della massima importanza, della questione
sociale tutta.
Storicamente gli anarchici, fin dalla I Internazionale, espressero come necessità vitale per una società
libertaria la più assoluta uguaglianza di diritti e di doveri tra uomo e donna. Moltissimi scrittori anarchici
tra cui Bakunin, E. Goldman, P. Gori, P. Guerrero, sostennero nelle loro opere l'emancipazione della
donna. Una parte di quelli che si definiscono anarchici, tuttavia, non riesce a realizzare nella pratica dei
rapporti interpersonali ciò che afferma in teoria e si verifica a volte un atteggiamento contraddittorio con
i principi. La risposta meno adeguata a questa contraddizione è quella di agire emarginandoli dai
problemi più specificatamente femminili. Il sistema, dove e quando può, è ben felice di creare divisioni
all'interno della classe sfruttata, vuoi in nome del sesso, vuoi in nome degli interessi economici o politici.
L'importante è analizzare tali contraddizioni (a cui anche le donne non sono immuni) e cercare di
risolverli e superarli sviluppando il senso di solidarietà e il mutuo appoggio tra i sessi della medesima
classe oppressa in nome della Rivoluzione Sociale.
La pratica dell'autocoscienza si è rapidamente estesa ad una gran parte dei gruppi femministi. Qual
è la vostra opinione in merito?
Per quanto riguarda i nostri gruppi, non abbiamo mai fatto autocoscienza, a differenza della maggior
parte dei collettivi femministi, forse perché eravamo già consapevoli (e il fatto stesso di essere anarchiche
ne è indice) che la subordinazione all'uomo è un fatto politico e inoltre perché solo fino ad un certo
punto crediamo che il personale sia anche politico. Piuttosto è il politico che si riflette sul personale e
lo condiziona. Per questo, per noi l'autocoscienza non è mai assurta a pratica rivoluzionaria. Comunque
la riteniamo valida solo se dalla discussione delle esigenze e problemi personali si arriverà alla
conclusione che solo agendo sul piano politico si potranno risolvere tutte le questioni; la rifiutiamo se
si rimane impantanate nelle solite beghe e nel solito piagnisteo comune. Da quanto detto risulta chiaro
che non riteniamo opportuno escludere i compagni dalle nostre riunioni perché ciò vuol dire ghettizzare
ancora di più i nostri problemi.
In che modo siete organizzate?
Come modello organizzativo abbiamo scelto la libera federazione tra i gruppi perché lo riteniamo il
modo migliore di assicurare ad ognuno la possibilità di intervenire autonomamente nelle diverse realtà
locali e perché attraverso di esso è possibile sia scambiare le proprie esperienze di lavoro che stabilire
una linea d'azione comune.
L'assemblea di tutte le compagne aderenti rappresenta il momento deliberativo e la rotazione degli
incarichi esecutivi impegna tutti i gruppi ad assumersi le medesime responsabilità volta per volta. Per
quanto riguarda i metodi di lotta, gli unici da noi considerati validi sono quelli anarchici, cioè rifiuto dei
metodi legalitari, per sostituire ad essi l'autogestione e l'azione diretta.
Le nostre prospettive di lotta sono:
a) l'intervento nel mondo del lavoro; per far sì che le lavoratrici riescano a prendere coscienza dello
sfruttamento brutale a cui il sistema di produzione di tipo capitalistico le sottopone. Inoltre ci preme
mettere in evidenza da una parte il ruolo ambiguo che il sindacato gioca nel loro confronto e dall'altra
la necessità di gestire in prima persona le proprie rivendicazioni.
b) apertura di consultori autogestiti; intesi non solo come momento di incontro tra le donne ma come
strutture dove sia possibile risolvere i problemi più urgenti di carattere socio-sanitario (es. aborto,
contraccezione, ecc.).
c) intervento nel mondo della scuola; per mettere in luce quanto l'aspetto repressivo a livello psicologico
e fisico sia funzionale al mantenimento di una società che discrimina i sessi.
d) risposte immediate per mezzo di volantinaggio e manifestazioni, ai vari episodi di violenza e
sopraffazione che il sistema provoca sempre contro i più deboli (donne, vecchi, handicappati ecc.).
Alcune di queste prospettive sono per il momento ancora da attuarsi (es.; consultorio) perché essendo
la nostra organizzazione nata da poco conta un numero limitato di aderenti. Perciò attualmente
privilegiamo la propaganda delle nostre idee, per mezzo del bollettino (che stamperemo ogni due mesi)
del volantinaggio, manifestazioni e interventi nel mondo del lavoro.
|