Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 6 nr. 52
novembre 1976 - dicembre 1976


Rivista Anarchica Online

AL CINEMA
a cura di Rozac

Buffalo Bill e gli indiani di Robert Altman

Il sottotitolo di questo film - La lezione di storia di Toro Seduto - è quello che a mio modesto avviso sarebbe dovuto essere il vero titolo di una pellicola non giudicabile dato l'ampio numero di tagli operati dal produttore - il famigerato De Laurentis Dino, fuggito dall'Italia lasciando senza lavoro centinaia di lavoratori del settore cinematografico ed assurto a nuova gloria negli Stati Uniti - ma che, nonostante ciò, resta una delle più interessanti sull'epoca western mai girate. Si è criticato questo film dicendo che si è calcata troppo la mano su di un personaggio eccezionale quale fu il colonnello William Ed Cody, si afferma che non si può mostrare cotale mostro sacro del West solo nella sua parabola discendente - quando era gestore e stella di un famoso spettacolo circense ammirato in tutto il mondo -, si spergiura che Cody-Buffalo Bill non fu l'eroe creato dalla fantasia popolare né tanto meno il povero pagliaccio descritto da Altman, ma penso che tutta questa polemica derivi dal fatto che molti dei critici sono legati alla conoscenza della storia americana ricevuta in gioventù sugli album a fumetti e che non vogliano dimenticare quel felice periodo di cavalcate oniriche accanto a Buffalo Bill.

Niente è gratuito nella pellicola riuscitissima di Altman, nulla è lasciato al livore e tutto viene dato alla Storia, alla lezione, appunto, che un piccolo, grande indiano di nome Toro Seduto seppe dare a Bufalo Bill ed a milioni di americani, mostrando di che pasta erano fatti i veri uomini che mai si diedero battuti dinanzi allo strapotere delle giacchette blu. Certo, i tagli operati falsano molto l'opera, però quel che si vede basta ed avanza per farci odiare ancora una volta, ed ancora di più, questa civiltà sanguinaria, imbecille e falsa che esporta democrazia, plastica, Coca-Cola, illusioni, morte, tragedia, pianto e dolore nel mondo, tutto sotto l'egida della Libertà e con la elle maiuscola e le mani sporche di sangue. Paul Newman, pur bravissimo, non riesce a salvare - anche in un soggetto molto duro nei suoi confronti - la faccia di Buffalo Bill e come lui non si salvano gli altri protagonisti bianchi del film dinnanzi al piccolo indiano che fa la parte di Toro Seduto e dinanzi al possente Will Samson - l'indiano di QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO - e dinanzi agli altri cinque silenti indiani che fanno da sfondo ai due citati prima: Newman non salva la faccia nè la recitazione perché le poche parole di Samson, i silenzi di Toro Seduto e degli altri cinque indiani escono dal cuore di una nazione battuta ma non doma, sconfitta ma giusta.

Altman con questo film ci ha dato un film di rara efficacia sul meccanismo del potere americano - lo show-business nella storia - mostrandocelo in tutta la sua vuotezza criminale-capitalistica, non dimenticando di fare omaggio alla pagina più nera della storia americana - ed una delle più nefande della storia in generale - lo sterminio della Nazione Indiana, cara al cuore di chi vive ed ama la libertà senza etichette né tessere.

Taxi Driver di Martin Scorsese

Ancora un'opera critica della vita americana, ancora uno spaccato sull'alienazione nordamericana ed ancora, occorre dirlo, un film che non aggiunge nulla al panorama di squallore che permea l'umanità americana. Narrare la trama sembrerebbe fare un dispetto allo spettatore potenziale, quindi mi limiterò a fare alcune considerazioni sull'ultima opera di un regista come Scorsese che ha preso New York come sfondo per la sua opera cinematografica, riuscendovi magnificamente con MEAN STREETS e molto meno con questa sua ultima pellicola nella quale fa spicco solo una splendida fotografia ed una meravigliosa recitazione da parte di Robert De Niro. Taxi driver, o dell'impotenza: così si sarebbe potuto meglio titolare questo film che altro non è se non un quadro fedele della situazione di estremo disagio nella quale si viene a trovare un tipico uomo medio - con una tremenda esperienza come la guerra nel Vietnam alle spalle - nella società americana odierna, situazione che egli prima cerca di combattere con gli psicofarmaci e con la visione di pellicole pornografiche, poi con il disperato quanto inutile amore per una ragazza che lavora per la campagna pubblicitaria di un candidato alla Casa Bianca, quindi con la violenza, con la stessa arma che il Sistema usa per vessarlo.

Forse la parte più sincera del film è quella nella quale il protagonista parla con il candidato alla presidenza salito per caso sul suo tassì, parte più sincera perché in essa egli si rivela per quello che è - ed in fondo rivela quello che sono "gli americani" - un piccolo, piccolissimo borghese con smanie di pulizia morale della città grazie a purghe di natura fisica - eliminazione sommaria dei reietti, siano essi ladri, spacciatori di droga, diseredati, drogati e così via - mostrando appieno i limiti della tanto decantata democrazia americana. Molto interessanti i ritratti dei personaggi di contorno che ruotano intorno al tassista, dal suo collega più anziano che passa per saggio consigliere e che altri non è se non un pasticcione degno della migliore tradizione politica mammistico-patriottica americana, alla giovane bionda tanto agognata (giovane cosciente della propria bellezza e della pochezza paurosa del suo cervello), alla giovanissima prostituta che egli salva (unico personaggio positivo del film dato che ha compreso appieno i meccanismi della stritolante società che la circonda e la sovrasta e non si trae indietro dinnanzi a simile meccanismo distruttore).

Di De Niro si è già detto, occorre solo aggiungere che i suoi silenzi ed il suo volto dicono molto più di quanto si sarebbe sperato, peccato che la soluzione finale del film riproponga come personaggio positivo il bounty-killer che uccide, questa volta non per riscuotere la taglia, bensì per raggiungere la gloria di poche righe di piombo sul giornale e la pace con se stesso: quasi che la pace si potesse raggiungere solo facendo massacro e spargendo litri di pomodoro-sangue per shoccare lo spettatore.

Questa volta Scorsese non ha centrato il bersaglio, la soluzione che ci propone appare falsa e scontata, la tematica che ci presenta è troppo rozza, troppo "americana" per colpire le nostre menti europee, non ci aiuta a pensare. Purtuttavia Scorsese si ripropone come uno dei talenti più vivi della cinematografia mondiale, il che non è poco in un periodo così avaro di menti cinematografiche da seguire.