Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 43
novembre 1975 - dicembre 1975


Rivista Anarchica Online

Una siringa per il potere
di R. Brosio

La funzione della droga.
Come gli stupefacenti sono sempre più diventati un fattore di stabilità sociale. Alla base della nostra opposizione alla droga: non moralismo, ma una precisa volontà rivoluzionaria.

Il I° ottobre di quest'anno, è stata approvata al Senato la legge sulla "disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope", meglio conosciuta forse col nome di "legge antidroga". Essa attende ora la discussione alla Camera, ed è pertanto possibile che, in questa sede, subisca qualche modifica che ne prolungherà l'iter parlamentare. La sua approvazione definitiva, comunque, è solo questione di tempo.
Indipendentemente da quello che sarà, nei dettagli, il testo finale, la legge si presenta fin d'ora come un provvedimento di notevole portata. Essa regola tutti gli aspetti del problema degli stupefacenti, dalla loro produzione e utilizzazione a scopo terapeutico, al consumo di essi per motivi non terapeutici, dalla tossicomania e la sua cura, ai compiti della polizia e degli altri organismi di controllo. È quindi una legge organica, attraverso la quale si può intuire quale sarà, nelle intenzioni, l'atteggiamento che il potere pubblico assumerà in materia di droga negli anni a venire. Il nodo del problema, si sa, è rappresentato dalla diffusione del consumo "libero" (cioè non curativo) che, nell'ultimo decennio, ha registrato un incremento rilevante, tale da rendere inadeguate le scarse disposizioni legislative finora esistenti. Ma, oltre che un aumento, la diffusione della droga ha subito anche un'evoluzione, ed è da questa che bisogna partire per comprendere, al di là di ogni mistificazione, la portata del fenomeno e quindi il senso delle nuove disposizioni.
Dieci, quindici anni fa, la tossicomania era, per così dire, ancora concentrata in ambienti socialmente ben circoscritti e poco estesi (i beatniks degli anni '60, per esempio), all'interno dei quali il consumo di stupefacenti era il risultato di una rottura completa (volontaria o indotta che fosse) di ogni rapporto con la realtà. Appunto per questo essa assumeva il più delle volte, il carattere di tossicomania e quindi di soluzione "eccezionale", cioè estrema e non generalizzabile. Il drogato era un essere non utilizzabile socialmente, e pertanto oggetto di condanna e repressione, ma, come tale, raro.
Drogati di questo tipo continuano ad esistere ancor oggi, ma accanto ad essi un'altra categoria è andata sorgendo e consolidandosi, nel frattempo, con una rilevanza assai superiore. È quella dei cosidetti consumatori occasionali, che costituiscono ormai la caratteristica dominante con cui il fenomeno dell'uso di droga si presenta ai giorni nostri. La maggior parte dei "nuovi" drogati (all'aumento dei quali è dovuta l'attuale diffusione degli stupefacenti) non è formata da tossicomani veri e propri, costretti all'approvvigionamento ininterrotto di merce per evitare la tragedia degli stati di carenza, ma da persone che vi ricorrono saltuariamente, spesso, magari, ma non sempre, secondo ritmi che vengono definiti come liberamente scelti e non imposti dalla schiavitù dei farmaci.
Per costoro, il termine stesso di "drogati", che fa riferimento ad uno stato permanente di alterazione delle facoltà intellettive, è improprio. Essi non interrompono i rapporti con la realtà al punto da diventare socialmente inutilizzabili. Si limitano ad allentarli di tanto in tanto. In altri termini, il consumatore occasionale di stupefacenti, il più delle volte, è lucido, e questo gli permette di svolgere una vita "normale", nell'ambito delle mansioni che la società gli attribuisce. Se gli è sufficiente un ricorso saltuario alla droga, significa che le crisi, le insoddisfazioni, le frustrazioni che lo spingono, sono meno drammatiche che per il tossicomane tradizionale, ma appunto per questo più comuni: la diffusione del fenomeno è lì a testimoniarlo. La droga, insomma, viene usata non per sfuggire totalmente alla realtà, esigenza che gli individui avvertono solo in gravi e rari casi di deterioramento psicologico, ma per sfuggirle ogni tanto, cioè per sopportarla. Non a caso il consumo occasionale di stupefacenti è riscontrabile soprattutto fra i giovani, per i quali più sensibile è il divario quotidiano tra realtà ed aspirazioni, in particolare tra quelli di origine sottoproletaria, condannati all'emarginazione e alla passività. Non a caso, la diffusione di tale consumo si è sviluppata parallelamente alla diffusione delle cosidette "droghe leggere" (marijuana, hashish, ecc.) che, non creando assuefazione fisiologica, non compromettono l'equilibrio funzionale di chi le usa e ne consentono la permanenza all'interno del processo produttivo.
Lo stupefacente, quindi, è diventato (o sta diventando) un fattore di stabilità sociale. Il sistema è riuscito, via via, a modificarne le modalità d'uso e la quantità, rendendole adatte alle proprie esigenze di equilibrio. Da questo punto di vista, lo stupefacente va assumendo la stessa funzione dei tranquillanti e degli ansiolitici in genere: serve ad allentare momentaneamente la tensione individuale, per impedire che il suo accumulo giunga al limite di rottura, diventando socialmente pericoloso. Questa "evoluzione reazionaria" della droga è avvertibile anche a livello, per così dire, ideologico. Accanto alla diffusione del consumo occasionale di preparati leggeri, infatti, si va diffondendo l'idea che essi, proprio per la loro "leggerezza", siano innocui e quindi usabili ogni volta che se ne avvede l'esigenza, senza eccessive preoccupazioni. Ma, indipendentemente dal fatto che ciò sia vero (ed è probabile che lo sia), si dimentica che l'innocuità farmacologica dell'hashish o della marijuana non ha nulla a che vedere con l'uso sociale che ne viene fatto. Ed è questo che ci deve interessare prima di tutto. Quando i moderni fautori delle droghe leggere citano la scienza, affermando che altre droghe, più pericolose per la salute umana (alcool, caffè) sono quotidianamente consumate senza problemi, non fanno che contribuire alla mistificazione del sistema, che nasconde dietro l'aspetto unicamente medico la complessità di un fenomeno che è sociale, e come tale va considerato.
A questo punto, il discorso sulla nuova legislazione assume particolare rilevanza. Esaminandola più da vicino, infatti, si può notare come essa contenga elementi sufficienti a porre le basi dell'accettazione sociale del consumo di droghe leggere. Queste vengono riconosciute ufficialmente negli elenchi dei preparati soggetti a controllo, per i reati connessi con la loro produzione e vendita sono previste pene sensibilmente minori che per quelle pesanti. È probabile che la completa depenalizzazione del consumo (e quindi dello smercio) di droghe leggere sia ancora lontana (almeno in Italia): la definizione degli articoli che la riguardano, nei dettagli, è ancora "in alto mare" e dalla loro formulazione finale dipende, oggi, il margine di autonomia che lo stato intende lasciare agli interessati. È prevedibile, comunque, che verrà sancito perlomeno il principio della non punibilità di chi detiene modiche quantità di stupefacente leggero per uso personale, il che equivale, in pratica, a sancire la liceità del consumo occasionale, accettandone tutte le implicazioni psicologiche. Ricordiamo poi che la legge ha lo scopo non semplicemente di liberalizzare l'uso degli stupefacenti, ma di regolamentarlo, in modo che diventi funzionale alle esigenze del sistema. Da questo punto di vista, la discrezionalità repressiva che il testo approvato al Senato lascia alle forze di polizia in materia di droga, non fa che confermare la nostra tesi.
Come anarchici, dunque, non possiamo che essere contro la droga, leggera o pesante che sia, legale o clandestina. Non per moralismo, incompetenza o pregiudizio. Perché, semplicemente, la droga serve al sistema. Gli serve per renderci più tranquilli, più pazienti, più rassegnati.
Per abituarci a chinare il capo, per farci dimenticare che per vivere bisogna agire e bisogna lottare. E noi questo non lo vogliamo. Non vogliamo che la nostra ira diminuisca, che la nostra impazienza si freni, che la nostra speranza si spenga. Vogliamo continuare a credere che per vivere felici non basta cambiare noi stessi. Bisogna cambiare la vita.

R. Brosio