Rivista Anarchica Online
Una siringa per il potere
di R. Brosio
La funzione della droga. Come gli stupefacenti sono sempre più diventati un fattore di
stabilità sociale. Alla base della nostra opposizione
alla droga: non moralismo, ma una precisa volontà rivoluzionaria.
Il I° ottobre di quest'anno, è stata approvata al Senato la legge
sulla "disciplina degli stupefacenti e delle sostanze
psicotrope", meglio conosciuta forse col nome di "legge antidroga". Essa attende ora la discussione alla
Camera,
ed è pertanto possibile che, in questa sede, subisca qualche modifica che ne prolungherà
l'iter parlamentare. La
sua approvazione definitiva, comunque, è solo questione di tempo. Indipendentemente da
quello che sarà, nei dettagli, il testo finale, la legge si presenta fin d'ora come un
provvedimento di notevole portata. Essa regola tutti gli aspetti del problema degli
stupefacenti, dalla loro
produzione e utilizzazione a scopo terapeutico, al consumo di essi per motivi non terapeutici, dalla
tossicomania
e la sua cura, ai compiti della polizia e degli altri organismi di controllo. È quindi una legge
organica, attraverso
la quale si può intuire quale sarà, nelle intenzioni, l'atteggiamento che il potere pubblico
assumerà in materia di
droga negli anni a venire. Il nodo del problema, si sa, è rappresentato dalla diffusione del
consumo "libero" (cioè
non curativo) che, nell'ultimo decennio, ha registrato un incremento rilevante, tale da rendere inadeguate
le scarse
disposizioni legislative finora esistenti. Ma, oltre che un aumento, la diffusione della droga ha subito
anche
un'evoluzione, ed è da questa che bisogna partire per comprendere, al di là di ogni
mistificazione, la portata del
fenomeno e quindi il senso delle nuove disposizioni. Dieci, quindici anni fa, la tossicomania era, per
così dire, ancora concentrata in ambienti socialmente ben
circoscritti e poco estesi (i beatniks degli anni '60, per esempio), all'interno dei quali il
consumo di stupefacenti
era il risultato di una rottura completa (volontaria o indotta che fosse) di ogni rapporto con
la realtà. Appunto
per questo essa assumeva il più delle volte, il carattere di tossicomania e quindi di soluzione
"eccezionale", cioè
estrema e non generalizzabile. Il drogato era un essere non utilizzabile socialmente, e pertanto oggetto
di
condanna e repressione, ma, come tale, raro. Drogati di questo tipo continuano ad esistere ancor
oggi, ma accanto ad essi un'altra categoria è andata sorgendo
e consolidandosi, nel frattempo, con una rilevanza assai superiore. È quella dei cosidetti
consumatori occasionali,
che costituiscono ormai la caratteristica dominante con cui il fenomeno dell'uso di droga si presenta ai
giorni
nostri. La maggior parte dei "nuovi" drogati (all'aumento dei quali è dovuta l'attuale diffusione
degli stupefacenti)
non è formata da tossicomani veri e propri, costretti all'approvvigionamento ininterrotto di merce
per evitare la
tragedia degli stati di carenza, ma da persone che vi ricorrono saltuariamente, spesso, magari, ma non
sempre,
secondo ritmi che vengono definiti come liberamente scelti e non imposti dalla schiavitù dei
farmaci. Per costoro, il termine stesso di "drogati", che fa riferimento ad uno stato permanente di
alterazione delle facoltà
intellettive, è improprio. Essi non interrompono i rapporti con la realtà al punto da
diventare socialmente
inutilizzabili. Si limitano ad allentarli di tanto in tanto. In altri termini, il consumatore occasionale di
stupefacenti,
il più delle volte, è lucido, e questo gli permette di svolgere una vita "normale",
nell'ambito delle mansioni che
la società gli attribuisce. Se gli è sufficiente un ricorso saltuario alla droga, significa che
le crisi, le insoddisfazioni,
le frustrazioni che lo spingono, sono meno drammatiche che per il tossicomane tradizionale, ma appunto
per
questo più comuni: la diffusione del fenomeno è lì a testimoniarlo. La droga,
insomma, viene usata non per
sfuggire totalmente alla realtà, esigenza che gli individui avvertono solo in gravi
e rari casi di deterioramento
psicologico, ma per sfuggirle ogni tanto, cioè per sopportarla. Non a caso il
consumo occasionale di stupefacenti
è riscontrabile soprattutto fra i giovani, per i quali più sensibile è il divario
quotidiano tra realtà ed aspirazioni,
in particolare tra quelli di origine sottoproletaria, condannati all'emarginazione e alla passività.
Non a caso, la
diffusione di tale consumo si è sviluppata parallelamente alla diffusione delle cosidette "droghe
leggere"
(marijuana, hashish, ecc.) che, non creando assuefazione fisiologica, non compromettono l'equilibrio
funzionale
di chi le usa e ne consentono la permanenza all'interno del processo produttivo. Lo stupefacente,
quindi, è diventato (o sta diventando) un fattore di stabilità sociale. Il sistema è
riuscito, via via,
a modificarne le modalità d'uso e la quantità, rendendole adatte alle proprie esigenze di
equilibrio. Da questo
punto di vista, lo stupefacente va assumendo la stessa funzione dei tranquillanti e degli ansiolitici in
genere: serve
ad allentare momentaneamente la tensione individuale, per impedire che il suo accumulo giunga al limite
di
rottura, diventando socialmente pericoloso. Questa "evoluzione reazionaria" della droga è
avvertibile anche a
livello, per così dire, ideologico. Accanto alla diffusione del consumo occasionale di preparati
leggeri, infatti, si
va diffondendo l'idea che essi, proprio per la loro "leggerezza", siano innocui e quindi usabili ogni volta
che se
ne avvede l'esigenza, senza eccessive preoccupazioni. Ma, indipendentemente dal fatto che ciò
sia vero (ed è
probabile che lo sia), si dimentica che l'innocuità farmacologica dell'hashish o della marijuana
non ha nulla a che
vedere con l'uso sociale che ne viene fatto. Ed è questo che ci deve interessare prima di tutto.
Quando i moderni
fautori delle droghe leggere citano la scienza, affermando che altre droghe, più pericolose per
la salute umana
(alcool, caffè) sono quotidianamente consumate senza problemi, non fanno che contribuire alla
mistificazione
del sistema, che nasconde dietro l'aspetto unicamente medico la complessità di un fenomeno che
è sociale, e come
tale va considerato. A questo punto, il discorso sulla nuova legislazione assume particolare rilevanza.
Esaminandola più da vicino,
infatti, si può notare come essa contenga elementi sufficienti a porre le basi dell'accettazione
sociale del consumo
di droghe leggere. Queste vengono riconosciute ufficialmente negli elenchi dei preparati soggetti a
controllo, per
i reati connessi con la loro produzione e vendita sono previste pene sensibilmente minori che per quelle
pesanti.
È probabile che la completa depenalizzazione del consumo (e quindi dello smercio) di droghe
leggere sia ancora
lontana (almeno in Italia): la definizione degli articoli che la riguardano, nei dettagli, è ancora "in
alto mare" e
dalla loro formulazione finale dipende, oggi, il margine di autonomia che lo stato intende lasciare agli
interessati.
È prevedibile, comunque, che verrà sancito perlomeno il principio della non
punibilità di chi detiene modiche
quantità di stupefacente leggero per uso personale, il che equivale, in pratica, a sancire la
liceità del consumo
occasionale, accettandone tutte le implicazioni psicologiche. Ricordiamo poi che la legge ha lo scopo non
semplicemente di liberalizzare l'uso degli stupefacenti, ma di regolamentarlo, in modo che diventi
funzionale alle
esigenze del sistema. Da questo punto di vista, la discrezionalità repressiva che il testo approvato
al Senato lascia
alle forze di polizia in materia di droga, non fa che confermare la nostra tesi. Come anarchici,
dunque, non possiamo che essere contro la droga, leggera o pesante che sia, legale o clandestina.
Non per moralismo, incompetenza o pregiudizio. Perché, semplicemente, la droga serve al
sistema. Gli serve per
renderci più tranquilli, più pazienti, più rassegnati. Per abituarci a chinare
il capo, per farci dimenticare che per vivere bisogna agire e bisogna lottare. E noi questo
non lo vogliamo. Non vogliamo che la nostra ira diminuisca, che la nostra impazienza si freni, che la
nostra
speranza si spenga. Vogliamo continuare a credere che per vivere felici non basta cambiare noi stessi.
Bisogna
cambiare la vita.
R. Brosio
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