Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 37
marzo 1975


Rivista Anarchica Online

Tutti provocatori?

N.A.P., Brigate Rosse, Bertoli

Il primo marzo si è concluso alla Corte d'Assise di Milano il processo contro Gianfranco Bertoli, autore dell'attentato davanti alla Questura di Milano il 17 maggio 1973. La condanna all'ergastolo era scontata.
È giunto quindi il momento (come preannunciato sullo scorso numero) di "tirare le somme", se possibile, su questo fatto per molti versi oscuro e problematico. Per cercare di capire il problema opereremo una suddivisione analitica in tre elementi: il fatto, l'autore e gli eventuali retroscena. Sull'attentato, lo ripetiamo ancora una volta, condividiamo in pieno il giudizio di netta condanna espresso dalle tre componenti organizzate del movimento anarchico italiano nel comunicato-stampa che abbiamo riprodotto sui numeri 21 e 35 della rivista. Esso è eticamente deplorevole - così scrivevamo all'indomani dell'attentato (cfr. A 22) - per le vittime innocenti che ha fatto (volontariamente o involontariamente non ha molta importanza: non si scherza con gli ordigni di morte) e politicamente inopportuno.
Veniamo ora all'autore dell'attentato. Su Gianfranco Bertoli la stampa borghese e sedicente rivoluzionaria ha versato fiumi di inchiostro, tutti però intrisi di falsi e di calunnie. Tutte le rivelazioni su di lui (già ne abbiamo accennato sullo scorso numero e nello stesso senso di si è espressa Umanità Nova del 15 marzo) si sono dimostrate, anche se in sede dibattimentale, pure e semplici invenzioni. Sono rimasti certamente numerosi punti oscuri, vuoti logici e temporali, fatti non spiegati razionalmente: tutto questo deve avere giustamente il suo peso. Ma sono rimaste anche le dichiarazioni e le affermazioni che il Bertoli ha fatto sia al giudice istruttore sia al processo, che non erano quelle di un anarchico "posticcio e improvvisato", come hanno scritto i giornali, ma logiche e coerenti. Si tratta di una logica che noi evidentemente non accettiamo, ma non per questo abbiamo il diritto di etichettare come fascista chi si muove lungo direttive diverse, ma non opposte alle nostre.
Gli eventuali retroscena, cioè l'esistenza di mandanti, sono il nodo più problematico da sciogliere. Nella ricostruzione fatta dal Bertoli ci sono alcune incongruenze, alcuni elementi non chiari e non chiariti. Il Pubblico Ministero ha giocato su questi e con una arringa basata su una logica formale ineccepibile ha voluto dimostrare l'esistenza di un complotto di marca fascista. Peccato però (per il P.M.) che il suo ragionamento logico non fosse suffragato da fatti certi ed obiettivi. A questo punto egual valore hanno le argomentazioni del Bertoli, altrettanto convincente è la sua ricostruzione dei fatti (il reperimento della bomba, il passaggio alla dogana, il viaggio, gli spostamenti, ecc.). Parole contro parole, indizi contro negazioni, ma fatti certi, inequivocabili, pochi o nessuno. In definitiva al processo l'accusa non è riuscita a dimostrare nessun collegamento del Bertoli con i supposti mandanti fascisti.
Tutti gli interrogativi sono rimasti senza una chiara risposta ed a ciò si è aggiunto il costante lavoro di disinformazione svolto dai giornali che hanno dato del processo un'immagine distorta, travisando, tacendo o accentuando se questo era conveniente alla tesi precostituita: quella del provocatore fascista.
Qui si apre il discorso che maggiormente ci interessa è che va al di là del caso Bertoli e del suo personaggio. Da qualche anno ormai, spentasi l'ondata sessantottesca, rientrate nei ranghi le minoranze extra-sindacali, assistiamo a una involuzione "legalitaria" delle organizzazioni sedicenti rivoluzionarie, preoccupate più di non perdere la propria massa (si fa per dire) di manovra che non di stimolare e di portare avanti lotte con contenuti realmente rivoluzionari. In questa prospettiva (perdente sul piano rivoluzionario) si spiegano gli attacchi contro tutti quei gruppi o individui che escono dalla logica di queste organizzazioni. Non solo Bertoli è un provocatore, ma provocatorie sono anche le Brigate Rosse, la Baader-Meinhof, i N.A.P., tutti provocatori, anche quando i fatti dimostrano che questi non sono provocatori e che si tratta di individui o gruppi che hanno intrapreso un certo tipo di lotta al potere non ravvisando più validità nei metodi "tradizionali" delle varie organizzazioni. Non importa nulla, per i "dirigenti rivoluzionari" si tratta in ogni caso di "provocazione oggettiva": termine sempre usato quando i fatti non possono sostenere le affrettate condanne. Per esempio Bertoli, anche se non è un provocatore soggettivamente - proclamano i "rivoluzionari" - lo è "oggettivamente" perché il suo gesto avrebbe potuto favorire un tentativo autoritario. Ipotesi, congetture gratuite, smentite - in questo caso - dai fatti.
D'altro canto è ovvio che tutti gli atti violenti contro il potere generino reazioni ancor più violente da parte dello stesso, ma se ci attenessimo a questa logica i rivoluzionari dovrebbero autocondannarsi all'immobilità. Tutta la logica della "provocazione oggettiva" è aberrante, perché ragionando in tali termini dovremmo definire provocatori, per fare un solo esempio, i partigiani che con le loro azioni di giustizia e sacrosanta guerriglia esponevano la popolazione civile alle azioni di rappresaglia dei nazifascisti (basti pensare all'attentato di via Rasella e alla conseguente strage delle Fosse Ardeatine).
Se consideriamo la realtà attuale, che vede i gruppi rivoluzionari rinchiudersi nel loro guscio, accontentandosi di gestire spazi politici sempre più ristretti, sempre meno rivoluzionari e sempre più "quasi-riformisti", non possiamo non comprendere come elementi meno stabili emotivamente e con viscerale spirito di ribellione fuggano dalla realtà con atti violenti e clamorosi. È la società autoritaria, con le sue stridenti ingiustizie, a spingerli sulla via della violenza. E dopo qualcuno di questi atti, ecco i rivoluzionari subito gridare "provocazione, provocazione" quasi a voler esorcizzare le reazioni del potere. Noi non dobbiamo unirci al coro di questi "rivoluzionari" che preferiscono la "verità politica" a quella "storica" (che è l'unica verità). Per questa ragione noi non ci siamo uniti al "coro" che voleva di Bertoli un fascista a tutti i costi. Troppa gente strilla, a destra e a manca, che la "verità è rivoluzionaria", che "la libertà si difende dicendo il vero", ecc., ma è poi pronta a dire le più grosse menzogne per difendere le proprie tesi. Noi anarchici invece siamo gente onesta, cioè non erigiamo la menzogna a metodo di azione e... di pensiero.
Questa nostra posizione è logica conseguenza di una corretta pratica politica che vede nell'intima correlazione tra mezzi e fini uno dei cardini della nostra azione. Le menzogne, le "verità politiche" non sono utili, anzi sono dannose alla rivoluzione libertaria ed egualitaria. Le "verità politiche" possono essere tuttalpiù funzionali ad una rivoluzione autoritaria, ma questo (è inutile ripeterlo) non ci interessa in quanto anarchici.
Potrebbe farci comodo pensare, dire, scrivere che G.F. Bertoli è un fascista. Ma se non saremo convinti che oltre che "comodo" è anche vero, non lo scriveremo mai.