Rivista Anarchica Online
Il selvaggio "diseguale"
di Claudia V.
Le società primitive fra potere e sacralità. Il problema della divisione in classi e
quello dell'origine dello Stato sono fondamentali nello studio delle società
primitive. Le differenti interpretazioni degli studiosi marxisti e degli antropologhi culturali. Sempre il
potere è
stato accompagnato e legittimato dalla sacralità ed ha cercato di imporre una sua precisa scala
di valori fondati
sul rispetto dell'ordine e della gerarchia. Nei momenti di tensione la ricerca di un capro espiatorio, allora
come
oggi, ha favorito la conservazione del sistema sociale vigente e l'emarginazione dei ribelli al potere. La
funzione
contestatrice dei primi movimenti messianici.
Lo studio delle società primitive ci permette di trarre alcune
considerazioni sul rapporto potere-disuguaglianza
in una società e strutture economiche diverse dalla nostra ed evidenziare alcune dinamiche e
strategie costanti
del potere. Secondo alcuni antropologhi, sulla scia di Marx, la divisione in classi e lo Stato nascerebbero
dalla
dissoluzione delle comunità primitive fondate sui legami personali di sangue, sulle parentele: in
queste società -
definite "gentilizie" - la messa in comune dei mezzi di produzione e l'assenza di un mercato di scambio
escluderebbero la disuguaglianza e costituirebbero la base del "comunismo primitivo". Contrariamente
a questa
tesi, l'antropologia politica ha recentemente messo in evidenza che la disuguaglianza è sempre
presente nelle
società gerarchiche poiché essa nasce appunto direttamente dall'organizzazione
gerarchica della società. Nelle
società primitive gentilizie l'ordine di parentela, cioè il principio di discendenza
patrilineare non indica solo
rapporti tra persone, ma è fondamentale per la determinazione della gerarchia sociale: determina
la stratificazione
delle "classi sociali", l'attribuzione dei privilegi politici ed economici, agisce come codice del
comportamento
sociale e fornisce un modello culturale. Le società che si fondano sui legami di parentela si
articolano in vari
gruppi gentilizi (corrispondenti grosso modo a delle famiglie) che si riconoscono discendenti da un unico
ceppo
comune, e quindi appartenenti al medesimo gruppo genealogico. Ogni unità gentilizia
però costituisce un nucleo
politico differenziato che si riconosce socialmente ed è solidale con l'unità che
immediatamente lo precede in
linea verticale, genealogica ed è allo stesso tempo in opposizione, in senso orizzontale, sincrono,
ai gruppi
gentilizi contemporanei. Questa stratificazione fornisce un primo strumento di attribuzione del privilegio:
infatti
la preminenza politica è detenuta dal gruppo più vicino all'antenato comune. Il privilegio
si identifica con il
controllo esclusivo degli affari pubblici, della vita economica e religiosa della comunità. Si
trasmette per via
ereditaria e implica un sistema di diritti e obbligazioni che agiscono come codice sociale e politico non
solo tra
i gruppi gentilizi, ma anche all'interno delle singole gentes definendo le funzioni politiche di dominio e
subordinazione. Non esiste infatti nelle società primitive una netta differenziazione nella divisione
del lavoro: la
funzione sociale dell'individuo non deriva dalla sua collocazione rispetto alla produzione, ma dal suo
rango
rispetto alla gerarchia genealogica. Il principio della discendenza agisce in modo dinamico e regola
innanzitutto
le relazioni economiche. L'elemento caratterizzante dal punto di vista economico è l'assenza di
un luogo di
mercato (luogo specifico dove compratori e venditori si incontrano) e soprattutto, di un principio di
mercato: il
prezzo o valore di un bene non viene determinato dalle forze di domanda e offerta. L'assenza del
mercato fornisce
allo scambio economico un valore tutto particolare: è strettamente legato a obbligazioni politiche,
di parentela,
costituisce cioè prima di tutto un fatto sociale, anche se non è direttamente legato ad un
guadagno materiale, ad
una capitalizzazione dei beni. Il valore di un oggetto non dipende da esigenze di produzione (non esiste
un
apparato tecnologico massiccio e la produzione è rivolta soprattutto ad esigenze familiari), ma
dalla sua funzione
e mobilità rispetto alle relazioni sociali. Si possono perciò identificare due sfere di
scambio a seconda se l'oggetto
interessato è qualificabile come un bene di sussistenza o di prestigio. Il cibo per esempio in
quanto elemento
vitale, non può equivalere alla ricchezza e non può essere scambiato e viene garantito
nella quantità sufficiente
per ogni membro della comunità. I fattori che qui ci interessano sono quindi due: il modo in cui
i beni di
sussistenza vengono distribuiti e il modo in cui i beni di privilegio vengono scambiati. In entrambi i casi
la
dinamica sociale ha il ruolo fondamentale. Il primo interessa il tipo di organizzazione economica definita
retribuzione: consiste nella raccolta tra i componenti della gens dei beni prodotti collettivamente e la loro
ridivisione spesso effettuata da un unico individuo, all'interno del gruppo stesso. Al potere sovrano sono
attribuiti
i diritti di prelievo dei beni e la ridistribuzione secondo i criteri della gerarchia. La redistribuzione serve
quindi
a due scopi: in funzione pratica, per sostenere lo sforzo comunitario, la sopravvivenza e in funzione
autoritaria,
per mantenere la disuguaglianza e la subordinazione all'autorità centrale; essa quindi sostiene la
struttura sociale.
Il secondo fattore, che interessa più propriamente lo scambio dei beni, viene definita
reciprocità, e tende a
modificare i rapporti sociali (anziché sostenere la struttura) e si realizza soprattutto come
acquisizione del
privilegio. Essa rientra perciò nella dinamica più generale della conquista del potere. Essa
si fonde su uno
squilibrio controllato tra le due parti in gioco: oscilla tra un tipo di assistenza prestata e, se possibile, ma
non
necessariamente, ricambiata e uno scambio in cui il bene offerto deve avere un equivalente immediato
e
corrispondente nel tipo e nella quantità. Nel primo caso lo scambio ha lo scopo di mantenere
l'unità gentilizia
e l'autorità: la sua base è infatti la "generosità dall'alto": un'accumulazione di
credito nei confronti della
comunità da origine ad un rapporto di fedeltà. Partecipa alla formazione del rango stesso
come meccanismo di
partenza: il beneficato viene mantenuto in posizione pacifica, di subordinazione e disponibilità
nei confronti del
benefattore. Può costituire un meccanismo di partenza nella misura in cui crea seguaci e quindi
prestigio e forza
numerica. L'obiettivo dell'accumulazione delle ricchezze è quindi spesso quello di redistribuirle.
Nel caso invece
dello scambio diretto il credito è ridotto e tuttavia sussiste: questo squilibrio controllato è
necessario per il
funzionamento dell'attività commerciale: l'accumulo di credito per l'una o per l'altra parte
costringe a successivi
incontri, in cui il debitore ricambia e diventa a sua volta creditore: questo tipo di scambio regola le
alleanze, tra
i gruppi prescelti i trattati di pace tra i gruppi, i matrimoni e in generale la convivenza pacifica. E' inoltre
utile
rispetto all'accumulo di prestigio: lo scambio di beni di minor prestigio con beni qualitativamente
superiori
determina il successo. Questa operazione è, come dicevamo, funzionale alla conquista del potere:
un gruppo
numeroso e forte così costituito può provocare una lotta di secessione e fondare una
nuova gens il cui fondatore-antenato riconosciuto è il capogruppo che si appropria
di forza dell'autorità e del privilegio. La genealogia, la
parentela e le alleanze, strumenti del potere vengono infatti costantemente manipolati e trasgrediti; si ha
così una
duplice dinamica relativa al potere: quella meccanica determinata dal succedersi delle generazioni e quella
forzata
determinata dai gruppi che aspirano all'indipendenza e quindi allo "stato" di unità del
clan, attribuendosi con
la violenza un'identità che di fatto non posseggono. Accanto all'acquisizione del privilegio
attraverso scambi
vantaggiosi di beni o con la fondazione di una nuova gens l'autorità può
essere conferita per particolari capacità
personali: in tutti e tre i casi la dialettica politica ha il linguaggio della magia. Infatti i rituali concernenti
la magia
vengono oggi assunti dall'antropologia politica come sintomi dei conflitti sociali dei gruppi gentilizi e
aiutano a
comprendere alcuni caratteri fondamentali del potere e in primo luogo il suo rapporto con il sacro.
Sempre la
sacralità accompagna e legittima l'esistenza del potere: chi ne è detentore possiede la
capacità "magica" di
assicurare la fertilità dei campi e la fecondità delle donne, la pace e l'ordine naturale e
sociale. Potere e sacralità presentano le
medesime caratteristiche: entrambi si legittimano, culturalmente e socialmente,
attraverso una mitologia delle origini che si impernia sul culto degli antenati. Questo culto non va
interpretato
come una reazione alla paura della morte, ma come utilizzazione di questa paura in termini sociali: infatti
l'antenato è solo colui che socialmente ha assunto un privilegio che a sua volta fonda
l'autorità dei successori.
In sostanza i defunti eminenti sono corrispettivi e solidali con i vivi eminenti, e forniscono un modello
"storico"
dei rapporti di dominio e subordinazione. La sacralità implica una sottomissione totale, la
disubbidienza equivale
al sacrilegio. Per "sacro" si intende non solo la divinità o il re-dio, ma qualsiasi entità o
forza che sia data come
trascendente e vincolante: costituisce un modo culturale attraverso cui la società e l'individuo
organizzano la vita,
ordinano e reinterpretano la realtà. Il potere per esistere deve fondarsi sul consenso e/o sulla
costrizione fisica:
le società primitive presentano entrambe le condizioni; la sacralità si pone come nodo
necessario tra i due termini,
legittimando l'uso della violenza fisica inerente al potere, che viene intesa come forza magica negativa
e fondendo
il consenso. I due termini della sacralità sono: totem e tabù. Gerarchia genealogica,
potere e totemismo sono
elementi inscindibili. Il totem è il simbolo di ogni gruppo gentilizio, è il progenitore della
famiglia e il suo genio
tutelare. Difende i suoi figli ma in cambio richiede degli obblighi. Esso ha quindi un ruolo religioso e
sociale. Il
primo di questi obblighi è la subordinazione al totem e il divieto di distruggerlo ed ha quindi la
funzione di
impedire la ribellione. Il secondo e più importante è il divieto di rapporti incestuosi. Da
questo secondo principio
derivano tutte le consuetudini e i divieti morali che controllano e reprimono in modo rigoroso la
sessualità. Si
instaura così una relazione, caratteristica delle organizzazioni autoritarie, tra repressione sessuale,
sacralità e
autorità: il divieto dell'incesto difende il meccanismo economico della società gentilizia
(il matrimonio è uno dei
principali modi di scambio e di accumulo di prestigio e può avvenire solo fra membri di gente
diversa), ma
soprattutto è funzionale alla conservazione della discendenza, e cioè della gerarchia
sociale e del potere. Non
a caso la parola tabù esprime due opposti significati: da un lato indica il sacro, dall'altro il
pericolo, la
proibizione. Può esprimere la forza naturale propria d'una persona o di una cosa, o essere una
forza trasmesso
o acquisita tramite un sacerdote. I fini principali del tabù sono: difendere le persone
ragguardevoli, proteggere gli
individui nelle tappe fondamentali della vita (nascita, iniziazione, matrimonio, morte). L'autorità
è tabù: re e
sacerdoti esercitano perciò un controllo esclusivo della vita politica, religiosa e sociale e della vita
individuale.
In quanto forza magica il tabù è una potenza devastatrice per gli individui che non siano
capace di sopportarla:
chi la detiene diventa superiore, venerabile e temibile. I due termini, sacralità e
pericolosità si riducono alla
caratterizzazione ambigua che assume il potere nelle società primitive: esso è forza
negativa (comporta la
coercizione e la subordinazione), ma al tempo stesso positiva e necessaria (è fonte di vita sociale
e naturale). Heusch afferma che "ogni governo,
ogni sovrano... è ad un tempo depositario della forza fisica e prete di un culto
della Forza". Spesso è la forza stessa ad essere indicata come fattore di legittimità: la sua
capacità di agire in senso
positivo o negativo sulla comunità giustifica la subordinazione e la sottomissione. Potere e
potenza si equivalgono:
non possono agire senza intermediario e compito del capo è determinare l'effetto positivo che
si fonda sempre
su tre elementi: la continuità, la personalità di chi lo usa e la conformità al sacro.
La dualità coesione-dissoluzione
inerente al potere fonda anche la polarità sulla quale si organizza la natura e la totalità
del rapporto uomo-natura:
il cambio delle stagioni, il giorno e la notte, i due sessi ecc. Il criterio dell'opposizione e della complementarietà qualifica anche il rapporto
sovrano-sudditi che viene inteso
come integrazione necessaria, naturale, cosmologica. Principio di natura e principio di autorità
si sostengono
quindi a vicenda. La sacralità ci fornisce un'indicazione anche per la interpretazione della
strategia del potere:
il primo fattore da tenere in considerazione è che il rito sacro si qualifica come pratica sociale
in grado di influire
sulle forze negative o positive: si basa sull'analogia tra l'azione compiuta simbolicamente e l'azione reale.
L'azione simbolica cioè equivale, nel campo delle forze non controllate, e il potere è una
di esse, ad una azione
realmente accaduta: i rituali collettivi tendono alla trasformazione dell'opposizione in cooperazione, dello
squilibrio in equilibrio attraverso un'operazione simbolica. Ha la funzione quindi di risollevare la
conflittualità
interna neutralizzando la carica eversiva dei subordinati e mantenendo intatto, nella realtà, il
potere. I rituali si
possono dividere, grosso modo, in due tipi: il primo strettamente legato al rapporto uomo natura, il
secondo con
i caratteri di un vero e proprio rituale della ribellione. Nel primo caso il rapporto vita/morte, ordine e
disordine
viene superato attraverso rituali che ricreano e affermano la vita: questa ricreazione ha come punto di
riferimento
il culto degli antenati: attraverso essi si stabilisce la continuità della vita: la società
garantisce la propria rinascita
facendo nascere secondo le proprie norme. La morte infatti è sempre un evento sociale e
può essere esorcizzata
solo attraverso l'ordine sociale. La mitologia delle origini si presenta come una proiezione in un passato
"metafisico" della conflittualità presente e reale: ritualizzare la morte significa riaffermare il valore
dell'ordine
come vita ed emancipazione dal caos. I rituali della ribellione si esprimono nella pratica degli "atti alla
rovescia",
cioè come rituali in cui si realizza un capovolgimento nei rapporti di autorità. Il concetto
di licenziosità giustifica
l'operazione che tuttavia è rigorosamente limitata in un periodo definito di tempo, quello della
festa. Il
capovolgimento simbolico dei rapporti gerarchici dà soddisfazione alle forze di opposizione e
al tempo stesso le
nega: fornisce infatti una soluzione deviante, il capovolgimento dei ruoli, e un carattere negativo, l'abuso
del
potere, smodato e aberrante da parte del servo-padrone, tale da desiderare il ritorno al potere del capo
riconosciuto. Il potere, autocontestandosi, si rafforza. Un altro tipo di strategia è l'invenzione del
"capro
espiatorio": il pericolo di uno squilibrio interno può essere identificato e proiettato in una
minaccia esterna (il
nemico) o nella figura dello stregone che diventa il catalizzatore dei mali della società. Lo
stregone può essere
un membro della comunità che si assume ritualmente questa funzione e tuttavia rientra nella sfera
della sacralità
e del potere, in quanto possessore di una forza superiore, ma può essere anche l'oggetto di una
vera e propria
caccia alle streghe. In questo caso, a farne le spese, sono gli "schiavi": tutti coloro cioè che non
appartengono alla
parentela della gens e non hanno quindi alcun statuto sociale, che sono emarginati e
subordinati all'intera
collettività. La sacralità è però un'arma a doppio taglio: può agire
come strumento del potere, ma può anche
determinare la crisi. Le società primitive sono percorse costantemente da movimenti messianici,
che al di là delle
dialettiche potere-conquista conoscenza o quasi potere, si sono caratterizzati come momenti di
liberazione e di
opposizione alla schiavitù. La logica della liberazione è naturalmente sempre quella della
sacralità, della magia;
della soluzione in un piano immaginario della rivolta. Tuttavia essi hanno costituito la forma primitiva
e
scardinante delle spinte sociali che, durante tutta la preistoria e la storia prerivoluzionaria hanno
costantemente
rivolto l'opposizione contro il potere e il privilegio.
Claudia V.
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