Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 35
gennaio 1975


Rivista Anarchica Online

Il selvaggio "diseguale"
di Claudia V.

Le società primitive fra potere e sacralità.
Il problema della divisione in classi e quello dell'origine dello Stato sono fondamentali nello studio delle società primitive. Le differenti interpretazioni degli studiosi marxisti e degli antropologhi culturali. Sempre il potere è stato accompagnato e legittimato dalla sacralità ed ha cercato di imporre una sua precisa scala di valori fondati sul rispetto dell'ordine e della gerarchia. Nei momenti di tensione la ricerca di un capro espiatorio, allora come oggi, ha favorito la conservazione del sistema sociale vigente e l'emarginazione dei ribelli al potere. La funzione contestatrice dei primi movimenti messianici.

Lo studio delle società primitive ci permette di trarre alcune considerazioni sul rapporto potere-disuguaglianza in una società e strutture economiche diverse dalla nostra ed evidenziare alcune dinamiche e strategie costanti del potere. Secondo alcuni antropologhi, sulla scia di Marx, la divisione in classi e lo Stato nascerebbero dalla dissoluzione delle comunità primitive fondate sui legami personali di sangue, sulle parentele: in queste società - definite "gentilizie" - la messa in comune dei mezzi di produzione e l'assenza di un mercato di scambio escluderebbero la disuguaglianza e costituirebbero la base del "comunismo primitivo". Contrariamente a questa tesi, l'antropologia politica ha recentemente messo in evidenza che la disuguaglianza è sempre presente nelle società gerarchiche poiché essa nasce appunto direttamente dall'organizzazione gerarchica della società.
Nelle società primitive gentilizie l'ordine di parentela, cioè il principio di discendenza patrilineare non indica solo rapporti tra persone, ma è fondamentale per la determinazione della gerarchia sociale: determina la stratificazione delle "classi sociali", l'attribuzione dei privilegi politici ed economici, agisce come codice del comportamento sociale e fornisce un modello culturale. Le società che si fondano sui legami di parentela si articolano in vari gruppi gentilizi (corrispondenti grosso modo a delle famiglie) che si riconoscono discendenti da un unico ceppo comune, e quindi appartenenti al medesimo gruppo genealogico. Ogni unità gentilizia però costituisce un nucleo politico differenziato che si riconosce socialmente ed è solidale con l'unità che immediatamente lo precede in linea verticale, genealogica ed è allo stesso tempo in opposizione, in senso orizzontale, sincrono, ai gruppi gentilizi contemporanei. Questa stratificazione fornisce un primo strumento di attribuzione del privilegio: infatti la preminenza politica è detenuta dal gruppo più vicino all'antenato comune. Il privilegio si identifica con il controllo esclusivo degli affari pubblici, della vita economica e religiosa della comunità. Si trasmette per via ereditaria e implica un sistema di diritti e obbligazioni che agiscono come codice sociale e politico non solo tra i gruppi gentilizi, ma anche all'interno delle singole gentes definendo le funzioni politiche di dominio e subordinazione. Non esiste infatti nelle società primitive una netta differenziazione nella divisione del lavoro: la funzione sociale dell'individuo non deriva dalla sua collocazione rispetto alla produzione, ma dal suo rango rispetto alla gerarchia genealogica. Il principio della discendenza agisce in modo dinamico e regola innanzitutto le relazioni economiche. L'elemento caratterizzante dal punto di vista economico è l'assenza di un luogo di mercato (luogo specifico dove compratori e venditori si incontrano) e soprattutto, di un principio di mercato: il prezzo o valore di un bene non viene determinato dalle forze di domanda e offerta. L'assenza del mercato fornisce allo scambio economico un valore tutto particolare: è strettamente legato a obbligazioni politiche, di parentela, costituisce cioè prima di tutto un fatto sociale, anche se non è direttamente legato ad un guadagno materiale, ad una capitalizzazione dei beni. Il valore di un oggetto non dipende da esigenze di produzione (non esiste un apparato tecnologico massiccio e la produzione è rivolta soprattutto ad esigenze familiari), ma dalla sua funzione e mobilità rispetto alle relazioni sociali. Si possono perciò identificare due sfere di scambio a seconda se l'oggetto interessato è qualificabile come un bene di sussistenza o di prestigio. Il cibo per esempio in quanto elemento vitale, non può equivalere alla ricchezza e non può essere scambiato e viene garantito nella quantità sufficiente per ogni membro della comunità. I fattori che qui ci interessano sono quindi due: il modo in cui i beni di sussistenza vengono distribuiti e il modo in cui i beni di privilegio vengono scambiati. In entrambi i casi la dinamica sociale ha il ruolo fondamentale. Il primo interessa il tipo di organizzazione economica definita retribuzione: consiste nella raccolta tra i componenti della gens dei beni prodotti collettivamente e la loro ridivisione spesso effettuata da un unico individuo, all'interno del gruppo stesso. Al potere sovrano sono attribuiti i diritti di prelievo dei beni e la ridistribuzione secondo i criteri della gerarchia. La redistribuzione serve quindi a due scopi: in funzione pratica, per sostenere lo sforzo comunitario, la sopravvivenza e in funzione autoritaria, per mantenere la disuguaglianza e la subordinazione all'autorità centrale; essa quindi sostiene la struttura sociale. Il secondo fattore, che interessa più propriamente lo scambio dei beni, viene definita reciprocità, e tende a modificare i rapporti sociali (anziché sostenere la struttura) e si realizza soprattutto come acquisizione del privilegio. Essa rientra perciò nella dinamica più generale della conquista del potere. Essa si fonde su uno squilibrio controllato tra le due parti in gioco: oscilla tra un tipo di assistenza prestata e, se possibile, ma non necessariamente, ricambiata e uno scambio in cui il bene offerto deve avere un equivalente immediato e corrispondente nel tipo e nella quantità. Nel primo caso lo scambio ha lo scopo di mantenere l'unità gentilizia e l'autorità: la sua base è infatti la "generosità dall'alto": un'accumulazione di credito nei confronti della comunità da origine ad un rapporto di fedeltà. Partecipa alla formazione del rango stesso come meccanismo di partenza: il beneficato viene mantenuto in posizione pacifica, di subordinazione e disponibilità nei confronti del benefattore. Può costituire un meccanismo di partenza nella misura in cui crea seguaci e quindi prestigio e forza numerica. L'obiettivo dell'accumulazione delle ricchezze è quindi spesso quello di redistribuirle. Nel caso invece dello scambio diretto il credito è ridotto e tuttavia sussiste: questo squilibrio controllato è necessario per il funzionamento dell'attività commerciale: l'accumulo di credito per l'una o per l'altra parte costringe a successivi incontri, in cui il debitore ricambia e diventa a sua volta creditore: questo tipo di scambio regola le alleanze, tra i gruppi prescelti i trattati di pace tra i gruppi, i matrimoni e in generale la convivenza pacifica. E' inoltre utile rispetto all'accumulo di prestigio: lo scambio di beni di minor prestigio con beni qualitativamente superiori determina il successo. Questa operazione è, come dicevamo, funzionale alla conquista del potere: un gruppo numeroso e forte così costituito può provocare una lotta di secessione e fondare una nuova gens il cui fondatore-antenato riconosciuto è il capogruppo che si appropria di forza dell'autorità e del privilegio. La genealogia, la parentela e le alleanze, strumenti del potere vengono infatti costantemente manipolati e trasgrediti; si ha così una duplice dinamica relativa al potere: quella meccanica determinata dal succedersi delle generazioni e quella forzata determinata dai gruppi che aspirano all'indipendenza e quindi allo "stato" di unità del clan, attribuendosi con la violenza un'identità che di fatto non posseggono. Accanto all'acquisizione del privilegio attraverso scambi vantaggiosi di beni o con la fondazione di una nuova gens l'autorità può essere conferita per particolari capacità personali: in tutti e tre i casi la dialettica politica ha il linguaggio della magia. Infatti i rituali concernenti la magia vengono oggi assunti dall'antropologia politica come sintomi dei conflitti sociali dei gruppi gentilizi e aiutano a comprendere alcuni caratteri fondamentali del potere e in primo luogo il suo rapporto con il sacro. Sempre la sacralità accompagna e legittima l'esistenza del potere: chi ne è detentore possiede la capacità "magica" di assicurare la fertilità dei campi e la fecondità delle donne, la pace e l'ordine naturale e sociale.
Potere e sacralità presentano le medesime caratteristiche: entrambi si legittimano, culturalmente e socialmente, attraverso una mitologia delle origini che si impernia sul culto degli antenati. Questo culto non va interpretato come una reazione alla paura della morte, ma come utilizzazione di questa paura in termini sociali: infatti l'antenato è solo colui che socialmente ha assunto un privilegio che a sua volta fonda l'autorità dei successori. In sostanza i defunti eminenti sono corrispettivi e solidali con i vivi eminenti, e forniscono un modello "storico" dei rapporti di dominio e subordinazione. La sacralità implica una sottomissione totale, la disubbidienza equivale al sacrilegio. Per "sacro" si intende non solo la divinità o il re-dio, ma qualsiasi entità o forza che sia data come trascendente e vincolante: costituisce un modo culturale attraverso cui la società e l'individuo organizzano la vita, ordinano e reinterpretano la realtà. Il potere per esistere deve fondarsi sul consenso e/o sulla costrizione fisica: le società primitive presentano entrambe le condizioni; la sacralità si pone come nodo necessario tra i due termini, legittimando l'uso della violenza fisica inerente al potere, che viene intesa come forza magica negativa e fondendo il consenso. I due termini della sacralità sono: totem e tabù. Gerarchia genealogica, potere e totemismo sono elementi inscindibili. Il totem è il simbolo di ogni gruppo gentilizio, è il progenitore della famiglia e il suo genio tutelare. Difende i suoi figli ma in cambio richiede degli obblighi. Esso ha quindi un ruolo religioso e sociale. Il primo di questi obblighi è la subordinazione al totem e il divieto di distruggerlo ed ha quindi la funzione di impedire la ribellione. Il secondo e più importante è il divieto di rapporti incestuosi. Da questo secondo principio derivano tutte le consuetudini e i divieti morali che controllano e reprimono in modo rigoroso la sessualità. Si instaura così una relazione, caratteristica delle organizzazioni autoritarie, tra repressione sessuale, sacralità e autorità: il divieto dell'incesto difende il meccanismo economico della società gentilizia (il matrimonio è uno dei principali modi di scambio e di accumulo di prestigio e può avvenire solo fra membri di gente diversa), ma soprattutto è funzionale alla conservazione della discendenza, e cioè della gerarchia sociale e del potere. Non a caso la parola tabù esprime due opposti significati: da un lato indica il sacro, dall'altro il pericolo, la proibizione. Può esprimere la forza naturale propria d'una persona o di una cosa, o essere una forza trasmesso o acquisita tramite un sacerdote. I fini principali del tabù sono: difendere le persone ragguardevoli, proteggere gli individui nelle tappe fondamentali della vita (nascita, iniziazione, matrimonio, morte). L'autorità è tabù: re e sacerdoti esercitano perciò un controllo esclusivo della vita politica, religiosa e sociale e della vita individuale. In quanto forza magica il tabù è una potenza devastatrice per gli individui che non siano capace di sopportarla: chi la detiene diventa superiore, venerabile e temibile. I due termini, sacralità e pericolosità si riducono alla caratterizzazione ambigua che assume il potere nelle società primitive: esso è forza negativa (comporta la coercizione e la subordinazione), ma al tempo stesso positiva e necessaria (è fonte di vita sociale e naturale).
Heusch afferma che "ogni governo, ogni sovrano... è ad un tempo depositario della forza fisica e prete di un culto della Forza". Spesso è la forza stessa ad essere indicata come fattore di legittimità: la sua capacità di agire in senso positivo o negativo sulla comunità giustifica la subordinazione e la sottomissione. Potere e potenza si equivalgono: non possono agire senza intermediario e compito del capo è determinare l'effetto positivo che si fonda sempre su tre elementi: la continuità, la personalità di chi lo usa e la conformità al sacro. La dualità coesione-dissoluzione inerente al potere fonda anche la polarità sulla quale si organizza la natura e la totalità del rapporto uomo-natura: il cambio delle stagioni, il giorno e la notte, i due sessi ecc.
Il criterio dell'opposizione e della complementarietà qualifica anche il rapporto sovrano-sudditi che viene inteso come integrazione necessaria, naturale, cosmologica. Principio di natura e principio di autorità si sostengono quindi a vicenda. La sacralità ci fornisce un'indicazione anche per la interpretazione della strategia del potere: il primo fattore da tenere in considerazione è che il rito sacro si qualifica come pratica sociale in grado di influire sulle forze negative o positive: si basa sull'analogia tra l'azione compiuta simbolicamente e l'azione reale. L'azione simbolica cioè equivale, nel campo delle forze non controllate, e il potere è una di esse, ad una azione realmente accaduta: i rituali collettivi tendono alla trasformazione dell'opposizione in cooperazione, dello squilibrio in equilibrio attraverso un'operazione simbolica. Ha la funzione quindi di risollevare la conflittualità interna neutralizzando la carica eversiva dei subordinati e mantenendo intatto, nella realtà, il potere. I rituali si possono dividere, grosso modo, in due tipi: il primo strettamente legato al rapporto uomo natura, il secondo con i caratteri di un vero e proprio rituale della ribellione. Nel primo caso il rapporto vita/morte, ordine e disordine viene superato attraverso rituali che ricreano e affermano la vita: questa ricreazione ha come punto di riferimento il culto degli antenati: attraverso essi si stabilisce la continuità della vita: la società garantisce la propria rinascita facendo nascere secondo le proprie norme. La morte infatti è sempre un evento sociale e può essere esorcizzata solo attraverso l'ordine sociale. La mitologia delle origini si presenta come una proiezione in un passato "metafisico" della conflittualità presente e reale: ritualizzare la morte significa riaffermare il valore dell'ordine come vita ed emancipazione dal caos. I rituali della ribellione si esprimono nella pratica degli "atti alla rovescia", cioè come rituali in cui si realizza un capovolgimento nei rapporti di autorità. Il concetto di licenziosità giustifica l'operazione che tuttavia è rigorosamente limitata in un periodo definito di tempo, quello della festa. Il capovolgimento simbolico dei rapporti gerarchici dà soddisfazione alle forze di opposizione e al tempo stesso le nega: fornisce infatti una soluzione deviante, il capovolgimento dei ruoli, e un carattere negativo, l'abuso del potere, smodato e aberrante da parte del servo-padrone, tale da desiderare il ritorno al potere del capo riconosciuto. Il potere, autocontestandosi, si rafforza. Un altro tipo di strategia è l'invenzione del "capro espiatorio": il pericolo di uno squilibrio interno può essere identificato e proiettato in una minaccia esterna (il nemico) o nella figura dello stregone che diventa il catalizzatore dei mali della società. Lo stregone può essere un membro della comunità che si assume ritualmente questa funzione e tuttavia rientra nella sfera della sacralità e del potere, in quanto possessore di una forza superiore, ma può essere anche l'oggetto di una vera e propria caccia alle streghe. In questo caso, a farne le spese, sono gli "schiavi": tutti coloro cioè che non appartengono alla parentela della gens e non hanno quindi alcun statuto sociale, che sono emarginati e subordinati all'intera collettività. La sacralità è però un'arma a doppio taglio: può agire come strumento del potere, ma può anche determinare la crisi. Le società primitive sono percorse costantemente da movimenti messianici, che al di là delle dialettiche potere-conquista conoscenza o quasi potere, si sono caratterizzati come momenti di liberazione e di opposizione alla schiavitù. La logica della liberazione è naturalmente sempre quella della sacralità, della magia; della soluzione in un piano immaginario della rivolta. Tuttavia essi hanno costituito la forma primitiva e scardinante delle spinte sociali che, durante tutta la preistoria e la storia prerivoluzionaria hanno costantemente rivolto l'opposizione contro il potere e il privilegio.

Claudia V.