Rivista Anarchica Online
Lavoro manuale e lavoro intellettuale
di Mirko Roberti
La divisione del lavoro e le classi sociali
Il problema della divisione del lavoro, nei suoi innumerevoli aspetti e
conseguenze, è da qualche tempo oggetto
di interesse all'interno dell'universo marxista e progressista, dall'economia alla sociologia, dalla psicologia
alla
pedagogia, dalla storia all'antropologia. Possiamo citare, per esempio, la linea "marxista libertaria"
di "Socialisme ou Barbarie" che interpreta
l'esperienza dei Consigli Operai come tentativo di superare "la contraddizione fondamentale di ogni
sistema di
sfruttamento: la divisione fra dirigenti ed esecutori" (1). Con una prospettiva
più marxista e meno libertaria Salvati e Beccalli pubblicarono, anni orsono, uno studio sullo
stesso tema nella rivista "Quaderni Piacentini" (2). Pochi mesi dopo anche "il Manifesto" nelle sue tesi
"per il
comunismo" riprese il discorso (3). Ultimamente "Fabbrica e stato" dedicò il numero 7/8 del
luglio-agosto 1973
a questo problema. Sotto il profilo pedagogico è uscito recentemente un libro edito dalla Nuova
Italia (4)
interamente dedicato alla divisione del lavoro. In tutti questi lavori ed in molti altri ancora è
presente una tesi comune, pur nella diversità delle posizioni: La
divisione del lavoro è vista come divisione capitalistica del lavoro. In altri termini
la divisione del lavoro è una
conseguenza dell'organizzazione capitalistica. Forse a causa di questa impostazione, o forse per
ignoranza o
malafede, le analisi anarchiche sulla radice strutturale della divisione del lavoro sociale
come causa della
disuguaglianza e quindi dello sfruttamento, non sono minimamente riprese e citate. Diviene possibile in
questo
modo la riscoperta della dimensione "utopistica e libertaria" del marxismo. Per gli anarchici, al
contrario, non occorre nessuna "scoperta" o "riscoperta" dal momento che la divisione del
lavoro occupa un posto centrale nell'elaborazione teorica del pensiero libertario e riprenderne il filo
è per noi
utile e stimolante e doveroso. Un tale discorso coinvolge molteplici problemi e aspetti, riguardanti,
da una parte, le cause del suo costituirsi in
sistema sociale di sfruttamento, dall'altra, le alternative libertarie inerenti al progetto anarchico di
distruzione
dell'autorità, configuratasi storicamente nella formazione delle classi e dello
stato. Con questo approccio, infatti, intendiamo risalire alla struttura che sta alla base
del meccanicismo autoritario,
descrivendone e identificandone le componenti costanti e le forme caratteristiche, gli
elementi cioè che, per la
loro natura strutturale, si ripresentano e si concretizzano nelle differenti società storiche,
assumendo di volta in
volta le forme socio-economiche ad esse inerenti e parallelamente l'apparato politico che le vivifica e le
giustifica. La comprensione teorica di un problema così vasto e complesso, vero nodo
cruciale della tematica anarchica,
richiede l'uso di una pluralità di conoscenze che come abbiamo già detto, vanno
dall'economia alla sociologia,
dalla psicologia alla pedagogia, dalla storia all'antropologia, ecc. L'accostamento a tale problema, se
da una parte risulta variamente diversificato, a seconda del punto di vista in
cui viene affrontato, dall'altra deve essere riconducibile ad un'unica prospettiva operativa, che ci è
data dai fini
dell'anarchismo e dal suo sapere teorico e pratico. Crediamo pertanto che iniziare un simile discorso
comporti innanzitutto il concorso di specifici contributi teorici.
In questo primo articolo ci limiteremo a mettere in evidenza la correlazione tra la divisione del lavoro e
classi
sociali così come è stata sviluppata nel pensiero di tre autori "classici" dell'anarchismo:
Proudhon, Bakunin,
Kropotkin. L'anarchismo ha definito, da una parte, le cause costanti presenti nella divisione del
lavoro, dall'altra, i rapporti
organici che permettono un'interazione tra queste cause e la costituzione delle classi o dello stato.
L'analisi
dell'autorità si presenta nel duplice aspetto di un'analisi storica-dinamica e nella definizione e
individuazione
delle radici strutturali di essa: in altri termini una spiegazione che risale dal suo aspetto variabile a quello
costante
e viceversa. L'analisi delle classi sociali, nel pensiero anarchico, se da una parte si specifica attraverso
la comprensione
storica e variabile della società borghese, dall'altra, individuando la
correlazione con la divisione del lavoro,
sviluppa una metodo di comprensione per ogni società
autoritaria. a) nella concezione teorica proudhoniana l'analisi delle classi si
traduce in termini di divisione delle funzioni
sociali. Si tratta di "seguire il movimento evolutivo di queste funzioni", riconoscerne il carattere e le
tendenze per
"formularne le leggi" in modo da costituire la comprensione teorica della società attraverso la
spiegazione
"dell'organizzazione del lavoro" (5). Quest'ultima si configura in una struttura di "tipo piramidale" dove
"al
vertice siede il principe, mentre la base posa sul proletariato". La correlazione funzioni-classi sociali
è data da
Proudhon nella misura in cui il lavoro umano, "anzi intelligente dell'uomo materia", viene ripartito ed
assegnato
secondo un ordine crescente di importanza. Essa è data dal grado di dominio dell'uomo rispetto
al mondo che
da naturale si fa, attraverso il lavoro collettivo, sociale. Il lavoro, però, "è un'idea
complessa, che, scomposta in ciascuno dei suoi elementi, e poi ricomposta sotto tutti
i suoi punti di vista, costituisce la scienza". Le funzioni sociali o classi si collocano attraverso una scala
gerarchica
analoga alla "scomposizione della scienza" secondo gli elementi dai più semplici ai più
complessi, dai particolari
ai generali. La equazione lavoro-scienza diviene un metodo di comprensione e di analisi: "Ora, in misura
che la
funzione guadagna in generalità rappresentativa, vale a dire in misura che essa ne riassume un
maggior numero
d'altre, essa perde in specialità effettiva, in materia industriale e in applicazione scientifica.
Così il capo di officina
produce materialmente meno dell'operaio, ma di più dell'imprenditore; così il padrone,
il prefetto, il ministro,
il consigliere di stato, il re non esercitano né arte, né scienza, né mestiere; il loro
ruolo è di raggruppare le
funzioni inferiori, di centralizzare e di riunificarne i rapporti. Il lavoro, in questa regione elevata,
suppone,
come sempre, una attitudine, una educazione, e delle condizioni di eleggibilità speciale; ma, in
sé, esso non è né
più né meno difficile di altri: se oggi sembra aver luogo il contrario, ciò deriva
unicamente dalla nostra
organizzazione imperfetta, e dal semplicismo dei principi che ci governano"... Quindi "l'ineguaglianza
dell'intelligenza tra gli uomini è un'anomalia, quella delle funzioni, un'ingiustizia" (6). La
divisione del lavoro tra intellettuale e manuale si generalizza in divisione sociale. Questo divorzio tra
scienza
e lavoro costituisce la matrice della costituzione delle classi"... il lavoro non si divide più nelle
sue parti
integranti, come nelle operazioni parcellari; ma nei suoi elementi costituenti, l'intelligenza
e la forza" (7). Quest'ultima, nella società borghese si traduce in forza lavoro, in merce, in
virtù dello scarso valore (per il
mercato capitalista) presente nella funzione sociale svolta. Questa forma storica assunta dalla
diseguaglianza, si
presenta nella divisione generale tra classe capitalista e classe proletaria: la società borghese
costituisce con le
sue strutture economiche e politiche, l'aspetto storico e quindi variabile di essa. b) Nel
passaggio dal mutualismo proudhoniano al collettivismo bakuninista si dispiega tutta l'esperienza della
Prima Internazionale; nelle sue componenti teoriche e ideologiche si trova dibattuto il problema della
divisione
del lavoro (8). La riflessione teorica bakuniniana porta ad un livello più elevato e chiaro il
rapporto tra questa
divisione e le classi, tra le classi e lo stato. Questo rapporto è analizzato sotto l'aspetto storico
presente nella società borghese; quest'ultima portatrice della
rivoluzione politica dell'89 (la eguaglianza giuridica dei "cittadini") ha lasciato inalterato il rapporto
strutturale
dello sfruttamento: l'organizzazione gerarchica del lavoro. Scrive Bakunin: "Dato che l'origine, prima
di questo asservimento, quella, per meglio precisare, del dogma
dell'ineguaglianza politica degli uomini, è stata soppressa dalla grande rivoluzione, si deve
attribuire l'attuale
disprezzo per il lavoro alla seconda che altro non è che quella separazione che
s'è andata creando, e ancor oggi
permane in tutta la sua forza, tra il lavoro intellettuale e il lavoro manuale, e che
riproducendo in una forma
nuova la vecchia disuguaglianza divide ancora il mondo sociale in due campi: la minoranza
privilegiata ormai
non per la forza della legge, ma per quella del capitale e la maggioranza dei lavoratori
forzati non più
nell'iniquo diritto del privilegio legale ma dalla fame" (9). Per comprendere il doppio aspetto,
strutturale e storico, della formazione delle classi, l'analisi bakuniniana
riprende il metodo proudhoniano dell'equazione scienza-lavoro. I gradi gerarchici di questo divorzio
costituiscono
la trama del tessuto sociale ed economico, che nella società storica capitalistico borghese, si
traducono ancora
una volta in capitale e forza-lavoro, in proletariato e borghesia: "Però, poiché il lavoro
umano considerato nella
sua totalità si divide in due parti, l'una interamente intellettuale, e dichiarata
esclusivamente nobile, che
comprende le scienze, le arti, e nell'industria l'applicazione delle scienze e delle arti, l'idea, la concezione,
l'invenzione, il calcolo il governo e la direzione generale o gerarchica delle forze operaie; e l'altra solo
manuale,
ridotta ad una azione puramente meccanica, senza intelligenza, senza idee; approfittando di questa
legge
economica e sociale della divisione del lavoro i privilegiati del capitale, compresi quelli che per
la pochezza
delle loro capacità individuali ne sarebbero i meno autorizzati, si impadroniscono della prima
lasciando al popolo
la seconda" (10). Il linguaggio bakuniniano si fa, rispetto alla definizione delle classi, estremamente
generale: esse non sono definite
in base al loro aspetto storico-sociale, ma in base al rapporto che intercorre fra esse. Un
rapporto che va sempre
dal basso all'alto, dalla base al vertice: la definizione bakuniniana è la definizione del
rapporto autoritario fra
le classi, è la definizione anarchica della disuguaglianza. Questi rapporti
dominazione-dipendenza si sviluppano
sulla rete dell'organizzazione gerarchica del lavoro, sul cui disegno geometrico piramidale, secondo il
linguaggio
di Proudhon, vivono ed interagiscono le funzioni sociali, dalle più semplici alle più
complesse, e, ancora una
volta, collocate secondo un ordine crescente di importanza e funzionalità, date dalla
società storica del momento. Si comprende ora, nel pensiero di Bakunin, come si configura
l'emancipazione degli sfruttati: essa non è più data
dall'eguaglianza di tutti di fronte alla proprietà, che si risolve già nella concezione
pratica-teorica del suo
collettivismo, ma nell'eguaglianza di fronte al lavoro, di fronte alla radice che ne sta alla base: la
scienza. "Per
giudicare sui progressi delle masse operaie dal punto di vista della loro emancipazione politica e sociale
non si
deve assolutamente confrontare il loro livello intellettuale in questo secolo con il loro livello intellettuale
nei
secoli passati. Bisogna invece considerare se, a partire da un'epoca data e dopo aver constatata la
differenza allora
esistente fra di esse e le classi privilegiate, le masse operaie hanno progredito nella stessa misura di quelle.
Perché
se i progressi rispettivi sono stati uguali, la distanza intellettuale che le separa oggi dal ceto
privilegiato sarà
la stessa" (11). Il programma emancipatore egualitario della Prima Internazionale sfocia, nel
pensiero bakuninista, in una grande
magistrale consapevolezza teorica. "Abbiamo dimostrato che fino a quando vi saranno due o più
gradi di
istruzione per i vari strati della società, ci saranno necessariamente delle classi, vale
a dire dei privilegi
economici e politici per un piccolo numero di fortunati e la schiavitù e la miseria per il
più gran numero. Membri
dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori noi vogliamo l'uguaglianza e poiché la vogliamo,
noi dobbiamo
volere anche l'istruzione integrale, uguale per tutti" (12). c) Per comprendere a questo
punto il passaggio dell'analisi di Bakunin, dobbiamo tenere presente due fattori. Il
primo è che essa si inserisce nella fase di transizione teorica dal collettivismo al comunismo, il
secondo è che tale
analisi si fa interamente sociologica. Per questo secondo aspetto l'analisi acquista una capacità
comprensiva più
ampia: la divisione del lavoro non investe più solo le classi, ma anche il tessuto
geografico-sociale. Vi è una sorta
di analogia che lega i rapporti tra divisione del lavoro e classi sociali, tra queste e i rapporti tra
città e campagna,
tra centro e periferia. "divisione del lavoro, tale fu la parola d'ordine di questa evoluzione. E la
divisione, e la suddivisione - la
permanente suddivisione delle funzioni è stata spinta così oltre da dividere
l'umanità in caste si fermamente
stabilite quanto quelle dell'India Antica. Noi abbiamo, dapprima, la grande divisione tra produttori e
consumatori:
produttori poco consumanti da un lato, consumatori poco producenti dall'altro. Quindi, ammessa la
precedente,
una serie di suddivisioni susseguenti: il lavoro manuale e il lavoro intellettuale, rigorosamente separati a
detrimento di entrambi; i lavoratori agricoli e quelli della manifattura. E infine, ammesso l'insieme di
queste
ultime, altre suddivisioni innumerevoli" (13). La divisione sociale del lavoro le "suddivisioni" ad essa
inerenti, costituiscono la struttura intera della
disuguaglianza. Il lavoro, nella visione teorica kropotkiniana, si riconduce alla sua
integrità non solo risolvendolo
nell'equazione prassi-conoscenza, ma anche riconfermandolo nel suo significato sociale. Questa
considerazione
porta Kropotkin ad inserire, nella logica del suo federalismo decentralizzatore, il primo fattore cui
accennavamo
poc'anzi, e che costituisce l'aspetto fondamentale della sua dottrina: il comunismo.
Socializzazione dei beni e socializzazione del sapere si trovano indissolubilmente unite nel processo
rivoluzionario dell'abolizione delle classi. Queste ritornano ancora una volta sotto il segno delle funzioni
sociali
e delle divisioni e "suddivisioni" interne ad esse: "Così minute, realmente, che l'ideale moderno
di un lavoratore
sembra di essere un uomo o una donna, od anche un fanciullo o una ragazza, prive delle conoscenze
proprie a
qualsiasi artigiano; senza nessuna concezione riguardo all'industria in cui sono impiegati; capaci
unicamente di
produrre durante tutto il giorno e per tutta la vita la stessa infinitesima parte di qualche cosa: di spingere,
dall'età
di tredici a quella di sessant'anni, il carro del carbone ad un posto nella mina, o fabbricare la molla di un
temperino, o "la diciottesima parte di una spilla". Semplici servi di qualche macchina d'un dato modello;
semplici
parti di carname di un immenso meccanismo, senza idea alcuna del come e del perché quel
meccanismo compie
i suoi ritmici movimenti" (14). Lo scambio dei beni, dei servizi e delle informazioni in una tale
struttura si sviluppa necessariamente in modo
diseguale: l'organizzazione gerarchica del lavoro sociale si ridistribuisce nell'intera rete produttiva,
amministrativa, culturale, ecc. Questa gerarchia delle funzioni produttive, amministrative, culturali, ecc.
costituisce il modello tipo di ogni società autoritaria e non solo dell'organizzazione
capitalistica del lavoro,
presente nella società borghese. La distruzione dell'autorità, l'abolizione delle
divisione sociale del lavoro e quindi delle classi, si ridefinisce, nel
pensiero anarchico, attraverso l'integrazione del lavoro e la istruzione integrale. Vedremo in un prossimo
articolo
come tale risposta si è legata alla sua strategia rivoluzionaria, attraverso, anche, il suo operare
storico concreto.
Mirko Roberti
1) Dalla presentazione di "Socialisme ou Barbarie", Guanda, 1969.
2) M. Salvati e B. Beccalli, Divisione del lavoro. Capitalismo, Socialismo, Utopia, in
"Quaderni Piacentini"
n.40, Aprile 1970.
3) "Il Manifesto", Anno II, Settembre 1970, pag.24.
4) AA.VV. Educazione e divisione del lavoro, La Nuova Italia, 1873.
5) Proudhon, De la Création de l'Ordre dans l'humanitè, Marcel
Revière, Paris, 1927, pag.289 e sgg.
6) Proudhon, op. cit.
7) Proudhon, op. cit.
8) Documento approvato al congresso di Bruxelles del 1868. Si trova in, Tullio Martello,
Storia
dell'Internazionale, Padova 1873.
9) Bakunin, Società rivoluzionaria internazionale o Fratellanza internazionale,
1866. Cfr. Stato e Anarchia
e altri scritti, Feltrinelli, 1968, pag.324.
10) Bakunin, L'istruzione integrale, 1869, Cfr. op. cit. 267 e sgg.
11) Bakunin, op. cit.
12) Bakunin, op. cit.
13) P. Kropotkin, Fields, Factories and Workshops, 1898. Le industrie
nazionali, 1910, New York, pag. 19 e
sgg.
14) Kropotkin, op. cit.
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