Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 24
ottobre 1973


Rivista Anarchica Online

Efficienza organizzativa ed efficacia anarchica
di Camillo Levi

L'improvviso arrivo della polizia francese bloccò la riunione. In un paesetto nelle vicinanze di Parigi, a Bourg-la-Reine, si erano riuniti compagni francesi, italiani, bulgari, spagnoli, russi, polacchi, cinesi e di altri Paesi per discutere un lungo documento politico-organizzativo elaborato dal gruppo Dielo Truda. La discussione era iniziata da poco quando la polizia arrestò tutti i presenti: si era nella primavera del 1927.
Il trionfo del partito bolscevico di Lenin e di Stalin nell'Unione Sovietica, del partito nazionale fascista in Italia, l'aggravarsi della situazione politica in altri Paesi avevano fatto di Parigi il luogo di esilio e di incontro per gli oppositori di molti regimi, ed era naturale che la "colonia anarchica" fosse particolarmente numerosa e vivace. Il succitato documento, che doveva essere esaminato e discusso in quella riunione, era stato elaborato nel corso del 1926 dai componenti il gruppo anarchico Dielo Truda, composto da compagni russi ed ucraini sfuggiti alle persecuzioni contro i militanti rivoluzionari, seguite allo strozzamento della rivoluzione sovietica del '17 da parte della nuova classe bolscevica al potere. Figure di primo piano nel gruppo erano P. Arscinov, lo storico della rivoluzione anarchica Ucraina, e N. Machno, che di quella rivoluzione era stato il combattente più in vista. Il documento, che fin dall'inizio venne definito "piattaforma di Arscinov", veniva presentato come il sunto delle considerazioni di Machno e compagni di fronte alla schiacciante vittoria bolscevica nell'U.R.S.S., in vista di un prossimo rilancio rivoluzionario del movimento anarchico, che attraversava allora in quasi tutti i paesi una crisi.
L'interesse suscitato dalla presentazione della Plateforme d'organisation de l'Union générale des anarchistes (projet) testimoniava la coscienza della necessità di ripensare oltre mezzo secolo di esperienza e di pensiero anarchici, dalla Prima Internazionale bakuniniana alla situazione di allora, per studiare quali strade seguire verso la rivoluzione libertaria. Se dunque la riunione a Bourg-la-Reine andò praticamente in fumo, non fu certo quella la fine delle discussioni: anzi, nel giro di qualche mese, tutti i militanti ed i gruppi più influenti del movimento anarchico intervennero nella polemica e fecero sapere la loro opinione sia sull'analisi fatta dal gruppo Dielo Truda, sia sulle proposte concrete di riorganizzazione che chiedevano la Plateforme proposta. Fra le molte pagine del documento, infatti, quelle che maggiormente suscitarono diverse prese di posizione furono le pagine riguardanti i principi dell'organizzazione anarchica: tre semplici paginette, nelle quali venivano indicati i quattro presupposti che Machno e compagni ritenevano fondamentali per una nuova organizzazione, che si proponesse di evitare gli errori di quelle fino ad allora succedutesi. Di questi quattro principi, i primi tre costituivano una completa novità (unità teorica, unità tattica, responsabilità collettiva), mentre il quarto (federalismo) era in linea con la "tradizione" anarchica, fin dalle origini del movimento come corrente antiautoritaria e federalista in seno alla Prima Internazionale.
Quanto all'unità teorica, la piattaforma sosteneva che "la teoria è la forza che dirige l'attività degli individui e delle organizzazioni per una via definita e verso uno scopo determinato. Naturalmente essa dev'essere comune a tutti gli individui e a tutte le organizzazioni aderenti alla Unione Generale. (...)".
L'unità tattica, altrimenti definita metodo collettivo d'azione, veniva spiegata come la necessità per tutti i militanti di "trovarsi in perfetta concordanza tanto tra di loro quanto con l'ideologia e la tattica generali dell'Unione", rifiutando così l'eventuale coesistenza di diverse tattiche motivate da differenti situazioni locali.
Sia la analisi della storia e della situazione del movimento anarchico, sia l'affermazione dei principi di unità teorica e tattica e di una certa concezione del federalismo si riassumevano nel principio della responsabilità collettiva che, pur presentato in maniera fumosa e aperta a varie interpretazioni, subito risultò essere la principale "nuova proposta" del gruppo Dielo Truda, il punto centrale delle successive polemiche.
"L'abitudine di agire sotto la propria responsabilità individuale - sosteneva al riguardo la piattaforma di Arscinov - deve essere condannata e respinta all'interno del movimento anarchico. (...) L'organo esecutivo del movimento anarchico generale - l'Unione Anarchica -, pronunciandosi decisamente contro la tattica dell'individualismo irresponsabile, afferma fra i suoi membri il principio della responsabilità collettiva; per cui tutta l'Unione sarà responsabile dell'attività rivoluzionaria e politica di ciascuno dei suoi membri, così come ciascuno dei suoi membri sarà responsabile dell'attività rivoluzionaria e politica di tutta l'Unione".

Solidarietà ed autonomia

Prima di esaminare le reazioni del movimento anarchico di fronte al principio della responsabilità collettiva ed alla piattaforma di Arscinov nel suo complesso, giova lanciare uno sguardo alla questione organizzativa, come era stata impostata e risolta in precedenza. Già abbiamo ricordato che il movimento anarchico organizzato si costituì nel 1872 (congressi di Rimini e di Saint-Imier) proprio come federazione della sezione della Prima Internazionale, contrarie all'autoritarismo marxista: e fin dai primi documenti risulta chiara l'affermazione del principio della autonomia delle sezioni locali, sempre libere di agire pienamente sotto la propria responsabilità, quindi in piena autonomia.
È pur vero che, accanto al massimo decentramento esistente nell'ala antiautoritaria della Prima Internazionale, sussistevano forme organizzative di fatto accentrate e verticistiche nelle associazioni (segrete o quasi) promosse da Bakunin per estendere l'influenza antiautoritaria nel movimento autonomo dei lavoratori (come dimostrano alcuni progetti bakuniniani di statuto). Ma è anche vero che tutto ciò era dovuto al persistere in Bakunin di una forte influenza, tipicamente ottocentesca, derivante dalle sette cospiratrici segrete, ed in particolare dall'esperienza del populismo in Russia. Comunque tali forme organizzative, se potevano (e possono) essere eventualmente valide in periodo clandestino (ma anche su ciò abbiamo le nostre forti riserve), non possono assolutamente essere accettate altrimenti.
Tant'è vero che tutta la storia successiva del movimento anarchico testimonia che caratteristica prima delle organizzazioni anarchiche è quella di essere quanto più federali e decentrate, con la massima autonomia lasciata agli individui ed ai gruppi. Libertà e responsabilità individuale sono sempre stati considerati termini indivisibili, ed in questa luce sono stati compiuti i più validi tentativi di organizzazione anarchica.
Basti pensare, per esempio, al congresso di Capolago (1891), cui parteciparono delegati di gruppi provenienti dall'Italia e dall'esilio, ove fu approvato lo "schema di organizzazione" del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario. Presenti Malatesta, Merlino, Gori, Molinari, Galleani e tanti altri compagni, fu in quella sede ribadito il principio dell'autonomia dei gruppi, e per rilanciare la presenza anarchica si stimolò la costituzione di commissioni di corrispondenza regionali, che favorissero il coordinamento delle varie attività e l'espansione del "partito" (termine questo che allora coincideva con quello attuale di "movimento" e non aveva alcun significato centralizzatore, come ora). Una discussione ben più approfondita sulla questione organizzativa caratterizzò la prima parte del Congresso Internazionale Anarchico dell'Aia (1907), che vide riuniti compagni provenienti anche dalle Americhe, oltre che da molti paesi europei. Uno dei punti sui quali si temeva il Congresso avrebbe potuto arenarsi era quello dell'opposizione che molti compagni facevano al concetto di organizzazione anarchica, ritenendo che l'anarchismo fosse per sua natura anti-organizzatore; vi erano inoltre compagni che si rifacevano all'individualismo anarchico ed ognuna di queste posizioni aveva le sue sfumature, per cui molte ed apparentemente contraddittorie erano le posizioni degli anarchici di fronte alla questione dell'organizzazione. Il Congresso avrebbe forse potuto risolversi in sterili contrapposizioni e magari in accuse reciproche se la questione non fosse stata impostata con chiarezza da Malatesta, il cui lungo intervento trovò la maggior parte dei compagni consenzienti.

Tutti individualisti

"Gli anarchici sono tutti individualisti - sostenne Malatesta al Congresso dell'Aia -, ma non tutti gli individualisti sono anarchici. Vi sono infatti due specie di individualisti: gli uni che rivendicano il pieno sviluppo della libera personalità di ogni individuo, di tutti gli individui; gli altri che vogliono far dominare la loro sola individualità. Un individualista di quest'ultima specie è anche lo czar di tutte le Russie (...). Se si vuol collaborare in modo pratico, si deve constatare sempre di nuovo di essere costretti a ricercare la collaborazione di altri individui, non appena la nostra attività vuol prendere una certa estensione ed importanza. Naturalmente l'organizzazione degli individui in gruppi e dei gruppi fra loro deve lasciare completa autonomia a quelli ed a questi. Però non è a credere che la mancanza di organizzazione significhi una maggiore garanzia di autonomia per gli anarchici. Spesso è vero il contrario (...)". La posizione di Malatesta era dunque quella di un compagno partigiano dell'organizzazione, convinto che solo organizzati gli anarchici possano essere attivamente presenti nella lotta rivoluzionaria; nel contempo chiariva sempre che per lui l'organizzazione altro non era che la pratica della cooperazione e della solidarietà, riaffermando l'inaccettabilità di qualsiasi limitazione "istituzionale" dell'autonomia dei gruppi e degli individui. In questo senso, Malatesta stimolava i compagni ad unirsi in gruppi ed in federazioni, a separarsi quando non c'era una base comune di affinità politica ed organizzativa, accettando così una molteplicità di scelte organizzative (e "anti-organizzative"), purché tutte animate dal desiderio di contribuire in piena autonomia alla comune lotta anarchica. Le differenze fra individualisti, anti-organizzatori ed organizzatori potevano essere superate almeno nel momento dell'attività, non per dare al movimento (o al "partito", come si diceva allora) un volto forzatamente unitario, soffocando qualsiasi "dissenso", ma per assicurare la massima efficienza pratica nel rispetto dei basilari principi di autonomia e libertà organizzativa.
Questa esposizione, forzatamente sommaria, della concezione organizzativa di Malatesta è importante perché rappresenta con chiarezza la posizione "classica" del movimento anarchico, comune alla grande maggioranza dei compagni. Contro questa visione della questione organizzativa si mossero sia gli individualisti e gli anti-organizzatori più accesi (che spesso mascheravano così la loro scarsa attività e la loro intolleranza) sia quei fautori dell'organizzazione che giungevano a contraddire gli stessi principi-base dell'anarchismo pur di costruire un'organizzazione forte, efficace, strutturata. È quest'ultimo il caso del gruppo Dielo Truda, la cui piattaforma organizzativa rappresenta a tutt'oggi la più completa esposizione di questa tendenza ultra-organizzatrice, che di tanto in tanto affiora nel movimento.
Ciò fu ben compreso fin dal 1927, e le polemiche risposte di Fabbri, Nettlau, Berneri, dell'Adunata dei Refrattari, di Volin, di altri compagni e soprattutto di Malatesta alla piattaforma di Arscinov testimoniano l'immediata reazione di rigetto dei settori più attenti del movimento anarchico di fronte a simili proposte.
Per limitarci alla questione della responsabilità collettiva, Malatesta la respinse come un'assurdità, inesistente ed inconcepibile. "La responsabilità morale (poiché nel nostro caso non può trattarsi che di responsabilità morale) è individuale per sua natura. Soltanto lo spirito di dominazione, nelle sue diverse manifestazioni politiche, militari, ecclesiastiche, ecc. ha potuto ritenere responsabili gli uomini di ciò che questi non hanno fatto volontariamente (...)".

Da Arscinov ai G.A.A.P.

Più che la discussione teorica, ci interessa qui seguire gli sviluppi pratici della piattaforma di Arscinov. Veri sviluppi, in realtà, non ci furono, poiché l'organizzazione proposta dal gruppo Dielo Truda rimase sempre sulla carta, continuamente respinta dai compagni e dai gruppi più influenti. Quando poi nel 1933 Arscinov, dopo aver incessantemente difeso la "sua" piattaforma, abiurò pubblicamente l'anarchismo e passò al bolscevismo, la credibilità delle sue proposte calò ulteriormente. La piattaforma venne accantonata, e per un po' non se ne parlò più; anche se, a voler essere precisi, alcuni motivi che la ispirarono ed alcune soluzioni suggerite da Machno e compagni vennero fatte proprie da alcuni movimenti, ed in particolare da quello spagnolo nelle ultime fasi della rivoluzione sociale del 1936-'39 (con conseguenze gravi e molto discutibili).
Solo nel secondo dopoguerra, comunque, vi fu qualche "nuovo" tentativo di strutturare rigidamente il movimento anarchico, e come già per la piattaforma di Arscinov e per altri tentativi consimili, la proposta di "solida" riorganizzazione era accompagnata da un'analisi politica di derivazione marxista, da un'acritica esaltazione per la lotta di classe, per il ruolo "dirigente" che doveva competere all'organizzazione anarchica nel movimento dei lavoratori, ecc. In Italia più di un tentativo in tal senso abortì, o visse una breve e poco brillante esistenza: ben superiore per durata e per qualità fu l'esperienza dei Gruppi Anarchici d'Azione Proletaria (G.A.A.P.), che dalla fine del 1949 si protrasse al 1956-'57. Senza qui ripercorrere la parabola dei G.A.A.P. - partiti come gruppi dissidenti all'interno della Federazione Anarchica Italiana, costituitisi in un "movimento orientato e federato" e finiti, dopo successivi cedimenti, all'unità d'azione con alcuni gruppi leninisti, nei quali confluirono molti dei "gaapisti" - interessa qui sottolineare alcune posizioni ideologiche dei G.A.A.P., significativamente contemporanee alle loro scelte organizzative para-arscinoviste. "Non si entra né si resta nella storia se non rappresentando una realtà di classe": così già nel 1949 la dissidenza ultra-organizzatrice cominciava a chiarire il suo orientamento ideologico, che in seguito fu corroborato da molteplici citazioni marxiste, oltre che da assurde forzature del pensiero dei "classici" dell'anarchismo. L'approvazione della responsabilità collettiva, la decisione di partecipare (come anarchici!) alle elezioni politiche, l'interesse per i problemi del "periodo transitorio", il rifiuto del tradizionale antistatalismo anarchico (veniva auspicata "la liquidazione dello stato come apparato di classe", formula quanto meno confusa ed equivoca), tutti questi sono alcuni dei passi che successivamente hanno percorso alcuni dei più attivi militanti dei G.A.A.P., seguendo le orme di Arscinov: dall'anarchismo piattaformista al marxismo-leninismo.
Dalla fine ingloriosa dei G.A.A.P. ad oggi non vi sono più stati tentativi così consistenti di dare al movimento anarchico una base ideologica strettamente comune a tutti i militanti ed una conseguente organizzazione rigidamente strutturata: nel contempo però si sono rifatte di tanto in tanto vive forze tendenti a seguire le orme dei piattaformisti, senza successo.
È indubbio che il periodico ripresentarsi di tendenze ultraorganizzatrici può essere considerato come una reazione alla mancanza di cooperazione e di coordinamento che talvolta ostacola la crescita del movimento. Ma l'esperienza storica dimostra che anche le soluzioni ultraorganizzatrici agiscono nel medesimo senso. Recentemente, nei movimenti anarchici di lingua francese ed italiana, più di un gruppo ha "riscoperto" la piattaforma di Arscinov, e la polemica si è riaccesa sulle questioni della responsabilità individuale e collettiva, del rapporto maggioranza-minoranze, dei legami fra organizzazione specifica e lotta di classe, del gruppo d'affinità e territoriale, del pluralismo e dell'omogeneità teorica, ecc.... Il meno che ci possiamo augurare è che queste discussioni si basino anche sull'esperienza storica dell'anarchismo, ad evitare che, se veramente si vogliono trovare nuove più efficaci strade, si ripercorrano vie già battute infruttuosamente in passato.

Camillo Levi