Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 22
giugno 1973


Rivista Anarchica Online

Classi e lotta di classe
di A. di Solata

La struttura sociale nei paesi tardo-capitalisti - Linee evolutive della società italiana

Questo articolo è tratto da una relazione che, assieme ad altre, è stata discussa all'Assemblea dei Gruppi Anarchici Federati (G.A.F.) del 16-17 giugno. Tali relazioni saranno prossimamente pubblicate in un "quaderno" edito da L'Antistato, con il titolo: "Anarchismo '70: un'analisi nuova per la strategia di sempre".
L'anarchismo ha derivato i suoi valori ed il suo progetto dalle aspirazioni emancipatrici espresse dalle classi inferiori (1) cioè dalla storia della lotta di classe. Nel fare riferimento alla lotta di classe però è bene chiarire che esistono perlomeno due categorie di conflitto sociali definibili in tale modo.
Un tipo di lotta di classe è quella tra sfruttatori e sfruttati, tra oppressori e oppressi; un altro tipo, ben diverso, è quello tra classi concorrenti al dominio. La prima è lotta per l'emancipazione, la seconda è lotta per l'affermazione di una forma di oppressione e di sfruttamento su un'altra.
Lo studio di entrambe le categorie di conflitto ci è necessario: per ricavare dalla prima indicazioni sulle tendenze oggettive delle classi inferiori; per trarre dalla seconda elementi conoscitivi sui meccanismi dinamici della disuguaglianza.
Dalla confusione tra le due categorie, non solo diverse ma addirittura opposte nel loro significato storico di fondo, possono sorgere - e sono sorti - pericolosi equivoci, come l'identificazione di lotta di classe e progetto socialista (e conseguentemente di coscienza di classe e volontà rivoluzionaria), come l'inevitabilità storica del socialismo, ecc.

lo schema a due classi

Una delle conseguenze più importanti della confusione tra le due categorie di conflitto sociale è la generalizzazione dello schema sociologico "bipolare", cioè la suddivisione di ogni società in due classi antagonistiche.
Ora la suddivisione in classi della società è legata al parametro scelto, dipendente a sua volta dallo scopo per cui viene eseguita tale suddivisione. A seconda del parametro (o dei parametri) scelto, si possono identificare nella piramide sociale due, tre, dieci, venti classi, cioè gruppi sociali con determinate affinità interne (interessi economici, prestigio, funzione, cultura) e disaffinità esterne. È tipico in genere dei sociologi apologeti del sistema l'identificare numerosi gruppi sociali, così infatti la realtà dilacerante della lotta di classe antagonistica si confonde e diluisce in una molteplicità di conflitti minori non contradditori con la perpetuazione del sistema. Questi schemi sociologici "graduati" (2) sono il riflesso in sede ideologica della tendenza attuale del sistema a disinnescare l'antagonismo di classe moltiplicando le separazioni, in una stratificazione continua dello sfruttamento e del privilegio.
È viceversa tipico dei rivoluzionari assumere uno schema "bipolare" (3) che esalta, privilegiandola da un contesto sociale più complesso, la contrapposizione antagonistica inconciliabile delle due classi fondamentali (o ritenute tali). Tale schema non è necessariamente definito in rapporto alla proprietà giuridica dei mezzi di produzione, come nell'ideologia marxista: tale riferimento è d'altronde palesemente inutilizzabile in sistemi socio-economici (come i Paesi a "socialismo di stato"), dove la disuguaglianza non si presenta nella forma della proprietà privata (4).
Questo schema bipolare, che parte da una realtà indiscutibile (anche se parziale) e che si offre come strumento utile soprattutto al fine di identificare l'interlocutore del movimento rivoluzionario, cioè la classe (o l'insieme delle classi) dominata e sfruttata, deve però essere utilizzato con chiara consapevolezza dei suoi limiti teorici e pratici. I limiti sono dati innanzitutto dalla sua applicabilità solo a sistemi sociali relativamente "statici" (quale, ad esempio, il capitalismo del secolo scorso e forse il "socialismo" di stato di tipo russo). Sistemi, cioè, nei quali non solo il conflitto bipolare individuato è il conflitto sociale dominante (perché si riferisce al modo di produzione dominante) ma in cui, anche e soprattutto, il cosiddetto "ceto medio" sia solo un "diaframma" inerte e graduato tra le due classi antagonistiche e non sia, in tutto o in parte, agente di trasformazione socio-economica, cioè classe esso stesso, in lotta per il potere.

lo schema a tre classi

Nelle fasi storiche di transizione, come quella che stiamo attraversando, lo schema classista bipolare diviene strumento inutile, in quanto non consente di vedere e comprendere le nuove forme di sfruttamento e di potere che nascono all'interno delle vecchie strutture, o addirittura mistificatorio, in quanto maschera la realtà del conflitto di classe tra i due gruppi sociali concorrenti al dominio.
Per la rappresentazione essenziale di questi periodi "dinamici", la distinzione tra le due categorie, precedentemente viste, di lotta di classe, ci porta ad uno schema "tripartito" della società, ci porta a distinguere cioè in termini di conflitto antagonistico tre classi contrapposte le une alle altre contemporaneamente: una classe dominata, una classe dominante ed una classe in ascesa (5).
Per una corretta comprensione della dinamica sociale, non bisogna dimenticare che le due forme fondamentali di conflitto si presentano spesso intrecciate. Così, poiché come norma generale il gruppo sociale tendente al potere si appoggia, nella sua lotta contro la classe detentrice del potere, alle classi inferiori (6), la sua lotta di classe si intreccia per tratti storici con quella di queste ultime.
Più raramente ed episodicamente può anche darsi, viceversa, che sia la classe dominante ad "appoggiarsi" a strati delle classi inferiori contro la classi in ascesa: ad esempio l'aristocrazia ha talvolta strumentalizzato il proletariato ed il sottoproletariato rurale contro la borghesia. Un altro elemento di contatto tra le due forme di lotta di classe è dato dal fatto che generalmente le classi in ascesa si generano, per lo meno in parte, dagli strati superiori delle classi dominanti, esprimendo perciò spesso, anche per confusione soggettiva oltre che per ideologia mistificatrice, l'aspirazione emancipatrici ed insieme una nuova volontà dominatrice.

i paesi tardo-capitalisti

Quali sono, nelle società industriali avanzate di tipo occidentale (cioè tardo-capitalistiche), le tre classi dello schema tripartito e, soprattutto, come si identifica la classe (o gruppo di classi) inferiore, cioè il nostro interlocutore?
La prima classe è costituita dai "vecchi" padroni della borghesia capitalistica: essa è sufficientemente nota perché si debba descriverla.
La seconda classe è la tecnoburocrazia che va progressivamente erodendo il predominio della borghesia. Essa, beninteso, non è costituita dai tecnici e dai funzionari amministrativi, i quali, nella loro maggioranza sono e restano (assieme ad altre categorie) ceto medio (7), pur sfumando in alto nella tecnoburocrazia ed in basso nella classe inferiore, ma solo da quella parte di essi che hanno funzione e potere dirigenziale nella divisione aziendale e sociale del lavoro.
La terza classe costituita da tutte quelle categorie sociali subalterne che comprendono il proletariato, sia urbano che rurale, ed il sottoproletariato, gli addetti ai lavori manuali in senso lato (comprendendo cioè anche gli impiegati con mansioni puramente esecutive) e tutti gli "esclusi" (disoccupati, sottoccupati, ecc.). È a questa classe (o gruppo di classi), cioè alle categorie dominate e sfruttate contemporaneamente dal morente capitalismo e dal nascente assetto tecno-burocratico, che, qui ed ora, fa riferimento e si rivolge il nostro discorso ed il nostro progetto rivoluzionario.
Proviamo ora a definire la struttura di classe italiana e le sue tendenze evolutive, utilizzando quello schema tripartito che abbiamo visto essere adatto ad un'interpretazione dinamica della realtà sociale dei Paesi tardo-capitalisti. Tale stima identifica nella piramide sociale italiana una classe dominante in declino (borghesia), una classe dominante in ascesa (tecno-burocrazia), una classe dominata (proletariato + sottoproletariato) ed un ceto medio.

la struttura di classe in Italia

Per quantificare questo schema ed attribuire gli individui alle diverse classi e categorie ci siamo avvalsi di un criterio funzionale, partendo dalla fonte del reddito (e non dal suo livello) che corrisponde abbastanza fedelmente alla funzione svolta nel processo produttivo sociale. Questa funzione, a sua volta, corrisponde grosso modo, a nostro avviso, all'effettiva posizione di classe, cioè i contenuti di potere e di privilegio (positivi o negativi) di ogni categoria nella piramide sociale. Rielaborando i dati statistici più recenti, aggregati da Sylos Labini in una sua recente pubblicazione, abbiamo ottenuto uno schema (vedi tabella 1) che, con le dovute cautele e le inevitabili approssimazioni, ci sembra rappresentare la realtà sociale italiana in modo plausibile.
Abbiamo, come si vede, disaggregato il ceto medio in due categorie funzionali, individuando accanto e per analogia con una piccola "borghesia" vera e propria, una "piccola tecno-burocrazia".
Mentre la prima è il substrato socio economico della borghesia (e con essa tende ad identificarsi anche ideologicamente), la seconda è il substrato socio-economico della tecno-burocrazia (e con essa tende ad identificarsi anche ideologicamente). I livelli superiori delle due categorie del ceto medio, del resto, si confondono con i livelli inferiori delle due classi dominanti. Una osservazione importante va fatta a riguardo dei livelli inferiori della "piccola tecno-burocrazia", che si confondono, funzionalmente, con la classe proletaria. Non sono però disponibili dati statistici per quantificare questa sotto-categoria e d'altro canto noi stessi non abbiamo ancora messo a punto un parametro (che non sia il livello di reddito) per identificarla chiaramente.
Grosso modo, comunque, un buon terzo della "piccola tecno-burocrazia" dovrebbe a nostro avviso essere riclassificato come "proletariato".
Se dal parametro "funzionale" passiamo al parametro "ricchezza", possiamo riclassificare le categorie della società italiana, in base ai livelli di reddito, come nella tabella 2.
Come si vede c'è una certa, prevedibile, corrispondenza con lo schema funzionale, ma anche qualche discordanza. Si può inoltre osservare come il rapporto di disuguaglianza economica sia rilevante. Anche trascurando le due categorie estreme, i ricchissimi ed i poverissimi (questi ultimi quasi tutti concentrati nel Centro-Sud e nelle Isole), rimane un rapporto fra "ricchi" e "poveri" di 1 a 13.

la dinamica sociale in Italia

Considerando dinamicamente anziché statisticamente, la situazione di classe italiana, possiamo effettuare due confronti, uno nel tempo, con la situazione italiana di cinquant'anni fa, ed uno nello spazio, con la situazione di un paese tardo-capitalista (noi prenderemo la Francia) simile ma leggermente più avanzato dell'Italia. Potremo così, dal passato e ad un probabile futuro, identificare le principali linee di tendenza.
Paragonando la situazione di classe al 1971 con quella al 1921, si può notare innanzitutto un incremento numerico pressoché pari del proletariato (che è passato da 8.400.000 attivi a 9.500.000) e del ceto medio (che è passato da 9.000.000 attivi a 9.800.000). Interessante è l'evoluzione interna al ceto medio, che ha visto una forte riduzione della "piccola borghesia" (da 7.600.000 a 5.600.000), a tutto vantaggio della "piccola tecno-burocrazia" (che è passata da 1.250.000 a 3.900.000) ed in particolare degli impiegati (passati da 520.000 a 3.100.000).
Per la borghesia e la tecno-burocrazia al 1921 non abbiamo dati disponibili. È però probabile che la loro somma all'inizio degli anni '20 fosse pressoché pari alla loro somma attuale, una prevalenza della borghesia sulla tecno-burocrazia e che alla crescita di quest'ultima abbia corrisposto in questi cinquant'anni il declino anche numerico della prima.
L'evoluzione interna del ceto medio e delle classi dominanti corrisponde alla trasformazione della struttura economica. Il processo di concentrazione oligopolistica, infatti, e la contemporanea forte espansione delle funzioni dello Stato e soprattutto del suo intervento nell'economia, hanno portato ad un rafforzamento sostanziale della classe tecno-burocratica (dirigenti tecnici ed amministrativi, pubblici e privati) e ad una vistosa espansione del ceto impiegatizio (impiegati tecnici ed amministrativi, pubblici e privati).
All'interno del proletariato si è avuta una variazione qualitativa corrispondente alla trasformazione del sistema produttivo da agricolo-industriale ad industriale-terziario: i salariati in agricoltura sono scesi da 3.900.000 a 1.200.000, quelli dell'industria sono saliti da 3.300.000 a 4.300.000, quelli dell'edilizia da 700.000 a 1.700.000, quelli del commercio, dei trasporti e dei servizi vari da 500.000 a 2.300.000.
Osserviamo, infine, che il calo della piccola borghesia è stato indotto esclusivamente dalla diminuzione dei coltivatori diretti (dimezzati in cinquant'anni), mentre pressoché costanti sono rimasti artigiani e piccoli industriali e sono raddoppiati i piccoli commercianti.
Il confronto con i dati francesi ci consente di prevedere nel prossimo decennio un ulteriore aumento della piccola tecno-burocrazia (che era nel '68 in Francia già il 31% degli attivi, contro i 20% in Italia nel '71) a scapito della piccola-borghesia (in Francia solo il 22,8% contro il 27,7% in Italia) e del proletariato (in Francia il 42,6% contro il 48,7% in Italia) la diminuzione della piccola borghesia sarà verosimilmente più accentuata per la sotto-categoria dei piccoli commercianti e di quei piccoli industriali che producono in concorrenza con la grande industria. La diminuzione dei proletari veri e propri (salariati) sarà dovuta all'incremento del settore terziario (più "ricco" di impiegati dell'industria) a spese del settore secondario. Anche il rapporto tra borghesia e tecno-burocrazia si modificherà in favore di quest'ultima, ma ci è impossibile quantificare il fenomeno, non avendo i corrispondenti dati statistici per la Francia.

A. di Solata

1) Il che non significa, beninteso, che l'anarchismo ha semplicemente esplicitato tali aspirazioni, così come inventare una macchina per volare non significa semplicemente esplicitare l'aspirazione dell'uomo al volo.
2) Cfr. Ossowsky, Struttura di classe e coscienza sociale, Torino, 1966, Cap. III.
3) Cfr. Ossowsky, Op. cit., cap. II.
4) Cfr. Dahrendorf, Classi e conflitto di classe nella società industriale, Bari, 1970, Cap. VII e VIII ("Le classi nella società post-capitalista").
5) Cfr. Arscinov, La rivoluzione anarchica in Ukraina, Milano, 1972, Cap. I.
6) Cfr. Pareto, Introduzione a I sistemi socialisti, Torino, 1963.
7) Il ceto medio non è "classe" nel senso usato sinora, in quanto non si definisce in termini antagonisti con altre "classi". Esso è quindi una specie di "scatolone" sociologico che comprende diverse categorie con diversi interessi.

Tab. 1 - STRUTTURA DI CLASSE IN ITALIA (1)
I. CLASSI DOMINANTI

A. Borghesia (2) B. Tecno-burocrazia (3)
200.000 200.000

II. CETO MEDIO
A. Piccola borghesia (4) B. Piccola tecno-burocrazia (5)
5.800.000 3.850.000
III. PROLETARI (6)
9.500.000
IV. SOTTOPROLETARI (7)
1.500.000
(1) Da: P. Sylos Labini, "Sviluppo economico e classi sociali in Italia", in Quaderni di Sociologia, ottobre-dicembre 1972, tabb. I, III, IV. Elaborazione nostra. Le cifre si riferiscono agli individui "attivi".
(2) Imprenditori, proprietari terrieri, "rentiers".
(3) Dirigenti pubblici (50.000) e privati (100.000) alti ufficiali dell'esercito e della polizia, vertici della burocrazia politico-sindacale e della magistratura (50.000).
(4) Professionisti, commercianti, artigiani (compresi i piccoli industriali) coltivatori diretti, ecc.
(5) Impiegati pubblici e privati, militari, religiosi, funzionari di partiti e sindacati, ecc.
(6) Lavoratori salariati dell'agricoltura, dell'industria, dell'edilizia, del commercio, dei trasporti, ecc.
(7). Sono stati qui inclusi: una parte (la più povera e la più precaria) dei braccianti agricoli, una parte di coloro che lavorano a domicilio, una parte dei commercianti ambulanti.

TAB. 2 - LA DISUGUAGLIANZA ECONOMICA IN ITALIA (1)
Qualifica Categorie Reddito medio mensile (in migliaia di lire) n° redditi
Ricchissimi Quintile più alto degli imprenditori e dei rentiers. 4.000-4.500

(?)

40.000
(?)
Ricchi Imprenditori tecno-burocrati, rentiers, grandi professionisti. 1.400-1.500 560.000
Medi Impiegati tecnici ed amministrativi dei livelli superiori, parte degli artigiani, parte dei coltivatori diretti, piccoli professionisti, ecc. 200-250 8.620.000
Poveri Lavoratori salariati, impiegati dei livelli inferiori, parte dei commercianti, parte degli artigiani, parte dei coltivatori diretti, ecc. 100-120 7.540.000
Poverissimi Parte dei coltivatori diretti, lavoratori salariati precari, sotto proletari, ecc. 50-60
(?)
4.240.000
(?)
(1) Da: P. Sylos Labini, "Sviluppo economico e classi sociali in Italia", in Quaderni di Sociologia, ottobre-dicembre 1972, tabb. III. Elaborazione nostra. Le cifre si riferiscono al 1971. Tra i "redditieri" (percettori di reddito) non sono stati compresi i pensionati delle diverse categorie.
Nota: trattandosi di dati medi nazionali, essi appiattiscono gli estremi di ogni categoria ed in particolare alcune centinaia di redditi elevatissimi ed alcune centinaia di migliaia di redditi miserabili (soprattutto nel Sud e nelle Isole), così come mascherano le differenze settoriali la base di statistiche incomplete ed imprecise, sono necessariamente approssimati. I più incerti sono quelli (segnati con un punto interrogativo) relativi alle due categorie estreme.